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Grecia

Grecia: Una lezione agli anti-euro, intervista di Gianni Pittella per “La Repubblica”

Una lezione agli anti-euro, la mia intervista per “La Repubblica”

http://www.giannipittella.eu/una-lezione-agli-anti-euro-la-mia-intervista-per-la-repubblica/

Gianni PittellaIntervista di a.d’a – “La Repubblica”, 11 luglio 2015«Se ci sarà accordo avranno vinto tutti, la Grecia e le istituzioni». Ne è convinto Gianni Pittella (Pd), il capogruppo del Pse all’Europarlamento che nei periodi del gelo tra Atene e il resto dell’Unione è stato l’unico a tenere vivo il negoziato ritagliandosi un ruolo di mediatore tra Tsipras e gli altri leader.

A suo parere con l’accordo che si va profilando chi vince e chi perde?

Non è un tracollo di Tsipras che ha tenuto conto del risultato del referendum, ovvero di un “No” ad un accordo già superato al momento del voto. Dunque tiene fede al mandato dei cittadini perché non si toccano le pensioni minime, il mercato del lavoro sarà riformato con il coinvolgimento delle forze sociali e l’avanzo primario potrà essere rivisto d’intesa con l’Ue. Le altre misure, lotta ai privilegi e aumento dell’Iva sul lusso, sono di equità sociale.

Ha perso l’Europa?

Le istituzioni possono ritenersi più che soddisfatte perché non rinunciano alle loro prerogative, ottengono che in Grecia si avvii un processo di riforme della Pubblica amministrazione, del fisco, del mercato del lavoro e nella lotta a corruzione e privilegi. Ottengono anche la restituzione sia pure dilatata nel tempo del debito.

L’accordo reggerà?

Far saltare il tavolo ora sarebbe un atto di irresponsabilità. Se fossero i falchi di Atene a provarci Tsipras farebbe bene ad andare avanti con il sostegno delle forze socialiste progressiste e di Nuova Democrazia.

Dovrà immolarsi?

Ora bisogna portare a casa un risultato troppo importante per la Grecia e per l’Europa, poi Tsipras verificherà se potrà fare le riforme con i falchi di Syriza o se aprire ad altre forze.

Cosa deve imparare l’Europa dalla crisi greca?

Quando chiuderemo l’accordo ci saranno le condizioni per un salto in avanti, per una nuova governance dell’euro, la mutualizzazione dei debiti e l’integrazione politica. I Salvini e le Le Pen che si sono accodati a Tsipras non si sono accorti che il suo non è il carro di chi esce dall’euro, ma di chi ci vuole restare perché il problema non è la moneta ma l’austerità che continueremo a combattere.

La Troika va superata – Intervista di Milano Finanza a Gianni Pittella

Gianni Pittella

intervista di Francesco Ninfole – “Milano Finanza” a Gianni Pittella – 10 febbraio 2015

Domani i ministri delle Finanze dell’Eurozona si confronteranno sul piano greco e sulle richieste del premier Alexis Tsipras. Gianni Pittella, presidente dei socialisti e democratici europei, si schiera a favore di possibili concessioni ad Atene e chiede di superare la Troika.

Domanda. Presidente Pittella, Tsipras non vuole cambiare il programma elettorale e la Germania non vuole fare troppe concessioni ad Atene. Che cosa si aspetta dal prossimo Eurogruppo?

Risposta. Dobbiamo sforzarci di trovare un accordo con Atene. Noto con piacere che il governo Tsipras sembra avere rinunciato all’idea di un taglio del valore nominale del debito. Noi siamo sempre stati chiari: gli obblighi assunti vanno rispettati. Poi possiamo ragionare sul come. Certo, alcune dichiarazioni di certi ministri greci non aiutano affatto. Bisogna gettare acqua sul fuoco.

D. Quale soluzione crede sarà raggiunta alla fine sulla Grecia? Che cosa potrà ottenere Tsipras e a che cosa invece dovrebbe rinunciare?

R. L’urgenza ora è quella di trovare le risorse per far andare avanti la Grecia e coprire i vuoti di bilancio per i prossimi mesi. Nel lungo periodo credo si debba lavorare lungo due strade: un riscadenzamento e una riduzione ulteriore degli interessi. Si può inoltre pensare ad un periodo di moratorio per quanto riguarda il rimborso del debito.

D. Che cosa pensa della mossa Bce di non accettare più i titoli greci come collaterale per i rifinanziamenti alla banca centrale?

R. Di certo non mi convince chi cerca di tirare Draghi per la giacchetta: alcuni ritengono che sia troppo morbido con la Grecia, altri troppo duro. La Bce non è un’istituzione politica e quindi le sue mosse non vanno interpretate in maniera abusiva. Il sistema bancario greco ha bisogno di liquidità ed è fondamentale che la Bce continui a sostenerlo. Ora lo fa soltanto attraverso la liquidità di emergenza. Mi auguro che in futuro la Bce accetti nuovamente i titoli di Stato greci come collaterale. Sarebbe un gesto utile per l’economia greca.

 D. Vede un rischio di uscita dall’euro della Grecia?

R. La penso come Draghi: l’euro è irreversibile; una volta che si aderisce, non si può più tornare indietro. Innanzitutto perché non converrebbe ai greci tornare alla dracma. La Grecia è e resterà nell’euro. Non esistono piani B.

D. Fa bene Tsipras a chiedere meno austerità? I leader socialisti Ue, tra cui Renzi, si sono mostrati comprensivi ma anche attenti a non avvicinarsi troppo alle posizioni del leader greco. 

R. Siamo stati i primi a chiedere con forza il superamento dell’austerità. Per anni abbiamo combattuto contro le politiche di rigore cieco. Finalmente ora iniziamo a vedere i frutti, per esempio con la nuova intonazione della politica monetaria della Bce e con il piano d’investimenti da 315 miliardi di euro. Un piano da migliorare ma che costituisce un importante passo in avanti.

D. Quale ruolo dovrà avere la Troika (Fmi-Bce-Ue) nelle trattative con la Grecia e in futuro?

R. La Troika va superata. La sua cura ha fallito in Grecia anche perché lo strumento della Troika non funziona. Non è abbastanza democratico e trasparente. Tra le condizioni del nostro sostegno alla Commissione Juncker c’era anche quella di superare la troika con un nuovo meccanismo incentrato sul Consiglio, la Commissione e sotto il controllo del Parlamento. È ora di mettere in pratica questo nuovo meccanismo. La trattativa tra Atene e Bruxelles deve essere condotta dalle istituzioni europee, Commissione e Parlamento in primis.

D. È soddisfatto delle nuove linee guida Ue sulla flessibilità in materia di deficit strutturale?

R. Le linee guida sulla flessibilità rendono il Patto di stabilità meno stupido. Per la prima volta si introduce una clausola delle riforme strutturali che permetterà ai Paesi che fanno riforme di avere più margine di manovra di bilancio. Abbiamo inoltre ottenuto una nuova clausola degli investimenti, grazie alla quale i Paesi come l’Italia che hanno un deficit sotto al 3% potranno scomputare dal Patto di stabilità il cofinanziamento dei fondi strutturali e di coesione. Solo per l’Italia questo potrebbe liberare 5 miliardi aggiuntivi di risorse per gli investimenti. Per la prima volta si riesce ad infrangere il tabù dell’inviolabilità del Patto di stabilità. È un punto di svolta.

D. Lei è stato a Washington nei giorni scorsi per il Tttip, l’accordo di libero scambio in negoziazione tra Ue e Usa. Quali sono i nodi? È vero che ci sono divergenze di opinione, con Renzi e il Pd che spingerebbero in maniera più decisa per un’intesa rispetto a quanto vorrebbero i socialisti europei?

R. La nostra posizione sul Ttip è costruttiva, come quella del governo italiano. Un accordo ambizioso sul Ttip potrebbe portare a enormi e reciproci benefici per le pmi, non solo per le multinazionali, e per lavoratori e consumatori. È chiaro però che ci sono ancora nodi da sciogliere, su cui manterremo l’attenzione, perché non basta avere un accordo, serve un buon accordo che promuova e innalzi gli standard dei lavoratori, ambientali e della sicurezza alimentare. Sintetizzando con uno slogan potremmo dire: no agli Ogm o carni agli ormoni, preferiamo tenerci la nostra dieta mediterranea.

D. All’interno del Ttip qual è la sua posizione sull’Isds, il meccanismo di risoluzione delle controversie tra multinazionali e Stati attraverso arbitri scelti dalle parti?

R. Sull’Isds ribadiamo le perplessità rispetto ad uno strumento che, così com’è pensato oggi, non ci convince sul piano della trasparenza e dell’efficacia. Due grandi aree politico-economiche avanzate come gli Usa e l’Unione europea hanno sistemi giuridici adeguati per far fronte alle possibili dispute. La protezione degli investitori potrebbe essere garantita attraverso i sistemi nazionali o meccanismi State-to-State. È necessario quindi trovare soluzioni diverse che garantiscano più trasparenza perché si possa trovare un compromesso.

(foto ¬© European Union 2015 EP)

Alexis Tsipras, l’ingegnere che porta di fatto l’Europa nel Mediterraneo

tsipras 

di Massimo Preziuso

Alexis Tsipras – ingegnere della scuola ateniese di NTUA – vince nettamente le elezioni politiche in Grecia, e alla fine degli spogli elettorali porterà Syriza al governo del Paese da sola o con i socialisti di Pasok.
E’ una bellissima notizia per me e per tutti gli Innovatori Europei .
Perché è tempo che diciamo che bisogna dare maggiore spazio agli ingegneri e alle professioni tecniche nella politica italiana. Ed è da un po’ che lavoriamo in tal senso, anche in collaborazione con le organizzazioni di categoria.
E chissà che sia arrivato il momento di ragionarci seriamente: su come la capacità di progettare sistemi complessi si traduce in nuove visioni per la politica.
E soprattutto perché  la vittoria di Tsipras dà il via pienamente ad una fase nuova in Europa, quella che guarda nettamente al suo futuro Mediterraneo, di cui il “nostro” Partito Democratico deve prendere subito la leadership.
Auguri da tutti noi all’ingegnere Alexis, al popolo greco e a tutti noi europei.

It is democracy, stupid!

di Francesco Grillo

È una bella boccata d’ossigeno quella che ieri l’Europa è riuscita ad inspirare ieri ad Atene. All’ultimo secondo di una maratona disperata corsa tutta in apnea.
La novità – anche se pochi l’hanno notata – è che per la prima volta la crisi e la democrazia si toccano. Per la prima volta il popolo, il demos (fatto di persone e di sofferenze, di aspirazioni e di I-phone) e le ragioni del cambiamento convergono: non sembrano più irrimediabilmente andare ognuna per la sua strada, sempre più lontane e sempre più laceranti per quelle società che avevano fatto della democrazia il proprio aspetto distintivo e vincente; quelle società europee il cui declino è cominciato il momento stesso che le èlites (soprattutto quelle impegnate a Brusxelles nel seguire un sogno sempre più svuotato dei suoi ideali) avevano, da tempo, deciso che era una perdita di tempo cercare di parlare con le persone.
Per la prima volta, nella storia di una crisi dell’Europa che dura da vent’anni, di fronte ad una scelta radicale – stare nell’Euro e accettare ancora sacrifici o uscirne ed andare in caduta libera all’indietro nella storia – il popolo, quella “cosa maleodorante” di cui parlano tanti tromboni ignorando che ciascuno di noi ne fa parte integrale, ha dimostrato senso di responsabilità. Forse superiore a quello di tanti politici e banchieri ai quali nessuno può chiedere sacrifici personali.
E non è un caso che sia ad Atene, quell’Atene in difficoltà ma in un certo senso gioiosa delle biciclette che stanno sostituendo le automobili, che la democrazia riscuote questa rivincita. Le persone, se messe di fronte a scelte radicali, sanno esercitare la responsabilità. Anche se i piani di austerity sono effettivamente in gran parte sbagliati, non adatti alle specificità di quella società, apparentemente dettati da un frettoloso ricorso a luoghi comuni e, persino, a qualche tentazione di punire. E non c’è dubbio che allora il primo governo politicamente legittimato – sarebbe bello che alla coalizione aderisse anche Syriza, che non rappresenta l’estrema sinistra come vogliono farci credere alcuni commentatori pigri in cerca di stereotipi – che la Grecia può vantare da quando è scoppiata la crisi, possa finalmente anche pretendere di negoziare condizioni più ragionevoli.
Da Atene viene allora effettivamente anche un’indicazione forte per l’Europa. E parafrasando al contrario quello che tempo fa disse un presidente degli Stati Uniti, dico: It is democracy, stupid!
Alla fine l’Europa – nonostante lo scetticismo di Giuliano Amato o di Emma Bonino giusto per nominare due icone di un europeismo che appare sempre più stanco – non può più fare a meno di democrazia.
È assurdo – come sa forse l’unico leader politico che è rimasto, quella ragazza nata nella Germania dell’Est e che è diventato l’ “uomo” politico più potente d’Europa – pensare ad un’Unione politica (e persino a quella fiscale) senza uno straccio di demos europeo. Senza opinioni pubbliche europee. Senza dibattito politico europeo.
La grande intuizione che Jaques Delors ebbe vent’anni fa, fu che creare un’unica moneta (sottraendo agli Stati una delle prerogative che li definiva in quanto tali) avrebbe creato una pressione tale da andare verso un’unione politica piena, senza la quale l’Euro non si regge. Non si regge tecnicamente. E tuttavia per vent’anni piccolissimi leader – che hanno preso il posto dell’ultimo grande visionario – non hanno fatto assolutamente nulla per preparare quell’unione politica che adesso tutti invocano come unica salvezza.
Potevamo introdurre – come ha proposto Vision insieme ad altre think tank europee – un semestre di studio obbligatorio in un altro paese Europeo per gli studenti della scuola superiore e delle università per incoraggiare l’integrazione – non meno importante – delle generazioni. Potevamo fare finalmente eleggere il Presidente della Commissione direttamente dai cittadini, o perlomeno avere un Presidente del Consiglio Europeo come Tony Blair meno invisibile di Van Rompuy (per non parlare dell’ancora più sconosciuta baronessa Ashton, in teoria ministro degli esteri dell’UE). Avremmo potuto sottoporre ad un vero e proprio referendum europeo il trattato di Lisbona e rischiare la democrazia senza la quale le istituzioni appassiscono.
Ed invece abbiamo – vent’anni dopo Delors – una generazione di ventenni che secondo i sondaggi dell’Eurobarometro sono molto meno europeisti di chi era ventenne vent’anni fa; ad ogni elezione del parlamento europeo si riduce di ulteriori cinque punti la percentuale – già bassa – di chi partecipa alle elezioni; e non sono più del cinque per cento i cittadini europei che sanno il nome del capo della Commissione Europea.
Quelli della generazione di Amato insistono che è così perché altrimenti l’Europa sarebbe bocciata. Io dico che invece questo è un rischio che dobbiamo prenderci. Perché altrimenti l’Unione politica senza opinioni pubbliche a cui rispondere aprirebbe contraddizioni ancora più rischiose di quella di un’Unione monetaria senza Unione politica.
Le persone, il popolo, la democrazia non sono una fastidiosa perdita di tempo che rischia solo di disturbare un manovratore troppo intelligente per farsi capire dalle persone. La democrazia è il motivo per il quale l’Europa ha vinto le sue battaglie più difficili contro i totalitarismi. Ne è valore fondante. Abbiamo con tutta evidenza bisogno di una nuova generazione di leader per andare verso il futuro, recuperando alcuni dei valori più importanti del nostro passato.
Sarà Germania-Grecia il quarto di finale più bello di questi Europei: ho la sensazione che finalmente saranno molti sia a Berlino che ad Atene ad essere contenti di applaudire anche le giocate più belle degli avversari. In fin dei conti i sogni per poter sopravvivere a se stessi hanno bisogno solo di essere rinnovati.

La nuova Grecia d’Europa siamo noi

 
di Massimo Preziuso e Moris Gasparri (su Lo Spazio della Politica)   
 

Siamo entrati all’inferno.

L’Italia è con oggi a pieno titolo nella lista dei Paesi a “rischio default”. Lo ha anche detto un italiano – capo economista dell’OCSE – Pier Carlo Padoan: “non siamo troppo grandi per fallire”. L’Italia è da oggi in tutti i club che “non contano”.

In particolare è rientrata (lo era a settembre, quando però gli spread dei titoli pubblici erano sotto i 400 punti base) nel Club dei 500, che non è un network di potere ma è riferito a quei 4 Paesi europei – Grecia, Portogallo, Irlanda ed ora Italia – il cui “costo assicurativo” contro il proprio default (in linguaggio tecnico CDS – Credit Default Swap) è superiore al valore 500 (ovvero il mercato chiede 500 euro per assicurare 10,000 euro di titoli pubblici emessi da quel Paese).E’ poi entrata, sempre oggi, in quella brutta fase di crescita dei tassi di interesse sui propri titoli di stato che avviene “storicamente”, secondo molti economisti, quando si supera il valore del 6% (e oggi l’Italia ha tassi che vanno verso il 6,5%) e porta rapidamente al valore “mortale” del 7% (dove iniziano le fasi di “default tecnico” come in Grecia).

Tutto questo nonostante i continui acquisti di titoli pubblici italiani fatti dalla BCE provino, senza successo, ad aiutarci. Diverse banche internazionali dicono che questo “interventismo” da Francoforte valga altri 80-100 punti base di spread e che quindi, dovesse la BCE abbandonarci al nostro destino, il “vero” valore dei nostri spread sarebbe già di oltre 500 punti base e i nostri tassi di interesse avrebbero già superato il 7%.

In tutto ciò, ed è questa la cosa più preoccupante, l’Italia è sotto attacco per problemi di credibilità politica e di leadership. Lo abbiamo visto in molti momenti nell’ultimo anno, sia in politica internazionale (si veda l’assoluta uscita di scena dal capitolo libico, nonostante un massiccio impiego di forze militari), sia in politica europea (si veda l’uscita di scena graduale e continua dalle decisioni di politica economica e finanziaria) ed in ultimo in politica interna (con una maggioranza che prima ha perso il contatto con l’opposizione tutta, poi con tutte le forze sociali, ed ora si è completamente sfaldata al suo interno, a livello inter ed intra partitico).

Sembra proprio che siamo agli sgoccioli di un paradigma politico che è poi anche fortemente culturale. Il nostro futuro verrà scritto (insieme a quello europeo) in questo mese di novembre, e forse proprio nel G20 di Cannes che si apre nelle prossime ore, nel quale il Bel Paese la farà da “protagonista” forse più della malata Grecia.

Come ne uscirà politicamente l’Italia?

La debolezza del nostro sistema politico e la perdita di credibilità di Berlusconi hanno regalato in questi ultimi mesi a Giorgio Napolitano una posizione di forza sconosciuta in precedenza agli altri presidenti della Repubblica. Sarà lui a guidare politicamente questa fase, soprattutto il probabile passaggio ad un governo di emergenza nazionale guidato da figure esterne.

Il “siamo come la Grecia” per l’Italia ha poi un senso non solo finanziario, ma anche politico. Sapremo essere responsabili nel gestire una fase storica così convulsa, e che ci presenterà sicuramente il conto per gli anni a venire? Nel rispondere a questa domanda dobbiamo considerare anche i possibili scenari negativi. Divisioni politiche, misure rimandate e rimesse in discussione, rimbalzo delle responsabilità, crescita di spinte secessioniste, proteste di piazza guidate dai sindacati, movimenti sociali contrari alle misure di austerità decise dal direttorio franco-tedesco e dalla BCE, settori dell’opinione pubblica che chiederanno il ritorno alla lira, credit crunch per le piccole e medie imprese, aumento della disoccupazione.

E’ il modello greco, e ci conviene studiarlo con attenzione nelle sue evoluzioni. Perché da oggi per i mercati finanziari siamo diventati greci anche noi.

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