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COMITATO OMBRA PER IL PARTITO DEMOCRATICO
di Salvatore Viglia
Un Comitato Ombra per il Partito Democratico
Il Comitato dei 45 per la fase costituente del Partito Democratico, è stata una delusione. Non certo per la qualità dei componenti, ma per aver disatteso uno dei principi fondanti delle nuova idea: il rinnovamento.
Rinnovamento, è vero, significa ventata nuova di personalità che pur assortiscono l’elenco, ma rinnovamento significa anche e soprattutto ringiovanimento. A partire dal linguaggio, dalla volontà di eliminare la contrapposizione sorda e cieca degli schieramenti. Rinnovamento significa non commettere più vecchi errori. Rinnovamento vuol dire cambio generazionale disposto a comprendere le ragioni di tutti e a farsi interprete delle istanze dei giovani.
Purtroppo siamo un paese di vecchi. Dove vecchio è il cinquantenne che cerca lavoro ma non il politico che ha una carriera probabile e possibile sino ad oltre gli ottanta.
L’età media dei componenti del Comitato è ben al di sopra dei cinquanta. Nessuno al di sotto dei quaranta. Eppure ce ne sono di nomi e di persone in gamba da poter reclutare. Siamo alle solite, non si riesce in questo paese, checché se ne dica, ad affidarsi ai giovani. Forse per sfiducia, o forse perché questi giovani quarantenni, che in realtà dovrebbero già essere considerati anziani, non danno l’impressione di poter essere in grado. Come? Dei ragazzi ai vertici di un partito, di un nuovo partito nel quale il centrosinistra di domani, affiderà il destino del paese?
In questo Paese, non riusciamo proprio a concepire un giovane di vent’otto anni brillante, amministratore delegato di una grande azienda. Saranno anche plurilaureati, ma a vent’otto anni uno è un ragazzo che mangia ancora la minestra di mammà.
L’errore, quindi, commesso dai DS e Margherita, sino ad un certo punto, può essere comprensibile. Ma fino ad un certo punto.
Si continua ad ammettere che si è sbagliato a non attingere tra i giovani e che questi si facciano avanti, si propongano, saranno accettati.
Come? Urlando in pieno convegno, per esempio, «è permesso? Mi faccio avanti lasciatemi entrare»? Innescando una polemica a questo punto con i vertici, con i quadri che hanno voluto questo parto abnorme?
Non si offendano, eppure ce ne sarebbe da offendersi, non se ne abbiano, eppure ne avrebbero da aversene, i “giovani”, le risorse di questo ancora fantomatico PD: si facciano avanti!
Al momento, così come sono andate le cose, non resta che organizzarsi. Organizzarsi nella creazione di un Comitato ombra composto da quarantenni. Un Comitato che sappia dimostrare, se non anticipare addirittura, iniziative, linee, programmi politici al Comitato dei grandi.
Un Comitato, beninteso, che potrebbe decidere anche di affidarsi ai vecchi o a qualcuno di questi. Ma l’avrebbe deciso una compagnia di giovani. Non è la stessa cosa!
In questo modo, si sarebbe trovata una strada per farsi avanti, come si dice. Farsi avanti senza remore con decisione, con la determinazione di chi dice: «Noi faremmo questo»!
Una iniziativa di questo tipo potrebbe essere un buon viatico, un mezzo utile e propositivo, non di scontro: «avete voluto che ci facessimo avanti? Eccoci qua».
Il Comitato dei “piccoli” che, autolegittimandosi, si affiancasse a quello dei grandi e, senza fare polemiche, o meglio, evitando quelle distruttive, proponesse e dissentisse dalle decisioni di quello dei “grandi”.
La «grande avventura democratica», come l’ha definita Romano Prodi, rischia di essere una grande avventura e basta. Un flop.
Parte con il piede sbagliato perché elude uno dei fattori fondanti del Partito Democratico: le giovani risorse.
Romano Prodi, ha lasciato intendere, forse chi scrive non ha saputo intendere non è escluso, che i giovani non sono abbastanza vecchi per poter essere parte integrante del Comitato dei 45 quando afferma: «Sono soddisfatto» poiché il Comitato è composto da «personalità importanti ed autorevoli». In altre parole, non abbiamo reputato all’altezza del compito il materiale umano al di sotto dei quaranta anni. Certo che anche un transfugo come il senatore Follini è stato denominato autorevole. Non è questo un errore? Bindi, Bersani e D’Alema sono autorevoli perché ministri, più volte ministri? Bassolino, Amato, Del Turco e Parisi, sono autorevoli come autorevolissimo, a questo punto, è Dini?
Questa è una squadra di autorevoli che non ha saputo neanche consolidare le proprie posizioni all’interno dei propri partiti di appartenenza. Figuriamoci in una nuova struttura politica.
Non è vero che l’esigenza del Partito Democratico, si sia sentita proprio per la deficienza della tenuta dei DS e della Margherita? Qualcuno pensa che, viceversa, in strutture di partito forti, conoscendo la storia e le tradizioni di questo paese, sarebbe stato necessario avventurarsi in questo percorso del PD che imbarca acqua da tutte le parti e siamo ancora nella fase del Comitato?
Il Comitato ombra allora, è una necessità. Lo si costituisca senza aspettare altro tempo, lo si proponga a decine e decine giovani dirigenti. Che insegnino un modo nuovo di fare la politica.
Un Comitato la cui generazione è quella del computer, della sintesi ideologica vera che prescinde dalle retoriche e dai populismi. Un Comitato che insegni a transigere, proporre, comprendere anche le ragioni degli avversari politici.
Il giovani possono essere rappresentati solo dai giovani. Ormai lo abbiamo capito.
Nel 2009, chi andrà alle urne, non avrà visto in piedi il muro di Berlino.
Il problema è la scuola, il costo dei libri, le tasse Universitarie, la ricerca, il lavoro precario, il miraggio della casa, il mutuo, il matrimonio, addirittura il sogno di un figlio.
Non è certo con la sclerosi degli anziani, dei perpetratori di organigrammi triti e ritriti costellati di fallimenti che si potrà fondare il Partito Democratico che si va predicando.
RESOCONTO DI IERI – PARTITO DEMOCRATICO
di Massimo Preziuso
A mio avviso, ieri è stata una giornata intensa ma importante per il futuro del P.D.
Nella mattinata, siamo riusciti a dare il via alle “operations” del Think Tank APD 11 Febbraio, e a breve avrete comunicazione e invito a partecipare (e spero davvero che in tanti vorranno farlo).
Nel pomeriggio sono stato, insieme a molti amici di Innovatori Europei, APD 11 Febbraio, e di Insieme Per il Partito Democratico (le tre iniziative “nostre”), alla Assemblea Nazionale per il Partito Democratico, al Teatro Quirino di Roma: bene, vi erano circa mille persone (e devo dirlo, molti giovani, a differenza di esattamente un anno fa, quando partecipai nello stesso posto ad una Assemblea di Incontriamoci), e dai vari interventi venuti dalla sala e dal palco, si capiva che vi è finalmente aria di cambiamento (almeno questo a me sembra).
Sembra davvero che da Ottobre si realizzeranno idee nuove e si vedranno facce nuove nella politica italiana, e soprattutto si metterà in moto un Partito politico, il Partito Democratico, che potrà rappresentare finalmente la “casa comune” in cui discutere di problemi nuovi, in modalità nuove.
E’ giunto il momento di unire le forze, per realizzare un grande progetto comune!
A tal fine, vi invito a seguire le attività che stiamo mettendo in campo nel Think Tank APD 11 Febbraio,in cui vogliamo portare il contributo intellettuale del Gruppo Innovatori Europei.
Buona domenica,
Massimo Preziuso
INTERVISTA ONOREVOLE SANDRO GOZI (ULIVO)
di Salvatore Viglia per Innovatori Europei
«Io credo che uno dei valori del PD che io intendo come appartenente al centrosinistra, alla sinistra, sia quello di non perdere mai l’obiettivo della coesione sociale e della solidarietà».
L’on. Sandro Gozi è Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’autorità di Europol, di controllo e vigilanza in materia d’immigrazione; I Commissione affari costituzionali della Presidenza del Consiglio e interni.
L’on. Gozi è una personalità di spicco del nuovo Partito democratico, trentanovenne, una delle menti propulsive della costituenda nuova compagne politica.
La questione sollevata in queste ore sulla nomina del leader del Partito democratico, sembra aver procurato qualche imbarazzo al presidente del consiglio Prodi.
Credo che non ci sia bisogno in Italia, nel centrosinistra, di ulteriori fermentazioni, di creare un ulteriore dualismo: leader Partito Democratico e Premier Primo Ministro. Sarebbe certamente un passo indietro.
E? chiaro che il PD deve dare anche forza al governo ed è impensabile che si possano cumulare le due figure.
Altra questione, invece, è avere una sorta di coordinatore per coordinare le attività degli organi che dovranno, poi, fare il PD.
Una cosa è certa, il PD dovrà partire dal basso. Non si costruiscono le piramidi partendo dal vertice.
Bisogna, quindi, cominciare a costruire gli organi dal basso, dal territorio. Poi, come ultimo atto, i nuovi organi ed il nuovo congresso, dovranno esaminare e decidere chi sarà il leader politico.
Se in questa fase c’è bisogno di un coordinatore, ben venga n coordinatore. Ma che questo fatto non inneschi un ulteriore dualismo ed ulteriori personalismi.
Di protagonisti pare ce ne siano già abbastanza.
Lei ha un nome, è orientato verso qualcuno in particolare che potrebbe essere il leader?
Al momento ce ne è un solo: Romano Prodi.
Nella lista dei 45 che si dovranno occupare e costituire il futuro PD, però, non sembrano essere stati privilegiati i giovani così come si è predicato, come mai?
Questa è una bella domanda.
A mio parere, questo è stato un errore. Un errore riparabile ma un errore. Il Comitato deve avere una funzione precisa, deve scrivere le regole quindi non è l’inizio del nuovo partito. E’ un organo che deve fare la strada e ciò vuol dire eleggere una assemblea costituente. Quello sarà il vero embrione del nuovo partito. Per questo dico che è un errore riparabile. Certamente è una occasione persa perché il PD deve essere un partito nuovo più aperto alle donne, più giovane, più sensibile ai giovani. Il fatto che non ci sia, nel gruppo dei 45, nessuno sotto i 40 anni, mi sembra un fatto non positivo. Anche perché noi continuiamo a dover lottare come giovani e ad essere considerati giovani, io ho 39 anni, quando in realtà noi dovremmo occuparci dei veri giovani che sono poi quelli al di sotto dei 30 anni. In Italia siamo in ritardo di 15 anni, di tre generazioni visto che queste cambiano ogni 5 anni. Ripeto, una occasione persa. L’assemblea costituente garantirà la massima apertura in cui non solo sarà possibile votare liberamente, ma si potrà anche essere votati liberamente. Garantirà una grande apertura ai giovani ed alle donne.
Mi è sembrato di capire due cose da quanto lei ha detto e cioè, la prima è che praticamente tutti gli esclusi non dovranno preoccuparsi perché, magari, avranno collocazioni di spicco nel prossimo futuro, la seconda?
Tutti possono essere candidati. Le regole su cui noi dobbiamo insistere sono quelle delle massima libertà dell’elettorato sia quello attivo sia quello passivo. Non dovranno esserci membri di diritto. Deve essere un processo completamente aperto. Sono sicuro che con le energie che abbiamo, con il fatto che ci sia una fortissima volontà di riforma e di cambiamento da parte della mia generazione ed in quelle che seguono, questo processo si potrà garantire sin dall?inizio nella assemblea costituente. Il PD dovrà essere un partito più giovane, più rosa.
La seconda cosa, dicevo, che mi sembra d’aver capito, è che ci troviamo al cospetto di una mentalità che connota il nostro paese per quanto riguarda l’età. Voi 39 enni venite considerati giovani quando dovreste essere, in pratica, degli anziani.
Assolutamente. E’ una questione di mentalità legata alla società italiana. Io dico sempre che gente alla mia età, penso a Blair, già si confrontava con la guida di una nazione.
Noi a 39 anni, siamo considerati giovani. Ed io sono un giovane fortunato rispetto ad altri della mia età che meriterebbero altrettanto quanto me. E’ un problema acuto nella politica ma che si ritrova nell’impresa, nell’Amministrazione, in tutti i posti apicali in cui non troviamo giovani perché siamo un paese gerontocratico.
Degli esclusi dal novero dei 45, per esempio, troviamo Gregorio Gitti. Non trova che uno come Gitti, invece, doveva essere tra i primi ad essere reclutati?
Sì, secondo me sì. Però ho visto che c’è una ragazza, una donna che fa parte della componente Gitti nel Comitato, non sotto i 40 anni, ma una donna, Paola Caporossi. Diciamo, quindi, che Gitti è rappresentato. A mio parere, Gitti, sarebbe stato benissimo nel Comitato.
A fronte di questa esclusione e di altre ancora, però, c?è stata una accoglienza clamorosa ad un ?saltatore? di rango: Marco Follini.
Questo è un altro discorso. E? un discorso diverso dalla questione generazionale. Ma un discorso, a mio parere, giusto perché il PD deve essere un partito che si apre anche ad altre forze politiche, ad altre personalità politiche. Credo che il PD debba guardare anche molto al centro, ad un centro che voglia veramente riformare il bipolarismo e renderlo più funzionante, più razionale. Da questo punto di vista, la presenza di Follini, la reputo un dato positivo.
E se si tacciasse di opportunismo politico?
Io penso che Follini sia stato molto coraggioso più che opportunista perché?
Mi riferivo all’opportunismo del PD nel reclutarlo.
No. Il PD, molto chiaramente, ha detto, ed è emerso chiaramente ai congressi DS e Margherita, soprattutto in quello della Margherita, che è un partito che dovrà anche aprirsi molto verso il centro, verso il centro politico. Il PD è una forza di centrosinistra quindi, se questa forza di centrosinistra allarga a centro con tutti coloro che sono disposti ad impegnarsi in un progetto di rinnovamento che deve essere della politica, del sistema politico e poi delle istituzioni italiane, sono i benvenuti come Follini.
Stando a quanto si dice, per esempio, da parte della sinistra radicale, il PD non avrebbe nulla di sinistra ma sarebbe, in realtà, un nuovo centro. Lo stesso Fassino è stato bollato come un liberal-sociale.
A me sembrano veramente schemi che denotano aspetti un po’ in ritardo da parte della sinistra italiana. Non possiamo affrontare il 21° secolo, non possiamo affrontare le nuove sfide del nostro paese dicendo quelli non sono di sinistra sinistra, quelli sono di centrosinistra, quegli altri liberal sociali, più o meno liberali ecc.
Perché non credo serva a qualcosa pensare a questo al cospetto del cambiamento climatico, all’immigrazione, all’evoluzione demografica, al problema dell’integrazione degli immigrati in Italia, al problema di coniugare sicurezza e flessibilità al mercato del lavoro. Tutte queste sono problematiche che richiedono una nuova analisi, una nuova proposta politica e che vogliono tenere conto delle esigenze di maggiore solidarietà e di maggiore coesione sociale.
Mettere il paese nelle condizioni di maggiore competitività nell’Amministrazione come nell’impresa, questa è la sfida.
Le sfide che siamo costretti ad affrontare, sono talmente nuove che stare a perdersi in disquisizioni inutili in discussioni accademiche su chi sia o no un liberal sociale, è anacronistico.
I nuovi problemi cui dovremo dare conto, richiedono nuove soluzioni politiche. Io credo che uno dei valori del PD che io intendo come appartenere al centrosinistra, alla sinistra, sia quello di non perdere mai l?obiettivo della coesione sociale e della solidarietà. Questo, secondo me, è il futuro.
Nel momento in cui noi affronteremo le riforme del mondo dell’impresa, dell’economia, dobbiamo tenere presente che non si può sacrificare l’esigenza di maggiore diffusione del benessere nel dogma della competitività. Noi dobbiamo portare l’Italia verso una competitività che sappia tenere presente di questi due capisaldi, solidarietà e coesione sociale, della società italiana altrimenti marceremo contro la nostra storia. Ciò detto, tutto il dibattito che io chiamo para-ideologico, sono di sinistra o non sono di sinistra, oppure: la nostra tradizione è quella della DC, la nostra tradizione è quella del PCI, risulta inutile. Guardi che, nel 2009, voteranno nuovi elettori. Sarà gente che è nata dopo il 1989, dopo il muro di Berlino. A quelli, non interessa assolutamente niente se il candidato che votano si ispira alla DC o al PCI. Semplicemente vorranno sapere cosa propone quel candidato per una Università più competitiva, per un passaggio nel mondo del lavoro più giusto che costringe i giovani alla precarietà assoluta ecc. Queste sono le risposte ecco perché a me non interessa questo dibattito.
Ma sarà facile, lei crede, adoperare una sintesi, per esempio con la Pollastrini?
Io credo che le grandi forze di centrosinistra che hanno intrapreso questo processo di rinnovamento, come ad esempio, prima e dopo Blair, sono riusciti a fare delle sintesi felici e positive e su posizioni ben diverse e più profonde da quelle che ci possono essere con la Pollastrini. Questo non mi preoccupa molto.
Per quanto riguarda la due questioni ?principe? che potevano inficiare il sodalizio DS-Margherita e cioè la laicità dello Stato e la dislocazione in ambito europeo del PD, far parte o no del PSE, come risolverete questo problema? E? un problema?
Sulla questione etica, io non credo che ci siano dei partiti etici. E? difficile avere da statuto una posizione precisa e vincolante per i singoli sulle grandi questioni etiche. Su queste, a mio avviso, deve sempre applicarsi il concetto della libertà di coscienza. Sulla questione della laicità, dobbiamo fare una distinzione. Ormai il dibattito italiano è divenuto un dibattito assolutamente strumentale, ideologizzato. Un conto è la laicità, un conto il laicismo, un conto è il rispetto delle prerogative della Chiesa nella società, un conto è volere costituire un partito dei credenti, come un conto è affermare il principio di separazione Stato e Chesa, un altro conto e fare dell’attività contro le posizioni della Chiesa un motivo di azione politica, questo è laicismo.
Bisogna tornare a ragionare in termini, allo stesso tempo, moderni e coerenti con la grande tradizione democratica italiana. In uno Stato moderno, è chiara la divisione temporale dalla dimensione spirituale. Non è possibile pensare, in uno Stato moderno, che certe posizioni di partito siano dettate da queste o da quelle credenze religiose. Quando si governa la cosa pubblica non si può pensare di proporre, a volte, addirittura imporre, la propria sensibilità personale. E? necessario, allora, fare una sintesi, uno Stato laico deve essere rispettoso della presenza della Chiesa cattolica, rispettosa dell’Autorità religiosa. Adoperare una sintesi tra le posizioni legittime dei credenti e le posizioni altrettanto legittime di coloro che non credono. C?è una frase famosa di Kennedy che, da cattolico, divenne Presidente degli USA che diceva:«Se mi si pone un problema tra l?interesse generale e la mia coscienza, io sono costretto ad andarmene, non posso certamente pensare di utilizzare la mia posizione per far diventare la mia obiezione di coscienza, interesse generale». E’ questa la via su cui dobbiamo andare. Fa male, e lo dico da cattolico, alla Chiesa, dare l’impressione, non dico che questa sia la posizione, ma dare l’impressione di parteggiare per una parte politica o che si è più favorevoli a quel partito piuttosto che a quell’altro. Non è questo il ruolo della Chiesa pur avendo diritto di esprimere le proprie opinioni. Il ruolo della politica è quello, ripeto, di essere in grado di fare sintesi positive. Del resto la DC non era il partito della Chiesa. La DC era un partito che faceva sintesi tra le esigenze del cattolicesimo e le esigenze del mondo laico. Credo che questa sia la grande tradizione italiana che dobbiamo proseguire.
Sulla seconda questione che lei chiama “principe” inerente l’Europa, tutti i risultati di tutte le elezioni europee dimostrano che chi scende in campo da solo non può vincere le elezioni. Che c’è una forte esigenza, da parte degli elettori, di avere nove alleanze, nuove aggregazioni di centrosinistra, nuove proposte cosiddette riformiste.
La Francia è l’ultimo esempio. Credo che ci siano tutte le condizioni, anche dopo il congresso del PSE di Oporto, di proporre a livello europeo una alleanza più ampia che vada al di là del PSE. Una alleanza di centrosinistra nel Parlamento europeo che veda i Democratici socialisti ed altre forze progressiste che non si riconoscono nel partito socialista. Noi non chiediamo all’Europa di risolverci un problema, noi chiediamo ai nostri partners europei di prendere atto di una realtà politica e di prendere atto del fatto che il nostro è un progetto estremamente avanzato, una soluzione che potrebbe certamente essere la soluzione anche in un Paese come la Francia, che lo è in Vallonia e che potrebbe diventarlo in Belgio, che lo diventerà in Polonia nel momento in cui il centrosinistra polacco si riorganizzerà per rispondere ad una destra oscurantista. E’ una presa d’atto che già c’è perché ad Oporto si detto che bisogna aprirsi a forze che socialiste non sono.
Sono sicuro che anche nel Parlamento europeo potremo dare vita ad una grande alleanza di centrosinistra, dei socialisti e dei democratici che potrebbe diventare anche il primo gruppo.
La vedo come una opportunità. Non avrebbe senso dire: creiamo una nuova forza politica in grado di risolvere le grandi questioni poste dal 21°secolo e dire al tempo stesso che per fare ciò, dobbiamo diventare socialisti. Dobbiamo vedere, insieme ai socialisti, quali altre nuove alleanze fare. Non dentro, ma con i socialisti.
Il PD ancora non c’è, dunque, un progetto scritto non esiste, ma lei, personalmente, la questione dei giovani dato che parliamo di un partito giovane, come pensa di risolverlo? Questi arrivano tardi a completare gli studi, tardi al matrimonio, tardi al lavoro, tardi ad uscire dalla casa dei genitori, tardi a comprarsi la casa. Tardi per tutto.
Innanzitutto, direi che non c’è una politica per i giovani. Cosa vuol dire giovani? I giovani sono quelli che passano dalle scuole superiori all’Università; giovani sono quelli che dall’Universtità, transitano nel mercato del lavoro, giovani sono coloro che intendono mettere su famiglia, giovani sono i professionisti, quelli che hanno 28-30 anni che sono bene inseriti nell’Amministrazione, nella organizzazione internazionale dell’impresa ecc.
Per risolvere i loro problemi, bisognerà scomporre il mondo dei giovani nelle diverse problematiche. I giovani professionisti sono la risorsa del paese, bisogna ricondurre in Italia tutti quei cervelli emigrati all’estero. Essi porterebbero nuova linfa vitale a tutto il sistema. Il PD dovrà ridurre in maniera drastica l’impatto che si ha sui giovani nelle varie politiche che noi portiamo avanti. Politiche del mercato del lavoro, politiche della ricerca. Dovremmo interrogarci, ogni volta che facciamo qualcosa e chiederci: che impatto avrà sui giovani? Dare tutta una serie di agevolazioni innanzitutto per finire l’Università e poi per facilitarne il passaggio al mondo del lavoro. A mio parere, bisognerà garantire ai giovani che vogliono mettere su famiglia, dei crediti agevolati per i mutui, per il passaggio a sistemi di previdenza personale che permettano a dei precari di cominciare a pensare di avere un avvenire. Intervenire con tutta una serie di provvedimenti che facilitino l’emancipazione dei giovani perché oggi questi non si emancipano, non escono dalle famiglie prima dei 30 anni. Questo è il grande ritardo rispetto agli altri paesi europei. E’ una politica complessa, una politica molto articolata ma prioritaria per il nuovo PD.
Una domanda un po’ provocatoria, quale leader non ha aderito al nuovo PD che lei avrebbe voluto aderisse per capacità, formazione e valori?
Bisogna pensarci.
ROMA, 2 GIUGNO: INCONTRO PD
Sabato 2 giugno 2007, ore 15
Roma, Teatro Quirino, via delle Vergini
Alcuni cittadini e l’Associazione Nazionale per il Partito Democratico hanno organizzato per il prossimo 2 giugno a Roma un evento nazionale dal titolo “Partito Democratico: partecipo, decido, cresco”
Interverranno Walter Veltroni, Arturo Parisi, Giovanna Melandri, Giulio Santagata, Michele Emiliano, con la conclusione del Presidente del Consiglio Romano Prodi.
Introdurrà Daniela Vannini con la lettura di un appello per la costituente del PD e dialogheranno con il pubblico Gregorio Gitti, Flavia Baldassarri, Giovanni Kessler.
Porterà il suo saluto Paola Caporossi, la più giovane componente del Comitato Nazionale per il PD
E’ importante la presenza di ciascuno di noi per testimoniare in tanti la voglia di partecipare e di contare nella costruzione del Partito Democratico.
Ulteriori dettagli del programma saranno pubblicati sul sito www.apditalia.org
Per confermare la tua presenza, contattaci !
Ti aspettiamo.
La redazione della Associazione per il Partito Democratico
ASSEMBLEA NAZIONALE INSIEME PER IL PARTITO DEMOCRATICO
INNOVATORI EUROPEI E’ CO – FONDATORE DI INSIEME PER IL PARTITO DEMOCRATICO
ASSEMBLEA NAZIONALE DELLE ASSOCIAZIONI DEI MOVIMENTI E DEI CITTADINI
ROMA – 22 GIUGNO 2007 – Ore 15.00 SALA BIBLIOTECA NAZIONALE – VIALE CASTRO PRETORIO 105 (STAZIONE TERMINI)
DIALOGO E CONFRONTO CON I PARTITI PER LA COSTRUZIONE DEL PARTITO DEMOCRATICO
Per aderire: INSIEME PER IL PARTITO DEMOCRATICO
WWW.INSIEMEPERILPARTITODEMOCRATICO.COM
INFO@ INSIEMEPERILPARTITODEMOCRATICO.COM
ULTIMA CORSA
Si comunica ai signori viaggiatori che in partenza l’ultima corsa della giornata
di Aldo Perotti
Leggo della pioggia di polemiche seguite alle elezioni amministrative di domenica.
L’analisi del voto, come sempre avviene, risente della posizione delle varie parti in gioco.
Da una parte chi perde, è ovvio, “tiene”, oppure “limita i danni”, od anche “attendeva un simile risultato”. Dall’altra parte, chi vince “trionfa”, “sbaraglia”, “è maggioranza nel paese”, e cosi via dicendo.
Prodi, nell’intervista a LaRepubblica di stamani, difende a spada tratta il suo operato e scarica sugli alleati la quasi totalità delle colpe (incluse le polemiche sul futuro del PD). Ammette una sua responsabilità nel non essere riuscito ad imporre la sua linea e la sua volontà in molte occasioni e si ripromette si cambiare decisamente atteggiamento; il suo sembra infatti un out-out definitivo: “ Ma adesso basta. D’ora in poi cambia la musica. O si fa come dico io, o prendere o lasciare.” e poi ”Voglio uno spazio per governare davvero, e poi me ne andrò come ho promesso. Ma se non ho lo spazio per governare, me ne vado subito. A fare il Re Travicello proprio non ci sto.”
Ma cerchiamo di capire meglio le ragioni di quella che in media, pur tenuto conto delle singole peculiarità locali, ha tutta l’apparenza di una sconfitta per il centrosinistra; l’ago della bilancia infatti (sempre in grande equilibrio nel nostro paese) si è, numeri alla mano, spostato verso destra.
Le parole “delusione” prima e “protesta” poi sono probabilmente alla base del risultato che punisce la compagine governativa. Delusione delle enormi aspettative che aveva stimolato il centrosinistra in campagna elettorale e protesta per tutta le discrasie che quotidianamente si osservano. Come dimenticare la crisi del governo sulla politica estera, le divisioni sull’indulto, sui dico, sull’ICI,il tesoretto, il contratto degli statali e chi più ne ha più ne metta.
Se è vero, come è vero, che l’iniziativa di governo opera “per il bene del paese”, sembra proprio, che ognuno, all’interno della maggioranza, abbia una sua propria personale idea del bene del paese che sembra coincidere, guarda caso, con il bene esclusivo e prioritario di una determinata categoria, gruppo o classe, ritenuto essere (a torto o a ragione) il suo elettorato di riferimento.
Se in questo paese non si finisce di preoccuparsi di questa o quella categoria e non si definisce una posizione univoca, condivisa, irrevocabile, indiscutibile, su quello che è il bene del paese, non si potrà che continuare a scendere per quel crinale su cui la destra, assecondando l’involuzione di gran parte dell’occidente, ci ha purtroppo scaraventato.
Unica via d’uscita per il paese non può che essere proprio il discusso Partito Democratico.
Se anche dovesse venir meno la volontà delle attuali compagini dei partiti (troppo convinte che la conservazione delle loro posizioni di potere faccia parte de programma del futuro PD, il che non potrà e non dovrà essere), il Partito Democratico vedrà comunque la luce attraverso l’iniziativa spontanea, attraverso le associazioni ed i movimenti.
Certo è che la politica deve comprendere che questa è probabilmente l’ultima corsa per tutti, per la classe politica, per l’impresa, per i cittadini. O si sale ora sul treno del cambiamento con la consapevolezza che non sarà un viaggio facile per nessuno, specialmente per chi fino ora ha viaggiato in prima classe (a volte senza biglietto), o si rischia di esserne travolti con l’inevitabile montare dei conflitti sociali che una perdurante instabilità profila all’orizzonte.
RITORNIAMO A FARE POLITICA..
di Vincenzo Girfatti
Ebbene sì! ‘E arrivato il momento di tornare a fare politica. Il Partito Democratico non può essere la summa di Ds e Margherita. Un nuovo partito per essere realmente nuovo deve avere la partecipazione di persone che hanno voglia di contribuire al cambiamento e quindi al miglioramento del Paese. Il modo di fare politica legato essenzialmente al personalismo, ha allontanto sempre di più il Paese dalla crescita e soprattutto dallo sviluppo.Il Pd nasce se c’è una condivisione piena e la voglia comune di fare politica per il bene del paese. Non voglio essere il solito politicante che parla, anzi scrive politichese, ma voglio soltanto evidenziare che nel nostro Paese c’è una disaffezione nei confronti della politica da parte di più classi sociali, e che putroppo la politica ha la grossa responsabilità di aver contribuito al fallimento dei vari Enti Strumentali presenti sul territorio. Fallimento che poteva essere evitato. Penso alla Campania che oggi vive una situazione difficile, non soltanto per il problema rifiuti, e alle altre Regioni del Meridione. ‘E vero però che in tutta la penisola è riscontrabile un ritardo nei confronti degli altri paesi Europei. Ebbene la necessità di un Partito Forte, con tradizioni popolari, riformiste, europeiste, è chiara. Non dobbiamo aspettare, andiamo avanti! ..
INVITO CIRCOLO P.D.MILANO 31-5
Cari Amici di Innovatori Europei,
il Circolo per il Partito Democratico Milano, in collaborazione con l’APD nazionale e l’APD 11 febbraio, organizza un evento pubblico nel corso del quale, oltre alla presentazione ufficiale del Circolo, parleremo di “Quali regole per un Partito veramente democratico”.
Allego alla presente il programma dell’evento.
Nel corso dell’evento parleremo della sottorappresentazione dei giovani, della società civile e del nord nel “Comitato 14 ottobre” e presenteremo una nostra proposta di regole per assicurare un confronto aperto e in condizioni di pari opportunità alle elezioni che porteranno alla nomina dei membri della Costituente del Partito Democratico.
Vi sarei grato se poteste dare spazio alla nostra iniziativa milanese sul Vostro sito oppure segnalarla a una mailing list di Milanesi (e provincia).
Speriamo di incontrare tutti Voi giovedì 31 maggio ore 20.30 presso la sala San Carlo.
Per motivi organizzativi e considerando le numerose conferme di partecipazione ricevute una vostra conferma è gradita.
Saluti a tutti
Cesare Saccani
Coordinamento Circolo per il Partito Democratico Milano
csaccani1@tiscali.it
CAPITALI E TALENTI
TUTTO DIPENDE DALLE SCELTE DEI LEADER
di Francesca Cattozzo
Essere dentro o fuori dalla competizione globale è piena responsabilità dei leader. Capitali e talenti per realizzarsi hanno bisogno solo di regole chiare, semplici e soprattutto certe.
In un’intervista a Francesco Caio ex McKinsey, ex A.D. Omnitel, ex Merloni, ex Cable&Wireless e attualmente Vice Presidente della banca d’affari internazionale Lehman Brother di Londra, il mensile Business People affronta il tema della fuga dei manager italiani all’estero.
In Italia è vissuto come un fatto “normale” che un manger o una persona di talento per potersi esprimere nel pieno delle proprie capacità e competenze e per crescere professionalmente se ne debba andare all’estero “with compliments” ai Paesi riceventi. Così hanno fatto anche Vittorio Colao, numero due mondiale della Vodafone; Claudio Costamagna ex responsabile della Goldman Sachs, e numerosi altri prima e dopo di loro.
“Capitali e talenti per realizzarsi nelle loro massime potenzialità” afferma Francesco Caio “hanno bisogno di regole chiare, semplici e soprattutto certe . Se queste regole vengono cambiate in corsa, è evidente che si insinua la sfiducia nella solidità del sistema che genera incertezza la quale è nemica della crescita economica e sociale di un Paese. E direi anche della crescita personale del singolo”.
Caio evidenzia anche il fatto che in Italia le persone non vengono valutate per il merito ed i risultati, ma – nel pubblico come nel privato- le selezioni e le collaborazioni si basano su processi di cooptazione dove vincono le relazioni sulle competenze. Il tutto a discapito della competitività del Paese e del sistema impresa italiano. “Io sono per una economia di relazione” continua Caio “che sulla base di criteri oggettivi e ruoli chiari e inviolabili, selezioni il migliore”.
leaderNel mix di cultura americana ed europea di Paesi quali l’Inghilterra o gli USA non importa chi sei e da dove vieni, importa cosa vuoi e quanto sei disposto a impegnarti per raggiungere il tuo obiettivo. Funziona una sorta di meccanismo fondato sulla condivisione di valori e obiettivi che permette a chiunque di mettersi in gioco per cogliere le opportunità che gli si presentano. Gli ingranaggi sono: la meritocrazia e il pieno apprezzamento, la chiara definizione dei ruoli, la continuità nella comunicazione interna ed esterna, l’orientamento al mercato e al consumatore.
Non a caso l’economista Kjell Nordstrom, uno dei massimi esperti mondiali di business intervenuto alla conferenza di ottobre “Creare richezza in tempi rivoluzionari”, organizzata a Bologna da Mind Consulting Italia, ha definito gli USA “una grandissima idea su un pezzo di carta”.
La Cina, dove Nordstrom ha lavorato per 7 anni, ha un tasso di espansione del 10-11% annuo. I numeri della Cina sono equivalenti a 4 volte quelli degli USA + 2 volte quelli del Giappone. In questa espansione senza limiti, l’Europa assomiglierà sempre più al Lussemburgo del mondo; per vedere l’Italia servirà un microscopio.
Nonostante questo gli USA non temono la Cina. Gli USA erano già negli anni ’20 tra i primi 3 Paesi più ricchi al mondo e ora mantengono il primato in numerosi settori: dai nobel, alle università, al settore del software e dell’intrattenimento. Il Prof. Nordstrom afferma con certezza che gli USA continueranno a dominare questi settori anche per gli anni venire. La grande idea sta nel far arrivare i migliori talenti da tutto il mondo, metterli nelle migliori condizioni operative, strapagarli e formare leader e manager in grado di saperli gestire e trattenere.
i nuovi condottieriLa medesima mossa la potrebbe fare qualsiasi azienda in Italia. Selezionare i migliori talenti per ogni ruolo e non i più vicini o i più parenti, coinvolgerli, motivarli, strapagarli e mettere fuori un’insegna: “SONO IL NUMERO UNO”. In fin dei conti questo è ciò che avviene già nello sport: le squadre di calcio per esempio, o quanto è avvenuto per un’equipaggio delle alpi svizzere che ha vinto l’American’s Cup – Alinghi.
Le aziende che ce la fanno oggi sul mercato sono quelle che prima scelgono “chi”, le persone giuste, e poi “cosa”, gli obiettivi da perseguire per sviluppare capitale.
Determinante nella scelta di un simile gioco applicabile nell’economia, come nella politica, nell’istruzione o nello sport è la figura del leader. Oggi la leadership dei grandi numeri internazionali non è più una posizione, ma è la scelta di questo tipo di gioco.
Ken Blanchard pensatore di spicco molto ricercato nel campo del management sostiene che “questa è la prima volta nella storia imprenditoriale, in cui oggi puoi essere fortissimo in quello che stai facendo, ma domani essere tagliato fuori”.
Una volta che si sceglie di essere dentro il gioco è necessario saperlo condurre usando le regole degli USA e dell’Inghilterra. Gli ingranaggi che fanno funzionare il meccanismo.
Paolo Ruggeri, Responsabile R&D di Mind Consulting nel suo best seller dal titolo “I nuovi condottieri” descrive molto bene la nuova responsabilità dei leader: “Sono i collaboratori a possedere oggi i mezzi di produzione più rilevanti nella creazione di ricchezza e ogni imprenditore e ogni manager, che lo voglia o no, si trova a fare i conti con questa nuova realtà profondamente diversa dalla realtà del passato. L’individuo acquista sempre più potere e libertà e anche i collaboratori alla pari dei nostri clienti, decidono se e come lavorare con noi in funzione della motivazione”
Gli individui di talento sono monopoli portatili con passaporti globali. Controllano il segreto della competitività, la risorsa più scarsa: la competenza. Manager e politici dovranno imparare come affrontare la gente che è libera di conoscere, andare, fare ed essere.
Francesca Cattozzo
LE SFIDE DELLA GLOBALIZZAZIONE
Sfide attuali ed emergenze sociali, ecologiche, culturali
di LAURA TUSSI
Nel lessico di fine millennio si fa strada questa domanda nuova che, a causa degli abusi quotidiani, rischia di risuonare senza un preciso significato: come si coglie la reale complessità della globalizzazione e come ci si misura con le sue sfide?
Si evidenziano gli errori di un globalismo semplificato e si rivendica anche una “politica della globalizzazione” capace di rispondere a emergenze ambientali e sociali non più governabili a livello nazionale: i rischi della globalizzazione possono mobilitare nuove energie, favorendo la nascita di una “seconda modernità”. Nell’accezione economica, la globalizzazione è contestata da alcuni movimenti no-global e new-global. (v. anche Popolo di Seattle, No logo), mentre è fortemente sostenuta dai gruppi liberisti, libertari e anarco-capitalisti.
I dibattiti riguardo il suo effetto sui paesi in via di sviluppo sono infatti molto accesi: secondo i fautori della globalizzazione, questa rappresenterebbe la soluzione alla povertà del terzo mondo. Secondo gli attivisti del movimento no-global invece essa non farebbe altro che impoverire maggiormente i paesi poveri, in favore delle multinazionali.
I dati forniti dalle scienze sociali indicano però che la globalizzazione non ha reso nel complesso i paesi più poveri, ma nemmeno ha grande influenza nella riduzione della povertà. Hanno invece effetto decisamente maggiore alcuni miglioramenti interni, quali sviluppo della rete infrastrutturale, il perseguimento della stabilità politica, le riforme del sistema agrario e miglioramento dell’assistenza sociale. Effetti indiretti della globalizzazione sono le ripercussioni sull’ambiente e sull’inquinamento dell’aria, causate dall’industrializzazione e dall’aumento dei trasporti.
Contribuenti virtuali
Uno degli aspetti più interessanti della globalizzazione è la tendenza a collocare il politico al di fuori dello Stato-Nazione. Le imprese e le loro associazioni hanno conquistato il potere d’azione, finora addomesticato con la politica dello Stato sociale del capitalismo. Con la globalizzazione, le imprese sono arrivate a detenere un ruolo chiave non solo nell’organizzazione dell’economia, ma anche in quella della società nel suo complesso. L’economia che agisce in maniera globale sgretola i fondamenti degli Stati-Nazione e della loro economia nazionale.
Il potere delle imprese internazionali si fonda sulla possibilità di esportare i posti di lavoro dove ciò è più conveniente. Le imprese possono dividere prodotti e servizi e distribuire il lavoro in posti diversi, servendosi di Stati-Nazionali piuttosto che di altri così da trovare le più convenienti condizioni fiscali. Le stesse possono distinguere autonomamente tra luoghi di investimento, di produzione, sede fiscale e servirsene l’uno contro l’altro. Tutto ciò avviene senza un dibattito in parlamento, senza una decisione governativa o mutamenti legislativi: da qui il concetto di sub-politica. Quello dell’imposizione fiscale, il principio dell’autorità dello Stato-Nazione è esplicativo di come le imprese internazionali minino l’autorità statale, potendo permettersi di fuggire alle imposizioni fiscali, pagandole, tramite gli scorpori, dove più conviene loro: i capitalisti sono contribuenti virtuali.
Globalismo, globalità e globalizzazione
Con il termine globalismo è indicato il punto di vista secondo cui il mercato mondiale sostituisce l’azione politica, che riduce la multidimensionalità della globalizzazione ed i suoi aspetti ecologici, sociali, culturali ad una sola dimensione, quella economica. Non si vuole negare o ridurre il significato centrale della globalizzazione economica, ma con il termine globalismo si sottolinea l’eliminazione della differenza, fondamentale nella prima modernità, tra politica ed economia. Il globalismo ritiene che uno Stato proceda diretto come un’azienda. Interessante come il globalismo, così inteso, finisca con l’attrarre anche i suoi avversari dando vita ad un globalismo che si opponga, convinto comunque del dominio non eliminabile del mercato mondiale che si rifugia nelle diverse forme di protezionismo. I protezionisti neri piangono la perdita del significato di nazione, ma sollecitano, contraddicendosi, la distruzione neoliberale dello Stato-Nazione. I protezionisti verdi scoprono lo Stato-Nazione come difensore dell’ambiente. I protezionisti rossi rispolverano la lotta di classe e la globalizzazzione serve per ribadire le loro ragioni.
Da tempo viviamo in una società mondiale, dove nessun paese, nessun gruppo può isolarsi dall’altro. Per società mondiale si intende l’insieme dei rapporti sociali che non sono integrati nella politica dello Stato-Nazione.
La globalizzazione è intesa come il processo in seguito al quale gli Stati nazionali e le loro sovranità vengono condizionati da attori transnazionali. Una differenza essenziale tra la prima e la seconda modernità è la irreversibilità della globalità e, a tal proposito, solo acquistando la prospettiva della multidimensionalità della globalità si smentisce che il globalismo sia nella natura delle cose; le diverse logiche particolari della globalizzazione ecologica, culturale, politica, devono essere decifrate e comprese nelle loro interdipendenze. La globalità risulta irreversibile per varie ragioni come la crescente interazione del commercio internazionale, le connessioni globali dei mercati finanziari, la crescita delle imprese transnazionali, la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le rivendicazioni dei diritti umani che si impongono universalmente, i flussi di immagine dell’industria culturale globale, gli attori transnazionali sempre più potenti, accanto ai governi, la povertà globale, la distruzione globale dell’ambiente, i conflitti transculturali locali.
Come un container, lo Stato simula un’unità territoriale in cui le categorie dell’auto-osservazione statale divengono le categorie delle scienze sociali empiriche, così che le decisioni sociologiche della realtà finiscono per confermare la descrizione che lo Stato attribuisce a se stesso. In base a questa teoria le società presuppongono il dominio statale dello spazio, per cui le società sono subordinate allo Stato; la politica non risulta collegata alla società, ma allo Stato; l’omogeneità interna delle società è una creazione del controllo statale.
Wallerstein individua il motore della globalizzazione nel capitalismo, sostituendo l’immagine di singola società separata con l’immagine di un sistema-mondo nel quale tutti devono collocarsi e affermarsi in una divisione del lavoro. L’economia mondiale capitalistica consiste in un unico mercato dominato dal principio della massimizzazione del profitto, dalla presenza di strutture statali ( che tendono a incrementare i guadagni di gruppi particolari) e dall’appropriazione del plus-lavoro in virtù di uno sfruttamento che comprende tre livelli: spazi centrali, semiperiferie e paesi periferici. Nel sistema-mondo pensato da Wallerstein si acuiscono i conflitti perché crescono le diseguaglianze.
Anche Rosenau rompe con il pensiero nazional-statale, ma non si avvicina al concetto di sistema-mondo, bensì distingue due fasi della politica internazionale e individua la globalizzazione come il superamento della politica internazionale. Adesso è cominciata la politica postinternazionale nella quale gli Stati devono dividersi il potere con organizzazioni internazionali, gruppi industriali, nonché con movimenti politici trans-nazionali.
Con Rosenau si può parlare di politica mondiale policentrica nella quale tutti gli attori (il capitale, i governi, la Banca Mondiale, Greenpeace) lottano gli uni contro gli altri per imporre i propri interessi. Nel quadro di questa politica mondiale policentrica si distinguono le organizzazioni transnazionali che agiscono in collaborazione o scontrandosi, i problemi transnazionali (clima, AIDS, denutrizione) che determinano l’ordine politico attuale, gli eventi transnazionali (mondiali di calcio, guerra nel Golfo, in Iraq) che provocano turbolenze nei diversi continenti e le comunità transnazionali, basate sulla religione, sul sapere, sugli orientamenti politici.
Lo sviluppo del mercato mondiale ha profonde conseguenze sulle culture e sugli stili di vita. Questa globalizzazione culturale consiste nella fabbricazione di simboli culturali e in una loro sempre più estesa convergenza: sembra sorgere un unico mondo di merci nel quale gli unici simboli sono quelli del capitalismo e del consumismo. Il locale e il globale non si escludono, al contrario il locale deve essere appreso come un aspetto del globale. Globalizzazione significa anche unirsi, l’incontrarsi di culture locali e perciò Robertson propone il termine glocalizzazione.
Secondo Smith il concetto di “nazionalismo metodologico” ben caratterizza il modo di intendere la società e lo Stato nella prima modernità: essi vengono pensati, organizzati, vissuti come sovrapponibili. Lo Stato territoriale diviene il container della società. Queste società nazional-statali conservano nella vita quotidiana identità fondamentali, la cui ovvietà sembra formarsi su formulazioni tautologiche (es. i Tedeschi vivono in Germania, se esistono ebrei neri ecc…) di normale disordine mondiale, viene recepito in questo orizzonte come una vera minaccia. Questa architettura di pensiero degli spazi e delle identità nazionali si infrange contro la spinta della globalizzazione economica, culturale nel rapporto fra la prima e la seconda modernità in cui non abbiamo più un’etica che detta le regole, ma che le muta; una politica caratterizzata dalla nuova disputa del potere fra attori nazionali e attori transnazionali.
Uno degli aspetti interessanti di questa seconda modernità è il modello coalizzativo di politica diretta globale, che porta a formare alleanze tra coloro che normalmente erano opposti: i gruppi industriali mondiali e i governi nazionali sono sottoposti all’opinione pubblica mondiale e il cittadino scopre che l’atto d’acquisto può essere un atto politico.
La globalizzazione biografica
La poligamia di luogo porta a essere legati a più luoghi che appartengono a mondi diversi; questa sorta di globalizzazione biografica significa che i contrasti del mondo non hanno luogo solo là fuori, ma al centro della nostra vita, in famiglie multiculturali, in azienda o nella cerchia degli amici.
Il passaggio dalla prima alla seconda modernità è segnato anche da questo passaggio dalla monogamia alla poligamia di luogo.
Viviamo in una società mondiale multidimensionale nella quale non vi è però uno Stato mondiale e un governo mondiale e dove è sorto un capitalismo globale disorganizzato.
Il globalismo ha prodotto vari errori quali la metafisica del mercato mondiale, ossia la riduzione della complessità del fenomeno alla sola dimensione economica ridotta a società mondiale del mercato.
Il libero mercato mondiale a cui il globalismo leva un inno sostiene che l’economia globalizzata porterà benessere a tutti. Si trascura intenzionalmente il fatto che viviamo lontano da un modello di libero mercato: affermare che il mercato mondiale rafforza la competizione e comporta un abbassamento dei costi è una affermazione cinica la quale non tiene conto che l’abbassamento dei costi viene ottenuto tramite l’abbassamento degli standard di produzione e di lavoro umani.
Con l’internazionalizzazione e la non globalizzazione si può notare un rafforzamento dei rapporti commerciali transnazionali fra determinate regioni del mondo, America, Asia, Europa, per cui più che di globalizzazione si può parlare di triadizzazione dell’economia. Il globalismo trae il suo potere solo in piccola parte dal suo effettivo verificarsi e perlopiù dalla messa in scena della minaccia, ciò da cui le imprese transnazionali traggono il loro potere è una specie di società del rischio. Il globalismo neoliberale è una manifestazione politica che però si esprime in modo impolitico, non si agisce, ma si ubbidisce alle leggi del mercato mondiale.
La globalizzazione economica non è un meccanismo, non è qualcosa che va da sé, ma è un progetto politico di attori, istituzioni, coalizioni transnazionali.
I più credono che se alla società dei consumi viene a mancare il lavoro salariato, si ha una catastrofe. D’altronde la sostituzione della forza-lavoro con la produzione totalmente automatica, compiuta nel modo giusto, potrebbe offrire possibilità finora inimmaginabili: esse però devono essere colte e realizzate politicamente. Il globalismo neoliberale però diffonde paura e paralizza politicamente, per cui se non si può far nulla allora almeno bisogna proteggersi, con reazioni protezionistiche.
Le risposte alla globalizzazione possono essere la cooperazione internazionale, lo stato transnazionale, il riorientamento della politica della formazione, e l’alleanza per il lavoro d’impegno civile.