Significativamente Oltre

elezioni

Pd e Pdl : la doppia verità dei titoli cubitali che li riguardano (di Pierluigi Sorti)

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Sarebbe interessante conoscere il rapporto di corrispondenza fra le molte notizie vistosamente evidenziate sui quotidiani a caratteri cubitali, e il contenuto dell’ articolo di dettaglio che ne illustra il contenuto.

Accade spesso infatti che la lettura attenta di esso ne limiti la portata, ne modifichi o addirittura ne contraddica il significato.

Viene spontaneo di conseguenza chiedersi se l’ emotività del titolo induce a considerarlo esso stesso aprioristicamente veritiero, a dispetto delle indicazioni a supporto,  o addirittura, quando esso è fonte di letizia per il lettore, a trascurarne la lettura.

E’ legittimo sospettare addirittura che forse gli editori stessi approfittino di questa attitudine dei lettori dei quotidiani stessi ( per tacere di molti periodici di notizie mondane ) usino questa emotività per giocare quindi sui due piani paralleli del sensazionalismo e della verità dei fatti : una

applicazione casereccia della “teoria della doppia verità” del grande filosofo e scienziato Averroè(spagnolo mussulmano del dodicesimo secolo ).

Induce a queste riflessioni la sequenza di titoli che hanno segnato due tormentoni che hanno egemonizzato la politica interna di questi giorni , sia sul fronte della maggioranza governativa sia su quello dell’ opposizione e specificamente del Pd.

Sul piano governativo, a cadenza quotidiana, lo sforzo titanico del Premier per aggiudicarsi una maggioranza parlamentare al netto del Fli , acronimo curioso del movimento di Gianfranco Fini

 di “Futuro e Libertà” , registra un flop giornalistico, consumato in due giornate, su pressoché tutte le testate, e nitido esempio di giornalismo emotivo: l’ ascesa e la caduta, in così breve lasso di tempo,  della ipotesi politica dei venti deputati del “gruppo di responsabilità nazionale” .

 Eppure sarebbe bastato il tono sommesso della dichiarazione dell’ on. Nucara, rappresentante di questo gruppo, e l’ evidenza della sua solitaria apparizione alle telecamere,  per tarare significativamente la portata dell’ evento  e suggerirne una doverosa cautela nella diffusione della notizia. .

Parimenti lo spreco di titoli cubitali, sempre negli ultimissimi giorni, per annunciare l’ intenzione di Valter Veltroni di  costituire un gruppo parlamentare distinto da quello del Pd, poteva tranquillamente essere ricondotto a schermaglie interne al partito finalizzate unicamente alla predisposizione tattica delle dirigenze di Partito per  l’ eventuale imminente anticipazione elettorale.

Cioè partecipazione alla scelta delle candidature, e il loro posizionamento nell’ ordine delle liste elettorali.

E’ Bossi il vero nemico mortale di Berlusconi

E’ Bossi il vero nemico mortale di Berlusconi

di Rocco Pellegrini

Il rapporto tra Bossi e Berlusconi è sempre stato un classico matrimonio d’interesse. Ciascuno dei due coniugi e le loro multiformi corti ci hanno sempre raccontato la favola del grande rispetto, della grande stima, del valore strategico innovativo ma i cittadini italiani ben sanno che questi due “amanti”, in realtà, perseguono interessi diversi, qui e li convergenti, ma sostanzialmente divaricati. Il papi ed il suo partito azienda stanno facendo il sacco dell’Italia, accaparrandosi tutto quello che possono mentre il bel paese deperisce e soffre, l’uomo delle caverne vuole semplicemente “liberare il Nord” , cioè separare la contabilità e la raccolta del risorse onde a ciascuno spetti il suo. Berlusconi ritiene Bossi un prezzo da pagare per realizzare il suo piano e viceversa. Questa è la realtà le altre essendo chiacchiere di bar. E’ evidente che una simile intesa dipende molto dalla salute di ciascuno dei contraenti, dalla “potenza” che ognuno esprime qui ed ora. Come in natura la debolezza di un animale lo espone all’aggressione dei predatori così in questo “bel rapporto” l’idillio dipende dai rapporti di forza. Si da il caso che il papi sia un pò indebolito: l’uomo del “fare” appare un pò cagionevole, con la febbre alta.
E’ saltato il rapporto con Fini. Berlusconi ogni volta che ha vinto le elezioni, il buon risultato ottenuto è stato sempre il frutto di un lavoro di aggregazione perché il partito azienda (Forza Italia) è sempre oscillata tra il 20 ed il 25%. Si tratta, come è evidente, di un partito forte ma non capace, da solo, di arrivare al potere. I tanti coriferi del potere carismatico ci descrivono un papi che calamita i voti, che ammalia i cuori, che incanta i votanti quasi fosse il pifferaio magico o il mago Merlino ma questa è propaganda anche un pò dozzinale e di cattivo gusto. Berlusconi ama presentarsi come un non politico, come un “imprenditore prestato alla politica” ma, al contrario, è sempre stato un vero politico capace di aggregare, di mettere insieme forze diverse: quando ha vinto è sempre stato così. Fin dal suo debutto, quando “sdoganò” il Movimento Sociale Italiano escluso fino a quel momento da qualsiasi gioco di governo, dimostrò queste virtù politiche essenziali per arrivare a quantità spendibili per il governo del paese.
La rottura con Fini lo indebolisce moltissimo e gli fa rivedere i tempi tristi (per lui) delle vittorie di Prodi. Berlusconi ha ben chiaro che senza creare un sistema di alleanze ha poche speranze di mantenere il potere. Per lui si tratta di una questione di “vita o di morte” perché sappiamo, gli italiani sanno, che ha qualche scheletro nell’armadio e che, senza scudi legittimi o illegittimi, potrebbe essere tolto dal gioco della politica molto presto non da una magistratura ostile ma dai suoi errori. Deve dare una rinfrescata alla sua rete di alleanze perché da solo non va da nessuna parte, né i colonnelli ex AN rappresentano una soluzione vera alla rottura con Fini. I giornali parlano di serrati tentativi di corteggiamento di un suo vecchio nemico Casini, di disperati tentativi di trovare qualche parlamentare disponibile a scambiare consenso per potere, di negoziati con gli odiati finiani, ecc ecc: insomma il papi si da da fare e prende tempo perché la sua situazione è molto ma molto difficile. Fateci caso: l’uomo del fare non parla più al suo adorato pubblico. Ringhiano, minacciando elezioni e prendendosi in tutta risposta belle pernacchie, i Cicchitto, i Bondi, gli ascari come Minzolini, Feltri, Belpietro, ma lui, l’uomo del “ghe pensi mi” decide di sparire, di minimizzarsi, di riflettere. E’ difficile spiegare agli italiani come abbia fatto a sperperare una maggioranza bulgara, senza precedenti, come abbia potuto dissipare un capitale politico così rilevante come quello che italiani gli hanno consegnato nell’aprile del 2008.  L’arma delle elezioni è un coltello spuntato perché senza alleanze sa bene che non ha possibilità credibili ed, infatti, lascia che a brandirla siano i suoi uomini, lui se ne guarda bene. Ammesso e non concesso che riuscisse a vincere alla camera sembra proprio che al senato non ci sarebbero i numeri e, dunque, lui, il papi sarebbe il sacrifico necessario per un governo di larghe intese in un quadro parlamentare diviso. C’è da non dormire e le rare immagini che si vedono del grand’uomo lo mostrano molto, molto preoccupato.

 

Il problema fondamentale, quasi che quelli descritti fossero bazzecole, però, è che il cavernicolo dal dito medio eretto sente il sangue, sente la crisi del suo caro amico e si eccita. Lui si che ha interesse ad andare alle elezioni. Tutti gli osservatori parlano di forti smottamenti nell’elettorato del Nord verso la Lega e questi sarebbero voti del PDL perché chi vota a sinistra non ama gli animali preistorici, un pò impresentabili. Tra l’altro per il disegno di Bossi un eventuale parlamento dimezzato con la Lega più forte sarebbe perfetto per imporre il suo federalismo, cioè la tragedia finale per questo sventurato paese: un quadro politico che porterebbe rapidamente verso il superamento dell’unità d’Italia aprendo una crisi rispetto alla quale questa che viviamo sarebbe descritta come ‘età dell’oro. Dunque Bossi minaccia elezioni, va dritto verso lo scopo anche se sa bene che c’è un ostacolo pesante al quale Fini ha alluso nel suo discorso di Mirabello.Se Berlusconi si dimettesse il presidente Napolitano, nel rispetto della costituzione vigente, avrebbe il dovere di cercare una qualsivoglia maggioranza parlamentare che garantisse la continuità della legislatura ed allora sarebbero guai grossi, per il gatto e la volpe. Ecco perché ieri sera, mentre ancora rullavano i tamburi di guerra propagandistici, il papi ha detto: “Ho il dovere di governare”. La montagna ha partorito il topolino: ma tant’è. Di più non si può.
Corri, corri Berlusconi… Mala tempora currunt. In tanti si sono distaccati da te ed il tuo migliore amico è il tuo peggior nemico come nella società dei babbuini dove il leader beta, nell’80% dei casi, uccide il leader alfa. D’altra parte chi semina vento raccoglie tempesta .

Il voto delle regionali e un Paese che cambia faccia di nuovo

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di Massimo Preziuso

Dopo aver seguito con interesse e stupore i risultati di queste elezioni regionali, mi viene spontaneo fare alcune considerazioni, forse per fissarle meglio nella mente.

 Il nostro Paese cambia faccia di nuovo.

 Dopo le timide prove di bi-polarismo del 2008, oggi si torna prepotentemente alla frammentazione vistosa di poteri, sparsi tra i territori e le numerose sigle politiche.

Con queste elezioni gli Italiani hanno dato un ulteriore segnale di “allontanamento” dalla linea politica dei grandi Partiti nazionali: lo si vede al Nord con la Lega con i successi dei due “giovani” Zaia e Cota, nel Lazio con la vittoria della Polverini (difficilmente classificabile all’interno del Centro Destra, così come lo sarebbe stato la Bonino nel Centro Sinistra), in Campania con Caldoro ed in Calabria con Scopelliti (prima di tutto due “giovani” leader emergenti), in Puglia (dove la leadership “personale” di Vendola batte il PDL) ed in Basilicata (dove una coalizione ampia di Centro Sinistra, formatasi attorno a De Filippo, schiaccia il Centro Destra).

 Forse anche per alcune scelte di “non rinnovamento” fatte a Sinistra, ma il risultato elettorale non è positivo per il Partito Democratico così come non lo è per il Popolo delle Libertà.

Il PD però continua a risultare forte in un’area geografica importante del Paese, quella centrale, con la vittoria in Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche (a cui si legano Liguria, Basilicata e Puglia), ed è attorno a quel nucleo forte che può e deve ripartire.

Il PDL, invece, sebbene sia andato un po’ meglio delle peggiori previsioni, risulta frantumato in tanti “micro poteri” locali.

L’UDC risulta evidentemente in una situazione di “caos interno” da cui oggi può uscire solo con scelte di avvicinamento sincero e netto verso il PD.

Il risultato è invece molto positivo per la Lega che “mangia” il Nord Italia, sfruttando la sterile dialettica sui “massimi sistemi” da anni in corso tra i due grandi Partiti, così come lo è per l’Italia dei Valori che cresce più o meno per le stesse ragioni.

In questo contesto, e soprattutto con la previdibile centralità dei temi “federalisti” che la Lega Nord imporrà a breve nell’agenda politica nazionale, a me sembra arrivata l’ora che PD e PDL ripensino radicalmente al loro modo di rapportarsi con i territori, che si deve oggi necessariamente sviluppare attorno a temi di politica “concreti” sentiti dai cittadini, quelli che interessano lo sviluppo delle aree in cui vivono, allontanandosi, almeno un po’, dalla discussione sulle grandi questioni.

A cominciare dalla necessaria definizione di un nuovo modello di sviluppo economico e culturale per il Paese, attorno a cui creare soprattutto condizioni di prosperità ed occasioni di crescita per le nuove generazioni, che necessitano urgentemente di nuovi entusiasmi.

Un compito potenzialmente più facile per il Partito Democratico, se agirà rapidamente.

La Pallottola d’argento (di Paolino Madotto)

silver_bullet_gripsNelle storie di vampiri c’è il mito della pallottola d’argento che riesce ad uccidere definitivamente il vampiro. Il dibattito intorno al leader del PD mi da la stessa impressione. Si cerca il leader che possa essere la pallottola d’argento per sconfiggere un Berlusconi che disturba i sonni del PD.

Eppure, se fosse così, che bastasse un leader, potremmo mandare qualche brillante “giovane” a studiare all’estero, magari da Obama o da qualche altro mago della vittoria. Ma Obama non ha vinto perchè è un leader, è un leader perchè ha vinto. La sua leadership l’ha conquistata sul campo, il rispetto l’ha conquistato con la fatica di una storia personale unica. Il PD ce l’ha qualcuno così “abbronzato”?

Io credo che il leader emerge dal contesto nel momento in cui esiste un terreno fertile. Il grande lavoro del PD non deve essere quello di cercare un leader ma quello di cercare una missione, di comprendere le dinamiche di una società che cambia e che cambierà sempre più velocemente. Oggi le cose cambiano con una velocità molto più alta di appena dieci anni fa ed è necessario avere antenne ottime per recepire i segnali, togliere il rumore di fondo e raccogliere le sfide. Non è detto che tutta la realtà stia dentro le categorie in nostro possesso, è più facile che le categorie debbano cambiare, aprirsi e mettersi al passo con i tempi. La crisi della socialdemocrazia europea dovrebbe farci pensare qualcosa, perché sicuramente la prospettiva del PD è quella di stare in quell’area ma portando con sé la scommessa insita nella sua nascita.

Se pensiamo al momento attuale dell’economia mondiale ci troviamo di fronte alla più sonora sconfitta delle teorie neoliberiste degli ultimi trenta anni, eppure la risposta non sarà il keynesismo degli anni ‘30. Sarà probabilmente un modello che tenga conto di un nuovo ruolo dello Stato in un rapporto diverso e più ricco con il mercato, l’economia politica tradizionale e classica è ormai piena di eccezioni alla regola che forse sarà ora di pensare che le regole vanno cambiate, che c’è bisogno di una nuova economia legata ad una nuova società ormai sotto i nostri occhi.

Il PD dove è, di che discute? Di riforme istituzionali? La risposta alla bassa crescita italiana può venire dalla riforma delle pensioni o da meno deputati dopo che quelle precedenti non hanno prodotto un granchè. Alcune cose andranno fatte ma non vedo bacchette magiche. Può il PD semplicemente inseguire la corrente delle teorie neoliberiste o quella dello statalismo? In giro per il mondo, nei centri di elaborazione culturale più importanti, ci si chiede, per esempio, sul senso dell’indicatore “PIL” e la politica italiana sono quindici anni che parla delle stesse soluzioni a problemi che nel frattempo magari cambiano. Domande che meritano risposte e risposte fatte di azioni concrete.

Se bastasse un fuoriclasse che, smarcando la PDL, ci facesse vincere potremmo provare a cercarlo all’estero, magari un brasiliano pieno di estro (i brasiliani hanno sempre fatto bene nei nostri campionati).  Oppure ingaggiamo Lippi o Capello. Temo che non basti e tutta questa divisione tra tizio e caio è del tutto inutile e improduttiva. Rischia perfino di far “bruciare” persone in gamba buttandole nella mischia senza un obiettivo, una squadra, una missione solo per far scudo ad eserciti ormai stanchi e demotivati che dovrebbero decidere di mettersi nella “riserva” lasciando alle energie fresche il campo.

Temo che non esista un vampiro in circolazione ma sia la paura di dover cambiare veramente lo spettro che si agita nel PD. La paura di confrontarsi con la storia, con il Paese, con una prospettiva da darci da qui a dieci anni. Qualcosa che trascende la prossima lista da fare o il prossimo convegno da riempire. Il PD è il vampiro di se stesso perchè non ha saputo leggere adeguatamente ciò che accade nella società, talvolta è riuscito a sommare partiti e ad arrivare al governo per poi rimanere ingabbiato nella incapacità di articolare una stagione di riforme necessarie. Oppure ha deciso di concentrare tutto nel leader disperdendo le energie della squadra, una squadra diffusa nel territorio che è spesso una grande risorsa di competenza e capacità.

Il PD ha grandi energie e capacità, persone competenti che mettono la passione in quello che fanno. Certo persone competenti esistono anche dall’altra parte ma lì manca il coraggio di costruire una prospettiva progressiva. Lo schieramento moderato governa l’esistente, il PD, se vuole avere senso, deve andare oltre l’esistente deve costruire il futuro.

Forse per il PD c’è bisogno di un progetto e una visione condivisa, c’è bisogno di riorganizzare la macchina e motivare le persone riconoscendo impegno e merito, c’è bisogno di un CT autorevole in grado di raccogliere intorno i talenti e trasformarli in fuoriclasse. Il PD è un partito con molti brillanti giocatori, qualche “cassano” ma poco senso della squadra e poche idee su cosa significa un campionato.

Per cominciare bisogna partire da una proposta di visione da condividere con tutta la base. E’ su questa visione che deve ritrovarsi la base per sentire la voglia di misurarsi con la sfida, l’entusiasmo di un lavoro comune. Penso che la base capisca anche poco delle divisioni di vertice e del totonomi di questi giorni.

Poi, una pallottola d’argento, la troveremo e sarà più semplice di quello che sembra.

Il voto degli italiani del giugno 2009 (di Michele Mezza)

italiaL’esito dell’ultima consultazione elettorale offre numerosi spunti di riflessione. Soprattutto per chi si occupa di comunicazione e mira a decifrare le nuove identità sociali per meglio comprendere e prevedere le tendenze della comunicazione digitale.

Avviare questa discussione è ancora più importante per chi , come ad esempio la comunità di mediasenzamediatori.org si è impegnata in questi mesi in una articolata ricerca sul voto americano e sul fenomeno Obama.

Proprio dalla comparazione fra i due processi può venire una lettura innovativa.

Il voto italiano, del resto, è ricco di indizi per inquadrare la società italiana e il suo contesto europeo.

Il risultato non consente incertezze di giudizio. Se sulla titolarità della vittoria sono ammesse sfumature, sull’identità dello sconfitto non ci sono dubbi: il PD.

Trovo davvero incomprensibili le contorsioni di chi tenta di consolarsi con l’aglietto, come si dice a Roma.

La sconfitta non è nemmeno tanto determinata dai dati numerici, sebbene il regresso di oltre sette punti percentuali e tre milioni di voti in dati assoluti, sono di per sè una sentenza inappellabile.

Ma a dare al tutto un tono perentorio è soprattutto il quadro generale che emerge dal voto.

Un partito d’opposizione, quale è il PD, anzi il partito antagonistico per eccellenza rispetto al leader del governo, come si è qualificato il partito di Franceschini, tutto può ammettere e tutto potrebbe discutere ma non di segnare un calo di circa un quarto del suo valore nello stesso momento in cui il suo avversario registra la prima delusione elettorale degli ultimi dieci anni.

Ed è esattamente questo che è successo: l’opinione del paese ha chiaramente arricciato il naso sulle qualità di statista del suo presidente del consiglio, ma altrettanto chiaramente ha fatto intendere che non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello di guardare al nuovo partito formato da DS e Margherita per il futuro del paese.

Una sentenza senz’appello, che lascia davvero pochi spazi alla speranza.

Quali altre condizioni si devono auspicare per immaginare un’affermazione del PD? Quali terremoti devono scatenarsi per attendersi un’inversione di rotta? Il risultato delle europee, composto da voti espressi e astensioni, ci dice che il partito di centro sinistra non dispone di un’immagine autorevole e rassicurante per governare il paese. Soprattutto per il suo bacino elettorale potenziale.

Sono gli elettori di centro sinistra che hanno bocciato questo PD.

Nonostante che dall’altra parte ci sia un personaggio come il cavaliere.

La bocciatura è a prescindere, come diceva Totò. Una bocciatura che investe sia l’area d’opinione che il mosaico degli interessi materiali e delle rappresentanze sociali che danno corpo e identità ad un partito.

I flussi verranno letti dagli esperti e capiremo in dettaglio come si sono orientati i singoli segmenti.

Ma i grandi trend sono ormai riconoscibilissimi. Nel voto europeo si assistito intanto ad una severa astensione che ha colpito entrambi i campi.

Nel centro destra, Berlusconi ha cominciato, ed è la prima volta che capita dalla sua discesa in campo, a pagare le sue diciamo “eccentricità” sia di stile, Noemi e dintorni, sia di contenuto, le riserve di giudizio dell’opinione internazionale.

Io credo, lo dico assumendo tutti i rischi di un’affermazione apodittica e brusca, che siamo davvero in prossimità di un esaurirsi della spinta progressiva del fenomeno Berlusconi.

Il cavaliere sta visibilmente invecchiando, e le sue disinvolture diventano da scandalose grottesche.

Ma il dato che comincia ad incidere è che il cavaliere non parla più al paese. Non lo fa nemmeno fisicamente: mai come in questa campagna elettorale si è misurato il suo “silenzio”.

Al netto del caso Noemi, il premier non ha detto nulla e poco si è fatto vedere. A conferma che le polemiche sulle sue imprese, amicali o erotiche che siano, in realtà lo aiutano a mascherare la sua inadeguatezza politica.

Berlusconi si sta ritirando di fronte ad un quadro politico che si fa più complicato ed esigente.

Diciamo che il fenomeno Obama sta archiviando il folclore di Berlusconi. I numeri sono espliciti: il Popolo della Libertà ha perso in queste elezioni circa 4 milioni di voti, ha rovesciato i sondaggi che lo vedevano oltrepassare il 40%, ha portato il suo elettorato a non votare, e quando ha votato a non votare plebiscitariamente il capo.

Berlusconi ha molte ragioni per essere incupito, come dice Libero che ben lo conosce. Il premier, infatti, è dotato ancora di raffinatissime antenne ed ha ben compreso il senso del voto per lui: la ricreazione è finita.

Non bastano più le barzellette, la gente vuole strategie. Pretende politiche nuove, che non coincidano con gli interessi della fabbrichetta di famiglia, ma che conducano il paese nel mondo della post crisi.

Per questo Berlusconi ora si stringe a Bossi e cerca di succhiare da lui linfa vitale.

Sa bene che si profila un mondo nuovo, discontinuo, competitivo, diverso, per il quale non ha nulla da dire. Dove non basterà più galleggiare. Obama è stato eletto per questo dagli americani. I socialisti perdono per questo in Europa.: bisogna inventare un nuovo progetto di sviluppo.

Il Popolo della libertà non sfonda perché è ancora prigioniero nello scafandro del suo leader che non è più il valore aggiunto.

Quanto sta accadendo la Sicilia lo aveva già annunciato. Il Nord lo sta amplificando: con queste elezioni è iniziato il dopo Berlusconi.

Le fibrillazioni di Fini ne sono state un prodromo, le incursioni trasversali di Tremonti nel mondo delle partecipazioni statali, dove non a caso si incontra con Prodi, annunciano un possibile epilogo della destra italiana.

Insomma grande confusione sotto al cielo.

Ma, contrariamente a quanto diceva il Presidente Mao, la situazione non è eccellente, almeno per il PD.

Infatti mentre accade tutto questo pò pò di confusione il PD si inabissa. I risultati sono spietati: divelti dai territori amministrati nel sud, non considerati nemmeno al nord, in grave e progressivo logoramente nelle case matte del centro.

Questo come dato di opinione. Perchè poi il voto amministrativo è ancora più brutale: dove si governa si è scacciati, dove si fa opposizione si è rimpiccioliti.

Una sconfitta senz’appello.

Resa radicale dallo scenario politico: i voti persi non sono in libera uscita, come diceva Andreotti dei consensi democristiani che temporaneamente andavano a destra per protesta.

Sono voti che cercano riparo in formazioni senza speranza, ma che almeno danno identità: il laicismo dei radicali, l’essere di sinistra di Sinistra è Libertà, la falce e martello di Rifondazione. Voti sprecati ma almeno mi dicono cosa sono, o cosa vorrei essere. Oppure sono voti che entrano nel bingo di Di Pietro. Un gioco dove non si vincerà mai, ma siccome non costa nulla, anzi a partecipare si guadagna visibilità, allora diamoci dentro.

Ma volendo pure fare conto su questi voti, e immaginando, cosa del tutto irrealistica, di poterli sommare, comunque ci troveremmo condannati ad una marginalità permanente: 26% del PD + 8% di Di Pietro + 6% delle due formazioni di sinistra + 2% dei radicali = 42%.

Ma siamo davvero nel periodo ipotetico del terzo tipo, quello dell’irrealtà.

Il punto è che il PD è come un albero di natale trapiantato sulla spiaggia: un albero senza radici, collocato in un ambiente innaturale e senza simili, incapace di attecchire.

Come si è arrivati a tutto questo? La storia è troppo lunga.

Ma concentriamoci su un dato: perché in questi 15 anni non riusciamo, qualsiasi tentativo si faccia, qualsiasi leader incarni il progetto, a parlare al nord del paese. Un Nord che si mostra mobile, non arroccato, in grado di percepire proposte diverse.

Come dimostrano le oscillazioni a Milano, Bergamo, Brescia, Padova, il Piemonte, la Liguria, Venezia, il Friuli.

Una risposta ci viene dal laboratorio di Sesto San Giovanni, la vecchia Stalingrado D’Italia. In quel centro urbano, adiacente a Milano, dove 35 mila operai erano concentrati in sole 5 grandi fabbriche siderurgiche, oggi lavorano sempre 35 mila individui, in aziende che in media hanno non più di tre dipendenti, prevalentemente informatici.

Era la cittadella della CGIL, che aveva dato i natali a Giuseppe Pizzinato, il mitico capo operaio, divenuto negli anni 80 segretario generale della confederazione del lavoro, sostituendo Lama.

In quel centro, ad egemonia di sinistra da sempre, il Popolo della Libertà ha vinto le Europee e perso le amministrative.

Perchè? Nelle europee ha contato il richiamo ideologico di una base sociale ormai caratterizzata dalle proprie partite IVA, che ha votato il partito dell’impresa e l’ideologia no tasse prego.

Nelle amministrative invece, laicamente, gli stessi professionisti, piccoli imprenditori, tecnici e consulenti, hanno appoggiato il partito dello sviluppo e dell’agenzia delle infrastrutture telematiche, che è stata la provincia di Milano, guidata dal democratico Penati. Se c’è un modo per uscire dal guado è quello: riformulare un progetto politico realmente innovativo, che cominci a mutare il target di riferimento.

Fino ad oggi tutte le evoluzioni della sinistra riformista -PCI, PDS, DS, Ulivo, PD- hanno mutato nome e sede, lasciando intatti programma e gruppi dirigenti.

Proviamo a invertire il trend. Obama lo ha fatto in una congiuntura non dissimile: il dominio dei repubblicani sembrava eterno.

Certo li Bush si è suicidato con la guerra in Iraq, ma non bastava. C’è voluta la crisi economica a cambiare l’orizzonte, ad alimentare na nuova domanda politica, alla quale ha dato una risposta Barack Obama.

Anche in Europa la crisi ancora infuria. Bisogna ripartire da li. La destra sembra voler usare la crisi per riproporre una logica verticale, centralizzatrice, assistenziale.

I riformatori devono rovesciare l’assioma e assumere la rete come paradigma, esattamente come fecero con la fabbrica all’inizio del ‘900. Allora si disse pane e lavoro per civilizzare il capitalismo, oggi si può chiedere più saperi, più competizione, più accessi egualitari per rendere più funzionale e trasparente la nuova marca del mercato che si annuncia.

Ma per aprire questa riflessione bisogna avere chiaro che non si ha più nulla da perdere, che la sconfitta elettorale non lascia margini per formichine della continuità.

Altrimenti cambieremo ancora sigle e targhe davanti alle stesse sedi, ma i numeri saranno sempre gli stessi.

Votiamo Partito Democratico : e’ il momento di dimostrare che l’Italia puo’ essere diversa (di Romano Prodi)

romanoprodi
Dopo un ottimo Franceschini ieri a Porta Porta, con ottimo tempismo Romano Prodi invita oggi a votare Partito Democratico alle Europee.
Queste sono Elezioni cruciali per il Paese, forse più di quelle del 2008.

Votiamo Partito Democratico : e’ il momento di dimostrare che l’Italia puo’ essere diversa (di Romano Prodi)

Care amiche e cari amici,
nel momento in cui ribadisco la mia già provata volontà di rimanere al di fuori della politica del nostro Paese, sento il dovere, come semplice cittadino, di sottolineare l’importanza del voto a cui noi italiani siamo chiamati.
Anzitutto un voto per l’Europa . In questa linea richiamo la necessità di rafforzare il Partito Democratico ricordando come esso abbia sempre con convinzione sostenuto le grandi scelte europee quali l’euro e l’allargamento che , come si è dimostrato in questa fase di durissima crisi , sono la principale difesa per l’Europa e l’Italia.
La seconda ragione nasce dall’intensificarsi di numerosi segnali di allarme e di interrogativi da parte di tanti amici ed osservatori stranieri per la caduta di dignità e per la qualità democratica del nostro
paese, segnali che ho colto con sofferenza nella mia attività internazionale. Di fronte a questo il Partito Democratico, pur nel suo non facile cammino, è l’unica concreta risposta.
Non è tempo né di astensioni né di sofisticate distinzioni. È il momento di dimostrare che l’Italia può essere diversa , che ha profonde radici etiche e che è ancora capace di contribuire alla crescita democratica di una nuova Europa.

Con amicizia
Romano Prodi
Bologna 3 giugno 2009

Sondaggio Europee: PD al 30% – PDL al 32%

italiaeuropeeDa Affari Italiani (http://www.affaritaliani.it/politica/sondaggio_burson_marsteller___italia.html)

Un dato a dir poco clamoroso. Un vero e proprio terremoto in vista delle elezioni europee di giugno. Il Partito Democratico è accreditato del 30%, soltanto due punti in meno rispetto al Popolo della Libertà (32%). Si tratta delle stime di ‘Predict09.eu’ della Burson Marsteller, con una ricerca sviluppata da tre dei più famosi scienziati politici del Vecchio Continente: Simon Hix (London School of Economics), Michael Marsh (Trinity College Dublin), and Nick Vivyan (London School of Economics). I dati dell’ultima analisi risalgono a giovedì 7 maggio.
Testa a testa per il terzo posto tra la Lega Nord (6,9%) e l’Italia dei Valori (6,7). L’Udc di Pierferdinando Casini si ferma al 5,4%. Ottimo il risultato della lista comunista Rifondazione – Pdci al 5,3%. Sfiora lo sbarramento del 4% la lista Mpa-Storace-Pionati-Pensionati al 3,7. Sinistra e Libertà di Nichi Vendola non va oltre il 3,3%.

Per caso, mi chiedo, l’italiano (persona pigra, ma alla fine intelligente) si è risvegliato proprio nel momento di maggiore necessità???

Sarebbe un miracolo..

Massimo Preziuso

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