Significativamente Oltre

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Intervista al Prof. Leonardo Maugeri, talento da esportazione ad Harvard

ENIdi Massimo Preziuso su R-Innovamenti

Buongiorno Professore. Grazie per l’opportunità, innanzitutto. Lei è un chiaro esempio di talento italiano da esportazione. Dopo una carriera folgorante nel colosso ENI, nel 2011, ancora quarantenne, ha deciso di cambiare e tornare all’accademia. Oggi insegna nella prestigiosa Harvard University, è consigliere del governo americano sui temi energetici, è autore di vari libri, tra cui un best-seller che ho letto in questi giorni (“Con tutta l’energia possibile”), e tanto altro.

1) Perché questo cambiamento così  improvviso e radicale?

Preferisco che il tempo si sedimenti prima di rispondere a questa domanda.

2) Italia Vs Stati Uniti: chi vince?

Non c’è competizione. Da anni, condivido il giudizio di Bill Emmott sull’Italia: purtroppo il nostro Paese è giunto a un livello di non ritorno. Sovrastato da una corruzione patologica e da una classe dirigente del tutto inadeguata, che però si autosostiene con il meccanismo della cooptazione, non ha credibili prospettive di crescita. Ha abbandonato la ricerca e la formazione di alto livello, primi motori di sviluppo di ogni paese, non ha più che un manipolo di grandi gruppi industriali, non riesce a produrre tecnologia né innovazione, se non su piccola scala incapace di fare massa critica.

Negli Stati Uniti, con tutti i problemi che pure esistono, c’è una vitalità sorprendente. Ricerca, innovazione, trasformazione continua, sono ancora i fattori portanti del paese. Qui è ancora vero che un totale sconosciuto, senza famiglia né possibilità alle spalle, può diventare tutto grande alla forza delle sue idee o del suo talento. Inoltre, il paese riesce ancora a attrarre – soprattutto grazie alle sue università e ai suoi centri di ricerca – i migliori talenti del mondo.

3) Come si sente un talento italiano negli Stati Uniti, in questi anni così turbolenti, in cui il nostro Paese ha proprio bisogno di personalità come la Sua per tornare a “vivere”?

Non sono certo un caso unico. Semplicemente, chi ha talento deve cercare altre strade lontane dall’Italia, perché il talento non rientra nei criteri di selezione del nostro Paese. Contano solo frequentazioni, appartenenze, disponibilità a accettare le regole di un sistema malato.

4) Come creare veri ponti di opportunità tra Italia a America? Quale appunto il ruolo possibile per “ambasciatori” come Lei?

Se il Paese non cambia radicalmente, è impossibile per chiunque costruire veri ponti di opportunità.
Bisogna chiedersi: perché una società americana dovrebbe avere interesse a investire in Italia, rispetto a tutte le altre opportunità disponibili nel mondo? Qual è il nostro valore aggiunto? Gli americani adorano l’Italia come posto per le vacanze, non come luogo d’investimento.

5) Competizione Vs Uguaglianza: come risolvere una volta per tutte questo ”trade off” di visioni del mondo?

A mio modo di vedere, la convivenza tra società del merito (competitiva) e società dell’uguaglianza e del bisogno è la sintesi che ha reso l’occidente superiore al resto del mondo, nel 20° secolo. La società del merito ha bisogno di uguaglianza di partenza, perché solo così possono emergere i migliori talenti. La ricchezza generata da una società che si alimenta di merito, d’altra parte, genera la ricchezza e la crescita che – con eque e sagge politiche di redistribuzione – possono sostenere la parte più bisognosa della popolazione, quella che può rimanere indietro e offrire i mezzi per l’uguaglianza di partenza. Nelle società povere questa possibilità non esiste.

6) Lavoratori e Produttori: quale il modo per metterli a lavoro insieme per rinnovare e ricostruire il Belpaese?

C’è un interesse comune: concentrare l’attenzione del legislatore nel facilitare gli investimenti, abbattendo la burocrazia che oggi impedisce alle imprese di investire e operare, stroncando la corruzione che rende il gioco economico artificioso, abbassando nel tempo le tasse sulle imprese stesse. Allo stesso tempo, il legislatore dovrebbe abbandonare la sterile questione del ridimensionamento dei diritti dei lavoratori. Provate a chiedere ad un’impresa straniera perché non investe in Italia, dove potrebbe chiudere dopo qualche anno licenziando tutti i lavoratori..

7) Politiche energetiche: quale il futuro sostenibile? Lei ci crede alla opportunità, proposta dal governo Monti, della costituzione di un hub del gas mediterraneo in Italia, con baricentro in Basilicata?

Io credo che, per alcuni decenni ancora, i combustibili fossili costituiranno gran parte del fabbisogno energetico dell’umanità, perché la loro densità di energia non ha ancora trovato sostituti. Al tempo stesso, credo che i primi decenni del secolo costituiranno “l’officina” che produrrà le tecnologie necessarie ad abbattere il ruolo dei combustibili fossili nel futuro. Per questo la ricerca scientifica è fondamentale e, visto quello che sta accadendo in paesi come gli Stati Uniti, mi aspetto grandi breakthrough tecnologici – soprattutto nell’energia solare – nei prossimi anni.

Quanto all’Italia hub del gas, continuo a nutrire molti dubbi per una serie di ragioni. Anzitutto, ho visto che anche l’Antitrust pone in evidenza un rischio che indico da anni. Per avere un hub del gas (e anche un mercato spot) occorre una sovrabbondanza di infrastrutture, funzionali a consentire una forte variabilità di flussi di gas in ragione delle condizioni di mercato: chi paga queste infrastrutture (gasdotti, stazioni di pompaggio, stoccaggio)? Naturalmente, le paga il consumatore in bolletta. Può andar bene, ma il consumatore ne è cosciente? Ne dubito. Inoltre, in un mercato del gas caratterizzato da una bolla (un eccesso di offerta rispetto alla domanda, che avevo già preconizzati anni fa) come quello europeo, i gasdotti in eccesso potrebbero andare al minimo di capacità, ma il consumatore dovrebbe lo stesso pagare i costi della loro costruzione. Con quali vantaggi? E per chi?

8 ) Come Innovatori Europei, insieme ad altre organizzazioni ambientaliste, stiamo studiando il tema “Taranto sostenibile” e l’ opportunità per il prossimo governo italiano di facilitare una transizione industriale nella produzione delle “auto elettriche”. Che ne pensa a riguardo?

Guardi, io ho concepito e avviato la realizzazione di una dei più importanti piani di riconversione industriale d’Italia, quello del sito petrolchimico di Porto Torres in Sardegna, orientandolo alla chimica verde. Quando lo feci, analizzai per prima cosa le prospettive economiche di un certo tipo di chimica verde, per essere certo di non creare un’altra illusione industriale destinata a fallire con il tempo. Solo una volta certo degli economics lanciai la mia società, al tempo Polimeri Europa, oggi Versalis – la società della chimica dell’Eni – nel progetto.

Quella delle auto elettriche è una bella idea, ma ha bisogno anzitutto di una rigida analisi economica. Io credo nel futuro dell’auto elettrica, e credo che questo futuro arriverà dall’Asia, non dal vecchio mondo. Da noi il problema fondamentale è che non esistono sufficienti reti di distribuzione, e costruirle costerebbe miliardi di euro. Per favorire un mercato dell’auto elettrica, ci vorrebbero delle normative specifiche, magari a costo zero, ma molto dure: per esempio, vietare la circolazione delle auto tradizionali con una certa età nei centri delle città.

Dovrei studiare in modo più approfondito la questione. Forse, nella fase in cui siamo, sarebbe più proponibile offrire a un grande produttore – meglio asiatico – condizioni speciali per costruire a Taranto stabilimenti di auto ibride, che cominciano ad avere un certo mercato e sono davvero fantastiche. Perfino tanti americani cominciano a convertirsi. Per condizioni speciali intendo condizioni fiscali radicali (per esempio, zero tasse nei primi 5 anni). Sarebbe sempre meno che un intervento diretto dello stato, e quindi dei contribuenti.

9) Innovatori Europei vuole sempre più diventare un “ponte” di opportunità progettuali e politiche tra Italia, Europa e Mondo. Tra le altre, siamo gemellati con una innovativa realtà politica operante in Nord America. Ritiene interessante l’idea di unire le comunità italiane nel mondo attorno ad un progetto intellettuale e politico come il nostro?

Si, soprattutto nella misura in cui riuscisse a riconnettere tanti italiani di grande valore che hanno abbandonato l’Italia perché non vi trovavano spazi e hanno poi avuto esperienze di grande successo. Sono un patrimonio possibile dell’Italia di domani. Ma è un progetto che richiede tempo e una costruzione mirata e paziente. Ci sono state già troppe iniziative improvvisate e effimere nel passato anche recente.

Grazie.

A Lei.

Sì al terzo condono edilizio in Campania, ma con la Programmazione

condono_ediliziodi Giuseppe Mazzella – IE Campania

Sono assolutamente convinto che il prossimo Governo della Repubblica che – secondo le previsioni – sarà una colazione di centro-sinistra o di sinistra-centro approverà per la Campania il terzo condono edilizio, quello del 2003,che la Regione Campania guidata dal centro-sinistra presieduto da Antonio Bassolino non volle estendere alle aree di interesse paesaggistico vincolate ai sensi della legge 1049 del 1939 come le isole di Ischia, Capri e Procida e la costiera Sorrentino-Amalfitana tutte aree ad economia turistica esclusiva e matura. E’ un provvedimento che in questa ultima legislatura proprio il centro-sinistra ha ostacolato con ogni mezzo parlamentare e con ogni mezzo parlamentare il centro-destra ha tentato di far approvare stante la situazione grave, soprattutto nel comparto del lavoro, in Campania. Vanno ricordate con obiettività di cronaca le iniziative per l’ estensione del condono alla Campania del senatore Sarro del PDL così come le dure risposte dell’on. De Seta del PD.

Poiché il nuovo Governo dovrà affrontare una drammatica situazione economica e sociale del Paese con una situazione tragica dell’ occupazionale soprattutto giovanile e soprattutto nel Mezzogiorno sono dell’ avviso che queste emergenze costituiranno la motivazione fondamentale per estendere il terzo condono e per fermare gli abbattimenti. Infatti proseguire sulla strada degli abbattimenti in un’ area dove la disoccupazione cresce ogni giorno di più e l’ economia turistica entra in crisi significherebbe ancora di più aggravare una situazione sociale che definire tragica costituisce un eufemismo.

In un importante convegno che si tenne a Lacco Ameno l’ 8 ottobre 2011 per iniziativa dell’ Unione Nazionale dei Tecnici degli Enti Locali ( UNITEL) sul tema: “ Problemi irrisolti del condono edilizio dopo la legge n. 47/85” il prof. Lucio Iannotta, ordinario di diritto amministrativo presso la Facoltà di Economia della Seconda Università di Napoli, che tenne una relazione magistrale, affermò che in Italia “ i condoni edilizi arrivano ogni 9 anni” e che la misura da “ straordinaria” è diventata di fatto “ ordinaria”.

Iannotta osservò che “ le leggi di condono hanno dato cattivi risultati ed hanno determinato un enorme contenzioso in sede giudiziaria tanto che forse andava meglio il precedente sistema della licenza edilizia che non ha prodotto gli orrori di oggi e che concedeva l’ autorizzazione a costruire caso per caso con attenzione al particolare piuttosto che al generale”. L’ affermazione fu fatta dopo un minuzioso esame di tutti i tentativi per avviare la Pianificazione Territoriale in Italia fin dal 1942 con il Testo Unico sull’ Urbanistica che restò inapplicato per venticinque anni e riscoperto solo nel 1967 dal Ministro dei Lavori Pubblici, Giacono Mancini, socialista, al quale si deve la famosa Legge-Ponte.

Dopo quarantaquattro anni dalla Legge-Ponte almeno qui nell’ isola d’ Ischia siamo al punto di partenza perché abbiamo un blocco totale dell’ edilizia, un vincolismo assoluto decretato dal Piano Urbanistico-Territoriale del Ministro Antonio Paolucci del 1995 tanto che nell’ ultimo blitz antiabusivismo dei Carabinieri del 19 gennaio 2013 è stato ritenuta abusiva perfino la “ realizzazione di una scala in ferro per un valore di 3mila euro” nel Comune di Barano.

E’ evidente che un’economia com’è quella dell’ isola d’ Ischia dove vi sono almeno 40mila posti-letto ed almeno 10mila lavoratori stagionali del turismo e dell’ indotto non può essere ingessata senza andare verso una crisi irreversibile e drammatica. Bisogna pur permettere qualcosa, avviare un recupero edilizio,insomma sbloccare una espansione.

Credo che le esigenze dell’ economia prevarranno e nonostante tutto bisognerà ricorrere alla misura del condono. Paradossalmente parlano di applicare un condono in questa campagna elettorale per le politiche i movimenti più estremi: il Movimento delle 5 stelle di Grillo e un esponente non di secondo piano della lista Rivoluzione Civile di Ingroia l’on. Nello Di Nardo che è capolista in Basilicata e che ha dichiarato a “ La Repubblica” del 30 gennaio 2013 di “ battersi per il condono edilizio” senza alcuna preoccupazione di trovarsi sulle stesse posizioni del centro-destra.

Credo quindi che sarà inevitabile per il nuovo Governo utilizzare un terzo condono edilizio ma credo anche che il nuovo Governo dovrà cominciare a rendere possibile e praticabile una seria Pianificazione Territoriale che è tale solo quando sceglie e non immobilizza il territorio.

Come si giustificherà il centro-sinistra? Questo in politica non è mai stato un problema.

Diceva Bernard Grasset che “ poiché in politica è più importante giustificarsi che fare, le parole hanno più importanza delle cose”.

 

Sempre meno laureati

UCSB Graduation Daydi Aldo Perotti

Notizia di questi giorni è il costante calo di laureati nel nostro paese. Ovviamente si registra nel contempo la diminuzione di professori ed il generale de-finanziamento delle università e della ricerca.
 
Se studenti e professori sono diminuiti del 20% probabilmente anche la spesa ha seguito un andamento simile, comunque l’evoluzione dei costi in generale sempre aver penalizzato gli investimenti con il risultato di avere università con sempre meno insegnanti, attrezzature, studenti.
 
Il primo grido che si è levato è stato: “più soldi per l’università” (qualsiasi cosa accada nel nostro paese la prima richiesta è sempre quella).
 
Altre statistiche ci dicono che nel nostro paese non c’è lavoro per i laureati (nemmeno per gli operai a dire il vero). C’è richiesta di tecnici specializzati, chiamiamoli “superdiplomati” ovvero di figure più che idonee a svolgere un certo lavoro ma che costino il meno possibile. Va da se che un laureato è un ottimo operatore di call center, la sua laurea viene declassata a “superdiploma”.
 
Allo stesso tempo la laurea nel nostro paese è condizione spesso non necessaria per raggiungere posizioni elevate. All’estero invece i nostri laureati trovano lavoro e fanno carriera a conferma che le nostre università sono comunque in grado di produrre eccellenza, ovvero laureati eccellenti (merito anche delle qualità individuali, spesso sovrabbondanti nel nostro paese). 
 
Tentiamo una sintesi:
 
Il valore della laurea è molto scarso nel settore privato (non distingue, non discrimina). Amicizie, parentele, conoscenze, possono tranquillamente controbilanciare qualsiasi brillante curriculum accademico. Rimane un pezzo di carta il cui valore è variabile, una sorta di biglietto di invito, se ne sei in possesso spesso vale poco (vedi che fanno entrare pure chi non ce l’ha), se non ce l’hai vali poco tu, dipende dal buttafuori alla porta del locale.
 
Nel settore pubblico è solo un indispensabile titolo di accesso (una specie di biglietto di entrata al cinema.. si strappa all’’ingresso.. i posti sono numerati… è bene conoscere la bigliettaia per non trovarsi nelle ultime file). Una volta entrati altri meccanismi permettono di guadagnare i posti migliori.
 
Nelle professioni vale quanto detto nel settore pubblico con l’’aggravante che si tratta di lavoro privato e quindi il biglietto è senza numero e non da neanche diritto a sedersi (capace che entri, resti in piedi e non vedi nulla…; importantissimo conoscere qualcuno delle prime file e saper sgomitare).
 
La laurea pur costituendo effettivamente in molti casi una barriera all’’entrata (se uno ne è privo,… ma si sa.. i titoli, se proprio serve, in qualche modo si possono acquisire), non garantisce ne un lavoro, ne del lavoro, ne un carriera, ne un certo livello di reddito.
 
In concreto un investimento molto rischioso.
 
In generale quindi studiare non conviene…, o comunque conviene poco a molti e molto a pochi, ed essendo l’offerta di qualsiasi bene o fattore sempre elastica sul lungo periodo, ad un calo della domanda o comunque dei prezzi non può che seguire una diminuzione dell’offerta. Aggiungiamo che questa diminuzione dell’offerta è stata in qualche modo politicamente auspicata con l’innalzamento delle barriere all’accesso ai corsi di studi, questo attraverso l’aumento delle tasse universitarie senza il finanziamento di borse di studio (tagliamo fuori le fasce più povere, art. 34 della Costituzione… marameo); ma anche con l’introduzione del numero chiuso e di un sistema di selezione (quiz  per tutti) che ha già dimostrato di essere assolutamente inadatto, inadeguato e sbagliato visto che la percentuale di insuccesso (iscritti mai laureati) non è variata, per non parlare degli scandali e del “mercato” (corsi, testi, ecc.) che questo sistema ha messo in piedi.
 
Per concludere, la statistica conferma nonostante tutto che ancora esiste una proporzionalità tra il titolo di studio ed il reddito pro-capite. Mediamente i laureati guadagnano di più dei diplomati, ed i diplomati più del solo obbligo scolastico, ma allo stesso tempo si osserva che i titoli di studio si “tramandano” in genere da padre in figlio.
 
Viene da domandarsi se è laurea che permette un maggiore reddito e benessere o al contrario è il benessere che implica la laurea ? Se, come penso io, la condizione familiare è sempre più una importante premessa per il raggiungimento di titoli di studio superiori una certa responsabilità per la diminuzione dei laureati è certo attribuibile all’impoverimento delle famiglie italiane, che non possono più permettersi di far studiare i figli oppure preferiscono di non investire nello studio (visto il rischio di insuccesso, vedi call center) e preferiscono favorire altre iniziative come il commercio, il lavoro autonomo, l’artigianato e anche, come giornali e TV spesso sottolineano, un ritorno alle attività agricole.

Elezioni: sarà un risultato imprevedibile e, in ogni caso, non traducibile in concretezza, per il governo che sarà?

di Arnaldo De Porti

I sondaggi che cambiano da un momento all’altro mi stanno provocando la nausea; e ciò non soltanto per le percentuali altalenanti a destra o  sinistra, ma perché tutti, ripeto tutti, chi più chi meno, sembrano gettarsi reciprocamente fango in faccia,  se vuoi anche con un certo faire-play, ma senza andare al nocciolo della questione. Insomma, ogni pretesto è buono per mettere in cattiva luce l’avversario, costi quel costi, anche se si dovesse trattare di calpestare il cadavere di uno stretto familiare.

Le tv sono prese d’assalto da tutti e tutti dicono la loro in maniera da recepire, in certi interventi, il senso ed il significato della questua.

Di questo passo, e siamo a circa quattro settimane dal voto, io penso che fra qualche giorno tutti saranno senza voce, senza forze fisiche, al punto da dover  mettersi a letto: basta guardare in faccia i Bersani, i Berlusconi, i Monti, i Casini e gli ultimi arrivati, tipo Ingroia e Grillo, e si nota che di giorno in giorno essi perdono la loro verve dialettica tanto da non incuriosire chi dovrebbe ascoltarli.  Sarà un bene ? Sarà un male ? Chi lo sa ?

Non vorrei, ma questa è semplicemente una battuta, che a qualche giorno dal voto, tutti fossero a letto con diagnosi “esaurimento nervoso” e che venissero subito a galla coloro che sin qui  si sono risparmiati, come quella fascia di indecisi (che se non vado errato lambiscono il 40 %), i quali, insieme con Grillo e fors’anche Ingroia, potrebbero sconvolgere tutto.

E non è detto che, nel predetto 40 %, si ragioni a questo modo.

Chi vivrà, vedrà…

Bersani – Monti. Innovatori Europei li sta a guardare

di Salvatore Viglia

Il meglio possibile è ciò che sta oltre.

Oltre le rassegnazioni, oltre le presunzioni, oltre le palle di vetro bugiarde che promettono magie.

Il connubio Monti-Bersani non sarebbe mai auspicabile per postulato e storie, per tragitti e reputazioni per quanto i due rappresentano per tesi e programmi.

Ma oggi, si sa, abbiamo la scusa della crisi forse neanche tanto scusa ma realtà, con la quale fare i conti ed allora il meno peggio ce lo facciamo diventare buono ed accettabilbersani montie.

Gli Innovatori Europei hanno incassato una disattenzione gravissima dalle ultime programmazioni elettorali.

Una spavalda quanto colpevole indifferenza dei leaders politici blasonati nell’approfondimento della scelta degli uomini e della opportunità innovativa che avrebbe portato pezzi della società civile VERA nel suo seno.

Invece, a bocce ferme, prendiamo atto che dicono che sia cambiato tutto per non aver cambiato neanche una virgola.

Il piatto cucinato, bello e pronto è l’insalata Monti-Bersani dove il secondo vive uno stato di prostrazione psicofisica nel riguardi del professore, assai imbarazzante.

Manca la postazione.

Ciò significa che piuttosto che stare dentro occorreva essere posizionati fuori ad ogni costo.

A costo di fare e rifare le elezioni due e più volte. Non è possibile immaginare, per chi vive una speranza progressista, una sola speranza progressista, stop a soluzioni di continuità irresponsabili.

Innovatori Europei è e sarà “significativamente oltre” appollaiato in una postazione panoramica dalla quale le sue componenti migliori trarranno conclusioni e redigeranno progetti politici.

Nello scontro, la coppia Bersani-Monti va a delinearsi

di Massimo Preziuso su L’Unitàelezioni

 

Ci sono buone notizie nell’aria, a leggere bene l’attualità politica italiana.

Aumenta finalmente lo scontro tra i leader delle coalizioni, fatto essenziale per la riuscita di una campagna elettorale: essa ha infatti come obiettivo principale quello di far “vedere” agli elettori “differenze”, per poi eventualmente far loro comprendere “complementarietà”.

Dopo i primi giorni di “calma piatta”,  nelle ultime ore si delineano finalmente le diverse offerte politiche. Il nuovo centrodestra si propone rafforzato e migliorato nella qualità del programma e delle persone. Il centro, con l’ingresso di Monti e Giannino, si comincia ad allontanare da vecchie logiche. Il centrosinistra, dopo una partenza amorfa, recupera la sua innata carica di innovazione. Il movimento 5 stelle assume consistenza politica alternativa. La sinistra estrema appare invece inconsistente e scomposta.

Se vogliamo cercarlo, il punto di partenza di questa nuova fase si può attribuire al caso Monte Paschi di Siena.

Esso ha infatti dato l’assist a Mario Monti e Grillo per provare un assalto al Partito Democratico, provando da subito a trasformare un pesante accadimento di tipo finanziario in una responsabilità politica, a fini elettorali.

A quel punto Bersani ha reagito, segnando il proprio territorio politico ed elettorale nell’area progressista, dopo aver provato erroneamente a trovare una sorta di pace elettorale con il Professor Monti.

Finalmente, si potrebbe dire. Perché, sembrerà strano, ma proprio da ora si comincerà a delineare una coalizione di Governo Bersani – Monti che, a voler essere onesti, è necessaria al Paese. Il cui punto di incontro politico sarà a metà strada tra progressismo francese e rigore tedesco, tra lavoro e produzione, tra PSE e PPE.

Tanti di noi avremmo voluto idealmente un governo Bersani di tipo progressista. Ma sapevamo e sappiamo che esso non avrebbe retto e non reggerebbe alla complessità dei fenomeni che il nostro Paese deve andare ad affrontare rapidamente nei prossimi mesi, nel contesto internazionale, prima che nazionale.

E si sarebbe tradotto da subito in una inutile forte discontinuità con le politiche di austerity delineate e avviate con il precedente governo.

Inutile perché, sebbene la austerity sia risultata sbagliata ed abbia nei fatti affondato ancora di più l’Italia nella crisi, pensare di tornare indietro nel percorso ormai avviato, e voluto dallo stesso Partito Democratico, principale partner del governo ABC, sarebbe ora incomprensibile e suicida.

E questo sarebbe (stato) il rischio di un governo progressista puro. Quello di trovarsi a mettere in discussione molto del percorso fatto, da cui invece bisogna partire, con i dovuti aggiustamenti di natura progressista da apportare, affinché se ne vedano i benefici, in termini di un alleggerimento della “macchina Italia”, necessario alla crescita.

Ed allora bene questa campagna elettorale di “scontro”, in quanto renderà chiaro agli italiani della esigenza di un “incontro”, subito dopo il voto, tra le politiche democratiche di Bersani e quelle (ex) rigoriste di un Monti, che sta fortunatamente rapidamente diventando politico.

Nel prossimo mese probabilmente vivremo una serie di momenti di tensione tra i due futuri alleati: ma tra un mese essi avranno l’opportunità di portare l’Italia in un’ Europa che ora, a dirla di tutti (Monti compreso), deve puntare sulla crescita e sulla sostenibilità dello sviluppo, con uno sguardo nel Mediterraneo, a cui a breve anche il Professore dedicherà attenzione, seguendo Bersani.

Monti, Bersani e i veri nemici del cambiamento

bersani montidi Francesco Grillo su Il Mattino e Il Messaggero

Ha ragione il Financial Times quando correggendo la stroncatura nella quale era incappato il giorno prima il nostro Presidente del Consiglio, ha identificato nelle qualità personali di Bersani e nella credibilità internazionale di Monti l’unica, concreta speranza per un “nuovo inizio”. E, tuttavia, anche nell’ipotesi – tutt’altro che scontata – che tra trenta giorni un’alleanza tra Centro e Centro Sinistra risulti necessaria e sufficiente per governare, permarrebbero due straordinarie complicazioni per poter davvero far ripartire l’Italia: la prima è determinata dalla distanza tra i due leader che, in questi giorni, si sta allargando fino a raggiungere i caratteri di una diversità ideologica che può rappresentare un punto di non ritorno; la seconda è che se anche i due riuscissero a mettersi d’accordo, si troverebbero successivamente a fare i conti con vincoli che sono molto più diffusi di quelli rappresentati da qualche ala estrema, come sembra credere il Professor Monti.

Sono pesantissimi, in effetti, gli attacchi che Monti ha, in questi ultimi giorni, sferrato contro le posizioni che Bersani dovrebbe “silenziare”. Ed è solo ovvio che sia stato lo stesso Bersani a incaricarsi di ribadire alleanze ratificate attraverso un processo comunque democratico. E forse ha ragione Vendola quando, nonostante qualche precedente apertura, rileva che ormai lo scontro sia di profonda differenza nelle stesse categorie semantiche che si utilizzano per osservare la realtà e costruire un’idea di futuro.

Gli effetti finali sono chiari: il Centro si allontana dal Centro Sinistra e, probabilmente, dallo scontro guadagnano voti gli altri che stanno probabilmente rientrando in gioco.

Ma c’è un elemento ulteriore che lascia perplesso della logica del “taglio delle posizioni” che Monti (e lo stesso Financial Times) continua ad invocare: i blocchi sociali che si oppongono alle “riforme radicali” di cui l’Italia ha urgente bisogno non vengono solo dalla CGIL o dalla sinistra radicale.

Lo dimostra la vicenda – assolutamente centrale per il suo valore non solo effettivo ma anche simbolico – della riforma del mercato del lavoro che anche nella sua forma finale, molto smussata nei suoi aspetti più innovativi, è stata contrastata praticamente da tutti. Ma lo dimostrano anche le due questioni che, pur essendo assai poco discusse, sono forse le più importanti per arrivare ad una revisione della spesa pubblica più intelligente di quella provata da precedenti Governi e, in definitiva, ridurre le tasse e tornare a crescere: le pensioni ed, in particolar modo, la possibilità di toccare il totem dei “diritti acquisiti” che pesano come un macigno sulla quantità e qualità della spesa dello Stato; la riforma del pubblico impiego e, nello specifico, la capacità di mettere in discussione l’inamovibilità dei dipendenti pubblici che costringe le pubbliche amministrazioni ad usare la sola leva del blocco delle assunzioni per poter dimagrire e, dunque, ad una spirale di sempre maggiore obsolescenza e ulteriori richieste di tagli.

Sulle pensioni ha ragione Bersani quando dice che sono solo le pensioni “vecchie” (e gli interessi sul debito pubblico) ad essere disallineate rispetto agli altri Paesi. Non tutti, però, hanno un’idea dell’ampiezza del disallineamento. L’Italia spende in pensioni, secondo l’INPS, quattro punti e mezzo di PIL (17,1%) più della Germania (12,8) e se ci riallineassimo ai livelli di spesa del Paese con il welfare più sviluppato del mondo (del resto in Germania ci sono molti meno anziani che vivono sotto la soglia di povertà rispetto all’Italia) potremmo risparmiare circa 80 miliardi di euro: da destinare al taglio delle tasse o, magari, all’educazione, visto che se sommiamo scuola, università e ricerca arriviamo a risorse pari a poco più di un quinto di quelle che eroghiamo ai pensionati. Spostare risorse dal passato al futuro è ovviamente una misura per la crescita. E, tuttavia, quello delle pensioni è il primo esempio di quanto siano più vaste delle ali estreme le resistenze al buon senso. Alla costruzione di un sistema iniquo hanno collaborato tutti, datori di lavoro e sindacati e del resto, basta vedere i numeri della rappresentanza per rendersi conto che negli ultimi trent’anni è diminuita la presenza delle confederazioni nelle fabbriche ed è aumentata di molto tra i pensionati.

Il pubblico impiego è l’altro nodo decisivo per far ripartire l’economia italiana ed è evidente quanto le resistenze siano trasversali. È vero quanto afferma, ad esempio, Bersani quando dice che la revisione della spesa ha portato a non avere più la benzina nelle macchine della Polizia. Ma è altrettanto vero che il confronto internazionale dice che nel Regno Unito – a parità di popolazione e crimini – ci sono la metà dei poliziotti che ci sono in Italia (e molta più tecnologia). Che da anni è evidente – soprattutto ai poliziotti e ai carabinieri – che non ha senso avere due organizzazioni che fanno le stesse cose negli stessi territori e che, però, una riorganizzazione senza poter, almeno, spostare le persone sarebbe l’ennesima montagna destinata a partorire un topolino. Che il 90% della spesa delle pubbliche amministrazioni è spesa in personale al quale mai si potrà applicare la mobilità del settore privato e che in questa condizione, anche la riduzione delle province – se anche mai andasse in porto – rischierebbe di avere effetti del tutto marginali. Così come pure è vero che se mai riusciremo a metterci nella condizione di poter rimuovere un dirigente incapace o di premiarne uno meritevole, rischieranno di essere vani persino gli sforzi di Fabrizio Barca di non sprecare le uniche risorse pubbliche che questo Paese ha a disposizione per lo sviluppo.

Eppure, di nuovo, una questione così importante è dimostrazione che gli ostacoli alle riforme radicali possono prescindere dalle ali estreme e dagli idealisti: capita, infatti, che la resistenza può venire persino dallo stesso Governo Monti, dal suo ministro della Funzione Pubblica che si affrettò qualche mese fa a chiarire che la travagliata riforma dell’articolo diciotto mai avrebbe, comunque, toccato quel totem che costringe le stesse pubbliche amministrazioni all’inefficienza.

Resistenze diffuse, dunque. L’antidoto, l’unico possibile, è rinunciare a parlare di luoghi estremi dove si anniderebbe la conservazione e ammettere, come Monti dimostra di sapere quando invoca una ristrutturazione dell’offerta politica, che le resistenze al cambiamento esistono ovunque. Bisognerebbe parlare fino in fondo il linguaggio della verità. Ammettere che il costo di avere troppi pensionati o troppi poliziotti lo pagano anche i poliziotti senza benzina, gli studenti senza più assegni di ricerca, le piccole imprese con troppe tasse e i percettori di pensioni più basse – che pure sono tra gli elettori che Monti e Bersani rappresentano. Parlare il linguaggio della verità: facendolo fino in fondo, in maniera chiara, è possibile persino convincere i privilegiati che un sistema non più sostenibile si troverà presto – se continuiamo così – senza nessuno rimasto a pagare i loro privilegi.

 

 

Monti: sarà onesto, sarà falso, sarà credibile?

 mariomontidi Arnaldo De Porti

Tre righe per esprimere una mia impressione su Mario Monti, maturata osservandolo da alcune angolazioni.

Agli inizi, quand’era al governo, non lo nego, mi ha offerto una buona impressione al punto da credergli quasi in toto, capendo che,  da parte sua, per non inimicarsi con coloro che l’hanno sostenuto e lo dovevano sostenere, deve aver fatto di necessità virtù, evitando di urtare la suscettibilità per non venir privato appunto  del predetto sostegno,  peraltro facilitato dal fatto che ciò faceva comodo a tutti, compreso  al Pdl, pena lo sfacelo politico;

Verso la metà del suo governo, la mia fiducia è venuta un po’ meno in quanto egli ha privilegiato le fasce forti a danno dei meno abbienti, con la terribile conseguenze che le fasce deboli e meno protette, ora sono state e sono attualmente costrette a soffrire, se non a morire di fame, con il pericolo imminente di una rivoluzione civile, non quella di Ingroia che, a mio avviso, malgrado le buone intenzioni, sta combinando guai, come e più di Grillo;

Alla fine, costretto a dimettersi in quanto il Pdl gli ha tolto il sostegno, egli ha mostrato una faccia molto diversa: egli ferisce a morte gli avversari con l’arte  di una diplomazia che, malcelata, evidenzia aspetti dittatoriali, più di Berlusconi, come si è visto ieri sera a Ballarò: egli infatti non va d’accordo con nessuno e si  auto-etichetta come “il migliore”.

Domanda legittima che mi pongo: “Ci si trova di fronte ad una persona a due facce, ad un attore perfetto, oppure ad un diplomatico che obbedisce freddamente alla seguente esigenza machiavellica secondo cui il fine giustifica i mezzi ? : “

Se così fosse, mi permetterei di aver dei dubbi sull’onestà intellettuale.

La Lista Sapienza

                                                                                                                                                                                libri

(Verso l’assemblea nazionale degli Innovatori Europei, 16 Febbraio a Roma: un invito alla lettura per la classe dirigente e politica, per le elezioni di febbraio)

di Massimo Sapienza

Invece di votare chi scrive agende mediocri non potremmo appoggiare elettoralmente chi ha l’umiltà di leggere grandi pensatori? Provo a fare un mio personale elenco, la lista Sapienza, ossia i miei consigli di lettura per la nostra classe dirigente e politica.

Alcune regole di ingaggio: ho scelto solo libri pubblicati nell’ultimo trentennio, ho scelto solo testi per non addetti ai lavori, ho abbandonato qualunque criterio di organicità e sistematicità, libertà al potere

Ho fatto uno sforzo di selezione “eroico”. La lista è aperta ai vostri suggerimenti. Sarebbe bello arrivare ad avere una grande diffusione e una profonda condivisione. Non mi spingo a sognare che i nuovi parlamentari leggeranno i libri contenuti nel seguito, ma se anche qualche amico dovesse trovare spunti interessanti non potrei che dirmi soddisfatto.

In ogni caso, io sono padre di un piccolo leoncino di tre anni. Se un giorno mio figlio Léon dovesse chiedersi che idee aveva sua padre sulla società potrà leggere la lista e scegliere liberamente se vuole includere nella sua formazione di giovane uomo qualcuno dei libri che io ho amato.

Di seguito la lista Sapienza, 20 saggi e un documentario, suddivisa in 5 macro-argomenti:

Sulla conversione ecologica e sui cambiamenti climatici

  1. “”La terza rivoluzione industriale” di Rifkin perché l’età del carbonio volge al termine e siamo nel secolo delle rinnovabili. Tutto il sistema produttivo ne sarà profondamente modificato e dobbiamo saper governare il cambiamento;
  2. “Piano B” di Thurow perché la pressione demografica e il suo impatto sulle risorse idriche e sulle terre coltivabili, il riscaldamento globale e tanti altri problemi capitali richiedono un serio ed organico piano di mobilitazione e rappresentano, fra l’altro, una importantissima opportunità di crescita. Gratis in rete (http://www.indipendenzaenergetica.it/index.php?option=com_content&view=category&id=51&Itemid=64);
  3. “Home” di Arthus-Bertrand. Un film gratuito disponibile on-line con immagini meravigliose del nostro pianeta e messaggi importantissimi. 89 minuti che cambiano la vita;
  4. Tempo Rubato”, di Robert perché l’attuale sistema dei trasporti è un pezzo importante del vecchio modo di intendere la vita. Cambiare il modo in cui spostiamo uomini e merci ci consentirà di fare un altro salto verso un mondo sostenibile. Gratis in rete (http://www.quarantina.it/vecchiosito/pdf/articoli/robert,%20tempo%20rubato%20(321%20kb).pdf);
  5. Collasso” di Diamond perché è importante riflettere su quanto le civiltà siano frutto di un delicato equilibrio. Leggere la storia delle società del passato che non sono riuscite a mantenersi in equilibrio dovrebbe darci la spinta per rilanciare la nostra società e fare le scelte “giuste”;
  6. “Il mondo senza di noi” di Weisman. Per tutti quello che si credono insostituibili. Perche’ il pianeta Terra ha una enorme capacita’ di autoregolarsi. Perche’ l’azione dell’uomo e’ martellante, incredibilmente pervasiva ma in gran parte destinata a scomparire. Un libro per chiedersi “che cosa restera’ di noi”;

Sullo sviluppo e la crescita in generale

  1. “Information rules” di Shapiro e Varian perché, anche se Internet è ormai ovunque nella nostra vita, raramente la consapevolezza del valore dell’informazione e delle reti va oltre qualche slogan. Poiché il presente e il futuro passano per quella strada, non rimane che imparare (http://www.inforules.com/);
  2. La cultura è una industria, forse la più importante a tendere. Per farlo capire a chi la considera solo un lusso, “Creative Destruction” di Cowen, un libertario eclettico che spiega come la globalizzazione modifichi la produzione culturale;
  3. Landes di “La ricchezza e la povertà delle nazioni” perché un grande storico è quello che ci vuole per mostrare le cause del divario crescente fra ricchi e poveri. Da leggere e studiare per capire quanto siano importanti “società aperta”, “lavoro” e “progresso tecnologico”;
  4. “La singolarità è vicina” di Kurzweil perché se si assume che il progresso tecnologico acceleri costantemente il 2030 sarà davvero un altro mondo. Sembra fantascienza, ma guardare lontano consente di andare dove si vuole davvero invece che inseguire e farsi trascinare;
  5. I tre imperi” di Khanna in rappresentanza della geopolitica, una disciplina difficile e mutevole. Venne accolto come “la bibbia del settore” e dopo 4 anni si cominciano a vedere i segni del tempo. Se si vuole conoscere il mondo non resta che studiare sempre e tanto;

Sul diritto e sui diritti

  1. Un libro di filosofia morale: “Created from animals” di Rachels. Pensare ai diritti degli animali è un modo fresco e potente per ripensare e rivendicare i diritti civili di tutti, uomini, animali e piante;
  2. “Legge, legislazione e libertà” di Hayek perché senza legge non c’è stato e vita sociale. Il dibattito sulla legalità però non riguarda solo la magistratura ma anche cosa sono e come si fanno le leggi. Su questi temi le società occidentali hanno dimenticato quasi tutto. La crisi di legalità inizia quando non si hanno più delle “vere leggi”;
  3. Ancora dalla parte delle bambine” di Lipperini perché le differenze di genere pesano ancora a 40 anni dal saggio originario della Giannini Bellotti. I nuovi media pesano nell’educazione e nel formare i pre-concetti su “maschile” e “femminile” che poi condizionano la nostra vita. Anche per chi non crede, come me, che uomini e donne siano un tutt’uno indistinto meglio non dimenticare quanto veniamo “addestrati” ad essere diversi

Sulla società

  1. “Bowling alone” di Putnam perché la cittadinanza è vera ricchezza ma è maledettamente complessa. Non di solo capitale fisico vive il sistema ma abbiamo bisogno di tanto capitale sociale;
  2. “Superclass” di Rothkopf perché il rapporto fra Stati Nazione ed élite sta cambiando a favore delle seconde per via della globalizzazione. Oggi 6.000 persone “dominano” il pianeta. Un libro serio per chi non è cospirazionista ma vuole capire le dinamiche del potere e immaginare come modificarle;
  3. “Altissima povertà” di Agamben, un mio omaggio personale al sogno rivoluzionario che da quasi 2 millenni cerca di creare uomini nuovi dalla “vita perfetta”, abbracciando una regola. Un messaggio sempre attuale perché si possono e si devono guardare le cose con occhi diversi. Concetti quali “proprietà” e “povertà” hanno uno spazio di possibilità molto più ampio di quello al quale ci ha abituato la consuetudine moderna;
  4. Price of Inequality” di Stiglitz perché la distribuzione del reddito sta mutando in maniera molto significativa e questo fenomeno va conosciuto, compreso e valutato in tutti i suoi risvolti. E’ un argomento sul quale non dovrebbe essere ammessa né ignoranza, né preconcetto;

Sulla crisi e la finanza

  1. “Irrational exuberance” di Shiller, uno dei massimi esperti di finanza, perché la volatilità ci fa capire che l’avidità deve essere limitata, altrimenti la finanza, che è uno strumento di sviluppo, diventa “cattiva” (http://www.irrationalexuberance.com/);
  2. “This time is different” di Reinhart e Rogoff ancora sulle crisi finanziarie e sulla fragilità dei meccanismi di fiducia. Il tema è difficile ed è d’attualità mi perdonerete se dedico due saggi a questo argomento;

Facce nuove in politica non ce ne sono

 facce nuovedi Aldo Perotti
 
Ci si domanda come mai non si riescono a trovare facce nuove per la politica che possano considerarsi realmente delle risorse per il paese, qualcosa di nuovo e di affidabile al tempo stesso, che non sia legato a doppio filo al passato, e costituisca una vera rottura.
 
Quando si dice “sono sempre gli stessi” si ribadisce che anche nel caso di un cambio generazionale ci ritroviamo i figli, i nipoti, dei personaggi del passato, in qualche modo “figli d’arte”.
 
Non meraviglia nessuno il fatto che come le professioni ” d’arte ” (penso agli artigiani, fabbri, falegnami) sempre con più difficoltà passano da padre in figlio,  le professioni di potere e di prestigio di contro vengono letteralmente trasmesse in regime di successione ereditaria (non escludendosi conflitti tra eredi); quello che è di interesse trasferire non è in realtà “l’arte” (la capacità di svolgere bene una certa attività)  ma il “titolo”, potremmo dire nobiliare, con tutti gli annessi e connessi, potere, prestigio, e conseguentemente ricchezza.
 
L’Italia in questo è ferma al medioevo, o comunque è ferma ad un periodo pre-umanistico; in concreto il sistema delle caste indiane, da noi non scritto, è in realtà concretamente attuato, ed è uno dei motivi per cui il nostro paese non è in grado di esprimere al meglio le sue potenzialità.
 
Esiste, oltre al ben noto soffitto di cristallo che impedisce alle donne di salire ai vertici, un sistema di gabbie di vetro che congelano le dinamiche sociali rendendo difficile gli spostamenti in qualsiasi direzione. Ovviamente questo non è generalizzato, ci sono numerosissime eccezioni e l’impegno, la perseveranza, e anche una buona dose di fortuna, permettono di poter individuare e raccontare storie di successo (o anche di clamorosa rovina) che alla fine evitano al paese di sprofondare nell’arretratezza di un moderno medioevo, anche se, purtroppo, una sorta di memoria ancestrale regola la vita del paese, e solo eventi eccezionali (guerre, cataclismi) sono in grado di incidere sostanzialmente.
 
Per quanto riguarda la crescita, la ricchezza individuale, si è osservato un arricchimento in termini assoluti, ma in termini relativi probabilmente i rapporti non sono cambiati molto negli ultimi 50 anni, la distribuzione  – o meglio l’allocazione – della ricchezza in sostanza, quando più quando meno, non è cambiata.
 
La Scuola, l’Università, che rimangono forse l’unico strumento in grado di far attraversare le pareti e i soffitti di cristallo (mai quanto però un buon matrimonio), spesso non riescono allo scopo per essere loro stesse strutture rinchiuse all’interno di sistemi chiusi; occorre entrare in “certe scuole” per riuscire ad entrare in “certi ambienti” indipendentemente poi dal merito individuale, che potrà tutt’al più permettere dei distinguo, senza essere però quella la chiave che apre le porte.
 
In questo contesto  l’accesso all’attività politica avviene tramite percorsi molto stretti; percorsi attraverso i quali si viaggia accompagnati ed aiutati da un sistema di relazioni sempre più spesso prevalentemente familiari; in tal senso diventa un’arte, un mestiere da trasmettere di padre in figlio.
 
Il problema di fondo è che la politica non è un mestiere che si può imparare in bottega; si può sicuramente imparare a muoversi nelle stanze della politica ed ad utilizzarne gli strumenti; ma le idee, la visione del futuro, il senso di giustizia, i valori, le capacità; quelli sono qualcosa di più complesso che si costruisce negli individui attraverso la propria storia personale, attraverso i successi e le sconfitte.
 
Nella migliore delle ipotesi vediamo in politica solo dei buoni artigiani, ma il genio, il grande artista, fa grandissima fatica ad affermarsi in un settore così chiuso, e spesso rinuncia in partenza.
 
Il denaro, infine, permette l’affermazione in politica anche di chi non dispone di una familiarità, situazione questa in alcuni casi addirittura peggiore; questo perché se il figlio del falegname bene o male sa cos’è il legno e come lo si lavora e perché,  chi compra la falegnameria  la vede spesso come un investimento da far fruttare mettendo in secondo piano la qualità del mobilio prodotto.
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