Significativamente Oltre

Europa e Mediterraneo

Innovatori europei: per il Sud una nuova fase da protagonista?

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Articolo pubblicato sul sito del Partito Democratico

L’associazione Innovatori europei ha organizzato per il 21 Giugno al Nazareno, presso la sala delle conferenze della sede nazionale PD a Roma un convegno fortemente caratterizzato fin dal titolo: “Logistica e Infrastrutture. Il ruolo del Mezzogiorno e il suo contributo all’economia del paese”, con uno sviluppo degli interventi che vuole dimostrare come la ripresa dell’Italia sia pura illusione se non si attribuisce, una volta per tutte, al Sud un nuovo ruolo: non più inerte beneficiario di provvidenze utili a consolidare rapporti clientelari ma parte orgogliosamente e consapevolmente integrata nel territorio nazionale, organica allo sviluppo dell’intero paese.

Certo, non è una tesi completamente nuova, ma è la prima volta – da quanto ci risulta – che il tema è trattato in maniera così approfondita.

La scaletta degli interventi è infatti estremamente ricca, tanto da costringere gli organizzatori a dividere l’evento in due sessioni, una più tecnica e politica al mattino e una al pomeriggio che si propone di mostrare come il mondo si muove così rapidamente da non lasciare scampo a chi non accetta le sfide del nuovo mondo globalizzato.

Ed è proprio qui che si tocca di nuovo con mano lo “spirito del cambiamento” in atto nel paese: come affermano gli Innovatori europei, appena è iniziata a circolare la voce che si stava organizzando al Nazareno un convegno su questo tema, sono arrivate da ogni parte d’Italia tantissime richieste per poter assistere o anche per dare il proprio contributo al successo della manifestazione.

È segno che sta per iniziare una nuova fase? O che forse è già iniziata?

Fonte, Europa Quotidiano

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Programma del convegno: Logistica e Infrastrutture. Il ruolo del Mezzogiorno e il suo contributo all’economia del Paese

Comunicato. Dibattito 20 Maggio: Verso la Smart Nation, la Regione Lazio nella nuova competizione europea

diattito smart nationComunicato stampa degli Innovatori Europei

Martedì pomeriggio presso il Caffè Letterario di Roma ha avuto luogo un attento e partecipato dibattito tra innovatori e candidati di diversi orientamenti politici alle prossime europee.

Dopo le introduzioni di Massimo Preziuso e Giuseppina Bonaviri, Cesare Pozzi ha delineato le basi del progetto con la presentazione di “Verso la Smart Nation”, con cui si è dato l’avvio alle presentazioni dei candidati e al dibattito con gli intervenuti, durato fino a sera.

Da questo innovativo format aumenta in noi la consapevolezza che l’emersione e il protagonismo dei “costruttori” italiani, dentro e fuori le istituzioni partitiche, sia primaria fonte di crescita virtuosa e di rinnovamento riformista per il Paese.

Noi Innovatori Europei continueremo a “costruire” connessioni tra mondi diversi ma complementari per l’ avvio di percorsi di sviluppo sostenibile che necessitano di nuove infrastrutture, materiali ed immateriali, quali architravi per l’avvio di nuove direzioni di crescita “smart” nei territori italiani.

Solo in questo modo l’Italia potrà tornare protagonista in ambito europeo, quale porta continentale di sviluppo mediterraneo.

Il progetto “Smart Nation” è la matrice di questo variegato percorso di innovazione sociale ed economica.

Roma, 20 Maggio 2014. Dibattito con candidati: Verso la Smart Nation, la Regione Lazio nella nuova competizione europea

Innovatori-Europei-defIl progetto di Innovatori Europei dal titolo “Verso la Smart Nation” ambisce a disegnare una nuova governance dello sviluppo delle città e delle regioni, inquadrata in un contesto Paese rinnovato, attraverso la costituzione e valorizzazione di reti territoriali che siano volani per nuovi percorsi di produzione e internazionalizzazione. 
 
Esso si compone di un inquadramento generale sulla Smart Nation e di un livello progettuale già avviato nelle Smart Regions and Cities, in cui disegnare un futuro intelligente.
 
Nel convegno “Verso la Smart Nation: la Regione Lazio nella competizione europea” ne discuteremo con innovatori  – candidati della Circoscrizione Centro Italia nei vari schieramenti politici alle prossime elezioni europee .
 
AGENDA
 
Luogo: Caffè Letterario, Via Ostiense, 95, 00154 Roma
 
ore 17 Apertura dei lavori : Massimo Preziuso  (Coordinatore  IE), Giuseppina Bonaviri, (IE Lazio)
 
 ore 17.15 Presentazione dello studio “Verso la Smart Nation”: Cesare Pozzi (Luiss Guido Carli)
 
ore 17.30 Gli Innovatori Europei (*) dibattono con i candidati della Circoscrizione Centro Italia:
 Ines Caloisi (Scelta Europea), Valentina Mantua (Partito Democratico), Flavia Marzano (GIVE – Green Italia Verdi Europei),  Adriano Redler (Forza Italia), Domenico Rossi (Popolari per l’Italia) , Bianca Maria Zama (Movimento 5 Stelle)
Modera: Piero Di Pasquale (giornalista e imprenditore)
(*) In collegamento da tutta Europa i coordinatori regionali di Innovatori Europei
 
Per aderire scriveteci a infoinnovatorieuropei@gmail.com o visitate la pagina Facebook dell’evento.
 

Ingegneri e fondi europei: il futuro è nelle “Reti di intelligenza collettiva”

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Innovatori Europei collabora con il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ad una nuova visione strategica delle professioni tecniche italiane per un loro protagonismo nell’ Europa della Smart Specialization. L’avvio del prezioso dialogo con il Vicepresidente vicario del Parlamento Europeo Gianni Pittella rientra in una serie di iniziative e studi che ci porteranno al congresso nazionale del prossimo autunno e ad operare nei territori insieme alle istituzionali locali, nazionali ed europee.

Comunicato Stampa (pubblicato anche su sito Consiglio Nazionale degli Ingegneri)

“Europe 2020: gli ordini professionali verso la Smart Specialization”. Questo il tema dell’incontro tenutosi nei giorni scorsi a Roma e che ha visto la partecipazione dell’On. Gianni Pittella, Presidente Vicario del Parlamento Europeo, di Gianni Massa, Vicepresidente del Consiglio Nazionale Ingegneri, e di Massimo Preziuso, coordinatore nazionale di Innovatori Europei.

In occasione della discussione, i rappresentanti di CNI e di IE hanno illustrato all’On. Pittella l’omonimo documento strategico. Si tratta di un progetto che mira a trasformare gli Ordini Professionali in protagonisti della nuova strategia Europe 2020, facendo leva su una rete di circa 250 mila professionisti in Italia, col coordinamento della ancora più ampia Rete delle Professioni Tecniche.

In particolare, i rappresentanti degli ingegneri hanno illustrato il nuovo approccio “smart” alle politiche europee e al nuovo ruolo che si sta disegnando per i professionisti tecnici.

Il nucleo fondamentale del ragionamento strategico risiede nell’animazione delle cosiddette “reti di intelligenza collettiva”, che gli Ordini possono garantire, grazie alla loro radicata presenza nel territorio. Lo scopo è quello di creare una nuova generazione di professionisti europei che sappiano orientare la formazione continua all’ideazione di progetti europei che possano cogliere le nuove opportunità aperte dall’accesso per i professionisti ai fondi comunitari. A questo proposito, gli ingegneri e i professionisti in genere si propongo di svolgere un ruolo di supporto alla Pubblica Amministrazione nella programmazione dei progetti e degli interventi sul territorio.

“Ritengo di estremo interesse l’approccio suggerito dagli ingegneri – ha affermato al termine dell’incontro l’On. Pittella – Le professioni tecniche possono svolgere un ruolo fondamentale nella guida dei processi di trasformazione smart dei territori, ormai indispensabili ed espressamente richiesti dalla nuova programmazione europea dei fondi strutturali”.

“Siamo molto soddisfatti – ha commentato Gianni Massa – di questa importante collaborazione che apre un canale privilegiato tra istituzioni europee e ordini professionali italiani e mediterranei. ”.

“E’ nel favorire il dialogo costruttivo tra reti di professionalità e progettualità italiane e istituzioni europee – ha aggiunto Massimo Preziuso – che si costruisce concretamente il nostro futuro”.

“Win-win situation” per la Cina con l’Europa

scelta di Alberto Forchielli (su Piano Inclinato)

Sappiamo che nella globalizzazione è sbiadito il rigore dell’ideologia, la certezza dell’identità. Il fenomeno ci costringe a una trattativa perenne, dove la forza deve coniugarsi con la capacità di gestione. Quest’ultima è carente sia per l’Europa che per la Cina. Bruxelles è dilaniata da divisioni interne che ne riducono impatto ed efficacia; Pechino è tradizionalmente abituata a negoziare con la sola leva della forza: mostrata, subìta o messa in atto. La recente missione del presidente Xi Jin Ping in Europa ha messo chiaramente in luce questa impasse. Gli accordi commerciali – soprattutto con Germania e Francia – sono stati copiosi e di grande portata.

Non poteva che essere così: Pechino ha bisogno di qualità, l’Europa vuole in cambio valuta, reddito e occupazione. Tuttavia Pechino ambisce a molto di più: un rapporto politico di neutralità imperniata sugli affari, se non proprio di amicizia. Nella piatta scacchiera della globalizzazione, l’Europa può in parte compensare l’ambivalenza delle relazioni con gli Stati Uniti. I rapporti tra Pechino e Washington sono in una fase dove prevalgono le tensioni invece che gli accordi; la Cina è ora più uno strategic competitor piuttosto che uno strategic partner. Per il Dragone le relazioni con l’Europa sviluppata, aperta, prospera ma stagnante sono un eccellente banco di prova per dimostrare l’abilità della sua nuova diplomazia. Erano tre i cardini di una possibile intesa: la rimozione dell’embargo militare, la disponibilità a fornire tecnologia, il riconoscimento dello status di economia di mercato a Pechino.

Questi obiettivi sembrano ora insufficienti e potrebbero squagliarsi in un più vasto accordo commerciale e politico, un vero e proprio Free Trade Agreement. La Cina ne trarrebbe grandi vantaggi: accesso completo ai mercati ricchi, disponibilità di nuove capacità produttive, possibilità di acquisire asset importanti in economie in crisi. Inoltre, motivo forse più importante, troverebbe un partner aggiuntivo e forse concorrenziale agli Stati Uniti. Esistono dunque tutte le premesse per insistere sull’accordo da parte cinese. Tuttavia, all’altra estremità dell’Eurasia, trova un interlocutore instabile, diviso, impotente e forse inesistente. Kissinger si chiedeva chi doveva chiamare per parlare con l’Europa; Pechino si interroga su chi potrebbe rispondere. Nel dubbio, privilegia Berlino a Bruxelles, almeno in Germania si concludono gli affari. Nel frattempo la Commissione Europea dimostra la propria inconsistenza. Tutte le sue minacce a Pechino sono rientrate, l’Europa dei diritti è sacrificata a quella delle merci, si discute sulle parole prima ancora che sui valori, da veri burocrati. Barroso e Van Rompuy sono stati chiarissimi dopo il colloquio con Xi: “L’Europa è d’accordo di procedere verso un trattato (di FTA) nel medio termine. Noi preferiamo andare avanti inizialmente con un accordo sugli investimenti (BIT)”.

Contemporaneamente nell’Eurozona la crisi incalza, la disoccupazione è drammatica, si sente fortissima la necessità di un’iniziativa politica. Aumentano pericolosamente le posizioni anti-euro, il risentimento verso Bruxelles, il rimpianto per le monete nazionali e l’ostracismo alla Cina. Queste posizioni sono retrograde, ma Bruxelles non fa nulla per evitarle. Dovrebbe gestire una situazione complessa; è invece prigioniera delle proprie debolezze: veti incrociati, mancanza di una visione lungimirante, assenza di leader adeguati. Gestire un trattato con la Cina richiede impegno, competenza, condivisione degli obiettivi. Si tratta di dialogare senza svendere il patrimonio ideale e materiale che l’Europa ha accumulato in decenni di prosperità e democrazia. Tutto è invece lasciato alla forza di Pechino rispetto alle necessità spesso egoiste dei singoli stati. Se il bilateralismo con la Commissione arranca, inevitabilmente prevale quello con le Cancellerie del vecchio continente. Alla Commissione Europea non rimane che ripiegarsi e perpetuare l’agonia dei comunicati. Vi abbondano espressioni infruttuose e ripetitive: collaborazione, dialogo, win-win situation, una partita dove se non si negozia con acume sarà la Cina a vincere due volte, anche se è ancora più probabile che le divisioni interne tra i paesi europei creino un invisibile muro di nulla di fatto.

Verso le europee. Un PD più innovativo possibile. Adesso o mai più

Europee-2014di Massimo Preziuso su L’Unità

Per il Partito Democratico è tempo di spingere nel solco di quel cambiamento innovativo invocato da Matteo Renzi, per ora avviato nella comunicazione e nella forma.

Con il declino netto del Partito Socialista francese alle amministrative di ieri, a due mesi da elezioni europee  “costituenti”, fondamentali per il rilancio del Sud Europa, non si può davvero scherzare.

Soprattutto se si pensa che, dopo anni di tentennamenti, il PD a guida Renzi ha deciso di entrare nella famiglia socialista solo qualche settimana fa, dando vita ad una chiara contraddizione politica: quella del giovane premier rinnovatore, formatosi nella Margherita, che aderisce ad una famiglia politica piena di valori sedimentati nel tempo, in alcuni casi meno innovativi e attuali di qualche anno fa.

Una scelta rischiosa, dunque, come si è poi visto con i risultati di ieri. Che si sommano al precedente annuncio del mancato supporto dei laburisti inglesi al candidato socialista alla presidenza della Commissione Europea Schulz.

E allora per ovviare al rischio di una débâcle alle europee, il Partito Democratico ha una sola via possibile: quella di tradurre le speranze di rinnovamento e riformismo riposti nella carica comunicativa e di leadership di Matteo in cambiamenti concreti da qui a maggio.

Tre sono i livelli su cui operare:

– Riforme. Il PD sostenga Renzi a migliorare e approvare quella elettorale e avvii una sostanziosa spending review che dia forza ai consumi italiani, con un aumento dei salari netti degli italiani tutti (non solo i dipendenti!).

– Alleanze elettorali. La sensazione è che il PD non possa più permettersi le alleanze storiche. Fortunatamente, il “Centro Democratico” è andato ad avventurarsi nell’ALDE italiana. Ma è evidente che anche la alleanza con un “SEL” statico e pieno di contraddizioni non regge più. Essa è in forte contrasto con la visione che gli italiani e gli elettori democratici hanno di questo nuovo PD.

– Persone e competenze. Il Partito di Renzi ha finalmente la forza di aprire la porta ai  Talenti italiani presenti nel mondo, che oggi han voglia di “ricostruire” il Paese, disegnando con il governo nuove politiche industriali competitive. Lo può fare a partire dalle nomine delle aziende quotate di cui si discute in questo periodo.  Può non  farlo, riconfermando il molte volte vetusto management attuale, o imponendo figure politiche senza riguardo al merito, dando in quel caso il via ad una slavina. Evidentemente lo stesso ragionamento è applicabile nella scelta dei candidati alle europee.

In conclusione: il PD diventi più “innovativo” possibile. Faccia sua, con fatti netti e svelti, la voglia di cambiamento politico e progettuale presente nel Paese. Attui le prime soluzioni anticrisi. Altrimenti, rimanendo in una sorta di limbo tra visioni socialiste e rinnovamenti annunciati, i suoi risultati elettorali alle europee saranno sicuramente deludenti. Con effetti sulla stabilità del governo, e del Partito, immaginabili.

 

Note sulla Crimea

di Gaetano La Nave
Per precisare qualcosa sulla questione della Crimea rispetto alla disinformazione in corso.
Innanzitutto questa cosa che scrivono i giornalacci di casa nostra che la popolazione della Crimea sia al 90% russa è assolutamente falsa. Ogni in Crimea, che ha meno di 2 milioni di abitanti, solo il 58% della popolazione è di origine etnica russa, ed è il frutto di una costruzione storica. Fino alla Rivoluzione d’Ottobre, infatti, la maggioranza della popolazione della Crimea era costituita dai Tatari (oggi sono una minoranza poco superiore del 12%), i quali per opporsi al processo di sovietizzazione in atto, decisero di proclamare la Repubblica Popolare di Crimea, protesa all’idea di costruire uno Stato autonomo e multietnico.
Ma questa ipotesi venne ben presto stroncata. Infatti, con la seguente Guerra Civile Russa,  la Crimea divenne uno degli avamposti  della resistenza contro l’Armata Rossa. Le carestie durante e successive al conflitto costarono  la morte della metà della popolazione; ed accanto a questo tragico aspetto, si aggiunse poi la politica di pulizia etnica staliniana, in perfetta continuità già con quella zarista iniziata nel ‘700, che si caratterizzò per la deportazione dei Tatari, le fucilazioni di massa di presunti oppositori, e  l’ulteriore russificazione del territorio.
Nel 1954, Krusciov, che era ucraino di nascita, in onore del 300° Anniversario del Trattato di Pereyaslav  decise che la giurisdizione della Crimea, che era divenuto nel frattempo un Oblast (una sorta di provincia), dovesse essere  – anche per prossimità geografica – dell’Ucraina. Questo passaggio non era mai piaciuto all’apparato moscovita. Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Crimea decise di rimanere parte della nuova Ucraina indipendente, ma a causa della pressione del precedente ex-apparato filo sovietico le fu concesso lo status di repubblica autonoma all’interno della nuova Ucraina.
A Mosca, importava principalmente preservare la sua base navale di Sebastopoli, che le garantisce attraverso il Mar Nero e il Mediterraneo, la proiezione globale, e così nel 1997 fu varato un primo accordo per il mantenimento.
Nel 2010 quell’accordo è stato prolungato, i russi potevano mantenere le loro basi fino al 2042, in cambio però concedevano forti sconti (circa il 30%) all’Ucraina per l’acquisto di gas, tali sconti comporterebbero per Mosca una perdita stimata di 40 miliardi di dollari sui propri guadagni, considerata però necessaria per il valore delle proprie basi.
Oggi, in caso che la Crimea fosse annessa alla Russia, o ne diverrebbe Stato vassallo (non si sa con quali garanzie per le minoranze ucraine e tatare superiori complessivamente al 42%), i russi riuscirebbero dunque a preservare le loro basi, ma non garantirebbero più all’Ucraina gli sconti previsti per le indispensabili forniture energetiche, costringendo così Kiev a pagare il prezzo pieno.

La scossa di Prodi al premier: non abbia paura, ora tenti una sortita

Romano Prodi (Epa)Romano Prodi (Epa)

BOLOGNA – Professor Prodi, l’Italia vive uno dei momenti peggiori del dopoguerra. E il sogno europeo appare infranto, con la Germania che vuole farla da padrone. «Non è che vuole: la Germania la fa da padrone. E continua per la sua strada, anche se molti osservatori, tedeschi e non tedeschi, pensano che l’eccessivo surplus renda il rapporto di cambio dell’euro insopportabile per gli altri Paesi. Un surplus minore aiuterebbe l’economia di tutta l’Europa».
L’euro è troppo forte per noi? «Oggi siamo quasi a 1,40 sul dollaro. Fossimo a 1,10, anche 1,20, saremmo in una situazione ben diversa».
L’euro era stato pensato per valere un dollaro? «Più o meno. Ricordo, quand’ero presidente della Commissione europea, gli incontri annuali con il presidente cinese Jiang Zemin. Avevamo dossier alti una spanna, ma a lui interessava solo l’euro. Gli consigliai di comprarne come riserva. All’inizio il valore dell’euro crollò a 0,89 rispetto al dollaro e, quando tornai da Jiang, avevo la coda fra le gambe. Ma lui mi rasserenò subito: “Lei pensa di avermi dato un cattivo consiglio, ma io continuerò a investire in euro. Perché l’euro salirà. E perché non mi piace un mondo con un solo padrone: sono felice che accanto al dollaro ci sia un’altra moneta”. A causa degli errori europei, l’altra moneta accanto al dollaro sta diventando lo yuan. Le divisioni europee ci hanno fatto perdere occasioni enormi. Vai in Medio Oriente e ti senti dire: “Siete il primo esportatore e il primo investitore, ma non contate nulla”. Non c’è un grande problema internazionale in cui l’Europa abbia contato qualcosa».
Alle elezioni del 25 maggio si profila un successo delle forze antieuropee. Può essere una scossa? «Lo sarà senz’altro. Questa del resto è la storia d’Europa. L’Unione ha sempre avuto uno scatto dopo le crisi. La prima volta accadde con la “sedia vuota” di De Gaulle. Oggi la sensazione è ancora più forte perché abbiamo sul collo il fiato della Cina, dove fortunatamente il costo del lavoro continua a crescere. Anche se rimangono ancora grandi differenze nel costo della mano d’opera standard, oggi Unicredit paga i neolaureati di Shanghai come quelli di Milano. Dobbiamo ritrovare una politica europea comune, se vogliamo avere ancora una leadership. Occorre ribaltare la situazione. Nelle svolte del mondo bisogna essere i primi a capirle».
L’Italia si impoverisce. Eppure non c’è rivolta sociale. Perché? «Perché la perdita del lavoro avviene goccia a goccia: infinite gocce che fanno molto più di un fiume, ma non fanno una rivoluzione. È un fenomeno mondiale: la frantumazione della classe media; la jobless society ».
La società senza lavoro. «Si distruggono i lavori di medio livello. Disegnatori. Segretarie. Praticanti degli studi legali. Cassieri. Impiegati delle agenzie di viaggio o degli sportelli bancari e assicurativi. L’altro giorno parlavo con il responsabile di una grande banca. Gli ho chiesto se tra dieci anni i dipendenti saranno più o meno della metà rispetto a oggi. Mi ha risposto che saranno molto meno della metà. Aumenta la disoccupazione diffusa, cui si cerca rimedio con i “minijobs”: spezzoni di lavoro pagati sotto la soglia di sussistenza. Ma quando tagli la fascia media, si distanziano non soltanto i redditi; si distanziano due parti della società. Si salvano solo gli innovatori. Non a caso gli Stati Uniti, patria dell’innovazione, vanno meglio di noi».
Perché proprio l’Italia è il grande malato d’Europa? «Perché non agisce come un Paese unito. I problemi aperti esigono una risposta corale. Invece la società è frammentata. Il governo ha una cronica mancanza di autorità. I sindacati si saltano gli uni con gli altri, sono divisi anche all’interno della stessa organizzazione, e la Confindustria è stata sempre ben contenta di dividerli. Tra sindacato e grandi imprese ci sono tensioni, come alla Fiat, che non si sono viste in nessuno stabilimento europeo. Il problema non è il costo del lavoro: in Spagna è inferiore di appena il 7%; in Germania è superiore di oltre il 50%. Il problema è il modo in cui si lavora. È la paralisi del sistema produttivo. È la mancanza di una politica industriale».
Che valutazione dà del Jobs Act di Renzi? «La direzione è quella buona. Ma bisogna tradurla in decisioni concrete. Devono capirlo tutti: il potere politico, i sindacati, le imprese. In questi anni si sono aperti molti tavoli di concertazione; la frammentazione li ha uccisi tutti».
Voi varaste il pacchetto Treu. «Sì, noi usavamo l’italiano e lo chiamammo pacchetto». Oggi a Palazzo Chigi c’è un suo allievo, Enrico Letta. Quale consiglio gli darebbe? «Di tentare una sortita. Di prendere iniziative anche contestate. Di non avere paura di mettersi in una controversia».
In un articolo sul «Messaggero » lei ha ricordato che il potere pubblico è intervenuto ovunque in difesa dell’industria dell’automobile, dalla Spagna agli Stati Uniti, tranne che in Italia. «È oggettivo che l’affare Fiat si sia concluso senza la voce del governo. E sull’Electrolux c’è stata solo una mediazione a posteriori».
Perché è andato a votare alle primarie del Pd? «Ho deciso il giorno dopo la sentenza della Consulta. Perché ho avuto paura che riemergesse una legge elettorale che rendesse impossibile governare il Paese».
La nuova legge le piace? Cosa pensa dell’attivismo di Renzi? «Non rispondo a questa domanda. Ho sentito il dovere di votare alle primarie come risposta a un’emergenza, non come scelta di tornare alla partecipazione. Il ruolo elettorale è un dovere civico, non significa proporsi o essere disponibili ad accettare una carica. Ho ritenuto che il Pd fosse indispensabile per evitare lo sfascio totale. Dopo di che non ho più preso parte alla politica attiva. Sarei solo di disturbo».
Perché? «Perché ogni azione sarebbe interpretata come appoggio all’uno o all’altro, come un disegno personale per un futuro che non esiste».
Non vuole fare il presidente della Repubblica? «No. Mi pare di averlo già chiarito in più di un’occasione. Il Paese è cambiato. C’è un nuovo mondo. Occorrono persone nuove che lo interpretino. La nuova politica, per linguaggio, contenuto, velocità, supera la mia capacità di comprensione. Non sono un uomo 2.0».
Lei ha raccontato una telefonata con D’Alema, nel giorno dei 101 franchi tiratori, da cui dedusse che sarebbe finita male. Come andò? «Fu anche divertente. Ero in riunione a Bamako, in Mali. C’era un’atmosfera distesa. France Presse scriveva che stavo diventando presidente della Repubblica, tutti i capi di Stato africani mi facevano il pollice alzato. Io rispondevo con il pollice verso, perché sapevo già come sarebbe andata a finire. Avevo fatto le telefonate di dovere. Prima a Marini, poi a D’Alema, che mi disse che certe candidature non si possono fare in modo così improvvisato. Fu allora che chiamai mia moglie Flavia in Italia, per dirle di andare pure alla sua riunione, tanto non sarebbe accaduto nulla. Poi telefonai a Monti, che mi avvisò che non mi avrebbe votato perché ero “divisivo”. Infine telefonai a Napolitano perché ormai era chiaro come sarebbe andata a finire. Anche se mi aspettavo 60 defezioni, non 120: perché furono più di 101».
È stato scritto che lei è in contatto con Grillo e Casaleggio. È vero? «Mai avuto rapporti politici di nessun tipo, salvo quello di spettatore divertito. Grillo venne a trovarmi nell’81 a Nomisma, per discutere gli aspetti economici dei suoi testi. Nel 2007 mi fece un’intervista strumentale a Palazzo Chigi: all’uscita disse che dormivo. Avevo invece risposto a tutte le sue domande, spesso con gli occhi chiusi, come faccio d’abitudine quando penso, e il filmato lo dimostra. Casaleggio è venuto una volta a salutarmi a un convegno pubblico a Milano. Stop».
Come valuta il successo dei Cinque Stelle? «È un movimento di protesta che si manifesta in varie forme in tutti i Paesi europei, tranne che in Germania. La Merkel è stata molto abile ad assorbire il populismo, riassicurando i tedeschi a scapito del resto d’Europa. Anche per questo Italia, Francia e Spagna dovrebbero reagire presentando un programma alternativo nei confronti della Germania. Noi abbiamo gli stessi interessi, ma ognuno pensa di essere più bravo degli altri. Dai consigli europei si esce con le stesse decisioni con cui si è entrati».
La sua immagine pubblica è legata alla bonomia, alla fiducia. È raro trovarla così pessimista. «Io sono pessimista per poter essere ottimista. Il passaggio dal pessimismo all’ottimismo si ha solo attraverso un’azione politica forte e coraggiosa. L’unico fatto positivo di questa crisi drammatica è che sta maturando la consapevolezza dell’emergenza, e della necessità di cambiare. Sempre più ci si rende conto che c’è troppa gente che soffre. Finora la sofferenza arrivava alla Caritas. Ora si è affacciata persino al Forum di Davos. Anche se la finanza ha ripreso a operare come prima».
C’è il rischio di un’altra bolla e di un altro crollo? «Non ci sono state riforme fondamentali nel sistema finanziario. C’è più paura e quindi più consapevolezza ma non ci sono veri strumenti nuovi».
Nella storia italiana recente, e quindi nel declino del Paese, anche lei ha avuto un ruolo. C’è qualche errore che non rifarebbe? «Questa è una domanda inutile. Ci sono sfide che si affrontano sapendo perfettamente che si incontrerà la resistenza e la reazione del sistema, e quindi con buone possibilità di fallimento; eppure sono sfide che affronterei di nuovo».
Faccia un esempio. «La privatizzazione dell’Alfa Romeo. Trattai con Ford perché ritenevo necessario che ci fosse concorrenza. Arrivammo ad un progetto di accordo di grande respiro, però avvertii i negoziatori: se si mette di mezzo la Fiat, salterà tutto, perché si muoveranno i sindacati, le autorità ecclesiastiche, gli enti locali, insomma il Paese. Fu proprio quello che accadde. È vero che la Fiat offrì qualche soldo in più ma, in ogni caso, non vi furono alternative. I negoziatori della Ford conclusero dicendo: “Ci spiace molto; lei però ci aveva detto la verità”».
Le chiedevo di farmi l’esempio di un errore. «È un errore sopravvalutare le proprie forze. Ma penso che oggi l’Italia abbia bisogno di essere messa di fronte alle sue sfide. Per questo parlo di “sortita”. Verrà il momento in cui le sfide non si potranno non affrontare. Se hai un disegno, devi anche rischiare. E io credo di aver rischiato sempre. Non a caso, sia il primo sia il secondo governo Prodi sono stati fatti saltare. Anche se tra le due cadute c’è una bella differenza».
Quale differenza? «Nel 2008 il mio governo è caduto a causa della frammentazione politica e dei personali interessi di alcuni suoi membri ma, in ogni caso, era un cammino faticoso. Nel 1998 il mio primo governo è caduto perché andava bene. Non solo hanno buttato giù un ottimo governo, con Ciampi all’Economia, Andreatta alla Difesa, Napolitano agli Interni, Bersani all’Industria e poi Flick e Treu… Peggio ancora: hanno distrutto l’entusiasmo. E ci vuole più di una vita per ricostruire l’entusiasmo».
Rifarebbe pure il Pd? «Il Pd è l’unico punto di solidità del Paese. Ma se fosse andato avanti l’Ulivo avremmo avuto il Pd già quindici anni fa, e l’Italia non sarebbe sprofondata in questa crisi politica».

Resoconto di Progetti per un’altra Italia in Europa, 30 novembre, Roma

massimo convegnoProgetti per un’altra Italia in Europa

30 novembre 2013, ore 10 – 14

Via Sant’Andrea delle Fratte 16, Roma – Sala delle Conferenze, Partito Democratico

Esperti nazionali ed internazionali provenienti dal mondo accademico, dalle istituzioni, dal mondo delle professioni e dell’impresa, molti giovani in una sala entusiasta ed interessata. Si parlava di progetti per un’altra Italia in Europa, quella che noi Innovatori Europei auspichiamo da anni.

Dopo i saluti istituzionali pervenuti dalla Ministra Bonino, dalla Presidente della Camera Boldrini, dal segretario del Partito Democratico Epifani, dal Vice Ministro Catricalà, dal Vice Presidente vicario del Parlamento Europeo Pittella e un comunicato di supporto e stima all’iniziativa da parte del Sindaco di Roma Marino, il video messaggio del capogruppo alla Camera dei Deputati Speranza ha aperto i lavori.

Massimo Preziuso, presidente IE, ha fatto un veloce excursus sul progetto che, nato nel 2006 quale luogo di elaborazione e di proposta politica progettuale indipendente, sostenendo l’idea della urgenza di fondare un nuovo soggetto politico riformista ed europeista, rimane oggi un movimento autonomo che spazia in Europa e nel mondo.

Gli interventi, grazie agli autorevoli relatori, hanno sottolineato – auspicando nuove direzioni di crescita politica ed economica per l’Italia in Europa e nel mondo in un contesto caratterizzato dalle difficoltà degli Stati Uniti, dalla complessità della crescita cinese ed indiana, delle nuove opportunità del sud est asiatico, e la naturale ma culturalmente difficile convergenza con realtà come la Turchia o il nord Africa – l’urgenza di un rafforzamento della strategia politica ed industriale.

E’ altresì apparso evidente come oggi l’Italia può essere leader nel software e nell’industria ad alto contenuto di intelligenza, e come il progetto IE, calatosi nel vivo della costruzione di reti di collaborazione per la valorizzazione della italianità nel mondo è linfa vitale per il rilancio di un progetto comune a supporto dell’Italia e italianità nel mondo.

E’ stato così facile avviare i lavori alla conclusione, ricordando come IE in alcuni comuni italiani ha già dato il via ad esperienze politiche indipendenti con programmi basati su un nuovo policy making rivolto alla trasformazione delle città intelligenti e della loro governance in ottica progressista. Dai lavori emerge con chiarezza la necessità di un Paese che produca e consumi ricchezza in maniera diffusa e metta in una nuova rete saperi e produzioni in cui città medie e grandi, attorno ad una Capitale intelligente, rimangano protagonisti.

La necessità di dare fiato ad un largo movimento europeo, condiviso con molti dei relatori presenti, in un percorso congiunto tra le diverse realtà europeiste sui temi caldi e più che attuali delle prossime elezioni europee (nel semestre di presidenza italiana in Europa sarà necessario l’avvio della costruzione di una comunità euromediterranea, che includa e renda protagonista il nostro mezzogiorno) ci vedrà protagonisti del rilancio italiano in Europa a partire dalla prossima campagna elettorale .

La costruzione in itinere di una leadership italiana in Europa e nel Mediterraneo passa proprio da una rinnovata capacità di elaborazione di progetti complessi e di lungo periodo. Questo continuerà ad essere il nostro intento ed il nostro impegno.

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