Significativamente Oltre

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Un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile per la Green Economy and Society in Italia (4 anni dopo)

Sono passati quasi 4 anni, la situazione economica e politica si è ulteriormente deteriorata. Ma il tema dello sviluppo sostenibile è oggi più attuale. La nascita di un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile ha fatto parte degli 8 punti della proposta politica di governo di Pierluigi Bersani. Un eventuale governo guidato da Enrico Letta dovrebbe farla sua. Lanciando un super ministero, il MISS, che ponga il tema della sostenibilità quale motore della rinascita culturale, economica ed industriale italiana. Riporto la proposta che feci nel 2009 nel dibattito congressuale del PD.

di Massimo Preziuso

svilupposostenibile

Se si vuole essere protagonisti nella nuova epoca della Sostenibilità, questo è il tempo delle grandi innovazioni, soprattutto in Italia.

Tante sono le cose da fare, nel settore pubblico ed in quello privato, nei mondi della scuola, della ricerca, dell’industria, dei media, della finanza ed altri ancora.

Ma la prima cosa di cui un Paese come il nostro ha bisogno oggi è la nascita di una struttura di Governo che attui e coordini tutto il complesso di “politiche pubbliche” necessarie all’avvio di un percorso che ci porti ad una Green Economy and Society.

Una soluzione in tal senso è la nascita di un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile (MISS), che accorpi in sé il Ministero dello Sviluppo Economico (MSE) e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM).

In tal modo, il MISS si doterebbe della forte capacità di impatto sul mondo industriale dell’attuale MSE (che è l’amministrazione di riferimento per i settori portanti dell’economia italiana) e dell’esperienza e competenza in tema ambientale del MATTM (che è l’amministrazione preposta all’attuazione della politica ambientale), migliorando efficacia e efficienza della spesa pubblica.

Il Ministero per lo Sviluppo Sostenibile diverrebbe così, insieme al Ministero dell’Economia, il motore delle politiche di sviluppo (sostenibile) dei prossimi decenni in Italia.

Una proposta come questa, oggi, è chiaramente una provocazione, ma un Paese moderno, perché possa cambiare davvero, ha il dovere di discutere anche di provocazioni.

Mediocrità, maschilismo ed autoritarismo nel comitato dei “saggi” di Napolitano

Oggi il Paese vive un passaggio fortemente negativo.

Nel provare a gestire una crisi politica che sembra non avere soluzioni il Presidente della Repubblica Napolitano ha dato vita, in poche ore, al Comitato dei “saggi” che dovrebbe governare questo vuoto di potere.

La politica, i partiti politici, i cittadini sembrano sempre più relegati nel ruolo di spettatori passivi ed invisibili.

Nonostante la gestione negativa del governo tecnico Monti, il Presidente Napolitano continua sulla strada del “presidenzialismo”, questa volta nominando un “governo” misto, tutto al maschile e anche un po’ “mediocre” per la presenza di molti normali profili burocratici-istituzionali.

Non si vede poi la presenza di donne, e questa è una disattenzione grave.

Una democratica indignazione ci assale nel constatare questa inedita quanto impensabile “soluzione governativa”.

Denunciamo apertamente questa visione maschilista ed autoritaria che appare una esplicita provocazione della gestione più obsoleta del potere maschio e connivente.

Ci appelliamo al Partito Democratico: si fermi la deriva iper – presidenziale, si blocchino questi stanchi rituali di palazzo voluti o il rischio di omicidio di quei pochi partiti rimasti in vita sul proscenio italiano sarà imminente.

 

Cara Viola di Firenze

dmovimento5stellei Vittorio Bertola (capogruppo del M5S al consiglio comunale di Torino)

Cara Viola di Firenze,

ti ringrazio per la tua petizione che il giornale di De Benedetti ha prontamente provveduto a rilanciare nel titolo di apertura in prima pagina, come fa regolarmente con tutte le petizioni di tutti i ventiquattrenni d’Italia.

Tu chiedi al Movimento 5 Stelle di sostenere un governo che faccia una decina di cose: la riforma elettorale, la legge sul conflitto di interessi, il reddito di cittadinanza, la cancellazione dei rimborsi elettorali… Noi le condividiamo, dunque se venissero presentate in Parlamento, seriamente e senza trucchi, le voteremmo; anzi le presenteremmo noi per primi.

Il problema, però, è che non le condivide Bersani. Ti ricordi quando gridava (vabbe’, dai: rantolava) che il reddito di cittadinanza era una promessa populista e insostenibile? E che i rimborsi elettorali sono essenziali per la democrazia? E la riforma elettorale, la legge sul conflitto di interessi, perché non le ha fatte quando governava?

Secondo te, veramente il PD dopo le elezioni ha avuto una crisi di coscienza ed è diventato buono, e ha deciso che improvvisamente voleva aiutare i “grillini” a realizzare il loro programma di stravolgimento dell’Italia, andando contro gli interessi che lo sostengono da anni? Per crederci, bisogna essere veramente ingenui o molto piddini.

Se per il Paese è necessario un governo che porti avanti il programma del M5S, una strada c’è: far fare il governo al M5S, e che siano gli altri a dargli fiducia. Ma se questa strada ti pare eccessiva, ce n’è ancora un’altra: un governo di persone super partes (ma veramente, non come Monti & c.) che si proponga con quel programma lì. Ma persino se dovessero fare il governo PD-PDL con relativa fiducia, basta che proponga quelle cose lì e noi le voteremo: non è che perché fanno il governo col PDL allora non possono più portare avanti questi punti, se veramente li vogliono fare.

Quello che non puoi pensare, invece, è che il Movimento 5 Stelle possa promuovere la nascita di un governo di Bersani e di Monti (son già talmente alleati che manco c’è bisogno di dirlo), con ministri tipo Enrico Letta e Rosy Bindi, per poi magari vedere questo governo far passare ogni genere di porcata senza nemmeno transitare dal Parlamento, a botte di decreti e di sottogoverno, costringendoci nel frattempo a tenerlo vivo per completare riforme che “casualmente” si impantanerebbero esattamente come si sono impantanati il taglio degli stipendi dei parlamentari e l’abolizione delle province durante il precedente governo Monti-Bersani.

Quindi ti ringrazio per la tua proposta e ti rassicuro che noi la porteremo avanti senz’altro, ma che non siamo così ingenui da pensare che improvvisamente gli stessi che hanno rovinato l’Italia muoiano dalla voglia di cambiarla. E per favore, dì a Pierlu Smacchiagiaguari che la smetta di dire “venite a dirmelo in Parlamento” e di rivolgersi direttamente ai nostri neoparlamentari cercando di convincerli a votare la fiducia (magari in cambio di un ministero), che magari il pirla che ci casca lo trova pure, ma in generale come tentativo di spaccarci è piuttosto patetico.

Con stima,

Vittorio

R-Innovamenti energetici

di Massimo Preziuso (su L’Unità)

Se c’è oggi un settore che meglio di altri rappresenta il baricentro del R-innovamento del nostro Paese, quello è il settore energetico.

In questi giorni si torna a parlare di politica energetica, ed è un fatto di per sè positivo. Problema è che, ancora una volta e inaspettatamente, dopo l’affossamento tramite referendum delle velleità nucleariste del Governo Berlusconi, oggi il Governo Monti prova a imporre un modello di sviluppo basato sulle rimanenti industrie monopolistiche (il Ministro Passera – e lo stesso Premier che pochi giorni fa nei suoi incontri Kazaki – vuole accelerare sulle estrazioni petrolifere!) e mature, addirittura andando a togliere ulteriori risorse al settore delle rinnovabili.

Una situazione incredibile, soprattutto per i molti “Green thinkers” che su questo Governo avevano fortemente puntato, e tra questi Innovatori Europei e SOS Rinnovabili, con il lancio del Manifesto “Ricostruiamo l’Italia con le Rinnovabili”.

In questi giorni, oltre al Corriere della Sera, anche giornali solitamente più moderati come La Repubblica indicano il fotovoltaico e le rinnovabili quali colpevoli dell’aumento delle bollette energetiche del Paese, provando, e in molti casi riuscendo, a convincere le famiglie che il settore è semplicemente luogo di fortissime speculazioni (che ci sono, ma rappresentano oggi una piccola parte del tutto), fatte con i soldi di tutti gli italiani. Speculazione vi è stata, e credo volutamente permessa, nei primi Conti Energia.

Ma oggi che il settore è vicinissimo alla “grid parity” solare (a cui seguiranno le altre tecnologie), un ulteriore intervento a gamba tesa ha chiaramente un’altra volontà: quella di rallentare il più possibile lo sviluppo di una industria energetica distribuita, quindi democratica. Sta nei fatti che oggi esistono centinaia di migliaia di piccoli impianti solari, installati in piccole abitazioni o aziende, che permettono abbattimenti di costi energetici e indipendenza di approvigionamento (al netto degli importanti abbattimenti di emissioni nocive). Lo stesso sta avvenendo con la rivoluzione mini-eolica, appena cominciata. E così pure nel settore delle biomasse, che evolve verso la mini impiantistica. Come in tutti i settori ad alta intensità tecnologica, quello delle rinnovabili ha richiesto un investimento iniziale importante di risorse pubbliche e private, che lo accompagnasse verso l’indipendenza e la maturità. Ci siamo quasi. Ed ecco perchà la minacciata politica energetica di questo Governo ha del paradossale, forse ancora di più di quella del precedente Governo.

Oggi, il ministro Clini – che finora è stato relegato allo stesso ruolo inconsistente che fu della Prestigiacomo – la sintetizza così: “Attenzione a non fare un altro grosso autogoal con le rinnovabili, bloccandole come facemmo negli anni’80 all’inizio del boom della telefonia”. Ebbene sì, il rischio che si corre è proprio quello. Uscire, ancora una volta, da una rivoluzione tecnologica (quella telefonica portò poi all’Internet che oggi conosciamo) in cui potremmo essere protagonisti mondiali.

Intanto, finalmente il mondo delle rinnovabili si è svegliato e reagisce in maniera più compatta. Domani 2 Aprile dalle 16,45 a Roma – presso la Sala Bologna del Senato – ci saranno gli Stati generali delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, in cui 20 associazioni di categoria chiederanno un incontro ai Ministri competenti per discutere su quello che è un vero e proprio attacco a uno dei pochi settori tecnologici trainanti innovazione e nuova occupazione, in questo ormai quadriennio di crisi, che questo Governo vuole ammazzare proprio mentre diventa un’industria strutturata.

Preoccupati per le ricadute economiche, sociali, ambientali, e anche del rischio di inadempienza del nostro paese nei confronti dell’Unione Europea, le Associazioni chiedono con urgenza al Governo, ai Ministri interessati e ai Gruppi parlamentari di aprire già a partire dalla prossima settimana un confronto trasparente, che consenta di progettare il futuro di un settore decisivo per lo sviluppo del paese” si legge nel comunicato stampa diffuso dagli organizzatori.

Si riuscirà questa volta a evitare l’autogoal?

Un governo all’Ombra

 
di Gaetano Buglisi – sosrinnovabili.it
 

Una conferenza stampa lunga, dove i silenzi sembrano aver pesato più delle stentate parole.

Il presidente del consiglio Monti ieri , con la sua chilometrica conferenza stampa, non ha rafforzato la prospettiva di un rilancio competitivo dell’economia italiana. Troppe le reticenze e le omissioni.

Davvero sconcertante, in un economista concreto del suo profilo, che piacerebbe come genero ad ogni massaia tedesca, come lui stesso si è voluto definire, l’ammissione che fino ad ora non ha ancora valutato la possibilità di trattare con la Svizzera le forme dei rientri dei capitali fuoriusciti. Come invece Germania e Inghilterra hanno già fatto, ricavando introiti fiscali per alcune decine di miliardi di Euro.

Dal cilindro del governo, come segnale di una manovra espansiva, sono uscite solo la riforma delle pensioni, che per almeno 5 anni poco cambierà negli assetti finanziari del paese,e una revisione del catasto che alzerà comunque la pressione fiscale indiscriminata.

Comunque erano due passaggi che andavano affrontati. Ma il resto? E sopratutto dov’è un’idea forte, accelerata , concreta e praticabile per triplicare in tre anni l’incremento del PIL?

Non a caso il silenzio sulla crescita è pari alla rimozione del tema ambientale, e specificatamente della questione energetica.

Nemmeno la benzina a 1,750 ha smosso le acque. Indifferenza anche per le minacce libiche di rivedere gli accordi di fornitura di gas e petrolio, o per i rischi sul prezzo dei derivati petroliferi che potrebbero esplodere con una probabile crisi militare Americo-Iraniana.

Insomma nemmeno l’emergenza smuove la montagna di indecisione del governo.

L’energia è oggi l’unica reale leva che può rimettere in moto il paese. Si tratta esattamente dell’equivalente delle autostrade alla fine degli anni ’50: un’infrastruttura che guida e da forma al sistema di sviluppo del paese, con moltiplicatori sull’indotto, culture e comportamenti sociali diffusi, modelli di fruizione pervasivi.

Su questo tasto stupisce anche il silenzio dei residui di critica e controlli parlamentari. Nemmeno le forze che esibiscono un’opposizione truculenta, e in larga parte ingiustificata visto la loro recente esperienza governativa, sfiorano il tema. E del resto come potrebbero i partiti che hanno appoggiato il decreto Romani alzare il sopracciglio di fronte all’inerzia del governo sulle misure energetiche.

Uno sprazzo di speranza ci era venuta all’indomani della chiusura della conferenza internazionale di Durban sul clima, dove il ministro Clini aveva con forza difeso la leadership italiana per un impegno concreto alla modifica di pratiche e di consumi che stanno uccidendo il pianeta. Lo stesso Ministro dell’Ambiente, qualche ora dopo la chiusura di Durban era volato a Firenze, dove si teneva il meeting internazionale delle città del mondo, per lanciare una sfida di alto profilo: se gli stati sono sordi, le città non potranno ignorare le condizioni di vita concrete e con esse noi vogliamo rilanciare la sfida per un ambiente salubre e competitivo.

E’ questo il cuore di un progetto che andrebbe fatto vivere dal governo: un grande piano che facendo leva sulle città italiane,avvii progetti di riconversione tecnologica dei sistemi energetici, sulla base delle nuove forme sociali ormai diffuse dalla rete: autoproduzione e scambio di energia rinnovabile sui tetti dei condomini.

E’ una rivoluzione che abbiamo già visto nel campo della comunicazione, con il passaggio dal calcolatore al personal computer e poi ai socialnetwork cooperativi.

A spingere questo processo è la stessa legge di Moore, che ha reso l’informatica distribuita un fenomeno che periodicamente moltiplica la potenza e riduce i costi. Già oggi, tutti i più accreditati, ed indipendenti, centri di ricerca ci spiegano che il costo del kilowattore fotovoltaico è già competitivo con le fonti fossili e fra tre anni sarà straordinariamente conveniente, versatile e gestibile.

Cosa pensa il governo Monti? È possibile legare gli investimenti previsti dal Cipe e pianificati dal nuovo ministero della coesione nazionale ad un piano di connettività energetica, che parallelamente alla banda larga immetta in una rete virtuale di micro produttori di energia gradualmente le periferie di 50 città italiane e successivamente di altre 500?

Non potrebbe essere questo uno di quei progetti che ci vengono sollecitati da grandi investitori, come ad esempio il costituendo fondo cinese per gli interventi industriali in Europa?

Sosrinnovabili, insieme agli Innovatori Europei, ha lanciato un cantiere rinnovabile, un manifesto per l’economia fotovoltaica, con alcune proposte concrete. Fra queste anche l’istituzione di un fonso immobiliare che valorizzi il risanamento ambientale dei territori metropolitani, investendo sull’incremento del valore degli immobili e delle attività di servizio che deriverebbe. Dall’abbattimento dell’uso di combustibili fossili.

La cassa Depositi e Prestiti non potrebbe essere il volano di una grande alleanza fra comuni, fondazioni bancarie, centri di ricerca universitarie per avviare, esattamente sullo schema che la Cassa sta seguendo per la banda larga, piani di intervento territoriali, che sostituiscano spese per combustibili fossili e risanamento am,bientale con investimenti per il fotovoltaico?

Proprio Jeremy Rifkin, il grande esperto dell’economia rete, consulente dell’Unione Europea, qualche settimana fa in un ‘intervista al Corriere della sera parlò dell’Italia come dell’Arabia Saudita del sole. Gli stessi cinesi non si capacitano come un paese come il nostro ancora esita ad impegnarsi profondamente nell’unica materia prima abbondante, disponibile e moderna, che ha sopra la sua testa. Quanto possiamo aspettare ancora all’ombra di un’inerzia che potrebbe rivelarsi fatale, oltre che non spontanea?

Apriamo un Cantiere per le rinnovabili in Italia? Aggiornamento

 Mentre da Trento il mondo digitale già ha lanciato un appello al Senatore e premier in pectore Monti a favore del mondo digitale,  manca un’iniziativa per il settore trainante e a maggiore potenziale di crescita per i prossimi anni in Italia, duramente, volutamente e stupidamente colpito durante questo Governo: quello delle rinnovabili.

Allora io credo sarebbe necessario mettere rapidamente insieme una iniziativa comune proveniente dal mondo dell’associazionismo.

Ecco la proposta:

–          Aprire un cantiere di discussione su come vogliamo il futuro energetico e ambientale del Paese e sulle poche ma sostanziali iniziative che pubblico e privato dovrebbero a nostro avviso sostenere per raggiungerlo.

–          A valle della discussione, scrivere un “manifesto verde” ed inviarlo subito al Governo Monti affinchè si cominci seriamente a legiferare a favore di un settore che può ancora segnare una rivoluzione industriale anche in Italia.

News del 14/11/2011

Ecco le prime idee per un Manifesto Verde:

– La nascita di una Green Bank per il finanziamento della micro generazione da fonti rinnovabili

–  Piano di efficientamento energetico degli edifici pubblici italiani per il rilancio della ricerca e della competitività del settore fotovoltaico

– Un piano di sviluppo Paese incentrato sulle parole “Sole” e “Patrimonio culturale”

 La associazione SOS Rinnovabili rilancia l’iniziativa sul proprio sito.

News del 15/11/2011

Un primo gruppo di lavoro sta mettendo insieme le idee che stanno pervenendo per definire una versione iniziale del MANIFESTO VERDE del Cantiere Rinnovabili.

News del 17/11/2011

Un’idea progetto per il rilancio del Paese: Partendo dall’idea del fondo immobiliare pubblico (alla Boeri) che poi emette Bond di rating AAA, vi si associa la valorizzazione del patrimonio immobiliare inseritovi tramite efficientamento energetico, che ha oggi un effetto consistente sui valori immobiliari, e che contemporaneamente può essere il driver per una nuova fase di crescita industriale del settore rinnovabili. Un intervento qualitativamente “a costo zero” se si considera l’effetto valorizzazione immobiliare dell’efficientamento energetico sull’immobile.
 
 

Lettera aperta a Mario Monti

di Outsider – Partito degli Esclusi

Italia, 10 novembre 2011

Egregio Senatore a vita, Prof. Mario Monti,

siamo un movimento di liberi cittadini, Outsider – Partito degli Esclusi, che ha deciso di rimboccarsi finalmente le maniche per aprire le porte dei Palazzi facendo entrare aria fresca. Siamo stati esclusi e penalizzati dalle cricche e dalle vecchie Caste, che decidono sempre contro i giovani, il futuro e l’innovazione, macrediamo ancora nella Politica. Finora ci siamo tenuti in disparte perché il sistema scaccia chi è più competente e idealista ma adesso è arrivato il momento di lanciare il cuore oltre l’ostacolo. Vogliamo far crescere la libertà di ognuno in una società pluralista e multietnica. Ci proponiamo di costruire regole di convivenza che aumentino le opportunità individuali e di vigilare affinché la libertà non sia un diritto teorico ma una effettiva condizione di vita. Adottiamo i valori e il metodo liberaldemocratici e laici, perché, alle prove della storia, si sono dimostrati gli strumenti più efficaci per molteplici obiettivi: dare modo ad ogni donna e ad ogni uomo di esprimere se stessi e interagire con gli altri, potenziare la conoscenza affidando la libertà di ricerca a scienziati responsabili e trasparenti, promuovere il benessere con il cambiamento innovativo, amministrare la giustizia nel segno del diritto e della dignità umana, influenzare il futuro poggiando sulla memoria del passato e sulla sua eredità di cultura e di bellezza. Questa nostra identità politica ci distingue da tutti coloro che, a destra, al centro e a sinistra, non mettono la libertà e il rispetto della persona prima di ogni valore.

La classe politica e dirigente attuale ha fallito in quasi tutto, consegnandoci un Paese mutilato culturalmente ed economicamente. C’è una sola cosa che i suoi rappresentanti possono fare, se davvero hanno a cuore le nostre sorti, ed è quella di farsi da parte. E’ finito il tempo di elencare cosa non va e ascoltare l’ennesima di tante proposte di cambiamento, tutte inconsistenti quanto prive di qualsiasi fondamento. E’ finito il tempo della retorica da cui ci siamo fatti rapire troppo a lungo: berlusconismo e antiberlusconismo sono oggi la stessa cosa; come lo sono destra e sinistra, o tutte quelle sigle che del cambiamento hanno fatto il loro mantra ma che alla prova dei fatti sono solo i cloni rivestiti di chi li ha preceduti; come lo sono quei movimenti elitari, salottieri, intellettuali, il cui unico interesse è sovvertire gli equilibri del potere per rimpiazzarli con mali peggiori.

Noi dobbiamo invece trovare il coraggio di reagire prima che sia troppo tardi, prima che il sogno muoia sotto il peso della frustrazione. La nostra macro-generazione deve decidere se lasciare il proprio futuro nelle mani di chi ci sta trascinando verso il baratro economico e culturale, delle corporazioni che uccidono ogni libera iniziativa, della burocrazia di uno Stato che complica, invece di chiarire, la vita al cittadino, o se riprendere in mano le redini del proprio destino.

Vogliamo che l’Italia ritorni ad essere un sogno, un modello, un punto di riferimento per tutti e non solo per la sua storia o per il suo territorio, anch’esso ormai umiliato dall’incapacità dei suoi amministratori. Vogliamo costruire la Società aperta, che non abbia paura del nuovo, dello straniero, della concorrenza. Noi non siamo contro la politica ma, al contrario, siamo per una politica che non invada la sfera dell’iniziativa privata, non sia orientata solo al potere ma rappresenti ed elabori la moltitudine degli interessi individuali senza compromettere il futuro di qualcuno.

Questa è l’Italia degli outsider e degli esclusi, di quelle generazioni che, nonostante tutto, hanno iniziato o continuano a creare idee e prodotti di successo, a lavorare duro, a cambiare il mondo. Ci siamo ritrovati tra decine di giovani, uomini e donne, italiani all’estero e stranieri in Italia, finora penalizzati ed estromessi dalle grandi scelte strategiche del Paese. Alcuni di noi hanno una tessera di partito e porteranno i nostri valori in quelle organizzazioni per tramutarle dall’interno, altri sono sempre stati fuori dai partiti e ora vogliono aiutare l’Italia a tornare una meta, un desiderio e non una ragione di fuga.

Abbiamo le idee chiare: aprire la società per dare più potere ai cittadini e liberalizzare il mercato per stimolare l’iniziativa individuale. Ma abbiamo soprattutto un metodo – che chi ha la presunzione di rappresentarci (la politica) e di comandarci (la gerontocrazia imperante) non ha. Siamo per il metodo scientifico nella soluzione dei problemi, siamo per la trasparenza e la verificabilità dei dati su cui si basano le decisioni politiche, affinché chi le propone sappia motivarle e se ne prenda le responsabilità. Siamo quelli che vogliono che i cialtroni si facciano da parte, per lasciare spazio a chi sa coniugare esperienza e competenze nell’interesse di tutti.

Sosteniamo l’urgenza di grandi riforme, che modifichino strutturalmente gli assetti industriali e finanziari del Paese. La nostra analisi muove dalla constatazione che – con l’avvento della globalizzazione e della conseguente dimensione “liquida” dell’economia – non ha più senso parlare di paesi sviluppati e di paesi in via di sviluppo: ogni nazione deve considerarsi continuamente in via di sviluppo e quindi bisognosa non solo di libero mercato ma anche di regole e controlli da parte dello Stato. Il sistema produttivo italiano è arretrato e in declino, sopravvive grazie alle rendite: da un lato dobbiamo insistere per l’attuazione di politiche settoriali che incentivino l’innovazione e la produttività delle imprese italiane, favorendone la buona competitività sul mercato globale. E’ inutile continuare a fabbricare t-shirts o bulloni, con i giganti asiatici ormai in gioco, mentre è sensato puntare sulle produzioni a più alto valore aggiunto in comparti quali la chimica, l’elettronica di precisione, l’informatica, i servizi tecnologici avanzati, le cosiddette “industrie verdi” e le fonti energetiche rinnovabili. Da rilanciare inoltre un turismo di alta qualità e di potente richiamo internazionale. Naturalmente, va sostenuto il made in Italy della moda, dell’enogastronomia e dell’artigianato, settori che tuttavia non basterebbero mai, da soli, a farci competere con le economie emergenti. Dall’altro lato, è indispensabile dotare l’Italia di infrastrutture e trasporti che giustifichino lo sviluppo e gli investimenti, con nuove reti materiali e immateriali. Autostrade più grandi, collegamenti ferroviari ad alta velocità, un trasporto aereo nazionale efficiente e sano, porti e aeroporti in grado di trasformare i nostri scali in veri e propri HUB del mercato euro-asiatico. Ma sono necessarie anche reti di trasmissione-dati ad alta e altissima velocità, e la copertura con adsl dei tanti Comuni che in Italia ancora non ne sono raggiunti. Una informatizzazione e uno snellimento della Pubblica Amministrazione sono condizioni di base per aprire le porte allo sviluppo e un volano per l’informatizzazione dell’intera società civile (imprese e cittadini). Infine, siamo a favore di una massiccia e autentica liberalizzazione di mercati primari per l’economia italiana (energia, comunicazioni, trasporti, servizi pubblici locali). Tutto questo, mentre un debito mostruoso e la crisi finanziaria mettono a repentaglio la tenuta economica dello Stato e il futuro delle nuove generazioni, che dovranno pagare prezzi enormi per le spese folli del passato. Rifiutiamo proposte demagogiche quali la riduzione fine a sé stessa dell’imposizione fiscale. Per quanto riguarda le nuove imprese e in particolare l’imprenditoria giovanile e femminile, sosteniamo con forza la necessità di interventi che non siano di facciata o irrilevanti (come microcrediti di poche migliaia di euro, che andrebbero bene in Paesi poverissimi) bensì radicali e realmente motivanti: per esempio, la predisposizione di un Fondo di Garanzia per i giovani neo-imprenditori e dei relativi accordi con il sistema bancario, affinché le nuove generazioni siano incoraggiate e facilitate nell’ottenimento del credito per la creazione d’impresa. Inoltre, sarebbero decisivi gli esoneri dai minimi contributivi Inps (spesso delle autentiche “strozzature” per le giovani start-up commerciali). In generale, vorremmo il Ministero dell’Economia e della Gioventù, in uno.

Siamo consapevoli che buona parte dei ragionamenti sulla flessibilità/precarietà/dualità del lavoro non si risolvono senza sanare e trasformare il sistema produttivo, che ne costituisce la base. Senza buone imprese, non c’è buon lavoro. Tuttavia, ci sono state anche una serie di mancate scelte a favore o, peggio, di scelte prese contro la categoria dei più giovani e precari. Si può fare qualcosa, in Italia, malgrado le difficoltà economiche di fondo. In primo luogo, non riservando alle sole nuove generazioni lo status di “flessibili”, facendo scelte politiche di condivisione inter-generazionale della elasticità lavorativa. Siamo per il contratto unico di lavoro.

In secondo luogo, ponendo le basi per un sistema di welfare più moderno, “delle opportunità”, che consenta ai giovani di non restare stagisti a vita, di mettere a frutto con nuove formazioni professionali i momenti di stand-by lavorativo, di reggere al contraccolpo rappresentato da una improvvisa perdita del reddito. A questo, aggiungiamo una constatazione preoccupante: più della metà dei giovani precari risulta oggi al servizio della Pubblica Amministrazione, dove invece resistono – come testimoniano innumerevoli e seri studi – importanti sacche di personale improduttivo e inamovibile, di età sicuramente più avanzata. Un ulteriore aspetto di ingiustificata penalizzazione dei giovani lavoratori è la progressiva dequalificazione del lavoro, con stipendi troppo bassi e una strisciante proletarizzazione del ceto medio italiano di domani (generazione 1000 euro).

Infine, i contributi alla famiglia: assegni, deduzioni, detrazioni e servizi (come asili nido) che, sul modello tedesco, diano ossigeno e prospettive ai giovani nella creazione di nuovi nuclei familiari con figli, per tornare ad una crescente natalità, per superare la crisi di progettualità e di futuro delle nostre generazioni. In buona parte, tutti questi punti possono e devono essere affrontati con politiche che distribuiscano in maniera più equa gli sforzi tra i vari strati della “società anagrafica” italiana.

Constatiamo con preoccupazione come una valanga di centinaia e centinaia di miliardi di euro si prepari a travolgere il sistema pensionistico italiano, nei prossimi anni. Questo denaro, che dovrà essere pagato in toto da chi oggi ha meno di 40 anni, rischia di innescare una grave crisi economica e sociale nel Paese. Le nostre generazioni dovranno farsi carico del mantenimento dei più anziani con proporzioni di spesa che porteranno molti milioni di persone, ora giovani, verso livelli di vera e propria povertà. Per questo vogliamo l’innalzamento dell’età pensionistica a 65 anni, uguale per uomini e donne.

Per non impedire il ricambio generazionale e tuttavia fare i conti con la più elevata età di abbandono del lavoro, serve poi una profonda riflessione sulle soluzioni da applicare alla “ageing society” (la società che invecchia): soluzioni che consentano di mantenere il contributo produttivo dei più anziani, insieme favorendo l’assunzione di responsabilità e la qualificazione professionale dei più giovani.

Appoggiamo l’idea di una ragionata e generalizzata (ma non ottusa) apertura dei mercati e degli accessi alle professioni, con il passaggio dagli Ordini alle associazioni. In Italia, ai fini di tutelare e “blindare” le condizioni sociali ed economiche di determinate categorie professionali, si è arrivati alla creazione di vere e proprie caste, dannose se si vogliono professionisti più giovani e meglio preparati. Siamo inoltre a favore della superamento del valore legale del titolo di studio, come avvenuto in diversi Paesi europei, affinché la competizione debba giocarsi sul terreno delle competenze, della bravura, della qualità dei servizi offerti e non delle formalità dei ruoli.

Introdurre criteri meritocratici sostanziali nelle Università italiane, premiando le ricerche di maggior valore e superando inutili baronati, è uno dei nostri obiettivi principali. La creazione di un Fondo per l’Innovazione ad hoc, come si vuole realizzare su scala globale ad opera della Banca Mondiale e dell’ONU nei confronti della ricerca pubblica/privata, sembra un’idea applicabile anche al microcosmo nazionale italiano. Per quanto riguarda la formazione universitaria, è necessario un sistema più selettivo e maggiormente collegato al mondo economico privato: a tal fine, ha certamente senso orientare i giovani verso facoltà scientifiche, per favorire la formazione di competenze realmente necessarie in un sistema produttivo moderno, ma senza penalizzare quelle artistiche e umanistiche che costituiscono un punto strategico per la presenza italiana nel panorama mondiale.

Crediamo nel progetto di Stati Uniti d’Europa, condividendo la visione di un federalismo verso l’alto che consenta agli Stati membri di mantenere le proprie differenze e peculiarità, oltre che una propria autonomia istituzionale e un’identità culturale forte ma aperta all’integrazione tra popoli di diverse origini. Sosteniamo la necessità di una conformazione europea poliarchica più vicina ai cittadini-elettori, con l’accentuazione dei caratteri democratici nella scelta dei rappresentanti e nell’esercizio dei compiti di governo. Siamo a favore di una UE dotata di personalità unitaria e ben definita nelle materie di politica estera, energetica e commerciale internazionale.

Contestiamo ogni forma di estremismo, sia esso di tipo religioso, culturale, politico. Sostiene inoltre fermamente il valore imprescindibile della laicità degli Stati. Non può quindi che disapprovare fenomeni di violenza politica e di integralismo, ovunque questi si verifichino. Quanto all’immigrazione in Italia, crediamo necessaria un’integrazione che non sacrifichi i diritti umani e le diversità culturali di origine, ma nemmeno rifiuti i principi di osservanza della legalità e di rispetto delle culture ospitanti. Alcune persone, poi, non possono essere considerate “ospiti”: è inaccettabile che molti giovani italiani, seconde generazioni figlie di immigrati, non abbiano la cittadinanza malgrado siano, spesso, persino più italiani di noi per cultura, esperienza e aspirazioni personali.

Non siamo per l’anti-politica. Siamo per un nuovo ruolo forte dei partiti politici, anziché per il loro definitivo superamento. L’attuale configurazione dei partiti italiani – più simili a comitati elettorali dominati da piccole elites – è però inefficiente e non garantisce a queste fondamentali organizzazioni di svolgere la loro essenziale funzione di tramiti rappresentativi tra la cittadinanza e l’amministrazione politica. Il riferimento al “metodo democratico”, inserito nella Costituzione all’articolo 49, ha dimostrato d’essere eccessivamente blando e generico: bisogna fissare le regole di funzionamento interno dei partiti con maggiore precisione, come accade per esempio in Spagna e Germania, a livello costituzionale o almeno legislativo ordinario. Pensiamo per esempio a una regolazione attenta delle primarie e alle tutele delle pari opportunità. Solo in questo modo, con strutture di partito realmente contendibili e in grado di formare, selezionare e dare occasioni di emersione ai soggetti più capaci, si potrà tornare a parlare di “ricambio di classe dirigente”, paroloni altrimenti vuoti e da salotto.

La democraticità dei meccanismi interni di partito consentirebbe inoltre di evitare discriminazioni sulla mera base delle disponibilità economiche o della fama degli attori politici, mettendo anche i più giovani – solitamente meno “attrezzati” – nelle condizioni di competere e di raccogliere consensi, a tutto vantaggio della democrazia. Siamo contro un sistema non meritocratico di pure cooptazioni. Riteniamo necessario che – soprattutto in un periodo in cui la lontananza dei cittadini dalla politica è ai massimi – sia ridata agli elettori la possibilità di scegliere il proprio candidato. Sosteniamo la necessità di riforma del sistema elettorale, in senso proporzionale alla tedesca (con sbarramento al 5%) o maggioritario alla francese (con doppio turno). Entrambe queste soluzioni consentirebbero una più efficace governabilità del Paese, riducendo la presenza e il peso delle forze troppo piccole o estreme.

Quanto detto a proposito dei sistemi di democraticità interna dei partiti, logicamente, ci porta a non volere meccanismi quali le quote-rosa o le quote-giovani: trucchi inutili se in presenza di partiti sani, solidi e rappresentativi. Un’analoga analisi, con le medesime premesse sulla “salute” dei partiti, va fatta circa le preferenze: siamo per la loro reintroduzione, ma richiamiamo l’attenzione sul fatto che spesso l’espressione di preferenze verso singoli nomi, nelle liste e specialmente con circoscrizioni troppo grandi, non va a vantaggio dei candidati con meno mezzi materiali, premiando invece in molti casi gli investimenti economici più ingenti e i legami clientelari. Per questo, servono controlli e una maggiore trasparenza sull’operato dei candidati e degli eletti.

Crediamo nella somma validità dei principi contenuti nella Carta Costituzionale, ma non pensiamo che questa sia intangibile e irriformabile a tutti i costi, laddove ciò avvenga in modo responsabile e senza stravolgimenti. Questo significa disapprovare le modifiche fatte a colpi di maggioranza, ma anche insistere affinché si creino le condizioni per una revisione della Costituzione il più possibile armonica, partecipata e condivisa: attraverso l’istituzione di un’Assemblea Costituente, che permetta di riscrivere le regole del gioco senza strappi e con animo politico costruttivo. Un’Assemblea alla quale contribuiscano anche i rappresentanti delle categorie finora escluse dal dibattito politico, rinnovando così quello spirito costituente e quel sentimento di impegno civile che furono alla base della nascita repubblicana. Siamo convinti che la Carta, con le dovute prudenze, possa e debba essere integrata anche nella sua prima parte, quella dei princìpi, adeguandola alle nuove esigenze della modernità; quanto agli assetti amministrativi dello Stato, non ci convince un federalismo moltiplicatore di costi, anzi appoggiamo l’idea di eliminare enti e strutture inutili (ad esempio le Province) e di snellire lo Stato burocratico a favore di una più sensata integrazione verso l’alto, trovandoci nel contesto europeo e confrontandoci con le problematiche causate dalla globalizzazione.

Siamo l’Italia di chi vuole innovare; di chi non ha paura del diverso, consapevole che è nella diversità che prende forma l’evoluzione. Oggi siamo noi a sentirci diversi, estranei ad un sistema in cui non ci possiamo più riconoscere, ostile al merito e alla libera iniziativa.Noi Outsider ci stiamo riunendo per provare a cambiare, per riprenderci quello spazio individuale che appartiene solo a noi e alle generazioni che ci seguiranno. Siamo stanchi di farci umiliare assistendo al teatrino quotidiano del nulla, assuefatti dall’arte retorica dei suoi attori ed emissari. Non vogliamo vivere con il rimorso verso i nostri figli e nipoti, verso noi stessi, il rimorso di chi ha solo subito. Forse falliremo, ma sarà comunque un successo averci provato mentre tutto sembrava addormentato, scontato, rassegnato. Un successo per chi ama il nostro Paese, per chi vuole costruire un’Italia aperta, prosperosa, di cittadini liberi.

Ora, Lei è in procinto di diventare il nostro Presidente del Consiglio, alla guida di un Governo di solidarietà nazionale che potrà veramente trasformare a fondo l’Italia. In Lei e nella responsabilità del Parlamento, noi Outsider riponiamo oggi molte speranze. Il momento è drammatico, non ci deluda, deluderebbe il futuro di questo magnifico, creativo, ferito Paese.

Gianpiero Alaimo (Dirigente d’azienda), Fabio Giuseppe Angelini (Avvocato), Paolo Balboni (Avvocato), Marco Bertolotto (Medico), Armando Biondi (Imprenditore), Luca Bolognini (Avvocato), Stefano Brustia (Avvocato), Daniele Catteddu (Dirigente), Sandro Cotellessa (Impiegato), Francesco Dagnino (Avvocato), Marco De Amicis (Funzionario ONG), Annamaria De Michele (Avvocato), Piercamillo Falasca (Economista), Marco Ferraro (Funzionario europeo), Guglielmo Forgeschi (Medico), Valentina Gavioli (Avvocato), Michele Gerace (Giurista), Fred Kuwornu (Regista), Lorenzo Lo Basso (Giornalista), Francesco Lucà (Dottore Commercialista), Simone Maccaferri (Funzionario di banca), Caterina Mannacio Soderini (Impiegata), Sara Marcozzi (Avvocato), Luigi Massa (Avvocato), Simona Nalin (Assistente Parlamentare), Flavio Notari (Economista), Alessandro Olmo (Avvocato), Pietro Paganini (Docente universitario), Gianfranco Passalacqua (Avvocato), Marco Piana (Private equity), Antonio Picasso (Giornalista), Massimo Preziuso (Ingegnere), Roberto Race (Giornalista), Morena Ragone (Giurista), Giuseppe Ragusa (Docente universitario), Stefano Rampinini (Imprenditore), Alessandro Rapisarda (Consulente del Lavoro), Roberto Ruggiero (Impiegato), Lucio Scudiero (Giurista), Fabiana Tenerelli (Imprenditrice), Valerio Togni (Economista), Marco Toia (Odontoiatra), Alessandro Tuffu (Imprenditore), Marco Villa (Venture capitalist) – e gli altri cittadini del www.partitodeglioutsider.it

Berlusconi è un lusso che non ci possiamo più permettere

 

Di Massimo Preziuso (pubblicato su Lo Spazio della Politica)

Partiamo da un fatto molto negativo. L’Italia è entrata rapidamente e a pieno titolo nel gruppo dei cosiddetti PIIGS – Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, nonostante il Governo e le istituzioni internazionali ci avessero detto in varie occasioni che tale enorme rischio fosse scongiurato, fondamentalmente grazie alle politiche di contenimento del deficit del ministro Tremonti.

Questo perché, dopo tre anni di crisi, l’Italia ha contemporaneamente perso l’occasione storica di ristrutturare il proprio sistema economico e dare slancio ad una economia che nella crisi ha perso un 6% di PIL e si trova oggi ai livelli di ricchezza degli anni’90, con livelli di produttività industriale bassissimi e livelli di consumi in serio affanno, in un Paese che oggi è nei fatti più povero.

Per anni in Italia si parlava della Spagna come un Paese “economicamente inferiore”, a tratti trainato da bolle di crescita speculativa. Ed in effetti, in teoria l’Italia aveva ed ha una struttura economica e finanziaria più robusta di quella spagnola. Eppure, in pochi mesi, queste due economie si trovano mano nella mano nel buio della crisi. E in tutto questo, mentre il premier Zapatero pochi giorni fa si è dimesso per provare ad attenuare le tensioni del mercato spagnolo, ieri il nostro premier Berlusconi ha continuato a sostenere (come più volte durante questi ultimi anni) che il Paese è stabile e forte, che il sistema bancario è a riparo da rischio, che esiste una congiura dei mercati e della politica contro il Sistema Italia e il suo governo. E oggi, mentre i mercati vivevano una giornata pesantissima, ha addirittura invitato chi avesse soldi a comprare le azioni delle sue aziende.

Detto questo, la situazione che viviamo è delicatissima ed è racchiusa bene in alcuni fatti di Borsa.

Dopo il discorso “rassicurante” di ieri del Premier alle Camere, oggi i titoli azionari di tre gruppi fondamentali per l’economia italiana come Fiat, Unicredit e Intesa San Paolo lasciano sul campo intorno al 10%.

L’indice azionario FTSE MIB, dopo essere andato in tilt verso la chiusura per un “problema tecnico”, ha lasciato sul campo circa il 5%.

Negli ultimi sei mesi, un gigante dell’impiantistica come Maire Engineering ha perso il 70% della propria capitalizzazione, mentre nei soli ultimi due il colosso di stato della difesa, Finmeccanica, ne ha perso il 50%.

Il valore totale della Borsa italiana è oggi di circa 442 miliardi di Euro ovvero poco più del valore delle sole Apple e Google messe insieme (che valgono circa 400 miliardi di Euro).

In parallelo a questo, continua la corsa dei rendimenti dei BTP (i titoli pubblici italiani) che oggi raggiungono un differenziale massimo (dall’introduzione dell’euro) indicando quanto difficile e oneroso sia diventato collocarli sul mercato.

Tutto questo fa venire in mente una cosa importante, ovvero che non solo le singole aziende ma il Paese tutto è scalabile.

E quando un intero Paese è scalabile si rischia di perdere indipendenza e sovranità, dopo aver perso credibilità internazionale.

Ed alla fine dei conti, questa brutta situazione ha fondamentalmente a che fare con una questione molto semplice: la assoluta perdita di credibilità del nostro Paese a livello internazionale, che è fortemente data da chi lo governa.

Ma in tutto questo il nostro Premier ha chiaramente detto che il suo Governo va avanti fino al 2013, perché così gli italiani hanno deciso.

Mi chiedo: ce lo possiamo permettere? O è il caso che tutti insieme – politica, parti sociali e società civile – si uniscano per proporre rapidamente una soluzione nuova e sostenibile, che eviti un possibile disastro economico e sociale in Italia?

L’harakiri del centrodestra

Se il populismo più becero prevale sulla politica di stampo popolare

di Italia Futura

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In vista del secondo turno delle amministrative di Milano e Napoli la coalizione di governo sembra avere scommesso sulla liquefazione di ogni strategia politica. Già il primo turno aveva rivelato l’insofferenza di tanti moderati nei confronti della retorica dell’estremismo a cui si erano dedicati Berlusconi e i suoi alleati. Evidentemente il messaggio dell’elettorato non è stato recepito con chiarezza. Il presidente del consiglio ha occupato tutti i media televisivi usando toni ed espressioni che mal si conciliano con il suo ruolo istituzionale, così come hanno fatto i numerosi esponenti del governo che hanno paventato fantomatiche invasioni di gay, spacciatori, musulmani e zingari.

Ma non sono queste le preoccupazioni della stragrande maggioranza degli italiani: mentre le ultime statistiche segnalano che un italiano su quattro sperimenta la povertà e la disoccupazione giovanile raggiunge ogni mese un nuovo record temono piuttosto gli effetti catastrofici della mancanza di crescita. Geniale, poi, la sparata della Lega di spostare a Milano alcuni ministeri: una proposta che se tradotta in pratica significherebbe più spesa pubblica e meno efficienza amministrativa.

Il centrodestra, invece di incalzare le proposte di Pisapia sulla base del contenimento della spesa, sembra orientato a scavalcarlo a sinistra offrendo mance elettorali sotto forma di nuovi posti pubblici che i già tartassati cittadini italiani dovranno poi pagare. Una proposta che dimostra il passaggio del PDL dalla rivoluzione liberale al neostatalismo elettorale. E tanto per non farci mancare nulla la Moratti promette condoni sulle multe a Milano e Berlusconi la sospensione degli abbattimenti degli immobili abusivi a Napoli. Anche in questi casi siamo di fronte a provvedimenti che mal si conciliano con la tradizione del centro destra (dov’è finito il richiamo a legge ed ordine?).

L’ultima settimana di campagna elettorale riserverà nuove eccitanti sorprese e l’esito dei ballottaggi è tutt’altro che scontato. Ma di sicuro possiamo dire che questo centrodestra non ha più nulla a che fare, nei toni e nei contenuti, con quello che una forza moderata dovrebbe rappresentare in un grande paese europeo.

Lo spostamento a sinistra del PD e l’evanescenza del Terzo polo che, decidendo di non scegliere, ha rinunciato persino a fare l’ago della bilancia, avrebbero dovuto semplificare il compito al PDL nella riconquista degli elettori moderati. Invece di tornare ai contenuti tradizionali delle coalizioni di centrodestra (liberalizzazioni, contenimento della spesa, sussidiarietà, sicurezza e legalità etc..), si è deciso di procedere sulla strada di un populismo becero e confuso.

Ma in un paese in maggioranza moderato che avrebbe disperato bisogno di una seria politica di stampo popolare e liberale, lo spettacolo che si offre è l’harakiri di un centrodestra che sceglie la strada della guerra civile a bassa intensità. Ben più del candidato della sinistra, è questa decisione che rischia di far avverare la profezia di Bossi: “con Pisapia ci tagliamo le balle”.

Energia nucleare e Referendum – Domande e risposte

 di Carloalberto Sartor

Le centrali nucleari ci liberano dal petrolio e salvano l’ambiente?

  • con l’energia elettrica non possiamo oggi scaldare le nostre case, cucinare, muovere camion, navi, auto, moto, trattori, aerei
  • solo rottamando milioni e milioni di impianti di riscaldamento e di veicoli a combustione potremmo evitare di ricorrere ai combustibili tradizionali
  • per evitare grandi perdite di energia, le centrali elettriche (nucleari e non) vanno collocate “dove servono” e la loro distribuzione dovrebbe essere capillare
  • solo attraverso una capillare distribuzione dell’energia elettrica prodotta, sarebbe possibile sfruttarla efficacemente. Cio’ richiede fattibilita’, costi di realizzazione, riduzione delle perdite elettriche nelle linee, etc
  • quindi le centrali elettriche non ci liberano dai combustibili fossili, non riducono le emissioni di CO2, non rappresentano la soluzione alle problematiche energetiche mondiali
  • di conseguenza le centrali nucleari (che sono centrali elettriche) non possono risolvere i nostri problemi energetici, non salvano l’ambiente dalle emissioni di CO2, non permettono un’economia “diversa” da quella attuale

 

Quali sono i reali costi del nucleare?

  • L’emissione di radioattivita’ delle scorie si dimezza in migliaia di anni, rendendo praticamente “eterna” la potenziale emissione di radioattivita’ pericolosa. Un tempo enorme che comporta costi spropositati di gestione e rischi difficilmente eliminabili con certezza di emissioni radioattive nell’ambiente
  • ad oggi non e’ stata trovata una tecnologia che permetta l’eliminazione “rapida” di queste scorie, per cui insistere su queste tecnologie e’ insensato e coinvolge le generazioni future in un “mutuo” decisamente arrischiato
  • i costi delle centrali nucleari vanno quindi ricalcolati aggiungendo tutti i costi di gestione connessi: gestione delle scorie, elettrificazione capillare del territorio, conversione di mezzi e impianti di riscaldamento
  • In italia stiamo ancora spendendo miliardi di euro per la dismissione di centrali nucleari chiuse da decenni

 

Chi investe oggi nel nucleare “attuale”?

  • Nessuno. Non c’e’ alcuna corsa alla realizzazione di centrali nucleari basate sulle attuali tecnologie perche’ esse non risolvono alcuno dei nostri problemi energetici ed ambientali
  • I motivi sono semplici: costi astronomici, rischi di incidenti, difficolta’ di collocazione. Ecco perche’ tra i tanti paesi industrializzati, perfino gli USA non realizzano piu’ nuove centrali nucleari ma si limitano a mantenere attivi gli impianti esistenti, “a perdere”, in attesa di future e diverse tecnologie, meno problematiche
  • il Dipartimento dell’Energia (DoE, fonte certamente difficilmente definibile “ecologista”) indica in documenti ufficiali il progressivo disimpegno degli USA nell’utilizzo di centrali nucleari. Si passa dall’attuale 14.5% per cento al 12% tra vent’anni, attraverso una progressiva e costante dismissione degli impianti esistenti, chiaro “funerale” dell’energia nucleare basata sulle attuali tecnologie

 

L’energia nucleare e’ rischiosa?

  • I rischi esistono e non sono certo “rischi di gioventu’”. Chernobyl, Fukushima sono solo i casi piu’ gravi. Al mondo si sono verificati centinaia di incidenti piu’ o meno gravi, che hanno dimostrato la sostanziale impossibilita’ di utilizzo “sicuro” del nucleare, anche dove e’ stato fatto “tutto il possibile” per evitare incidenti
  • i rischi derivanti dalla continua circolazione di materiale radioattivo sono grandi e legati a diversi fattori (incidenti, calamita’, terrorismo, uso improprio, etc)
  • la capacita’ di evitare incidenti derivanti da guasti, errrori umani e calamita’ naturali, non aumenta con il passare del tempo. Pertanto la tecnologia nucleare attuale si dimostra di fatto intrinsecamente rischiosa
  • l’indubbia efficienza nipponica, la loro capacita’ di convivere con i terremoti e la grande capacita’ di gestione delle tecnologie non e’ stata sufficiente ad evitare che un evento prevedibile e previsto causasse un disastro di proporzioni ancora difficilmente misurabili, con effetti locali e globali ancora da stabilire
  • con le centrali elettriche tradizionali non c’e’ possibilita’ di incidenti di cosi’ grande impatto
  • un disastro nucleare ha effetti planetari, non solo locali

 

I molti problemi aperti

  • ogni centrale ha lunghe fasi di manutenzione che bloccano la produzione continuativa per tempi non indifferenti, per cui le centrali devono essere realizzate in numero sovrabbondante per poter garantire una produzione continuativa dell’energia necessaria. Questa ridondanza aumenta ulteriormente i costi
  • l’energia elettrica richiede capillari linee di distribuzione, non sempre realizzabili. L’energia deve essere prodotta quindi “nei pressi” dell’utilizzatore finale. Il trasporto su lunga distanza ha costi notevoli e non sempre e’ possibile realizzarlo
  • il combustibile nucleare ha altissimi costi di produzione, trasporto, trattamento, riciclaggio, stoccaggio, oltre che di sicurezza, per impedire che venga trafugato od utilizzato in modo improprio
  • esattamente come per i combustibili tradizionali esistono problematiche commerciali e geo-politiche non indifferenti

 

Riflessioni per il referendum

  •  forse in futuro le tecnologie nucleari potranno darci risposte a molti problemi. Oggi “questo” nucleare costa troppo, e’ rischioso e puo’ essere sostituito da altre fonti di energia elettrica meno problematiche
  • solo in questo modo potremo evitare scelte “di mercato” del tutto lontane dagli effettivi interessi e necessita’ delle persone

Ai referendum del 12 e 13 Giugno diciamo quindi un chiaro e forte SI all’abrogazione dei progetti nucleari del governo

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