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Energia e Ambiente

Innovatori europei: per il Sud una nuova fase da protagonista?

sud

Articolo pubblicato sul sito del Partito Democratico

L’associazione Innovatori europei ha organizzato per il 21 Giugno al Nazareno, presso la sala delle conferenze della sede nazionale PD a Roma un convegno fortemente caratterizzato fin dal titolo: “Logistica e Infrastrutture. Il ruolo del Mezzogiorno e il suo contributo all’economia del paese”, con uno sviluppo degli interventi che vuole dimostrare come la ripresa dell’Italia sia pura illusione se non si attribuisce, una volta per tutte, al Sud un nuovo ruolo: non più inerte beneficiario di provvidenze utili a consolidare rapporti clientelari ma parte orgogliosamente e consapevolmente integrata nel territorio nazionale, organica allo sviluppo dell’intero paese.

Certo, non è una tesi completamente nuova, ma è la prima volta – da quanto ci risulta – che il tema è trattato in maniera così approfondita.

La scaletta degli interventi è infatti estremamente ricca, tanto da costringere gli organizzatori a dividere l’evento in due sessioni, una più tecnica e politica al mattino e una al pomeriggio che si propone di mostrare come il mondo si muove così rapidamente da non lasciare scampo a chi non accetta le sfide del nuovo mondo globalizzato.

Ed è proprio qui che si tocca di nuovo con mano lo “spirito del cambiamento” in atto nel paese: come affermano gli Innovatori europei, appena è iniziata a circolare la voce che si stava organizzando al Nazareno un convegno su questo tema, sono arrivate da ogni parte d’Italia tantissime richieste per poter assistere o anche per dare il proprio contributo al successo della manifestazione.

È segno che sta per iniziare una nuova fase? O che forse è già iniziata?

Fonte, Europa Quotidiano

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Programma del convegno: Logistica e Infrastrutture. Il ruolo del Mezzogiorno e il suo contributo all’economia del Paese

Un centro di ricerca euromediterraneo sulle tecnologie e risorse energetiche del futuro. In Basilicata

di Massimo Preziuso (su L’Unità)turbina

La Lucania è terra di risorse naturali preziose, che la dovrebbero rendere tra le più ricche di Italia.

Eppure, da sempre, e ancora oggi, le statistiche economiche dicono incredibilmente il contrario.

Secondo dati pubblicati dalla Banca di Italia, la regione Basilicata risulta sempre più arretrata nel contesto nazionale. PIL 2012 al -3% , disoccupazione attorno al 15% e accentuata caduta della produzione industriale, del 9,5% rispetto al 2011.

Senza una forte presenza di piccola e media impresa diffusa, capace di competere sui mercati internazionali (anche e soprattutto per carenza di infrastrutture), la Regione in questi anni è sopravvissuta al tornado della crisi soprattutto grazie alle imponenti attività estrattive di petrolio e gas. Le compagnie petrolifere infatti estraggono enorme ricchezza dal territorio in cambio delle cosiddette “royalties” compensative.

Con risorse davvero ingenti – solo 2011  erano pari a 120 milioni di euro (di cui 100 milioni destinati all’ente Regione) – al netto di alcune interessanti ed iniziative in ambiti “nuovi” per la Basilicata (come il cinema, la cultura), non si è riusciti finora a disegnare alcun vero cammino di sviluppo sistemico. A livello regionale le royalties sono infatti servite al finanziamento di voci di bilancio (università, sanità), al finanziamento di “buoni benzina” (!), mentre a livello locale al più all’avvio di piccoli progetti occupazionali.

E proprio nei giorni scorsi l’Unione Europea certifica la retrocessione della Regione Basilicata, che torna tra le regioni “Ex – Obiettivo 1”.

E allora, passati vari anni dall’inizio di questo ciclo estrattivo intensivo – che non durerà all’infinito e che impatterà pesantemente l’ambiente – in tanti  si chiedono se e come esso potrà ancora determinare un impatto positivo sullo sviluppo di lungo periodo della Regione.

E’ evidente infatti che la rendita assicurata da risorse naturali – postulata nella staple theory – non è un fenomeno naturale, soprattutto in una Regione povera e piccola come la Basilicata, carente di un sistema di imprese diffuso.

Ed è proprio quella – l’imprenditorialità diffusa – la condizione necessaria allo sviluppo territoriale legato allo sfruttamento di risorse naturali, come quelle petrolifere. L’impresa quale moltiplicatore di sviluppo.

Ma è anche evidente che – per essere competitive e quindi insediarsi – le imprese necessitano di un milieu adatto.

Ebbene, oggi ci sono proprio tutte le condizioni al contorno per crearlo questo contesto “imprenditivo”:

– La Strategia Energetica Nazionale pone su un piano di forte centralità la Basilicata nel futuro dello sviluppo energetico ed economico del Paese.

Si parla infatti della realizzazione di un hub energetico dell’euro mediterraneo e si indica nella Basilicata il baricentro di una piattaforma di servizi di alto livello nel settore della distribuzione, attraverso imponenti attività di stoccaggio e lo sviluppo di una rete “smart” su scala europea e mediterranea.

– Il memorandum Stato – Regione sul petrolio lucano approvato nel mese scorso continua ad andare in questo senso, anche se va assolutamente “rinforzato” nella qualità e nella quantità della progettualità ipotizzata, ed equilibrato nella sua visione “centralistica” di governance di risorse che sono “locali”.

– La prossima programmazione dei fondi europei 2014-2020 prevede la necessità di un approccio “strategico” e di “originale” allo sviluppo delle regioni in ritardo di sviluppo.

Dunque, se al futuro davvero si vuole arrivare, e non ci si vuole ritrovare invece con un territorio semplicemente depauperato di risorse naturali e di ricchezza ambientale, è bene cominciare a parlare di una strategia di sviluppo, che sia “sostenibile” sia da un punto ambientale che da un punto di vista economico, che sia “strategico”, e che sia “originale”.

E’ per questo necessario partire dalla messa a rete del sistema dei saperi universitari e dell’industria energetica attorno allo sviluppo di un distretto delle tecnologie e risorse energetiche del futuro. Un progetto che veda protagonisti per primi i colossi petroliferi “lucani”– ENI, TOTAL e SHELL – e la Regione Basilicata, insieme nel promuovere un nuovo utilizzo delle royalties petrolifere nel rapido disegno e successiva implementazione di una strategia che guardi al futuro.

Un progetto, questo, di chiara valenza internazionale, in quanto centrale per lo sviluppo delle politiche energetiche dell’area euro – mediterranea, che quindi deve vedere coinvolta la Commissione Europea e i fondi strutturali 2014-20, oltre alle risorse derivanti dall’estrazione petrolifera.

Di un polo energetico internazionale si parla da tempo nel documento Strategia Regionale per la Ricerca, l’Innovazione e la Società dell’Informazione della Regione Basilicata. 

E la realizzazione di un distretto dell’energia è presente tra i progetti presenti nel “Memorandum petrolifero” tra Stato e Regione da poco pubblicato in Gazzetta ufficiale.

La Basilicata può oggi ambire a diventare il principale hub di ricerca e sviluppo di base e applicata (all’impresa) nei settori della manifattura legata all’energia del futuro (rinnovabile e fossile).

E così porsi come attrattore di nuove imprese, investimenti e professionalità internazionali.

Questa è la Lucania che si deve osare ad immaginare da adesso. Ed oggi ci sono proprio tutte le condizioni politiche al contorno per farlo.

R-Innovamenti italiani

 

di Massimo Preziuso (su L’Unità)

Ero tra quelli che nel 2009 – quando sembrava che l’Italia avrebbe pagato di meno la crisi “americana” di quanto stavano andando a pagare paesi ad economia più finanziaria della nostra – dicevano che il rischio era invece che il Belpaese avrebbe scontato come gli altri quell’anno e poi addirittura vissuto  – insieme a pochi compagni di sventura – una ricaduta di febbre, entrando nella cosiddetta “crisi a doppia V”.

Ebbene, il 2012 – dopo un 2009 disastroso e un 2010-2011 di bassissima crescita – sta nei fatti avverando quel pensiero, con una recessione seria in atto e in aumento.

Improvvisamente oggi è chiaro un po’ a tutti che siamo arrivati a quell’anno zero italiano, che in tanti pensavano fosse già passato qualche anno fa, ma che invece arriva solo nel 2012.

E in tutto questo la politica di puro rigore finora attuata dal Governo Monti non aiuta affatto, andando semplicemente ad indebolire un tessuto socio – economico già fortemente lacerato.

Laddove le varie riforme attuate o in via di discussione siano – nella teoria – in gran parte condivisibili, esse risultano incomprensibili per questioni di “contesto” in cui vanno a essere imposte ai cittadini.

Ancora di più se si pensa alla contestuale assenza di politiche redistributive e di azioni di sviluppo, uniche vere leve di rilancio di un Paese immobilizzato.

Tranne virate primaverili, l’attuale esecutivo sarà servito fondamentalmente per renderci  conto di quanto urgente fosse, in Italia, ripartire – da zero – con energie nuove e progetti di innovazione, che nascono solo dal ritorno di una politica più autorevole, rispettosa degli elettori e dei territori, mancata per troppi anni.

Il Paese è oggi nei fatti paralizzato su tutto. Si deve ora tutti insieme rimboccarsi le maniche e lavorare per una vigorosa ripartenza, come fu nel secondo dopo guerra. Le elezioni del 2013 devono essere l’inizio di tutto questo.

Sono stati davvero  tanti i cambiamenti radicali che questa globalizzazione accelerata di un tratto ci ha sbattuto davanti agli occhi. In primo, quello di aver trasformato l’Italia da potenza globale in attore di secondo livello. Già questo fatto da solo manderebbe in crisi una popolazione. Figuriamoci allora quanto ci si possa sentire smarriti ad essere italiani nel 2012.

E’ da questo smarrimento che dobbiamo uscire rapidamente per poter ripartire. Per farlo il Paese deve affidarsi a nuovi talenti e nuove progettualità, che – aldilà della tanta retorica che circola da tempo sul tema – nei fatti ancora oggi (il sottoscritto lo diceva già nel 2006) rimangono confinati nella testa dei Giovani e delle Donne, prima che in altri luoghi.

Il tempo per ripartire è pochissimo, ma sento che noi italiani ancora una volta (ci) imporremo un cambiamento epocale che non è più possibile posticipare, proprio perché – restando fermi ancora – tutto continuerà rovinosamente a crollare.

Apro dunque questo spazio di discussione per dire la mia sui tanti “R-innovamenti” di cui credo questo Paese abbia urgentemente bisogno,  e che già in molti stanno provando a mettere in campo nei territori e in alcuni settori dell’economia e della società.

Mi occuperò principalmente di quei  temi che ritengo da sempre prioritari per il nostro Paese, come appunto quello generazionale e di genere, quello del merito nella società italiana, dell’Europa dei popoli, delle nuove tecnologie e del loro impatto su una società cambiata, di una nuova politica energetica e industriale sostenibile, della necessaria centralità del Mezzogiorno nel progetto Euro – Mediterraneo e – last but not least – dunque dell’esigenza di una rinascita della Politica in Italia.

 

G8 GROUP SUL CLIMATE CHANGE

Interim Report sul Climate Change di “G8 Research Group-Oxford” (dal Gruppo Energia e Ambiente)
Dato che faccio parte del Team di Ricerca, quale coordinatore per l’Italia, mi fa piacere presentarvi questo documento, appena pubblicato.
E’ una analisi critica delle politiche dei Paesi del G8 sul problema del Climate Change, in risposta agli obiettivi concordati nel Summit di Giugno 2007 ad Heiligendamm-Germania.
Visto che questo Gruppo di Innovatori Europei nasce attorno a questa sfida, spero che questo lavoro vi interesserà, essendo un documento di approfondimento sul Tema.
A Giugno, prima del G8 in Giappone, pubblicheremo il Report finale.
Ecco il Link in cui è stato pubblicato.
http://www.g8.utoronto.ca/oxford/g8rg-ox-interim-2007.pdf
Grazie.
Massimo Preziuso

USA: OK ENERGIE RINNOVABILI

Da Corriere.it
La nuova politica energetica americana, già approvata dal Senato, accantona il petrolio e passa attraverso quote e super imposte

WASHINGTON (USA) – Il Congresso cambia la politica energetica degli Stati Uniti. Quote obbligatorie di fonti rinnovabili, nuove imposte per i colossi del petrolio: le scelte della maggioranza democratica non piacciono alla Casa Bianca, malgrado il presidente Bush abbia già aperto da qualche tempo alle energie alternativa, perché penalizzano eccessivamente – con tasse considerate eccessive – i gruppi che producono idrocarburi.
VOTAZIONE COMBATTUTA – E’ stata una notte intensa per i deputati della Camera dei Rappresentanti. Alla fine la proposta dei democratici è passata con 241 voti a favore e 172 contrari. Il «pacchetto» di misure impone alle società produttrici di elettricità di ricorrere per almeno il 15 per cento a fonti di energia alternative come il vento e i biocarburanti. Più tardi è arrivato anche il via libera a nuove tasse a carico dei produttori di petrolio, per 16 miliardi di dollari. Il voto della Camera dei rappresentanti è un voto particolarmente: i progetti di legge erano già stati approvati dal Senato nel giugno scorso.
CRITICHE – Il progetto di legge sulle rinnovabili ha suscitato critiche diffuse nel mondo degli affari e da parte di alcune aziende produttrici di energia. Le nuove misure – sostengono – rischiano di determinare un aumento dei prezzi dell’elettricità nelle regioni dove l’eolico ha scarse possibilità di sviluppo. Favorevoli al progetto di legge, invece, gli ambientalisti. Gli obblighi introdotti dal Congresso – sottolineano – favoriranno gli investimenti nel settore delle rinnovabili, e contribuiranno così alla lotta contro i mutamenti climatici.
ALTA EFFICIENZA – Tra le misure varate figurano anche incentivi alle città e alle regioni che riducano i consumi, nonché alla costruzione di edifici ad alta efficienza energetica. Secondo Nancy Pelosi, speaker democratica della Camera, l’impegno sul fronte delle rinnovabili è decisivo per ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dagli idrocarburi. Allo stesso tempo, le nuove norme consentirebbero di lottare contro il riscaldamento globale del clima. «Sono in gioco i nostri bambini, il nostro futuro, il mondo nel quale vivono», ha detto Pelosi. Umori differenti tra i repubblicani, minoranza al Congresso. E la Casa Bianca resta critica: il testo varato dalla Camera non farebbe «alcun serio tentativo di aumentare la sicurezza energetica o di ridurre i costi dell’energia». Inoltre, penalizzerebbe la produzione nazionale di gas e petrolio. A suscitare perplessità nel Great Old Party, è soprattutto una crescita della pressione fiscale per le major degli idrocarburi. «Non riesco a comprendere tanto veleno nei confronti dell’industria del gas e del petrolio», ha dichiarato il deputato Ralph Hall. Ora non resta che aspettare le mosse di Bush: secondo alcuni esponenti del suo partito il presidente potrebbe anche porre il veto.

IL FUTURO DELL’EUROPA

di LAURA TUSSI
“Quanto scommetteresti sull’Europa di Prodi?” è stato l’argomento dell’incontro in programma presso la Casa della Cultura di Milano. L’evento è stato organizzato in occasione della presentazione ufficiale di IDEURA, associazione politico-culturale milanese che, attraverso testimonianze come questo incontro, intende avvicinare i giovani al dibattito civile e politico. I relatori dell’incontro, che hanno dato vita ad un dibattito con il pubblico in sala, sono stati Massimo Cacciari, Preside della Facoltà di Filosofia dell’Università S. Raffaele e Sindaco di Venezia, e Lapo Pistelli, parlamentare e responsabile del dipartimento esteri di DL-La Margherita. La tavola rotonda è stata moderata da Alessandro Alfieri, coordinatore dell’Osservatorio sull’Internazionalizzazione della Pa presso l’Ispi. Sono stati oggetto di discussione della serata i temi del Patto di stabilità e del progetto di Costituzione europea visti nell’ambito del manifesto di Romano Prodi, “Europa: il sogno, le scelte”.
L’appuntamento rappresenta la prima tappa di un ciclo di incontri programmato da Ideura in cui si tratterà di temi attuali, con particolare riferimento alla realtà economica e sociale europea senza perdere però di vista la dimensione locale dell’associazione, che opera nell’area metropolitana milanese.

L’opinione pubblica e la Convenzione

Un disastro si misura su cosa è disastrato: occorrerebbe riprendere la riflessione relativa a cos’era la Convenzione in Europa, quali erano gli effettivi contenuti e il suo obiettivo valore, al di là delle posizioni e delle pretese delle forze politiche in campo, dei vari governi. Se ci fosse stato un grande movimento di opinione pubblica, come vi era stato in Italia, quando l’Ulivo partì con l’obiettivo principale della moneta unica, se vi fosse stata un’effettiva adesione dell’opinione pubblica europea, convinta e partecipata ai contenuti della Convenzione, avrebbero fatto molta più fatica a farla fallire.
Non c’è stato alcun movimento di opinione pubblica europea per questo fallimento, che abbia compreso l’importanza di questa scadenza, di questo appuntamento. Perché? Tale circostanza ha a che fare con il contenuto della convenzione. L’Europa attualmente si presenta profondamente divisa su questioni politiche generali ed essenziali di grande spessore geopolitico. L’accordo non è stato trovato sul sistema elettorale, perché tutti i diversi paesi non hanno alcuna unità strategica sul futuro dell’Europa. Le divisioni, dunque, sono politiche, non relative al sistema elettorale, ma riguardanti le questioni culturali e strategiche e quindi politiche, per cui si può essere d’accordo perfettamente. Il problema consiste nel fatto che i paesi non sono concordi per niente sulle grandi questioni strategiche. I paesi europei non sono divisi sul sistema elettorale, ma sul cosa è o su cosa dovrà essere l’Europa, circa l’identità europea, cose di cui non si discute e di cui non vi era la minima traccia del testo della convenzione.
Culturalmente la questione dell’identità e delle radici cristiane è nient’altro che un sintomo, una spia della volontà dei “padri” costituenti di non affrontare la questione delle questioni, ossia l’identità europea. Non l’identità intesa come la storia e il passato, ma la progettualità futura. L’Europa non sa ancora cosa essere nei confronti di una cultura politica sempre più evidente ed esplicitamente filoamericana che va molto oltre anche rispetto all’attuale amministrazione che intende “globalizzazione” nel senso di una omologazione universale e planetaria, dominata dal pensiero unico e dalla new economy, nei confronti della sfida potente della cultura politica americana, ad ogni visione geopolitica intesa in senso policentrico e poliarchico. L’Europa non sa come collocarsi di fronte a questa posizione, o meglio, l’Europa di fronte a tale posizione si collocherà in modo drammaticamente contradditorio.
Quei paesi mediterranei che tradizionalmente avevano assunto sempre una posizione atlantica, consapevoli del proprio ruolo nei confronti dei problemi mediorientali, quindi in una posizione atlantica estremamente dialettica (Andreotti e Craxi) proprio questi paesi sono stati i più filoatlantici in modo assolutamente passivo e suddito, cioè con un ribaltamento di quelli che erano gli equilibri e le dinamiche politiche europee. Per non parlare delle contraddizioni drammatiche in seno ai paesi europei per quanto riguarda quella che forse è la riforma più urgente, se vogliamo pensare ad un mondo veramente policentrico e a superare ineguaglianze ormai denunciate da tutti come intollerabili, se si prolungano ancora nel futuro, e cioè la riforma dell’organizzazione mondiale del commercio. Anche rispetto a questo si notano le posizioni neoprofessionistiche, peggiori di quelle americane che condannano di nuovo l’Europa a rimanere una provincia atlantica e altre posizioni invece che spingono per un ruolo attivo e positivo europeo verso la riforma in senso policentrico e poliarchico dei grandi organismi sovranazionali: l’organizzazione mondiale del commercio, il fondo monetario, la banca mondiale ecc…
Queste drammatiche divisioni su un terreno strategico e vero, privo di ingegnerie istituzionali o massimalismi giuridici, evidenziano questa Europa, sia come un affare di giuristi, di costituzionalisti, di amministrativisti: l’Europa è un affare culturale e politico.
Berlusconi è stato la punta di diamante che ha diviso i paesi europei, per primo, sulla questione della guerra. La nuova destra americana, l’amministrazione Bush, la volontà che l’unità politica europea non venga attuata: tutto questo è nascosto, è la loro strategia. Non hanno una visione geopolitica in senso poliarchico e Berlusconi è l’uomo agente, all’interno dell’Europa, per questa strategia. Berlusconi è palesemente il loro agente in Europa: lo hanno dichiarato attraverso cerimonie pubbliche. Questo risultato è stato perfettamente ottenuto. Il semestre europeo italiano non è stato affatto un fallimento, o meglio, è stato un fallimento per l’Italia e gli italiani, ma non per l’azienda del cavaliere. La politica di Bush ha forse rimpianto la mancata occasione del voto per la costituzione europea? E’ il risultato di una sua strategia non essere giunto a quel punto. Allora ha senso e peso la nostra critica?
E’ vero la sua strategia ha trionfato perché è la sua tattica che non vuole l’unità politica europea. Soltanto che almeno Bush ha la serietà e la responsabilità di dichiararlo apertamente.

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