donne
CONVEGNO DI VISION E INNOVATORI EUROPEI
VISION – the Italian Think Tank, con la collaborazione di INNOVATORI EUROPEI
PRESENTANO
Energy and Democracy, the future is……now. Options for Europe
18th May 2007, 15:00 pm Rome – Italian Parliament, Camera dei Deputati, Sala del Refettorio
PER PARTECIPARE ALL’ INCONTRO, scrivi a v.sirabella@vision-forum.org
FIRMA APPELLO PD AREA SAPERE
Adesione all’appello per il Partito Democratico dell’Area Sapere
Innovatori Europei aderisce, convinta della necessità di fare del Sapere il cuore del Partito Democratico
Se ti va, compila il modulo (lo trovi in formato Word sul Google Group) e invialo a sapere@dsonline.it
L’APPELLO
La politica che vogliamo
Crediamo e vogliamo un partito capace di far passare il sapere da priorità predicata a priorità praticata, che promuova lo sviluppo delle conoscenze, non più come pura affermazione propagandistica ma attraverso misure effettive, reali, frutto di scelte anche difficili, dolorose, ma non rinviabili. A livello di “predica” le cose sono chiarissime. I differenziali nei livelli di sapere, di educazione, di ricerca, di cultura, di diffusione delle nuove tecnologie della informazione e della comunicazione, sono quelli che spiegano più di ogni altro indicatore i livelli di produttività e di competitività delle nazioni, dei territori, delle imprese.
Il sapere che c’è nella testa delle donne e degli uomini che in un Paese vivono e lavorano è la maggior risorsa che il Paese ha a disposizione per la propria crescita.
Una straordinaria occasione per la politica riformatrice.
Non c’è vera libertà senza sapere
Nella economia e nella società della conoscenza, gli investimenti e gli strumenti atti a incrementare la produttività del Paese sono gli stessi che sono essenziali per far crescere la qualità del vivere civile, per preservare il proprio patrimonio culturale e ambientale, per promuovere le capacità delle persone, per l’inclusione dei più deboli e svantaggiati, per rimettere in moto la mobilità sociale, per affrontare le sfide del mondo globale, che permea oggi il nostro vivere quotidiano. Sapere è libertà, è facoltà reale e non formale di scegliere la propria vita e le proprie vocazioni.
La conoscenza come priorità per il Paese
Proprio sul terreno della conoscenza l’Italia misura la sua più grande distanza dai Paesi più sviluppati e innovativi: una inadeguata qualificazione del capitale umano – il minor numero di diplomati, di laureati, di ricercatori, il più alto tasso di analfabetismo di ritorno – e insieme la scarsa capacità di utilizzarlo al meglio. Le persone lavorano al di sotto delle loro capacità e l’intelligenza dei giovani viene sprecata nelle sacche del precariato.
Innalzare la qualità del nostro sistema produttivo e dei servizi, incrementare in quantità ed efficacia gli investimenti in educazione e ricerca costituiscono la assoluta priorità per il nostro Paese.
Politiche nazionali, territori, Europa
Occorrerà guardare all’Europa e ai territori. All’Europa, perché solo a quel livello è possibile affrontare le grandi scelte necessarie a colmare il ritardo sulle frontiere più avanzate della ricerca e dello sviluppo tecnologico; ai territori, perché la diversità e la ricchezza culturale del nostro Paese sono la marcia in più a nostra disposizione per affrontare le sfide della economia e della società della conoscenza.
Le politiche nazionali saranno efficaci se sapranno collocarsi su questa frontiera; essere parte attiva nella costruzione dello spazio europeo della ricerca e dell’educazione; aprire nuove opportunità di sviluppo ai territori, alle mille città d’Italia, perché è lì che la sfida della qualità può essere vinta.
Scuole, università e centri di ricerca
Le scuole, le università, i centri di ricerca sono lo snodo decisivo tra il globale e il locale, tra il sapere del mondo e il sapere dei territori. Per questo è necessario valorizzarne l’autonomia e la responsabilità. Dell’autonomia è elemento essenziale la valutazione, così come il riconoscimento sociale ed economico del valore professionale di chi, nei tanti luoghi del sapere, con queste sfide si confronta.
Sono questi i luoghi dove si formano le eccellenze necessarie a interagire con le frontiere più avanzate della ricerca e dello sviluppo, e quel sapere diffuso, quell’innalzamento generale dei livelli di sapere della popolazione, che sono la condizione imprescindibile perché i risultati della ricerca diventino prodotto, servizio, vita delle persone.
Nuovo umanesimo
Va promosso il sapere scientifico e tecnologico, insieme alla educazione alla cittadinanza, alla libertà e alla responsabilità necessari per interpretare il proprio futuro e il futuro del mondo, aperto a nuove straordinarie opportunità e anche a nuovi temibili rischi. Nella prospettiva di un nuovo umanesimo in cui i diversi saperi convergono nella formazione integrale della persona. Sarà sempre più questa la condizione della partecipazione democratica, la strada maestra per evitare che la complessità e l’incertezza del tempo presente generino derive populiste. E’ per questo che è decisivo promuovere la partecipazione e il nuovo protagonismo degli studenti, delle famiglie, dei cittadini.
Il Partito Nuovo
Il Partito Democratico è per noi un partito che costruisce a tutti i livelli – al Governo e nei territori – un agire politico conseguente a questi obiettivi, a queste finalità, a questa idea del futuro.
Nuovo, perché sa superare una visione puramente economicista dello sviluppo, la quale fa delle variazioni del PIL l’alfa e l’omega per valutare l’efficacia delle proprie politiche.
Nuovo, perché va oltre una visione dello Stato sociale puramente redistributiva, risarcitoria, tesa a contenere e rendere accettabili le disuguaglianze indotte dell’economia di mercato, piuttosto che ampliare le opportunità, promuovere i talenti, avere cura delle persone in difficoltà.
Nuovo, perché sa mettere al primo posto l’interesse generale e un’idea condivisa del futuro rispetto ai corporativismi e ai particolarismi, di cui la frammentazione della politica è troppo spesso riflesso e amplificazione.
Nuovo, perché al proprio interno promuove e dà valore a chi costruisce, piuttosto che a chi oppone veti.
Nuovo, perché sa superare quei limiti che la prima fase della nostra azione di governo ha rivelato essere presenti, al di là delle difficoltà di bilancio, all’interno del nostro stesso schieramento.
Ma nuovo soprattutto perché sa chiamare a raccolta le persone. Quelle che non si sono rassegnate ai ritardi della politica, che nelle scuole, nelle università, nei centri di ricerca, nelle tante fabbriche del sapere, con le novità del presente si sono cimentate, consapevoli che ridare dignità e futuro al proprio lavoro era decisivo per ridare dignità e futuro al proprio Paese.
Dobbiamo a loro, alla loro capacità di pensare insieme, fare rete, di praticare la cultura della sussidarietà, se il nostro Paese ha ancora un futuro davanti a sé.
Al loro sapere e al loro impegno partecipativo il nuovo partito deve attingere. Le loro teste, prima che voti, sono sede di pensieri, idee, emozioni, necessari a ridefinire un nuovo profilo dell’agire politico.
Ne abbiamo più che mai bisogno quando governiamo. Superando una pratica vecchia della politica, che chiama alla partecipazione per battere l’avversario, e si schiaccia sul governo quando l’avversario è battuto, e prepara così la strada alla sua rivincita.
Per farcela occorre allargare i confini, non restringerli. Semplificare la politica, non complicarla. Alleggerire i vincoli identitari, perché le persone possano trovare nuovi spazi di protagonismo, a partire dalla loro esperienza di lavoro e di vita. L’unità tra i Democratici di Sinistra e Margherita, e quanti dei socialisti, degli ambientalisti, dei repubblicani, dei liberali e di quanti altri saranno con noi, è la precondizione, non l’esito del processo. E’ un atto di umiltà, non d’arroganza; è la presa di coscienza dei limiti delle culture politiche esistenti per interpretare e governare il cambiamento.
Un percorso da realizzare insieme
Questo documento è un primo contributo alla costruzione di un partito che sappia imboccare questa strada.
Sarà importante non solo che sia sottoscritto dai tanti che lo condividono – iscritti o non iscritti ai partiti – ma soprattutto se saprà suscitare critiche, miglioramenti, proposte.
Se aprirà un processo di riflessione che accompagni la fase costituente.
Se darà vita nei territori a comitati che ne discutano e ne promuovano le finalità.
Se accompagnerà passo passo la nascita del Partito Democratico, orientandone le priorità programmatiche e gli esiti.
Alla fine sarà, col vostro contributo, un documento nuovo, come Nuovo deve essere il Partito che costruiamo.
Andrea Ranieri, Antonio Rusconi, Giuseppe Fioroni, Luigi Nicolais, Luigi Berlinguer, Giancarlo Lombardi, Mariangela Bastico, Giampaolo D’Andrea, Luciano Modica, Nando Dalla Chiesa, Mario Ceruti, Italo Fiorin, Susanna Mantovani, Marco Rossi Doria, Walter Tocci, Domenico Volpini, Fausto Raciti, Pina Picierno, Paolino Madotto, Paolo Zocchi, Gianni Pittella
Massimo Preziuso
UNA NUOVA VISIONE POLITICA
di Luca Lauro
Il progetto per la costruzione del Partito Democratico sta generando un effetto di portata epocale assolutamente poco percepito working in progress.
E’ in atto una riflessione di massa su cosa è democratico.
Si cercano modelli nella storia e nella geografia, si ragiona e si discute e ci si accorge con stupore che l’aggettivo democratico si presta a numerose interpretazioni da quella propria.
Adesso però viene la parte più importante, la parte costruttiva del progetto, e non possiamo fare a meno di una traccia che guidi e dia la giusta direzione a tutti gli sforzi.
Dove si trova questa traccia?
Sicuramente se il Partito Democratico fosse solo una operazione di consenso si rivelerebbe un boomerang soprattutto per i partiti fondatori.
Sarebbero i primi a pagare il prezzo della disillusione o della mancata illusione di vedere fare una politica nuova magari anche da parte di soggetti non altrettanto nuovi.
Ecco perchè la traccia da seguire nel cantiere non può solo essere un esclusivo riferimento a regole su come creare strutture che decidono, controllano, eseguono, rappresentano come si sta facendo all’interno dei partiti e dei comitati promotori.
Non possiamo rimandare il confronto e la discussione sui contenuti politici ad un momento successivo alla creazione di un soggetto strutturato, perchè la sua forma deve anche essere funzionale agli obbiettivi del Partito Democratico, quindi è anche di questo e oggi di cui si deve necessariamente parlare.
Ciascuno per la sua parte ha oggi l’opportunità e il compito, se crede in questo progetto, di proporre e contribuire alla formazione di obiettivi, ideali, principi che oltre a ispirare l’azione del futuro Partito ne modellino da subito la forma più congeniale in cui riconoscersi nel suo operare sulla scena politica, ed è chiaro che l’esperienza dei partiti fondatori è il riferimento certo, che abbiamo a disposizione, ma non esclusivo di questa immensa operazione, anzi .
Il Partito Democratico può solo proporre una visione politica nuova rispetto a tutte le altre proposte politiche esistenti e del passato: una visione innovativa.
Innovativa perché, a mio avviso, è l’unica possibile, quella che per la prima volta si emancipa da un novecentesco atteggiamento di fare politica in cui pochi ormai si riconoscono anche fra i promotori, e cioè quello di creare delle categorie politiche, partendo dalle categorie della società (gli imprenditori, gli immigrati, le donne, i dipendenti pubblici, i giovani, gli anziani, i disabili, i manager, i professionisti, il pubblico, il privato, i giudici, i meridionali ecc…) e fare politica e leggi ricollegando effetti giuridici non ai comportamenti in quanto tali ma alle caratteristiche personali riferite alle ‘categorie d’appartenenza’.
Abbiamo passato, così, decenni a vivere conflitti inutili e talvolta imprevedibili, come quello ultimo fra famiglie e famiglie (di fatto ma sempre famiglie sono) sottraendo energie preziose alla cooperazione e all’amore per lo spirito di fare e di essere insieme ed un insieme.
Dunque, quando bisogna distribuire risorse non si distingue più fra le categorie ‘politiche’ imprese e famiglie contrapponendole come ancora sta avvenendo con la vicenda del cosiddetto ‘tesoretto’:
si distingue fra le imprese che pagano le tasse e investono nell’innovazione e quelle che invece evadono e si mangiano i ricavi (ottenuti in nero);
si distingue fra le famiglie numerose e con un solo stipendio, che rischiano di gravare poi doppiamente su tutti i servizi assistenziali, da quelle che possono permettersi appartamenti e macchine di lusso;
non si deve distinguere più tra italiani e immigrati, ma fra persone che, una volta ne sia accertata l’identità il domicilio e la residenza, si comportano onestamente contribuendo al benessere proprio e della collettività secondo le regole che valgono per tutti, e coloro che difettono in tal senso, anche se italiani.
Gli esempi potrebbero andare avanti e a lungo, ma il concetto di fondo è unico e semplice:
il Partito Democratico può solo proporre una nuova visione politica che superi la logica delle contrapposizioni di categorie ‘politiche’ di tipo corporativo (quelle ereditate nella storia) e sociale (quelle che si sono affermate più recentemente) e la traccia da seguire consiste nell’identificare oggi e tutti insieme i contenuti che permettano all’impresa e al sindacato, o in un altro tavolo di discussione, al giovane precario e ai datori di lavoro, e così via, di addivenire a contenuti che definiscano in maniera chiara, condivisibile e infine condivisa il bene e l’interesse comune di tutti gli attori in gioco (non di tutte le categorie in cui essi sono ricompresi in base a sesso, attività svolta di lavoro, provenienza geografica ecc.).
Il Partito Democratico ha il compito epocale di individuare, con questa modalità, e non con altre a mio avviso, il bene e l’interesse comune e di introdurre l’innovazione politica più seria, urgente e desiderata: l’unità.
LE LIBERTA’
Democrazia dell’informazione, ovvero la libertà di stampa
di Luigi Restaino
La libertà è senza ombra di dubbio un Valore indiscutibile. E senza ombra di dubbio dare maggiore libertà ai cittadini, al popolo, ad ogni singolo individuo è una ambizione di progresso civile. Mi spiego meglio: una persona più libera è secondo me una persona migliore. In ultima analisi credo che maggiore libertà corrisponda ad una maggiore possibilità di gestire la propria vita, indipendentemente da condizionamenti esterni, orientandola verso le proprie aspirazioni e rendendola più soddisfacente. Ma su questo vorrei lanciare una raccolta di proposte ed idee nuove per definire come si articoli in pratica questo concetto, e come lo si possa misurare (senza misure non è possibile darne una valutazione oggettiva). Cosa è dunque la Libertà, come la definiamo e come la misuriamo?
Vorrei iniziare subito con la Libertà di espressione e di Stampa, sulla limitazione della quale alacremente i nostri politici dipendenti lavorano in Parlamento. Tale libertà è sancita dalla nostra Costituzione ed è un concetto cardine di tutte le democrazie. Una misura indipendente del grado di libertà di stampa, e quindi di espressione in un Paese ci è fornita dalla House of Fredom (Casa della Libertà, ironia della sorte) www.freedomhouse.com, una organizzazione indipendente e non-governativa americana fondata da Eleonore Roosvelt, che supporta lo sviluppo della libertà di stampa nel mondo. In Europa Occidentale esiste un unico Paese dove la Stampa è valutata “Partly free”: L’Italia! (vedi http://www.freedomhouse.org/template.cfm?page=271&year=2006) Il nostro amato Paese è in compagnia del Botswana al 79° posto precedeuto persino dalla Mongolia, dalla Bulgaria, dalla Bolivia! Non starò qui ad analizzare le motivazione di questa valutazione (che largamente condivido, come fanno daltronde tante altre organizzazione nazionali ed internazionali). Il punto è che che se vogliamo fare qualcosa di veramente nuovo e positivo dobbiamo avere persone che lavorino perchè ci sia più Libertà e più Libertà di Stampa (come valutata indipendentemente da organizzazioni nazionali ed internazionali, e non dai nostri politici interessati), e non mi sembra che le operazioni in corso vadano in questa direzione. Mi piacerebbe vivere in un Paese dove la Stampa fosse libera come in Finlandia (non so voi?), ma di qeusto passo temo che l’anno prossimo ci ritroveremo dietro il Burkina Faso.
PER LA COSTITUENTE DEL PD
“Comunicato sulla Road mad del PD fino ad Ottobre 2007”
Siamo a un passaggio fondamentale di una impresa politica di portata storica.
E’ una impresa alla quale lavoriamo da ormai dodici anni, che diventa partito nel segno e nel solco dell’esperienza dell’Ulivo.
Abbiamo deciso di dare vita al Partito Democratico per unire le culture e le tradizioni riformiste del nostro paese – socialista, cattolica, liberale e ambientalista – e dare così all’Italia una grande forza politica che vuole migliorare il paese, promuovendone lo sviluppo economico e la giustizia sociale, nel segno della democrazia piena, rispondendo alla domanda di partecipazione dei cittadini.
Abbiamo iniziato a ragionare operativamente su questo progetto dopo la vittoria elettorale dello scorso anno, vittoria preceduta dalla straordinaria esperienza delle primarie del 16 ottobre 2005, modello di rapporto virtuoso tra la militanza attiva di partito e la apertura ai cittadini.
Abbiamo tenuto a Orvieto un seminario sulle ragioni storiche del Partito Democratico, sul suo profilo programmatico e sulla forma p artito. Abbiamo incaricato un gruppo di saggi di redigere un Manifesto che sia punto di riferimento ideale del confronto nella fase costituente del partito. Abbiamo deciso che si tenessero congressi sincronizzati di ds e margherita, i due partiti promotori della nostra comune impresa.
Ora i congressi sono alle nostre spalle e la decisione è stata presa. E’ stata una decisione non facile, ma partecipata e convinta. I congressi si sono conclusi con l’approvazione di un documento comune che impegna i due partiti promotori e l’Ulivo a promuovere il partito nuovo e unitario capace di coinvolgere le espressioni migliori delle culture democratiche e riformiste, fondato sulla partecipazione e sulla adesione personale e diretta dei cittadini.
Il documento approvato dai due congressi apre la fase costituente del partito democratico.
Noi dobbiamo ora dare attuazione a quello impegno, stabilendo le modalità operative di quello che a grandi linee è previsto dal dispositivo congressuale.
Nel dispositivo è previsto che entro ottobre 2007 venga eletta l’assemblea costituente del PD e che fino all’elezione dell’assemblea costituente “tutte le attività connesse alla costruzione del Partito Democratico saranno affidate a un comitato di coordinamento composto da esponenti DS, DL e personalità non aderenti ai partiti promotori”.
L’elezione dell’Assemblea costituente sarà un passaggio fondamentale: dobbiamo fare sì che questo appuntamento sia preparato in modo approfondito e che sia assicurata una larghissima partecipazione di popolo dando la possibilità a tutti i cittadini che lo desiderano di dichiararsi aderenti del nascente partito democratico all’atto dell’elezione dei delegati all’assemblea, secondo il principio una testa un voto. Al successo di questo momento fondante siamo tutti legati e a questo successo dovremo dedicare i nostri sforzi e le nostre energie.
Penso che la data migliore per l’elezione della costituente sia metà ottobre, il 14 ottobre: se avessimo potuto farlo prima meglio. Ma non possiamo riuscirci prima perché abbiamo bisogno di un tempo sufficiente per preparare una impresa tanto grandiosa.
A chi affidare la direzione politica ed operativa della fase che è già cominciata e che precede l’elezione dell’assemblea?
Credo che abbiamo bisogno di un organismo sufficientemente largo per essere rappresentativo delle personalità e d elle sensibilità che ci sono tra noi, ma anche sufficientemente ristretto ed agile perché possa riunirsi e funzionare come strumento di direzione di questa fase. Questo Comitato può essere composto da una trentina di persone, con non meno di un terzo di donne e secondo queste proporzioni: una decina di personalità ds, una decina della margherita – che verranno indicate dai rispettivi partiti – e una decina di personalità non iscritte a questi partiti che mi farò carico di proporre (designare) personalmente. Potremo chiamare questo organismo: ”Comitato promotore nazionale della costituente del Partito Democratico”.
Questo Comitato sarà insediato entro una decina di giorni e dovrà essere in grado di riunirsi con una frequenza quindicinale. Il compito di istruire i lavori del comitato e di assicurare l’attuazione delle decisioni dello stesso po trebbe essere affidato a tre “Coordinatori”, quelli che hanno già dato buona prova nella fase precedente.
I compiti del Comitato nazionale saranno fondamentalmente i seguenti:
– promuovere iniziative di presentazione del progetto del Partito Democratico
– approvare i regolamenti e le procedure elettorali, insediando gli opportuni organi tecnici e di garanzia: la proposta di regolamento elettorale sarà posta all’esame del coordinamento entro la fine di giugno e i tre coordinatori, che si avvarranno di esperti, istruiranno una proposta per quella data
– promuovere nel Paese un confronto di idee e di proposte che, assumendo il Manifesto come orizzonte ideale e punto di riferimento, confluiranno nella assemblea costituente
– favorire e riconoscere comitati promotori provinciali che avviino la fase costituente nei territori con l’obiettivo di aprire le porte alla partecipazione dei cittadini e svolgano anche funzioni di garanzia verso tutti coloro che intendono partecipare attivamente al processo.
– promuovere forum tematici, a partire da un forum delle donne, sul modello di quelli già avviati per l’ambiente, la famiglia, il lavoro e i governi locali.
La condizione perché questa nostra impresa abbia successo è che l’elezione dell’assemblea costituente veda una partecipazione larghissima.
L’assemblea così eletta avrà una grandissima legittimazione e potrà, attraverso i propri organismi, svolgere due compiti fondamentali:
– Approvare il Manifesto programmatico
– Adottare lo statuto
C’è molto da fare.
Per avviare la fase costituente dovremo dare vita, in SS Apostoli, e lo faremo subito, ad una struttura operativa, diretta dai Coordinatori, e che abbia (svolga in modo appropriato le necessarie) funzioni politiche, operative e comunicative e che disponga anche delle adeguate risorse finanziarie.
Il Partito Democratico vive già da tempo nel segno dell’Ulivo tra i nostri elettori.
Ora è il momento di farlo vivere come soggetto politico vero e proprio preparando la nascita di un partito nuovo e unitario.
PARTITO DEMOCRATICO: E LE DONNE??
P.D. = Partito democratico
P.N.D. = Partito non democratico
di Rosanna Oliva
Dal mattino si vede… il cattivo giorno: il comitato incaricato di preparare l’elezione dell’Assemblea costituente, coordinato da tre uomini, sarà composto, contrariamente a quanto proposto da Prodi (50 e 50) e in violazione dei principi del Manifesto,(40a 60) con una presenza di donne al 30 per cento.
Viene meno ogni dimostrazione di volontà di rinnovamento e di lavorare per una democrazia paritaria.
Preso atto di quanto sopra, proponiamo che sia eliminata la norma di garanzia dal Manifesto e che sia modificato il nome del futuro partito in PND= Partito non democratico.
Sul mancato rispetto di quanto annunciato da Prodi il 3 maggio all’inaugurazione dell’Anno Europeo per le Pari Opportunità, due ipotesi altrettanto inquietanti: un gioco delle parti oppure un leader che non ha voce in capitolo rispetto ad un gruppo composto prevalentemente di uomini che dimostrano di non tenere nessun conto anche di quanto si decide in Europa.
Aspettiamo di vedere le scelte che saranno operate da questo Comitato sul sistema per eleggere l’Assemblea costituente e purtroppo quanto avvenuto oggi allontana la speranza che si possa accogliere il suggerimento avanzato da più parti di prevedere primarie per la scelta dei candidati e delle candidate da presentare in collegi binominali, il che assicurerebbe un’Assemblea composta al cinquanta e cinquanta.
La telenovela continua….
www.aspettarestanca.it
GOOD BYE TONY
di Marco Giordano
E’ finita l’epoca di Tony Blair. Chiunque si riconosca, in un modo o nell’altro, in una cultura di tipo riformista non può che nutrire una gratitudine e un’ammirazione immensa per quest’uomo che, insieme ad altri (e penso innanzitutto a Gordon Brown e Anthony Giddens), ha traghettato il Labour verso l’era globale, illustrando al mondo intero quali sono le nuove frontiere ed i nuovi orizzonti della sinistra mondiale.
Cosa significhi, oggi, equità e giustizia sociale ce l’hanno insegnato Tony e i suoi boys: uguaglianza di opportunità, garantire a tutti, ad un tempo, basi di partenza e strumenti culturali, sociali e formativi omogenei, ed allo stesso modo la certezza che i destini professionali ed economici siano determinati in base al merito, l’applicazione, la passione delle persone.
Per primo, dunque, il leader inglese ha riunificato nella cultura progressista i due principali termini della rivoluzione francese, uguaglianza e libertà, riconoscendo a quest’ultima la doverosa primazia: soltanto nella libertà vi è uguaglianza, aborrendo quell’odioso egualitarismo al ribasso che ancora, ahinoi, informa gran parte del bagaglio ideologico dei partiti socialisti e dei sindacati continentali, per i quali vi è giustizia sociale soltanto nell’appiattimento sic et simpliciter degli standard retributivi (economici e non) delle varie categorie umane.
Non a caso il new Labour è stata l’unica formazione progressista a vincere, e ripetutamente, in Europa (do you understand PSF e DS?), perchè è stata l’unica a recepire e interpretare le istanze progressiste effettive nelle società moderne: il riconoscimento e la valorizzazione del merito.
Senza Blair e il New Labour oggi non esisterebbe il progetto del PD, Segolene Royal e il suo tentativo di rinnovamento di quei quattro babbioni del PSF e il socialismo liberale, libertario e ciudadano di Josè Luis Rodriguez Zapatero e il suo Nuevo Psoe (guarda caso l’unica altra formazione progressista che vince oggi in Europa).
Peccato che non proprio tutti abbiano appreso a pieno la lezione.
Come in ogni classe, anche in quella del riformismo europeo c’è qualche elemento che rimane un po’ indietro rispetto agli insegnanti e ai compagni più brillanti.
Tipo gli amici dell’Unità, che invece di tributare un doveroso omaggio al leader laburista, sulla prima pagina del loro fogliastro titolano: “Blair se ne va e lascia in eredità il disastro dell’Iraq”.
Come se la parentesi più significativa dei 10 anni di governo blairiano fosse l’Iraq.
SERVONO LE REGOLE – GREGORIO GITTI
Da “Il Corriere della Sera” del 9 maggio 2007
“Servono le regole”
di Gregorio Gitti (presidente APD)
La confusione politica sul processo costituente del partito democratico alimenta incertezze nel pubblico degli appassionati al progetto, finché durano, e malcelata tensione tra gli aspiranti leader. Il rincorrersi di dichiarazioni polemiche e non sorvegliate sovverte spesso la logica degli assunti e delle conseguenze. Emergono autocandidature alla guida di un partito che ancora non c’è, si sovrappongono o invece si contrappongono formule comunque tautologiche come “assemblea costituente” o “congresso fondativo” senza chiarirne la sostanza, mentre si finge di litigare sulla relativa data di celebrazione.
Proviamo a mettere in ordine qualche concetto, formulando una proposta precisa. Per costituire un partito nuovo occorre disporre di uno statuto, ossia dell’insieme delle regole che ne disciplinano la vita e i rapporti tra i soci, e soprattutto di un progr amma. Evocare subito un congresso fondativo senza aver ampiamente condiviso questi strumenti fondamentali significa concepire in modo autoreferenziale la costituzione del partito: un gruppo ristrettissimo di maggiorenti cala dall’alto una proposta, imponendola ai singoli aspiranti soci, di questo passo, vien da pensare, sempre meno appassionati. Non è dunque strano che chi, all’interno dei vecchi partiti, nei mesi scorsi frenava oggi vuole correre.
Viceversa mi sembra necessario scolpire i passaggi che debbono condurre all’obiettivo, da tutti formalmente auspicato, di una ampia discussione e condivisione dello statuto e del programma del futuro partito. Raggruppamenti di cittadini dovrebbero competere sulla base di differenziate proposte politiche sia organizzative sia programmatiche nel comune alveo ideale disegnato dal manifesto dei saggi del febbraio scorso. Questo c onfronto competitivo dovrebbe poi sfociare nell’elezione, a metà del prossimo ottobre come si dice, di un’assemblea che approverebbe in modo definitivo lo schema statutario e il programma in modo da garantire democraticamente la successiva costituzione formale del nuovo partito. Solo dopo quindi e secondo le regole condivise si potrebbero eleggere i suoi organi dirigenti. Esattamente il contrario di ciò che vogliono e affermano i maggiorenti dei vecchi partiti.
Il problema più cospicuo al momento è comunque rappresentato dal sistema di elezione di questa assemblea. Sarebbe bene assicurarle la più ampia rappresentatività e perciò la rappresentanza di tutti i diversi raggruppamenti di cittadini secondo un metodo proporzionale. Le madri e i padri democratici, per esempio in numero complessivo di 1500, dovrebbero essere eletti in numerose circoscrizioni, quindi in ambiti territorialmente ristretti, in modo da garantire il diretto raccordo con i cittadini elettori, sulla base di liste concorrenti composta ciascuna al massimo da tre candidati, evitando in tal modo il mercato, spesso addomesticato, delle preferenze. Nel contempo si dovrebbe garantire la democraticità della compilazione della lista: a tal fine un’assemblea pubblica dei promotori delle liste concorrenti nella singola circoscrizione potrebbe scegliere i potenziali candidati, votandoli in una elezione primaria e in tal modo fissandone anche l’ordine di presentazione. Bisognerebbe infine assicurare un fondo di garanzia per tutti i raggruppamenti al fine di riconoscere risorse o servizi perequativi a tutti i candidati, ma su questo punto cedo volentieri la parola ai tesorieri dei vecchi partiti, notoriamente gelosi del loro ruolo e di ciò che ne consegue.
L’EUROPA E LA FRANCIA
Monsieur Sarkozy e le ricette per la sfida europea
di Tommaso Visone
Con la vittoria di Sarkozy alle presidenziali francesi si annuncia una ripresa dell’iniziativa della Francia in sede europea. Se i problemi sul tavolo dell’ Unione restano sempre gli stessi- l’impasse dovuta alla mancata ratifica del trattato del 2004- le soluzioni di certo non appaiono innovative. La proposta del neoeletto Président, volta a creare un tavolo per giungere ad un compromesso su un “nuovo” Trattato europeo (a detta del proponente la semplificazione del vecchio), ha il triste e ben noto sapore del compromesso a ribasso per tutti coloro che speravano in un rinnovato impegno d’oltralpe sul testo dell’attuale Trattato, già ratificato da ben diciotto stati. Tuttavia, un compromesso a ribasso risulta maggiormente digeribile se confrontato con il persistere dell’attuale stasi sul fronte delle riforme istituzionale dell’Unione. Detto questo, occorre fare alcune osservazioni.
Primo, se si lavorerà per una versione semplificata del “Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa” si dovrà tener conto del fatto che esso a sua volta semplifica ed integra le molteplici componenti dell’acquis comunitario, il che rende consapevoli della difficoltà concernente lo stendere in modo egualmente esaustivo un Trattato ulteriormente semplificato che, per forza di cose, dovrebbe quindi escludere alcuni ambiti od alcune conquiste del precedente testo.
Secondo, semplificare il precedente accordo significa, non di meno, riproporne, in forma più accessibile e en bref, le principali acquisizioni; altrimenti si tratterebbe non di una semplificazione bensì di uno stravolgimento. Queste ultime sono: la creazione della carica di Ministro degli affari esteri dell’Unione; l’elezione a maggioranza qualificata del Presidente del Consiglio europeo; la riduzione del numero dei commissari a partire dal 2014; l’abolizione dei pilastri istituiti col Trattato di Maastricht; il riordino delle competenze tra Stati ed Unione; la semplificazione degli strumenti e delle procedure dell’Unione stessa, la possibilità d’iniziativa popolare (art.I-47) per invitare la Commissione ad elaborare una proposta; le basi per una politica comune di difesa.
Sarà in grado Sarkozy di far entrare dalla finestra della conferenza intergovernativa quelle innovazioni che i francesi avevano rifiutato dalla porta referendaria? E soprattutto riuscirà la conferenza intergovernativa a mantenere le fondamentali innovazioni previste nel testo del 2004? Non si può far a meno di concordare con G.Napolitano sul fatto che “aprire un nuovo negoziato può significare aprire un vaso di Pandora, correre il rischio di ripartire da zero, avviare un confronto dai risultati e dai tempi imprevedibili”.
Il rischio che si profila all’orizzonte è il rallentamento esiziale del processo di integrazione politica europeo il quale comporterebbe (come già sta comportando) una perdita d’influenza mondiale per tutto il continente, legata ad un indebolimento costante delle singole influenze nazionali europee (causato dalla loro “piccolezza” geopolitica) sullo scacchiere globale. La campagna francese è stata condotta da entrambi i candidati all’insegna del rêve francese, un sogno che si può ancora esprimere attraverso il motto rivoluzionario liberté, egalité, fraternité. Ma si badi, senza un implementazione dell’integrazione politica europea, quei tre valori sono destinati a restare sulla carta. La Francia deve capire che non ha un futuro di potenza ed influenza al di fuori dell’Europa e deve inoltre riflettere sul fatto che i passati tentativi intergovernativi (es. De Gaulle), volti a rendere l’Europa una potenza “strumento” della Francia stessa, hanno incontrato la ferma opposizione dei paesi più piccoli dell’Unione (all’epoca della Comunità) in quanto non vi è garanzia per gli Stati più piccoli al di fuori di istituzioni comuni (ed inclusive) nei confronti di tutti i membri, piccoli e grandi. Quindi, se non vi è chance per un Europa intergovernativa o per una Francia solista, a quel grande rêve condiviso da tutti i francesi resta aperta solo la strada sovranazionale. Infondo, per Sarkozy vale oggi la stessa indicazione che Spinelli fantasticava di inviare a De Gaulle. “Potete voi dubitare un solo istante del posto che spetta alla vostra nazione, alla sua civiltà, alla sua lingua, a voi stesso, per l’avvio di questa impresa? Non credete che dando la Francia all’Europa voi darete, in realtà, l’Europa alla Francia?”
LE RIFORME DI PADOA SCHIOPPA
da Repubblica
“I sindacati lo devono capire. La riforma delle pensioni va fatta, è un’occasione da non perdere”. A poche ore dall’apertura del tavolo sul Welfare, Tommaso Padoa-Schioppa in un’intervista a Repubblica lancia il suo appello a Cgil, Cisl e Uil: “Capisco le loro difficoltà. Ma stavolta anche a Epifani, Bonanni e Angeletti chiedo di essere ambiziosi e coraggiosi, e di vincere la battaglia in casa loro, invece che di portarla sempre in casa d’altri”.
Il ministro del Tesoro è fiducioso. Ma alla sinistra sindacale dice: “Il negoziato non può durare in eterno, va chiuso in fretta”. E alla sinistra politica ripete: con il “tesoretto” evitiamo la manovra 2008, se lo sprecassimo oggi “saremmo scellerati”. Il risanamento dei conti è compiuto, la crescita economica supera le previsioni. Il ministro è soddisfatto: “Gradisce un caffè?”, chiede all’intervistatore. È il segnale che le cose, per il Belpaese, vanno meglio davvero. Fino a qualche mese fa, per risparmiare denaro pubblico, nell’ufficio che ospitò Quintino Sella avevano tagliato anche i caffè. Oggi si respira un clima più rilassato. Missione compiuta, in un solo anno? “Non me lo aspettavo, ma ci speravo – risponde – la congiuntura ci ha aiutato, ma la risposta del Paese c’è stata, ed è stata superiore alle aspettative. Le imprese hanno reagito, c’è un clima molto positivo e la lotta all’evasione sta dando buoni risultati. Ma queste risposte non le avremmo avute, se non ci fosse un governo che ispira fiducia”.
Ministro Padoa-Schioppa, non teme la solita, italica “sindrome da appagamento”?
“Questo è un rischio che mi preoccupa. L’anno scorso la prova più difficile era far sì che, dopo la campagna elettorale, ci si rendesse conto che occorreva una grande determinazione per il risanamento. Sembra una banalità, e invece allora non era affatto chiaro. Né per il governo uscente, né per la maggioranza vincente. In poco più di un mese, tra il giuramento del nuovo esecutivo e il Dpef, riuscimmo ad ottenere il pieno consenso della maggioranza. Oggi la sfida è diversa. Superata l’emergenza, l’incognita vera è verificare se nel Paese, nel governo, nella politica e nella società c’è un’ambizione che ci consenta di fare il vero salto di qualità”.
È dura, con una coalizione piena di disfattisti che dicono “il governo non dura quindi spendiamo tutto”, e di trionfalisti che dicono “abbiamo già vinto, quindi spendiamo tutto lo stesso”.
“Non possiamo cadere in questa deriva, accontentandoci di aver rimesso la testa fuori dall’acqua e fermandoci lì. Lo considero un errore esiziale. La grande prova è questa: se abbiamo l’ambizione di fare davvero il salto in avanti, dobbiamo riconoscere che siamo ancora lontani dalla meta, e dobbiamo proporci obiettivi molti più importanti. Se non superiamo la prova, ci ripieghiamo su noi stessi. Non c’è più l’emergenza, c’è la mediocrità. Ma se invece superiamo la prova, allora succede davvero un fatto nuovo per questo Paese. Smettiamo di fare l’eterna rincorsa sui nostri partner internazionali, e cominciamo a fare con loro una vera e propria “gara di testa”. In tutti i campi: la crescita, la competitività, la ricerca e l’università, le infrastrutture, i tavoli di concertazione, lo Stato Sociale. Per riuscirci serve l’impegno di tutti: forze politiche, governo, parti sociali”.
Oggi comincia la trattativa su lavoro e previdenza. Cosa si aspetta da questo tavolo, finora assai improduttivo?
“Mi aspetto risposte all’altezza della sfida che ho appena descritto. Dobbiamo puntare ad un assetto del mercato del lavoro e delle relative tutele in cui si realizzi la piena accettazione della flessibilità, che è un dato ineludibile della tecnologia e del mercato globale, ma anche la fuoriuscita dalla precarietà, che invece è dannosa soprattutto per la generazione con meno di 40 anni. Vincere la sfida dell’eccellenza vuol dire proprio questo: porre il problema dei giovani al centro della questione del lavoro e della previdenza”.
Cosa le fa pensare che il sindacato accetterà l’aumento dell’età pensionabile e la revisione dei coefficienti?
“Non entro nel dettaglio di una trattativa che dobbiamo ancora concludere. Ma ci sono due principi, ai quali non possiamo derogare. Il primo è che vi sono ancora oggi, per molte persone, trattamenti pensionistici insufficienti. Il secondo è che ogni ipotesi di riforma previdenziale deve avvenire nel rigoroso rispetto degli equilibri finanziari del sistema vigente che, piaccia o no, contempla tanto la legge Dini del ’95, tanto la legge Maroni del 2005”.
Vuol dire che bisogna tener conto sia dell’impegno a rivedere i coefficienti, sia dello “scalone”?
“Questo è il quadro delle compatibilità normative. Ogni intervento di modifica deve essere “neutrale” dal punto di vista finanziario. D’altra parte, se lei va a rileggere il memorandum che firmammo con i sindacati nel settembre del 2006, troverà esattamente questi impegni, scritti nero su bianco”.
Ma Cgil, Cisl e Uil già minacciano lo sciopero generale. Come fa ad essere ottimista, con questi chiari di luna?
“Non mi piace il termine “ottimista”. Diciamo che sono fiducioso. Ho fiducia che le forze politiche e le organizzazioni sindacali capiscano che questa è un’occasione da non perdere. La perdemmo già una volta, nella legislatura 1996/2001, e il risultato fu la sconfitta elettorale e poi l’intervento della legge Maroni, compiuto in modo piuttosto rozzo e fortemente conflittuale. Ripetere oggi quella sequenza di errori sarebbe imperdonabile”.
Intanto la scadenza del 31 marzo 2007 è passata invano.
“Ha ragione, io per primo sono dispiaciuto per questo ritardo. Non è detto che i negoziati, anche quelli più difficili, debbano durare così a lungo. Gli accordi di Bretton Woods furono sottoscritti in due settimane e mezzo. La Costituzione americana fu redatta in sei settimane. Onestamente mi sembra che la trattativa sulla previdenza sia un po’ meno complessa. Non può durare in eterno”.
Cosa si sente di dire a Epifani, Bonanni e Angeletti?
“Li incoraggio ad essere, a loro volta, ambiziosi. Anche loro devono vincere sfide, al loro interno, esattamente come stiamo facendo noi. Capisco le tensioni tra le confederazioni, vedo il travaglio che attraversa la Cgil. Ma ognuno di noi deve fare in casa sua un pezzo della battaglia. Non può limitarsi a trasferirla nella casa degli altri”.
In questo momento la battaglia in casa vostra è sul “tesoretto”. Cosa risponde a chi vuole usarlo tutto e subito?
“Capisco che quando si è stati stretti a lungo in una morsa, appena si ha la sensazione che la morsa si allenti, prevalga l’istinto immediato a muoversi. Ma in realtà le divergenze interne al governo su come usare le risorse aggiuntive sono meno aspre di quel che sembra. Ci sono due limiti accettati da tutti. Il primo: nessuno pensa che si possa fare a settembre una manovra correttiva sul 2008, per correggere un uso smodato delle risorse aggiuntive effettuato prima. Il secondo: nessuno pensa che si possa rompere la disciplina imposta dal Patto di stabilità”.
Basta questo a renderla tranquillo? E non c’è forse un braccio di ferro tra voi su come impiegare queste risorse?
“C’è una discussione, che a volte si sviluppa in modo forse un po’ troppo dialettico. Questo è un problema: non vorrei che facessimo come nell’autunno scorso, quando sulla Finanziaria convenimmo tutti i principi di fondo, dall’ordine di grandezza della manovra ai tempi del risanamento concordati con la Ue, ma nonostante questo riuscimmo a dare al Paese la sensazione che tra noi vi fosse un dibattito caotico e inconcludente”.
A quanto ammonta questo “tesoretto”?
“Al momento possiamo contare su un miglioramento strutturale del nostro indebitamento netto pari a 8/10 miliardi di euro in più rispetto alle stime del settembre scorso. Secondo i patti con Bruxelles, siamo tenuti ad un aggiustamento strutturale di mezzo punto di Pil sul 2008. Questo vuol dire che, se vogliamo evitare una manovra correttiva nel prossimo autunno, 7,5 miliardi sono “ipotecati” per quell’obiettivo. Le risorse aggiuntive che restano ammontano a circa 2,5 miliardi di euro”.
E questo è quello che possiamo spendere?
“Direi di sì. La manovra correttiva per il 2008 l’abbiamo già fatta, e sta in quegli 8/10 miliardi di risorse aggiuntive. Saremmo scellerati se la disfacessimo ora, per poi doverla rifare fra tre mesi”.
Non c’è molta benzina nel motore. Come si fa correre l’Italia, in queste condizioni?
“Questo è un punto fondamentale. Il Paese ha bisogno di risorse complessive superiori ai 2,5 miliardi. Per le infrastrutture, per il sostegno ai redditi più bassi, per gli investimenti in ricerca e sviluppo. Trovare queste risorse è possibile e necessario, a condizione di escludere due scorciatoie, entrambe improponibili. La prima: non si rompe il Patto di stabilità. La seconda: non si aumenta ancora la pressione fiscale”.
Quindi mai più nuove tasse?
“È così. Fissati questi due argini, la via possibile è una sola: incidere sulla spesa pubblica. Cioè spendere meglio e, a parità di servizi resi, spendere meno. Io sto cercando di farlo qui al Tesoro, dove ci proponiamo di chiudere nei prossimi mesi 40 uffici provinciali del ministero e 40 della Ragioneria. Ora il nostro obiettivo è convincere tutti i settori della pubbliche amministrazioni, centrali e locali, a muoversi sulla stessa linea di riforme e risparmi: dalla sicurezza ai tribunali, dalle infrastrutture alle università”.
Sono quegli sprechi che Prodi chiama “i costi della politica”?
“Chiamiamoli i costi delle funzioni pubbliche. Ho appena letto il gran bel libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, “La casta”. Ciò che ora va fatto è tradurre questa eccellente inchiesta giornalistica in misure correttive. È il nostro vero “tesoro” nascosto. Si tratta solo di farlo emergere. Anche perché non bisogna alimentare un senso di ostilità nei confronti della politica, già troppo diffuso nell’opinione pubblica. Resto convinto che dalla cattiva politica si esca con la buona politica, e non con l’anti-politica”.
E nella disputa Prodi-Rutelli sull’Ici lei come si schiera?
“In nessun modo. Le questioni di compatibilità di bilancio competono al mio ministero, quelle di priorità degli interventi devono rientrare in una sfera collegiale. Quello che posso dirle, è che dobbiamo fare riferimento alle tre categorie già usate in Finanziaria: risanamento, crescita, equità. E dunque, se sul risanamento si tratta ormai di mantenere la rotta e non di correggerla, adesso dobbiamo concentrarci sulla crescita e sull’equità”.
Proprio la crescita resta il nostro tallone d’Achille: possiamo stare al traino della ripresa europea?
“Certo che no. Quest’anno cresceremo del 2%, secondo le nostre stime, e dell’1,9% secondo quelle della Ue. Sono livelli superiori alle stime, ma restano comunque inferiori alla media europea. Di nuovo: non possiamo accontentarci. Nei prossimi mesi dobbiamo perseguire tre grandi obiettivi. Il primo, appunto, è crescere stabilmente oltre il 2%. Il secondo è completare la riforma del nostro Stato Sociale, che è abbastanza avanzato per pensioni e sanità, ma ancora in parte inadeguato per la povertà e la disoccupazione.
Il terzo, lo ripeto, è scommettere tutto sull’eccellenza”.
“Vaste programme”, le avrebbe risposto De Gaulle. Come pensa di riuscire a realizzarlo?
“Io ho due bussole. Una bussola mi dice che dobbiamo allungare oltre l’orizzonte. Non ragionare più di anno in anno, ma su una prospettiva di 5, 10 o 15 anni. La Germania ha impiegato un lustro, per realizzare un formidabile recupero di competitività. Un’altra bussola mi suggerisce che, in tutti i campi, dobbiamo separare il grano dal loglio, come dice la parabola. Distinguere ciò che è produttivo da ciò che è rendita. Incentivare fortemente il primo, e penalizzare severamente la seconda. In altri termini, dobbiamo fare quello che in Italia non si è fatto mai abbastanza: riconoscere il merito, e premiarlo”.
Cominciate a farlo nei contratti pubblici, allora. Quello che avete firmato proprio qui al Tesoro ha sollevato enormi polemiche.
“Chi ha polemizzato lo ha fatto senza voler conoscere i fatti. Per il biennio 2005-2006 abbiamo più che dimezzato i premi, per il 2007 e per gli anni successivi abbiamo fissato dei tetti, il 30% delle risorse verrà distribuito in base ai risultati dei singoli uffici, i dipendenti con sanzioni disciplinari subiranno, per la prima volta qui dentro, delle decurtazioni. Mi sembrano passi avanti tutt’altro che irrilevanti”.
Un’altra polemica velenosa che le è piovuta addosso riguarda l’affare Telecom. Siete intervenuti pesantemente. Galeotta, quella sua telefonata a Bernheim…
“Non voglio riaccendere polemiche. Mi limito a questo: pensare che la politica economica e il mercato siano due realtà che devono astenersi dall’interagire, per conservare una specie di purezza incontaminata, è una visione sognante sia della politica sia dell’economia”.
Per concludere: cosa si devono aspettare gli italiani, sempre che questo governo duri? Altri sacrifici?
“Sacrifici non è la parola giusta. Meglio parlare di impegni e di sforzi che devono riguardare tutti. Il governo può creare un clima, ma poi la spinta vera deve venire dalla società, dalle classi dirigenti e dai cittadini. Non adagiamoci su ciò che si è fatto. Il Paese non si deve accontentare del poco. Se saremo poco ambiziosi, saremo sempre poco soddisfatti. È questa la sfida, per l’Italia di oggi”.