Significativamente Oltre

crisi

Una autorevole ed aperta segreteria del Partito Democratico per connettere e far ripartire il Paese

Innovatori-Europei-defdi Massimo Preziuso

Questo inizio 2017 ci ha già chiaramente detto che il Paese rischia di mettere di nuovo la retromarcia.

Solo qualche mese fa questo avrebbe messo in moto un dibattito enorme sui rischi che corriamo se non acceleriamo.

Oggi sembra invece che questo andare lentamente a ritroso sia diventato normale. Un po’ in tutta Italia si ha la sensazione che il Paese viaggi senza pilota. E il caso di Roma Capitale rappresenta l’emblema di questa nuova normalità.

A peggiorare ulteriormente le cose poi (non) ci sono i partiti politici, che in questo 2017 non sono chiaramente più protagonisti di alcun cambiamento.

Il Movimento Cinque Stelle – entrato nella fase di maturità – sembra immobilizzato da una guerra auto distruttiva tra le potenziali “leadership” interne per chi sarà il candidato premier.

Il Partito Democratico rischia di perdere l’occasione (se non l’ha già persa) di cambiare il Paese e di liquefarsi irrimediabilmente in assenza di una sua auto-riforma decisa.

Chi come noi ha tanto insistito sulla importanza di una nuova Forma Partito basata su progettualità diffusa tra centro e territori, che costruisca e connetta la Smart Nation, attende da settimane una nuova Segreteria nazionale aperta, competente e autorevole. Se alla fine cosi non sarà, il PD avrà dichiarato una innata incapacità di riformarsi, condizione necessaria per rilanciare un Paese fortemente a rischio.

Facendo tornare sulla scena il vecchio Centrodestra, che dalla caduta del governo Berlusconi continua brillantemente a galleggiare, senza nulla fare, sperando in un nuovo protagonismo derivato dalla tanta voglia di “conservazione” che monta sempre più in tutto l’Occidente impaurito.

Ho quindi la netta sensazione che un Pd forte e propulsivo abbia ancora pochissimi mesi di tempo per strutturarsi definitivamente. O rimarra’ per sempre un progetto incompiuto.

 

Gestire il Declino

declino

Alberto Forchielli, Mandarin Capital Partners

mi ha fatto molto piacere leggere sul Messaggero del 29 maggio l’editoriale DI Romano Prodi dove elabora le mie riflessioni fatte nella puntata di Piazza Pulita di inizio settimana. Fondo poi rilanciato anche dall’Ansa: «Doppia stoccata di Romano Prodi nell’editoriale domenicale pubblicato sul Messaggero. “Innovazione e investimenti per non finire come il Messico”, ha scritto commentando l’Assemblea annuale della Confindustria, spiegando che occorrono interventi d’emergenza per evitare “un’economia italiana sempre più anomala rispetto a quella degli altri Paesi europei”. […] A proposito del rischio Messico, Prodi cita un recente intervento di Alberto Forchielli, presidente e fondatore del fondo Mandarin Capital Partners, secondo cui il pericolo nasce dal fatto che l’Italia si sta “orientando verso una struttura simile a quella del Messico, dove convivono tre diverse organizzazioni economiche”. Eccole: “Una prima formata da imprese eccellenti che sfidano i mercati internazionali, una seconda che opera in un mercato informale sfruttando le imperfezioni del mercato e utilizzando una mano d’opera scarsamente specializzata” e una terza rappresentata da “una corposa parte del Paese” che “vive nell’evasione delle regole e nell’illegalità”.» Nonostante ciò, tenete presente che il Messico per alcuni aspetti è avanti a noi: le tasse sono molto più basse delle nostre, lo stato Messicano costa meno del nostro ed il loro rapporto debito PIL è al 43% rispetto al nostro al 133% e la loro disoccupazione è 2/3 più bassa della nostra. Se la “messicanizzazione” dell’Italia sarà affrontabile soltanto se sapremo gestire questo enorme Paese a tre teste, tenendolo bilanciato, il problema è ovviamente a monte, come sottolinea Prodi nel suo editoriale: «[…] penso che le tendenze che ci portano verso di esso debbano essere combattute con ogni mezzo, affermando in ogni circostanza la maestà della legge e operando sulla preparazione delle risorse umane che sono alla base del successo di ogni paese moderno. La lettura della realtà non è invece consolante perché i confronti sull’efficacia dei sistemi scolastici ci trovano costantemente in coda, intere realtà del paese operano sempre più nell’ombra e i dati sul progresso dell’illegalità e sulla penetrazione della criminalità nella vita economica e amministrativa sono allarmanti.»
Le risorse umane e il sistema scolastico, ecco uno dei nostri enormi problemi di sempre: la scuola italiana è sfasciata! Ho lasciato l’Università di Bologna nel 1978 e ci sono tornato a insegnare nei primi anni Duemila, per un triennio, quindi prima della crisi del 2009. E ho trovato le stesse aule, solo più fatiscenti. Con gli studenti che erano dieci volte quelli di un tempo e con i posti a disposizione per i neo-laureati che erano un decimo rispetto a una volta, perché nel frattempo le aziende sono fallite.
Non ci sono ricette miracolose per invertire la rotta. Servono percorsi lunghi. È necessario investire nella ricerca, ma è un lavoro almeno ventennale. Attenzione, non c’è niente di nuovo da inventare. L’esempio indicativo è il polo industriale bolognese, con le eccellenze che sono sempre le stesse di quando ero bambino: è stato costruito grazie al flusso costante di risorse umane in arrivo dalle scuole professionali Aldini Valeriani. D’altronde la Silicon Valley nasce intorno all’Università di Stanford e il polo biotecnologico di Boston è vicino a Mit e Harvard e non è un caso, perché è così che funziona: l’università scientifica è sempre al centro di tutti gli eco-sistemi innovativi.
Serve concretezza e strategia. Ma la faccio ancora più semplice. Basta lavorare di più e meglio. È questa la ricetta, ma nessuno la vuole applicare. Quando torno a Bologna la gente mi chiede sempre come facciamo a uscire dalla crisi. Io rispondo: servono sacrifici. Allora mi dicono: «Forchielli vai ben a far le pugnette, basta sacrifici!».
In questa antropologia sbagliata ci butto dentro anche il sindacato, che è stato un assurdo elemento frenante. In Italia ci sono comportamenti e benefici che si danno per acquisiti e che invece vanno ridiscussi a causa della globalizzazione.
Quindi se oggi mi “costringessero” a fare politica, be’ fonderei un partito o un movimento chiamato “Gestire il declino”, perché per avere una speranza di risollevarci dobbiamo rassegnarci a duri anni di abbassamento del nostro tenore di vita e dovremo combattere una crescente ondata di criminalità piccola e grande. Dopo quarant’anni che sento sempre le stesse cose, focalizziamoci su quelle poche che servono davvero. Per sopravvivere alla globalizzazione, per “messicanizzare” l’Italia il meno possibile stringiamoci per difendere la nostra comunità, riappropriamoci del significato vero del “senso del dovere” e rassegniamoci a lavorare di più e meglio.

 

Scivolando in guerra senza accorgersene

di Francesco Grillo su Reset

Stiamo scivolando verso la Guerra. E, purtroppo rischiano di aver ragione quelli che gridano ad un lupo immaginario, perché alla fine – come nei peggiori incubi – il lupo, tanto invocato, si materializza. E, di fatti, in Guerra non si “entra”. Ci si scivola. Progressivamente. Certo ci sarà sempre un primo settembre da consegnare alla Storia, un momento nel quale i panzer del sonno della ragione lanciati a tutta velocità contro qualche romantico esercito a cavallo segna un punto di non ritorno. Ma in Guerra si scivola. Un po’ alla volta. Si scivola per una serie impressionante di banali errori tecnici (come quelli della polizia e dei servizi che ieri nella capitale d’Europa presidiata da quattro mesi non hanno impedito che se ne colpissero i centri nevralgici paralizzandola). Scivoliamo in Guerra quando non abbiamo più risposte sul futuro e affidiamo tutte le crisi – che sono, appunto, momento di rottura tra routine e cambiamento – ad una gestione burocratica di esse che, per definizione, non potrà che far accumulare i problemi fino quando non esplodono. In Guerra si scivola, soprattutto, per pigrizia intellettuale. Per pigrizia degli intellettuali che dovrebbero scuotere le coscienze e che, invece, ieri, l’unica idea che si fanno venire è che quello che è successo ieri riguarda il Belgio (laddove gli attentati di Novembre la Francia, le bombe sulla metropolitana a Londra l’Inghilterra e quelle sui treni la Spagna e basterebbe fare la somma degli attentati per capire che la scala dei problemi è universale). Pigrizia di chi dovrebbe fare proposte e che invece riesce solo ad esalare, per l’ennesima volta, che questa è la fine della coabitazione tra mussulmani e città dell’occidente senza precisare quali sarebbero le conseguenze – PRATICHE – di tale geniale pensata. Di quelli che dalla scrivania ci incitano ad “entrarci” in Guerra senza mai precisare con chi dovremmo prendercela, visto che nemici e amici sono evidentemente mischiati. In Guerra si scivola. E, soprattutto, ci si scivola quando una generazione (buona parte della nostra ma io non sento di farne parte) non sente più di avere un futuro: vive di microconsulenze; di piccoli privilegi; di uno stipendio da impiegato (magari di lusso) e di stupide settimane bianche. Ci si scivola quando ai nostri figli non abbiamo più nulla da dare tranne un IPHONE. Ci si scivola per mancanza di coraggio. Per mancanza di memoria e di prospettiva. Per quello che mi riguarda continuerò a combattere. Anche perché non c’è alternativa.

L’Europa ha bisogno di una “terapia choc” per uscire dalla crisi

Il Piano di investimenti europei (Eur 800 mld nel 2015-2020) per la transizione economica sostenibile del vecchio continente – oggi proposto dal PSE  – sommato al massiccio stimolo monetario avviato da BCE l’ultima chance per invertire una terza lunga stagnazione, che potrebbe essere letale.
Speriamo diventi subito una proposta condivisa.
Gli Innovatori Europei

Oggi, il gruppo S&D ha proposto di creare un nuovo fondo da 400 miliardi all’interno del piano di investimenti per promuovere la crescita e l’occupazione in Europa.

Il piano è stato presentato oggi durante una conferenza stampa a Bruxelles.

Il presidente del gruppo S&D Gianni Pittella ha dichiarato:

“Per la prima volta dopo l’era Barroso, crescita e flessibilità sono seriamente prese in considerazione dalla Commissione. Questo nuovo approccio potrebbe rappresentare l’inizio di una rivoluzione per l’Europa.

“Vogliamo portare avanti una terapia choc. Una terapia choc attraverso l’investimento di nuove risorse fresche (pubbliche e private), nuovi strumenti di investimento europei e finalmente l’azione di una ‘clausola per gli investimenti’ associata al piano di Juncker: il denaro pubblico speso dagli stati membri per determinati progetti europei non deve essere calcolato nel computo del deficit nazionale.

“Non è più tempo di mezze misure. E’ tempo di decisioni coraggiose e sagge. Abbiamo proposto una terapia choc per far partire la ripresa della nostra economia e salvare l’Europa da lotte sociali, populismi e disintegrazione”.

La vicepresidente del gruppo S&D per lo Sviluppo sostenibile, Kathleen van Brempt, dichiara:

“Gli investimenti senza capo né coda non rimetteranno l’Europa in carreggiata. Ciò che importa non è soltanto la quantità degli investimenti, ma dove le risorse saranno investite.

“La transizione verso un’economia sostenibile e basata su un uso efficiente delle risorse è la priorità e la sola strada che abbiamo davanti. Gli investimenti devono essere mirati alla transizione e all’efficienza energetica, all’economia digitale, all’innovazione e alle risorse umane, favorendo così la creazione di nuovi posti di lavoro. L’Europa deve focalizzarsi su progetti che non potrebbero mai svilupparsi senza lo stimolo di investimenti pubblici”.

La vicepresidente del gruppo S&D per gli Affari economici, finanziari e sociali, Maria João Rodrigues, aggiunge:

“Oggi l’Europa si trova dinanzi al rischio di un lungo periodo di bassa crescita e di disoccupazione di massa. Siamo anche di fronte a un deficit di investimenti stimato in 300 miliardi all’anno. Gli Stati membri hanno bisogno di recuperare la flessibilità in modo da essere in grado di investire. Occorre ripristinare sia gli investimenti privati, sia quelli pubblici. I fondi pubblici devono servire come leva per attrarre gli investimenti privati. Forme leggere di sovvenzioni, come ad esempio un prestito senza interessi, potrebbero sbloccare molti progetti importanti che altrimenti non potrebbero permettersi il finanziamento a condizioni puramente commerciali. Gli investimenti europei devono riguardare tutti gli stati membri dell’Ue ed essere rivolti al sostegno delle regioni in crisi”.

La vicepresidente del gruppo S&D per il Bilancio, Isabelle Thomas, ha sottolineato:

“Non sosterremo un ‘finto’ piano di investimenti”. Abbiamo bisogno di denaro fresco. Per questo proponiamo di creare un fondo speciale. Il capitale iniziale sarebbe gradualmente fornito dagli stati membri dell’Ue per raggiungere i 100 miliardi entro entro sei anni. Tali contributi nazionali dovrebbero essere esentati dal calcolo del deficit e del debito pubblico.

“Su questa base, il fondo potrebbe mobilitare ulteriori 300 miliardi messi sul piatto dagli investitori privati. Questa capacità finanziaria pubblica di 400 miliardi potrebbe generare un totale di 500 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati”.

Subito alle elezioni. Napolitano frusti i cavalli

 di Salvatore Viglia su L’Unità online

Non è certo questo il tempo per i tatticismi. Andiamo subito alle elezioni per scegliere un governo politico. Sotto gli occhi di tutti sono chiarissime ormai le posizioni assunte dai partiti.

Il rientro in campo di Berlusconi significa una cosa sola, che a destra vi è il nulla assoluto. Le lamentele, le indignazioni di quanti non vedono con favore questo rientro, sono a dir la verità e purtroppo, fuori luogo.

E continuiamo a dirci la verità tanto per non essere fraintesi, affideremmo il governo del paese a Casini che si propone in verità per candidare a sua volta Monti? Affideremmo il paese a Fini oppure a Montezemolo, e per fare cosa? Forse Gasparri, no, Matteoli? La Santanché oppure Meloni? Lo stesso Alfano non ne avrebbe le fattezze checché.

La colpa della discesa in campo del Cavaliere è tutta da attribuire alla destra attuale che non presenta neanche per nomea personalità in grado di guidare quel carro.

Il Presidente Napolitano non deve ostinarsi a protrarre questo “scristo” inutilmente. Tenere per le briglie tutti al solo fine di protrarre la via crucis di un mesetto, francamente ci sembra una esagerazione.

Non avremo nessun beneficio da questa agonia masochista. Un mese non è un anno e ciò che non si è fatto in un anno non si farebbe certamente in trenta giorni.

Ci meraviglia però come non sia il PD a recarsi al Quirinale con la richiesta formale al Presidente Napolitano di sciogliere le Camere e di indire le elezioni, se possibile, domani mattina.

A Bersani, dopo la vittoria delle primarie con i numeri che il partito vanta secondo i sondaggi, manca solo questo atto che altro non significherebbe che manifestazione di forza e determinazione. Non c’è altro da fare.

BCE: Irreversibilità dell’ Euro, crisi di liquidità o pericoli di insolvenza ?

di Pierluigi Sorti

Il conflitto fra strategia di Draghi e netta opposizione della Bundesbank ,in tema di politica monetaria,  ha una rappresentazione mediatica niente affatto convincente.

Il  governatore della Bce è abile nel riassumere il suo pensiero con aforistiche espressioni , fra le quali  “L’ euro è irreversibile “  profferisce un efficace richiamo a fatalistiche predestinazioni  : particolarmente se enfatizzato dai  caratteri  cubitali della carta stampata e dai titoli televisivi in  sovrimpressione.

Ma con l’ efficacia dello slogan, cresce il pericolo di coinvolgere menti e iniziative su un presupposto errato:  la accresciuta disponibilità di liquido contrabbandata come panacea ella crisi monetaria europea. .

Riportandoci  infatti al profilo delle modalità operative della Bce, sappiamo che a provvedere alla sua dotazione finanziaria,  sono gli Stati dell’ eurozona e che essa è costituita per finalità stabilite dal suo statuto.

L’ uso che se ne è fatto per i recenti interventi , a favore di Grecia, Spagna Italia, destinati alla sottoscrizione dei  titoli del loro rispettivo Debito Pubblico,  discende solo “ indirettamente “ dallo Statuto ( come più volte gli stessi protagonisti della contesa hanno più volte ricordato ) e con ricorso obbligato alla funzione di  tramite delle banche.

Sono queste ultime che, appena ricevuti  i soldi dalla Bce ( al tasso dell’ 1% ), hanno  acquistato i titoli di Stato ( a tassi oscillanti fra 5%  e 6 % ) del rispettivo  paese di appartenenza  ricavandone , come è noto, notevoli plusvalenze per il differenziale dei tassi di interesse  fra le due operazioni effettuate.

Ma tale cospicuo privilegio fruito dalle banche non esaurisce la serie dei vantaggi di cui esse possono beneficiare.

I titoli pubblici in portafoglio, vengono ovviamente inseriti nell’ attivo patrimoniale, e nella qualità di titoli di sicura esazione, sono legittimati ad essere classificati fra le voci di più sicuro rientro ( contante a parte  naturalmente ) : in tal modo, per l’ implicito valore di garanzia , accrescono l’ ammontare dei prestiti che le banche stesse possono concedere agli investitori privati, ( per investimento o per credito commerciale) ai tassi variabili dl mercato secondo le quotazioni correnti.

Ma se la solvibilità degli investitori loro clienti  viene meno ? Appunto per la perdurante crisi economica , la  loro vulnerabilità, in termini di liquidità si è già ampiamente verificata , e tutto lascia presagire che proseguirà, dato il quadro geopolitico che esibisce  presenze crescenti di nuovi  possenti protagonisti, nell’ economia, nella finanza, nelle ricchezze di materie prime e nella forza militare.

Appare pertanto omissivo ( o illusorio ) l’ insistenza di Draghi a enfatizzare la sacralità dell’ euro mentre tace su un meccanismo che se, causa insolvenza degli operatori, si rompe in un punto , si propagherà con effetto domino, in tutti i paesi dell’ eurozona e oltre.

E’ dunque la crisi economica, non l’ euro, ad essere finora irreversibile. Nel silenzio, forse strategico, di Draghi a questo riguardo, sarebbe auspicabile che tale più consona profondità d’analisi facesse capolino più frequentemente nella opinione  pubblica tutta .

Una ricetta per uscire dalla crisi

di Francesco Grillo su Il Mattino

La tempesta perfetta che avrebbe dovuto seppellire definitivamente l’Euro è per il momento scongiurata. Persino, spread e mercati finanziari si sono presi una vacanza rispetto a mesi di turbolenze. Tuttavia, proprio mentre le nuvole più minacciose si sono in questi giorni allontanate, altre si stanno formando proprio in Germania: praticamente tutta la politica tedesca  – dall’opposizione socialdemocratica alla CDU che guida la coalizione al governo – viene unita dalla preoccupazione per il costo eccessivo che il salvataggio dei Paesi più indebitati avrebbe sulle finanze tedesche e dalla diffidenza nei confronti di Mario Draghi, accusato di aver messo nella pancia della Banca Centrale Europea troppi titoli di Stato tossici.

La coperta dell’EURO continua ad essere corta: se la tiri per coprire una periferia in difficoltà, rischi di creare problemi ulteriori al centro. La sensazione è che se non inventiamo qualcosa per cambiare completamente le regole del gioco, ricominceremo subito dopo le vacanze a ballare tutti insieme sull’orlo del precipizio.

L’Estate sarebbe potuta servire proprio a questo: approfittare della pausa per far riunire in qualche eremo tutti i maggiori protagonisti politici della crisi e chiunque abbia idee sufficientemente ragionevoli ed ambiziose, per costruire un piano – non solo sull’EURO ma sull’Unione – che abbia una prospettiva di lungo periodo, ma che sia capace di indicare anche azioni in grado di ottenere risultati immediati. Ci vorrebbe visione e pragmatismo ed invece da troppo tempo viviamo di decisioni prese in emergenza i cui tempi sono costantemente troppo lunghi per convincere i mercati e troppo brevi per coinvolgere le opinioni pubbliche.

Le componenti del piano dovrebbero essere due.

Nel brevissimo periodo, bisognerà definire – in maniera molto chiara e definitiva – un patto complessivo che riesca a combinare l’esigenza di comprare tempo agli Stati in difficoltà senza imporgli ricette predefinite o punizioni che rischiano di aggravarne la malattia con la necessità di minimizzare il costo che il salvataggio ha sugli altri Stati.

Ciò significa stabilire diversi dettagli fondamentali che – tra un vertice ed un altro – devono essere sfuggiti ai capi di governo europei troppo impegnati a stabilire di chi fosse la colpa della situazione nella quale ci troviamo: Chi governa – deve essere uno solo e deve già averne oggi le competenze – il meccanismo di stabilizzazione? A quali condizioni si può accedere al supporto e che tipo di richieste possono essere fatte allo Stato salvato? Che tipo di aiuti si possono concedere, con quali risorse e fino a che limite? Va previsto un meccanismo di uscita o “espulsione” dall’Euro – a mio avviso, assolutamente sì altrimenti la nostra religiosa attitudine nei confronti della inviolabilità della moneta unica continuerà ad arricchire gli speculatori – se gli accordi non sono rispettati?

Tra i “dettagli” c’è anche quello di realizzare quanto più velocemente è possibile una omogeneizzazione dei criteri con i quali gli Stati contabilizzano il proprio debito ed i propri deficit, nascondendo spesso ingenti passività: succede non solo in Grecia, ma anche in Italia con i debiti commerciali della PA . Se non lo facciamo subito continueremo a lavorare su carte truccate.

Da lanciare subito, però, c’è anche una seconda azione di più lungo periodo che non è finanziaria ma completamente politica.

Invocare, oggi, che dall’alto qualcuno deliberi la nascita degli Stati Uniti d’Europa, laddove abbiamo perso dieci anni a scrivere un trattato di Lisbona che – secondo Giuliano Amato che ne fu uno dei alcuni dei principali ispiratori – è così complicato proprio per renderne impossibile la lettura da parte dei cittadini europei, significa davvero mettersi  nella stessa pericolosissima situazione di una coppia in crisi che decide di fare un figlio per provare a risolvere il problema.

E, tuttavia, da subito se è vero che prima o poi ad una maggiore integrazione dobbiamo arrivare per rendere davvero “irreversibile” l’Euro, dovremmo cominciare a lavorare su progetti che rendano più europee opinioni pubbliche che, al contrario, si stanno sempre più ritirando nei propri enclave locali.

Per rendere più forte l’Euro e l’Europa, vale forse di più una proposta come quella di usare i soldi della politica agricola comune per rendere obbligatorio un semestre di studio all’estero per tutti gli studenti europei di scuola superiore e dell’Università, che l’istituzione di un unico rappresentante di una impossibile politica estera europea.

Visione per cominciare a pensare dove vogliamo essere tra dieci anni. E pragmatismo per riuscire però a dare risposte concrete in tempi brevi. Sono i due fattori che fanno, del resto, la leadership. Quella merce rarissima che ha consentito all’Europa di nascere dopo una guerra disastrosa e di cui l’Europa ha adesso un bisogno assoluto per poter sopravvivere rinnovando profondamente i propri caratteri.

R-innovamenti montiani a Ferragosto?

 di Massimo Preziuso su L’Unità

Mentre gli italiani hanno provato a godersi il 15 di Agosto più duro dal dopoguerra – alcuni sotto gli ombrelloni, molti tra le mura domestiche – tante cose accadono in questo caldo mese in Italia.

Sembrava che tutto dovesse implodere, attorno alle parole di Mario Draghi dopo il Board della BCE, invece qualche barlume di speranza inizia ad apparire alla nostra vista.

Un dato su tutti: i famosi e ormai noiosi “spread” viaggiano lentamente ma in discesa con il differenziale tra BTP e Bund decennali verso la soglia dei 400 (oggi a 420) punti base. Sembra dunque che la BCE stia intervenendo in nostro sostegno e che i nostri titoli di stato siano giudicati ora meno a rischio di qualche settimana fa.

Secondo molti analisti, con spread tra i 300 e 400 punti base il debito pubblico italiano (che ancora continua a crescere vero i 2000 miliardi di euro!) ritorna a vivere sonni leggermente più tranquilli (a quei valori ad esempio l’Italia potrebbe dire un secco no all’adesione “controllata” al cosiddetto scudo anti-spread) per qualche mese.

Probabile che a quella soglia ci arriveremo entro il mese di Agosto e allora al Governo Monti sarà offerta l’ultima chance per completare questa esperienza di Governo tecnico con un giudizio complessivo positivo.

L’occasione consisterà nella possibilità di affrontare (senza scuse) lo spinoso e finora (ad esso) sconosciuto tema della crescita economica (ovvero di come si possa fermare quello che sembra un inesorabile declino dell’economia italiana, tra de-industrializzazioni e perdita di competitività nei settori tradizionali, assenza di investimenti privati e finanziamenti bancari, licenziamenti di massa nel pubblico e nel privato, assoluta inesistenza di politiche per la ricerca e l’innovazione, drammi ambientali nella grande industria).

Proprio oggi – sarà un caso forse – Monti ha parlato della volontà di alleggerire le aliquote IRPEF entro ottobre. Sarà vero? Speriamo. Lo potrà fare con le risorse liberate da un minore pagamento di interessi? Lo vedremo.

E’ chiaro comunque che al punto in cui siamo arrivati – ”messa in sicurezza” la finanza pubblica attraverso tassazione sui ceti medio-bassi, avviato un percorso (si spera selettivo) di tagli alla spesa pubblica che rischia di dare una ulteriore spinta recessiva,  fatte alcune riforme sul tema del lavoro e delle pensioni che rischiano di aumentare ulteriormente la precarietà e la disoccupazione – solo con il riavvio dei consumi (attraverso de-tassazione e crescita economica) si può frenare questa tremenda emorragia (si parla ormai di una tendenza naturale verso un PIL 2012 al -3%, che va anche oltre le previsioni di inizio anno dei cosiddetti “pessimisti”).

Sembra anche chiaro che il tema delle dis-missioni (svendite) di patrimonio (immobiliare e mobiliare) pubblico, così come impostato dal Ministro Grilli, oggi non abbia alcun senso: si tratterebbe di alleggerire ulteriormente l’ossatura economica-patrimoniale-industriale del Paese.

Hanno senso semmai iniziative che facciano “leva” sul patrimonio pubblico per alleggerire lo stock di debito pubblico e liberare così risorse da destinare a “cantieri per la crescita”.

Si parla da più parti della costituzioni di fondi immobiliari pubblici quotati che possano poi emettere debito “di qualità” da utilizzare come sopra. Quella sarebbe una buona strada. Ancora migliore se a tali fondi (finanziari) si associasse una attività reale (economica) che potesse agire da volano per il rilancio dei consumi sui territori.

Come Innovatori Europei, nei primi mesi del Governo Monti, insieme al gruppo SOS Rinnovabili  – con la partecipazione di molti cittadini – scrivemmo un “Manifesto per le Rinnovabili“, che proponeva anche la nascita di tali fondi immobiliari (potenzialmente replicabili a livello regionale) che “efficentassero – valorizzassero immobili pubblici” attraverso la leva della “ristrutturazione energetica” (efficientamento energetico, produzione energetica da fonti rinnovabili) ma anche ”edilizia” per una loro successiva quotazione ed emissione di obbligazioni “pregiate”.

Questo per fare un esempio, ma già solo la riduzione delle aliquote IRPEF e la nascita di questi “fondi immobiliari – energetici” darebbe il segno del cambio di passo del governo dei Professori e porterebbe seri e tangibili segnali di ripresa nel breve periodo. E’ proprio di azioni come queste che il Paese aveva bisogno l’anno scorso per evitare questa recessione a “doppia V” e di cui oggi ha ancora bisogno per evitare una lunga “depressione economica”.

La riduzione del debito pubblico

di Pierluigi Sorti

E’ diventato una specie di sport nazionale degli ultimi giorni, quello di cimentarsi su ipotesi di possibili modalità di rientro del nostro debito nazionale .

Un debito che, nell’ ultimo  aggiornamenti, ha superato il livello di 1970 miliardi di euro e , correlato al Pil nazionale, lambisce il coefficiente del 125 %.

Una cifra imponente che consolida negativamente il nostro paese  nella primissima fascia della graduatoria dei paesi  in assoluto più indebitati del mondo e,  in rapporto al Pil nazionale, preceduto dal solo Giappone e dalla Grecia.

Un quadro complessivo che, finalmente, nonostante a tutti ben noto da più di un ventennio, sembra aver risvegliato la sensibilità ufficiale,  immersa soprattutto nella diatriba sulla controversa possibilità del ricorso ai vari meccanismi di protezione concepiti, ma non ancora operanti, nell’ ambito della zona euro.

Il che significa dover affrontare il toro per le corna, con l’ abbandonare cioè ogni considerazione essenzialmente finalizzata a fronteggiare l’ indebitamento secondo il percorso tradizionale dell’ assunzione di nuovi debiti per fronteggiare quelli vecchi, nel facile quadro, ora con l’ euro non più praticabile, di una politica finanziaria basata sul costante ricorso all’ inflazione.

Con l’ auspicio che l’ assunzione del presupposto della diminuzione del debito non comporti alcuna distrazione dalla riduzione della spesa pubblica, o “spending review”,  è inevitabile l’ annotazione di un elemento aggiuntivo e di un paradosso .

L’ elemento aggiuntivo coinvolge la politica della spesa, la cui contabilità non è di competenza della Stato Centrale, ma attinente a tutti gli Enti pubblici, regioni,  province,  comuni  e  altri minori centri pubblici  di spesa , l’ ammontare dei cui indebitamenti sono di difficile aggiornamento contabile : a cominciare dal comune di Roma, capitale d’ Italia .

Il paradosso  sta invece nella constatazione che non pochi  protagonisti mediatici di queste ipotesi di intervento sul debito pubblico, hanno avuto incarichi politici importanti in periodi in cui il nostro debito pubblico ha registrato i suoi aumenti più tumultuosi .

E’ scritto nelle stelle italiche il sempiterno prevalere  dei comportamenti  gattopardeschi ?

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