Significativamente Oltre

Europa e Mediterraneo

L’Europa ha bisogno di una “terapia choc” per uscire dalla crisi

Il Piano di investimenti europei (Eur 800 mld nel 2015-2020) per la transizione economica sostenibile del vecchio continente – oggi proposto dal PSE  – sommato al massiccio stimolo monetario avviato da BCE l’ultima chance per invertire una terza lunga stagnazione, che potrebbe essere letale.
Speriamo diventi subito una proposta condivisa.
Gli Innovatori Europei

Oggi, il gruppo S&D ha proposto di creare un nuovo fondo da 400 miliardi all’interno del piano di investimenti per promuovere la crescita e l’occupazione in Europa.

Il piano è stato presentato oggi durante una conferenza stampa a Bruxelles.

Il presidente del gruppo S&D Gianni Pittella ha dichiarato:

“Per la prima volta dopo l’era Barroso, crescita e flessibilità sono seriamente prese in considerazione dalla Commissione. Questo nuovo approccio potrebbe rappresentare l’inizio di una rivoluzione per l’Europa.

“Vogliamo portare avanti una terapia choc. Una terapia choc attraverso l’investimento di nuove risorse fresche (pubbliche e private), nuovi strumenti di investimento europei e finalmente l’azione di una ‘clausola per gli investimenti’ associata al piano di Juncker: il denaro pubblico speso dagli stati membri per determinati progetti europei non deve essere calcolato nel computo del deficit nazionale.

“Non è più tempo di mezze misure. E’ tempo di decisioni coraggiose e sagge. Abbiamo proposto una terapia choc per far partire la ripresa della nostra economia e salvare l’Europa da lotte sociali, populismi e disintegrazione”.

La vicepresidente del gruppo S&D per lo Sviluppo sostenibile, Kathleen van Brempt, dichiara:

“Gli investimenti senza capo né coda non rimetteranno l’Europa in carreggiata. Ciò che importa non è soltanto la quantità degli investimenti, ma dove le risorse saranno investite.

“La transizione verso un’economia sostenibile e basata su un uso efficiente delle risorse è la priorità e la sola strada che abbiamo davanti. Gli investimenti devono essere mirati alla transizione e all’efficienza energetica, all’economia digitale, all’innovazione e alle risorse umane, favorendo così la creazione di nuovi posti di lavoro. L’Europa deve focalizzarsi su progetti che non potrebbero mai svilupparsi senza lo stimolo di investimenti pubblici”.

La vicepresidente del gruppo S&D per gli Affari economici, finanziari e sociali, Maria João Rodrigues, aggiunge:

“Oggi l’Europa si trova dinanzi al rischio di un lungo periodo di bassa crescita e di disoccupazione di massa. Siamo anche di fronte a un deficit di investimenti stimato in 300 miliardi all’anno. Gli Stati membri hanno bisogno di recuperare la flessibilità in modo da essere in grado di investire. Occorre ripristinare sia gli investimenti privati, sia quelli pubblici. I fondi pubblici devono servire come leva per attrarre gli investimenti privati. Forme leggere di sovvenzioni, come ad esempio un prestito senza interessi, potrebbero sbloccare molti progetti importanti che altrimenti non potrebbero permettersi il finanziamento a condizioni puramente commerciali. Gli investimenti europei devono riguardare tutti gli stati membri dell’Ue ed essere rivolti al sostegno delle regioni in crisi”.

La vicepresidente del gruppo S&D per il Bilancio, Isabelle Thomas, ha sottolineato:

“Non sosterremo un ‘finto’ piano di investimenti”. Abbiamo bisogno di denaro fresco. Per questo proponiamo di creare un fondo speciale. Il capitale iniziale sarebbe gradualmente fornito dagli stati membri dell’Ue per raggiungere i 100 miliardi entro entro sei anni. Tali contributi nazionali dovrebbero essere esentati dal calcolo del deficit e del debito pubblico.

“Su questa base, il fondo potrebbe mobilitare ulteriori 300 miliardi messi sul piatto dagli investitori privati. Questa capacità finanziaria pubblica di 400 miliardi potrebbe generare un totale di 500 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati”.

Una reale prospettiva di integrazione per la Turchia è strategicamente importante per l’UE

di Gianni Pittella

Istanbul at nightDopo i colloqui con le autorità turche, con i leader dell’opposizione e i rappresentanti delle minoranze, con le ONG che si occupano di religione e di diritti delle donne, termina oggi la mia visita di tre giorni in Turchia.   L’Unione europea deve offrire alla Turchia una vera e propria prospettiva di integrazione. Non è solo il riconoscimento da parte dell’Unione europea dello status della Turchia come paese candidato all’adesione all’UE che è in gioco, ma anche una visione strategica, economica e geopolitica che non si può ignorare. Qualsiasi problema, singolo o nazionale che sia, non dovrebbe penalizzare questo processo. Solo una vera e propria opzione per l’integrazione europea può portare la vita politica turca verso gli standard europei. E solo una vera e propria opzione per l’integrazione europea può assicurare l’attuazione delle riforme su minoranze, diritti delle donne, libertà religiosa e dei media. Un vero e proprio futuro europeo può anche avere un effetto positivo sui negoziati di pace con i curdi e convincere Ankara ad impegnarsi pienamente nella lotta decisiva contro lo Stato islamico.   Non importa quanto tempo richieda questo processo, una maggiore integrazione europea è nell’interesse dell’Europa e della Turchia. Per questo vogliamo aprire il confronto sui capitoli 23 e 24 dei negoziati di adesione (in materia di giustizia, diritti e libertà fondamentali) e in futuro anche sul capitolo 17 (in materia di politica economica e monetaria).   Inoltre, come Socialisti e Democratici, siamo fermamente convinti che sia giunto il tempo per una soluzione globale al problema di Cipro – secondo il diritto internazionale e per il bene delle popolazioni greco-cipriote e turco-cipriote. Per quanto riguarda la recente disputa sui giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo orientale, ci aspettiamo che la Turchia rispetti la sovranità di Cipro sulle sue acque territoriali. Allo stesso tempo, ci raccomandiamo che le autorità di Cipro si consultino con le controparti turche nelle attività di esplorazione e di sfruttamento per condividere i benefici per tutti i ciprioti.

«Questa Ue non va, ha paura del futuro»

Intervista di Romano Provi ad Avvenire

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Parte da un’immagine Romano Prodi.  Davanti a lui c’è un gruppo di studenti cinesi, uno alza la mano e lo interroga: cos’è l’Europa?  È un laboratorio oppure è un museo? Prodi pesca nella memoria  e risponde oggi come rispose allora: «È il più grande laboratorio politico della storia, ma troppo spesso è incapace di guardare al futuro. È un laboratorio smarrito, timido, timoroso, e il rischio è girare  il volto all’indietro come fosse  un museo». Quando il treno Roma-  Bologna comincia a correre, l’ex presidente della Commissione Ue ci racconta vizi e virtù del Grande Progetto.  Con realismo e con durezza. «È stato  un percorso straordinario. Siamo partiti  con sei Paesi, siamo arrivati a ventotto.  Paesi che hanno unito un pezzo importante  del loro futuro…». Una pausa leggera  precede una nuova riflessione: «… Ora  è come se avessero paura del futuro stesso. Ma la scommessa è andare avanti,
non arretrare».
Ci crede?
Negli ultimi anni non è stato così e non sono  ottimista. L’economia non ha girato e non gira: siamo stati il malato del mondo, siamo cresciuti poco, non abbiamo offerto  lavoro ai giovani, le disparità tra i Paesi  e all’interno dei Paesi sono aumentate. Sì, spesso penso ai giovani, a quei giovani che sono sempre anche nei pensieri del Papa. Vorrei raccontare l’Europa cominciando  con la pace, ma loro vogliono risposte  sul futuro e capiscono di più temi come crescita e solidarietà. In quelle due parole c’è la loro vita.
C’erano quelle parole nel Dna della Ue…
C’era la volontà di far camminare parallelamente  sviluppo e solidarietà nella testa  dei padri fondatori. Ma oggi dov’è la solidarietà se i leader europei dicono che spendere così tanto per il welfare è la condanna  dell’Europa? La difesa del più debole  era tra i principi fondamentali dell’Unione  e oggi? Si sta tradendo un disegno, è un voltafaccia terribile e pericoloso.
È quasi un atto d’accusa?
Serve verità per voltare pagina. Tutti ci vedono  come una società vecchia,  chiusa in se stessa, raggomitolata  sul passato. Ora o  respingiamo questa analisi ma  a me pare terribilmente difficile  – o cominciamo davvero  a riflettere e cerchiamo i rimedi  per trasformare l’Europa in  laboratorio. Se poi lei mi da elementi  per dire che l’Europa  in questo momento è dinamica,  solidale, con un disegno comune,  io cambio giudizio. Ma  lei non può darmi questi elementi  e allora insisto: bisogna riflettere sulle mancanze di oggi per preparare il salto in avanti che ci permetta di fare bene  domani. Se non ci rendiamo conto della  realtà non possiamo nemmeno avere l’urgenza necessaria per vincere egoismi e differenze di interesse.
Crede che la nuova commissione possa imprimere il cambio di passo?
Vedo elementi di conservazione. Tanti, troppi. Quando penso che le politiche più coraggiose vengono prese da un organismo  tecnico come la Bce vuol dire che la politica ha paura di fare fino in fondo il suo mestiere. Molto non va. I falchi del rigore hanno ancora molto potere e non si rendono  conto che proprio il rigore sarebbe una grande virtù se accompagnato da una  condivisione di obiettivi per avanzare verso il futuro. Non è così. E soprattutto non è più il momento di fare i maestrini, di dimostrare che si è meglio dagli altri; è il momento del Progetto e della Solidarietà.
Però il laboratorio è smarrito. E intanto l’Europa dà anche l’impressione di arretrare  sui valori, di non difendere la vita.
Sono 28 Paesi con valori diversi, con sensibilità  diverse: nel complicato Parlamento  trovare linee comuni, convergenti,  sembra una sfida impossibile. Una riflessione  culturale collettiva su questi temi  è ancora più complicata, ma il Papa anche su questo può offrire spunti di riflessione  forti. Richiamare ai valori fondamentali  è decisivo. Non si può pensare  a una condivisione immediata, ma l’Europa ha un disperato bisogno di riflettere,  di interrogarsi, di riscoprire la solidarietà.  C’è bisogno di parole profetiche,  ma anche cariche di concretezza. Per strappare la scena a contrapposizioni  astratte e spostare il dibattito sui destini dell’uomo.

Il Movimento Innovatori Europei propone la creazione nel Mezzogiorno di un “Osservatorio Logistica e Infrastrutture Euro-Mediterranee”. Intervista all’Ing. Massimo Preziuso, fondatore del Movimento

Intervista su NaNotizia

imagesIl 21 giugno scorso presso la sede del Partito Democratico del “Nazareno”, il Movimento Innovatori Europei, fondato e guidato dall’Ingegnere lucano Massimo Preziuso, ha proposto al Pd e al Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi la creazione nel Mezzogiorno di un “Osservatorio Logistica e Infrastrutture Euro-Mediterranee”. La proposta è stata elaborata e redatta in un documento al termine dei lavori dell’annuale convegno organizzato dal Movimento, che quest’anno ha titolo: ”Logistica e Infrastrutture. Il ruolo del Mezzogiorno e il suo contributo all’economia del Paese“.  Per il Movimento: “La Logistica dei Trasporti e le indispensabili Infrastrutture a essa strettamente collegate debbono assolvere lo scopo di rilanciare con forza l’economia del Paese, riconsegnando al Mezzogiorno la sua plurisecolare funzione di collegamento col Mediterraneo ciò che la stessa Unione europea gli attribuisce nell’attuale momento storico”. Per comprendere meglio i contenuti della proposta abbiamo posto alcune domande al fondatore del Movimento, l’Ingegnere Massimo Preziuso.
  • Come verrà strutturato l’Osservatorio?

“Come è noto, L’Osservatorio ha preso l’avvio da incontri con un gruppo di esperti, operatori e accademici operanti nel settore della Logistica e delle Infrastrutture. Le attività da portare avanti saranno suddivise per macrotemi; di conseguenza risultando le problematiche alquanto  complesse, occorrerà  un approccio strutturato e rigoroso”.

  • Se la Vostra proposta sarà accettata, chi ne farà parte attiva?

“Stanno procedendo i lavori avviati formalmente con il convegno del 21 presso il Nazareno mentre la proposta al governo è stata attivata. Il nostro obiettivo è che essa venga dibattuta in una delle date della agenda del semestre italiano e come tale possa quindi proseguire come progettualità istituzionale”.

  • Come verrà finanziato l’Osservatorio?

“Per il momento si procede utilizzando la volontarietà di Innovatori Europei, che riunisce attorno a sé una serie di personalità che guidano Associazioni e primarie realtà di settore. Su come finanziarlo sarà lo stesso Governo a proporlo. A settembre verrà stilata una apposita  tabella di marcia”.

  • Il ruolo del mondo Imprenditoriale e Sindacale?

“Da molti anni ci adoperiamo affinchè il privato sociale diventi un percorso da  attualizzare insieme;  è comunque nostra intenzione, e lo si è visto già nella scelta dei relatori del convegno di giugno, portare il mondo della Impresa e del Sindacato più innovativo al centro di un dibattito sullo sviluppo delle economie reali nei territori italiani e di tutto l’Euro mediterraneo”.

  • Quali sono le iniziative che potrà prendere l’Osservatorio?

“L’Osservatorio è ricco di risorse umane. Al di là delle riflessioni tecniche ed economiche sul tema della infrastrutturazione e logistica euro mediterranea ogni ulteriore decisione scaturirà dall’esame di problematiche  condivise. Ci auguriamo comunque che l’avvio del progetto porti  fattibilità e occupazione”.

  • Il ruolo di Napoli?

“A Napoli esiste da anni un gruppo che collabora alla costruzione delle linee guida nazionali degli Innovatori Europei. L’idea è di sviluppare  una forte iniziativa attorno al tema  “Città – Porto intelligente””.

  • Il governo Renzi accetterà la proposta e la porterà in Europa?

“E’ l’augurio che facciamo a questo Governo perché anche in questo senso dimostri nei  fatti di essere innovativo e al passo coi tempi”.

www.innovatorieuropei.com

Appello “Il tempo delle scelte. Quale statuto per quale città metropolitana di Napoli”

napoli
APPELLO “IL TEMPO DELLE SCELTE. QUALE STATUTO PER QUALE CITTA’ METROPOLITANA DI NAPOLI”
Stiamo per entrare nella fase costituente della Città metropolitana di Napoli.
Il 28 settembre 2014 si procederà alla  elezione del  Consiglio metropolitano – composto da 24 membri eletti dai Sindaci e dai consiglieri comunali della provincia di Napoli – che dovrà approvare lo Statuto della Città metropolitana entro il 31 dicembre  2014  affinché la Città metropolitana di Napoli possa operare compiutamente dal 1° gennaio 2015.
Dunque è maturo il dibattito su cosa debba essere la Città metropolitana di Napoli e quali norme la debbano caratterizzare nel redigendo Statuto.
Come è noto, accanto alle funzioni fondamentali della vecchia Provincia la Città metropolitana di Napoli avrà per legge le seguenti funzioni aggiuntive: – adozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale metropolitano; – pianificazione territoriale generale (strutture di comunicazione, reti di servizi e di  infrastrutture); – promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e digitalizzazione; – strutturazione dei sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici; – mobilità e viabilità; – promozione sviluppo economico e sociale;   – ulteriori funzioni eventualmente delegate da Stato o Regione Campania.
Le Città metropolitane sono poi direttamente coinvolte nell’Agenda urbana nazionale legata alla programmazione dei fondi UE 2014-2020 con il PON Metro che assegna a ciascuna città del Sud una dotazione di 80-100 milioni di Euro per la modernizzazione dei servizi urbani (smart city) e per la inclusione sociale (social innovation).
La questione della delimitazione territoriale della Città metropolitana resta per ora ancorata al territorio della ex Provincia di Napoli, con la possibilità prevista dalla L. n. 56/2014 per altri comuni delle province limitrofe di aderire ex art. 133 Cost. alla Città metropolitana di Napoli. Un orizzonte sul quale dialogare in prospettiva con  le popolazioni di Terra di Lavoro e di Comuni dell’agro nocerino.
Napoli, Città Nuova per definizione (Nea-Polis), con la istituzione della Città metropolitana torna a ri-nascere ancora una volta come una Città Nuova che va ben al di là del vecchio Comune capoluogo,  in qualche modo destinato ad essere superato e trasformato.
Questa fase costituente della Città metropolitana di Napoli non può essere riservata ai soli “addetti ai lavori” ma deve interessare e coinvolgere la intera popolazione.
Solo in tal modo può essere affrontata adeguatamente la sfida decisiva per la grande area metropolitana di Napoli di mettersi al passo delle altre aree metropolitane europee e del mondo, per arrestare il declino e per attrarre investimenti, imprese e visitatori attraverso strumenti di programmazione e pianificazione strategica (all’altezza delle migliori esperienze come quelle di Barcellona, Lione, Monaco, etc.).
Due sono i modelli di governo metropolitano, configurati nella stessa legge Del Rio n. 56/2014:
1. un modello cd. francese imperniato intorno al Comune capoluogo dominante e circondato da una pluralità di comuni minori; il governo metropolitano è qui emanazione dei comuni attraverso una elezione di secondo grado che assegna in ogni caso – per legge – il ruolo di Sindaco metropolitano al Sindaco del comune capoluogo in una sorta di unione ipostatica;
2. un modello cd. inglese caratterizzato da un ente di governo centrale i cui organi sono eletti a suffragio universale dalla popolazione dell’intera area, ove i comuni assicurano i servizi di prossimità e il Comune capoluogo si scinde in una pluralità di comuni minori.
La scelta del modello di governance è assegnata dalla legge allo Statuto della Città metropolitana. Questo è il tempo della decisione, qui ed ora.
Le caratteristiche demografiche della Città metropolitana di Napoli sono del tutto peculiari, unica tra le tre grandi aree metropolitane italiane: il Comune capoluogo conta meno di un terzo della popolazione dell’intera area. Sembra improbabile, anche sotto il profilo semplicemente democratico, che oltre due milioni di persone (che vivono nei comuni della ex Provincia di Napoli) debbano essere governate – per imperio della legge – dal Sindaco del Comune capoluogo eletto per governare i 950mila abitanti della città. Può la Città metropolitana di Napoli affrontare le sue impegnative sfide sulla base solo di una elezione di secondo livello dei suoi organi di governo con ruolo apicale (il Sindaco metropolitano) predeterminato per legge ? La Città metropolitana potrà assumere solo con l’elezione diretta dei suoi organi una forza, una autorità, una dignità propria, in termini di capacità di governo. L’elezione diretta a suffragio universale potrà altresì favorire la costituzione di un sistema di controlli da parte dei cittadini della stessa gestione della Città metropolitana.
L’autorità di governo metropolitano per funzionare necessita di comuni territorialmente “subordinati”, di dimensioni medio-piccoli, tra loro omogenei, per cui risulta da incoraggiare l’idea di uno scorporo del Comune capoluogo in più comuni di minore dimensione. Si tratta di valorizzare una rete urbana policentrica, oltre ogni  Napolicentrismo.
Se è vero che la legge n. 56/2014 sembra favorire  nelle realtà minori la configurazione della Città metropolitana quale ente di secondo livello composto da eletti comunali, un ente leggero caratterizzato da una dimensione amministrativo-gestionale, è altrettanto vero che la stessa legge consente in sede di Statuto di configurare una Città metropolitana più decisamente politica con l’elezione diretta del Sindaco metropolitano e del Consiglio metropolitano al verificarsi di certe condizioni. Significativamente per le sole vere aree metropolitane di Milano, Roma e Napoli (con popolazioni superiori ai tre milioni di abitanti) la legge n. 56/2014 (art. 1, comma 22) rende possibile il modello della elezione diretta in presenza di due sole condizioni: – che lo Statuto della Città metropolitana preveda la costituzione di zone omogenee  per specifiche funzioni e tenendo conto delle specificità territoriali con organismi di coordinamento collegati agli organi della Città metropolitana, senza maggiori oneri per la finanza pubblica; – che il Comune capoluogo abbia realizzato la ripartizione del proprio territorio in zone dotate di autonomia amministrativa.
Dunque, la Città metropolitana di Napoli da disegnare nel redigendo Statuto non può essere una improbabile piramide rovesciata, che faccia perno sul Comune capoluogo e che in sostanza richiama l’esperienza storica del primo Novecento del progressivo incorporamento nella città di Napoli dei diversi comuni  allora limitrofi ed oggi quartieri della città.
Serve, piuttosto, un ente di governo metropolitano dove tutti i cittadini e i territori si considerino di pari dignità e potere, senza che alcuni di loro – addirittura la grande maggioranza di essi – si percepiscano come inferiori e marginali.
Una scelta democratica, di grande significato civile, si impone.
Occorre mobilitare le coscienze con la discussione pubblica per pervenire  nello Statuto ad una scelta avanzata e funzionale alle specificità del caso Napoli: un modello di governance pienamente democratico dove Sindaco e Consiglio metropolitano siano eletti con suffragio universale diretto e dove siano individuate le zone omogenee  con un confronto serrato, ma allargato a soggetti sociali, economici, culturali e soprattutto alle comunità locali coinvolte, utilizzando a tal scopo i numerosi piani e studi proposti in questi anni sul tema, a partire dal PTR della Campania sino alla più recente versione del PTCP.
Nel contempo, ma senza pregiudizialità giuridico-istituzionali, si avvii il dibattito (innanzitutto nella coscienza civile) per il superamento e la trasformazione del Comune capoluogo in 5 Comuni ovvero Municipalità secondo una dimensione demografica di circa 200.000/300.000 abitanti per ciascun nuovo Comune, dimensione corrispondente a quella di ciascuna delle istituende “zone omogenee”. La definizione di tali zone omogenee, dotate di autonomia amministrativa, consentirebbe di corrispondere alla seconda condizione prevista dalla legge 56/2014 per poter procedere all’elezione a suffragio universale del Sindaco metropolitano. In tal modo conseguendo il duplice risultato di avere definito un percorso costitutivo del nuovo ente dentro una vision coerente con gli obiettivi delineati in precedenza come fondanti per le città metropolitane, in particolare per quella di Napoli. In secondo luogo di aver superato quel vulnus attualmente presente nella legge rappresentato da un grave deficit di democrazia e rappresentatività.
La Città metropolitana di Napoli ha bisogno di una sua anima, di una discussione vera, di un grande progetto di partecipazione che includa i corpi sociali ed i portatori di interessi diffusi. La Città metropolitana di Napoli non può essere una città di città, non può continuare ad essere la vecchia Napoli circondata dai 91 comuni della vecchia provincia di Napoli. Deve essere la nuova Città metropolitana, al singolare.
Si apra sollecitamente – a cura del Comune capoluogo o di altri – un portale sulla Città metropolitana che possa costituire in questa decisiva fase costituente un veicolo aperto alla più ampia partecipazione di idee ed interessi.
Vogliamo sperare che le forze politiche tutte vogliano essere protagoniste di scelte qualificate e democratiche per la configurazione della Città metropolitana di Napoli già in occasione della redazione dello Statuto.
Napoli, 11  luglio 2014
Promuove: l’Associazione  “NOI PER NAPOLI”
Aderiscono:
ASSOUTENTI – Direzione Provinciale Napoli, CITTADINANZA ATTIVA in Difesa di Napoli, NAPOLIPUNTOACAPO, PROGETTO NAPOLI, TELEFONO BLU NAPOLI, INNOVATORI EUROPEI NAPOLI, Comitato Civico PORTOSALVO, Comitato Civico CARLO III, Comitato Civico POSILLIPO, Comitato VOMERO ARENELLA (Gruppo Storico)
Per aderire alla iniziativa, scriveteci pure a infoinnovatorieuropei@gmail.com

Pittella: “Aperto uno spiraglio, allarghiamolo: dai principi si passi a scelte concrete”

” E soprattutto ci sarà maggiore elasticità per le risorse destinate alle infrastrutture. Si pensi solo a quanto può valere dal punto di vista della crescita ad esempio cablare tutto il mezzogiorno dove ora le autostrade sono più necessarie del pane.”
 
Intervista a Gianni Pittella – L’Unità
 
«S`è aperta una porta, adesso infiliamoci dentro e allarghiamo lo spazio». Gianni Pittella, presidente ad interim del Parlamento europeo (in attesa che martedì Strasburgo elegga il socialista Martin Schulz) usa questa metafora per spiegare che dal Consiglio europeo sono arrivati segnali importanti, e che adesso toccherà alla nuova legislatura europea che inizia questa settimana in concomitanza con l`avvio del semestre italiano di presidenza della Ue, non farli cadere nel vuoto. Pittella vede due linee di intervento. Quella economica per estendere al massimo il «miglior uso della flessibilità»spostando sulla crescita e la creazione di occupazione le priorità europee. E quella politica per aumentare il tasso di democraticità delle decisioni europee e ridurre la distanza fra cittadini e Ue. Partiamo da qui. 
 
Onorevole Pittella, quindi è una buona scelta quella dei capi di Stato e di governo di indicare Juncker, cioè del candidato più votato alle elezioni del 25 maggio, alla presidenza della Commissione? 
 
«Certamente c`è stata una svolta perché finalmente si dà voce e si rispetta la volontà dei cittadini. I governi hanno compreso che la scelta del presidente della Commissione non poteva non tener conto dell`esito del voto. Sì, è una decisione che ha una grande rilevanza. Forse addirittura storica per la Ue». 
 
Non esagera? 
 
«No, perché è un passo oggettivo verso una maggiore democrazia che ci consentirà di farne altri in questa legislatura». 
 
Quali? 
 
«Penso in particolare nel riconoscere il ruolo del parlamento europeo, cioè dei rappresentanti eletti dai cittadini, in tutte le decisioni di politica economica e finanziaria. Non è più possibile che scelte che incidono così a fondo nella vita delle persone possano essere prese dai governi bypassando il parlamento e non coinvolgendo gli eletti dai cittadini. Parlamentarizzare le scelte economico-finanziarie è democrazia» .
 
Il Consiglio europeo ha promesso anche maggiore flessibilità nei conti. È un passo in avanti anche questo? 
 
«Sì. Non c`è più l`arroccamento sul concetto di austerità e rigore a cui s`è accompagnata la comune consapevolezza, che prima non era così diffusa, che senza misure per la crescita e per l`occupazione non si risanano nemmeno i conti pubblici e si producono effetti negativi su tutta l`economia che penalizzano milioni di europei». 
 
Ma perché non dovrebbe essere solo una svolta lessicale? 
 
«Perché dopo le elezioni europee s`è accresciuto il ruolo del parlamento e del governo italiano. Per usare una sua battuta: Renzi sta cambiando verso anche al percorso europeo». 
 
Cosa fare ora per non lasciare quelle parole sulla carta delle buone intenzioni? 
 
«Far tradurre un principio in misure concrete. Quindi per me “miglior uso della flessibilità” significa che gli Stati membri dell`Unione che fanno riforme, risanano i conti, ammodernano le proprie istituzioni hanno diritto a una maggiore libertà negli investimenti sui settori strategici per lo sviluppo». 
 
Qualche esempio? 
 
«I governi virtuosi dovranno avere la possibilità di investire sulla ricerca, l`istruzione. Potranno pagare i debiti della pubblica amministrazione alle imprese che ora sono con l`acqua alla gola, soprattutto le pmi, e che con quell`ossigeno possono re-investire e creare nuovi posti di lavoro. Potranno avere più spazio sui cofinanziamenti ai fondi strutturali europei. E soprattutto ci sarà maggiore elasticità per le risorse destinate alle infrastrutture. Si pensi solo a quanto può valere dal punto di vista della crescita ad esempio cablare tutto il mezzogiorno dove ora le autostrade sono più necessarie del pane. Insomma ora spetterà alla concertazione fra governi, commissione e parlamento europeo indicare i punti di concreta attuazione di quel principio». 
 
Però l`Italia dovrà fare le riforme. 
 
«È un processo già avviato dal governo italiano, della cui serietà mi pare si siano accorti tutti, perfino la signora Merkel».
 
Non teme che gli ostacoli Renzi li troverà in casa propria? 
 
«Per il ruolo istituzionale che ricopro non voglio esprimere opinioni che possano essere interpretate come fuori dai miei limiti, posso però auspicare che la strada riformatrice del governo italiano sia libera da ogni ostacolo. Del resto questo è quello che hanno chiesto gli italiani». 
 
In che senso? 
 
«Il voto ha dimostrato che c`è un largo apprezzamento per il disegno riformatore di Renzi. Certo quando si cambiano le cose le resistenze si trovano sempre, ma quel percorso ha avuto una benedizione eclatante dagli elettori di cui si sono resi conto anche a livello europeo. Gli 11 milioni di voti del Pd hanno contribuito a salvare il fronte europeista. Un effetto, le assicuro, che non è passato inosservato in Europa e nel Pse dove ho constatato come tutti i leader riconoscano il ruolo e il contributo del Pd e di Renzi». 
 
Quindi è stata indovinata anche la scelta di portare subito il Pd nel Pse? 
 
«Decisiva direi. Renzi e l`Italia non avrebbero potuto fare quella battaglia al Consiglio europeo in maniera isolata. Avere alle spalle la famiglia del socialismo europeo ha pesato e molto».
 
Fonte: L’Unità

Proposta per il Semestre Europeo a guida italiana: Un Osservatorio per la Logistica e le Infrastrutture Mediterranee nel Mezzogiorno italiano

Innovatori-Europei-def

Logistica e Infrastrutture. Il ruolo del Mezzogiorno e il suo contributo all’economia del Paese

Convegno 21 giugno 2014, Sede Nazionale Partito Democratico

   Una proposta per il Semestre Europeo a guida italiana

Un Osservatorio per la Logistica e le Infrastrutture Mediterranee nel Mezzogiorno italiano.

E’ ampiamente dimostrato che la Logistica e le Infrastrutture a essa connesse hanno rappresentato per alcuni Paesi europei un formidabile strumento di difesa contro la crisi economica che ha colpito il mondo.

Chi è stato in grado di captare rilevanti percentuali dei flussi mercantili mediterranei ha potuto godere dei benefici concessi dalle consistenti quote di valore aggiunto derivanti dal trasferimento dei beni dai luoghi di produzione ai consumatori finali, nonché della possibilità di operare su materie prime e semilavorati provenienti da Paesi extraeuropei, accrescendo così la competitività della sua industria di trasformazione.

La rivoluzione trasportistica basata sulla creazione della Rete Ferroviaria Transeuropea, così come auspicato dall’Ue, offre l’ulteriore possibilità di stimolare la crescita sociale ed economica dei territori attraversati dai grandi assi di trasporto. 

Nei prossimi decenni, l’Africa sarà sempre più considerata come un grande mercato in espansione, con tassi di crescita multipli rispetto a quelli europei. Ad essa guardano con rinnovato interesse i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo da Nord e da Est, pronti a utilizzare a proprio vantaggio i ritardi della Nazione che, geograficamente e storicamente, ha per millenni rivestito un ruolo baricentrico nell’interscambio commerciale mediterraneo, l’Italia.

Il nostro Paese si trova oggi di fronte a un bivio:

  • adeguare la propria rete trasportistica alle strategie del mercato globale facendo del suo Sud il principale driver di sviluppo commerciale europeo;
  • proseguire nell’attuale politica di rigore e marginalizzazione del Mezzogiorno, con il rischio di accentuare prevedibili tensioni sociali e politiche.

Una Politica che decida di imboccare la prima strada deve farlo con convinzione, chiarezza di obiettivi e in conformità a considerazioni metodologiche indiscutibili. Ciò si traduce nell’attivare una forte competizione con altri Paesi europei all’interno di un settore in rapida crescita, come quello della Logistica, e nel ricercare nuove e solide alleanze con chi mostra di volere accrescere il proprio peso nella gestione dei grandi flussi commerciali internazionali.

Il movimento associativo Innovatori europei, da sempre attento osservatore dei grandi fenomeni indotti dalla globalizzazione e delle sue conseguenze economiche, ha organizzato il Convegno del 21 Giugno scorso presso la sede nazionale del Partito Democratico al fine di raccogliere attorno a sé le tante voci del mondo scientifico italiano convinte dell’urgenza di avviare un epocale programma di sviluppo fondato sulle evidenze precedentemente accennate.

Un Governo che vuole realmente cambiare l’Italia non può non affrontare con determinazione questo audace viaggio verso il futuro, mostrando all’intero Paese di considerare il Mezzogiorno non più come l’inerte beneficiario di provvidenze fondate su criteri clientelari, ma come parte integrante del territorio nazionale, organica allo sviluppo di una nuova Italia.

La possibilità di porre fine a questa lunga fase di stagnazione dell’economia italiana, affrontando nel contempo con decisione il secolare tema della Questione Meridionale, rappresenta un’occasione irripetibile nella storia dell’Italia.

Né il reperimento delle risorse economiche e delle conoscenze tecniche e scientifiche indispensabili ad avviare questo grande progetto rappresenta un ostacolo insormontabile, come è stato dimostrato durante il Convegno.

La Logistica può rappresentare per l’Italia quello che il petrolio è stato ed è ancora per i Paesi arabi.

L’obiettivo principale resta quello di rendere vincente l’intero Paese, non di dare solo qualche chance in più solo ad una sua parte, per quanto importante possa considerarsi. Aspettiamo il potenziamento dell’Arco Ligure e del Veneto-Friulano consapevoli  che ciò, da solo, non potrà apportare una cambiamento radicale dei flussi mercantili  del Mediterraneo. Né una diversificazione dei ruoli degli scali italiani – a Nord i gateway e a Sud il transhipment – rappresenta una soluzione accettabile: il transhipment europeo non è in grado di competere alla pari con i porti africani, per ovvii motivi di costi ed economia.

A tal fine gli Innovatori Europei, movimento unitario che riunisce organizzazioni rappresentative nei settori interessati, si propongono quale collettore delle grandi risorse tecnico-scientifiche del Paese, al fine di coordinare un istituendo Osservatorio per la Logistica e le Infrastrutture Mediterranee in grado di approfondire e dettagliare – secondo le precise indicazioni del Governo – gli argomenti emersi in quella manifestazione.

Si propone dunque al Presidente del Consiglio Matteo Renzi di inserire tale iniziativa nell’agenda del semestre europeo a guida italiana. La svolta europea che le forze politiche italiane più responsabili auspicano è subordinata alla individuazione per il nostro Paese di un ruolo da protagonista. Solo così l’Italia si potrà proporre quale forza progressista e visionaria capace di riattivare ripresa, occupazione, opportunità, competenze, tecnologie in una nuova era della conoscenza.

Roma, 28 giugno 2014

Gli Innovatori Europei

Allegato: Osservatorio Logistica e Infrastrutture Mediterranee (PDF)

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