Significativamente Oltre

crisi

Alla fine del tunnel?

  di Francesco Grillo (su Il Mattino)

Le parole sono, come macigni. Soprattutto quelle pronunciate dai leader politici europei e dai dirigenti delle più importanti istituzioni internazionali, in un momento di volatilità alta come quello che i Paesi dell’Euro vivono sui mercati internazionali. Ed è comprensibile che il nostro Presidente del Consiglio cerchi di sfruttare l’abbrivio creato dalle affermazioni rassicuranti di Mario Draghi, invocando un ulteriore sforzo da parte di tutti perché “siamo quasi fuori dal tunnel”.

Quelle di Monti sono ovviamente parole sensate: servono per preparare un bilancio positivo per un governo tecnico rispetto al quale è saggio ritenere che un qualsiasi prossimo governo politico dovrà cercare una continuità; e servono per allontanare di qualche ulteriore centimetro un punto di non ritorno oltre il quale perderemmo il controllo della crisi. Esiste, però, nelle parole di Monti anche un rischio: quello di  ritenere che il peggio sia passato, che forse ancora una volta il sistema ha retto e che possiamo andare in vacanza con la convinzione che presto potremo tornare alle antiche abitudini.

Del resto, pochissime ore dopo le parole di Draghi, il governo ha già dovuto subire un assalto che ha parecchio depotenziato la revisione della spesa e, in parte, compromesso il piccolo ma significativo risultato di aver ridotto il numero delle province.

Se passasse questa convinzione di ritorno alla normalità, lasceremmo intatte le ragioni della crisi ed essa sarebbe destinata a ripresentarsi ancora più grande ed irreversibile tra qualche settimana.

In effetti, anche se capiamo le ragioni di Monti, siamo lontanissimi dalla fine del tunnel. O perlomeno ne siamo assai distanti se decidiamo, una volta e per tutte, che il problema da risolvere non è solo o tanto quello di uno spread che comunque rimane vicino ai 500 punti, ma di rimuovere gli ostacoli che impediscono  alla società italiana di poter essere più produttiva e più giusta.

La realtà dell’Italia è, in fin dei conti, piuttosto semplice da raccontare. Non ha semplicemente futuro, giusto per fare uno degli esempi più eclatanti, un Paese che spende in pensioni duecentotrentasette miliardi di euro all’anno che sono una cifra quattro volte superiore a quella (cinquantatre miliardi) che viene impiegata per la scuola e per l’università di ogni ordine e grado.

E il livello di ingiustizia sociale cresce ulteriormente se si considera che nonostante una spesa così elevata, nessun altro Paese europeo ha quasi il quindici per cento di anziani sotto la soglia di povertà. Molti dei quali, in questi giorni torridi, sono lasciati languire a casa da soli con quattrocento euro di pensione al mese. E non ha prospettiva una società che si permette il lusso di fare a meno di due milioni e mezzo di giovani – un quarto dei dieci milioni di italiani in età compresa tra i quindici e i trenta anni – che sono fuori sia dal mondo del lavoro che da quello della formazione. Non è neppure immaginabile che stia per uscire dal tunnel un Paese che non riesce a trattenere più della metà dei laureati con centodieci e lode e che attrae nelle proprie università dagli altri paesi europei un numero di studenti tre volte inferiore a quello della Spagna.

Sono problemi strutturali quelli che fanno dell’Italia e, in misura inferiore, dell’Europa nel suo complesso, una società che contemporaneamente riesce ad ottenere il minimo di efficienza e il massimo di ingiustizia. Un sistema che ha costruito una sorta di piramide rovesciata che, spesso, premia gli incapaci e mortifica il talento. E non piacerebbe sia a chi lo volesse osservare dal punto di vista di una autentica destra liberale sia da quello di una sinistra davvero sensibile alle diseguaglianze. Un Paese che non solo non cresce ma che rischia anche di non riuscire a stare più insieme. Nonostante gli appelli energici di un Presidente della Repubblica che è stato in questi anni l’unico punto di riferimento.

Non siamo alla fine del tunnel e l’opera appena intrapresa dal Governo Monti ha bisogno di molto più tempo, coraggio, energia politica per scalfire “diritti acquisiti” e corporazioni che continuano a litigare per difendere la propria fetta di una torta che sta per sparire.

Il tunnel dal quale dobbiamo uscire è quello della foresta pietrificata, di un’economia e di una società che può cominciare a crescere – non solo in termini di ricchezza prodotta, ma di idee, qualità della vita – solo se mette pesantemente in discussione equilibri di potere che hanno esaurito da tempo qualsiasi ragione d’essere.

In questo senso ha ancora ragione la Merkel ma anche Draghi: la crescita di cui abbiamo bisogno deve essere vera e per essere duratura può solo venire da riforme che spostino risorse pubbliche e private verso utilizzi più produttivi. Questa deve essere, assolutamente, la contropartita di un qualsiasi intervento finanziario che altrimenti rischia di annacquare quelle responsabilità con le quali Stati e opinioni pubbliche devono fare i conti.

R-innovamenti Bersaniani necessari, adesso!

di Massimo Preziuso su L’Unità

Come volevasi dimostrare già a novembre 2011, ci avviciniamo alla Grecia anche noi, inaspettatamente (allora) anche “grazie” a questo governo, che ha dato il colpo finale a un Paese già in ginocchio, paralizzandolo completamente nella sua “vita reale”.

Alcuni dati di queste ore, su tutti:

– obbligo di ferie forzate – per tutto il mese di Agosto – richiesto ai dipendenti di moltissime aziende italiane,

– debito pubblico cresciuto al livello record (nonostante 10 mesi di pura azione anti-debito),

– totale blocco delle assunzioni, a tutti i livelli, in Italia (mentre aumentano massicci i piani di licenziamenti nelle primarie aziende e banche) con un paio di generazioni già oggi fuori da qualunque futuro lavorativo.

Si abbia ora tutti (media per primi) il coraggio di dire prima di tutto questo, smettendola di difendere la mitologia di un “Super Monti” soprattutto dopo che oggi, dopo una due giorni infernale nei mercati per l’Italia, se ne esce con un imbarazzante: “situazione difficile, puntare su economia reale”.

I partiti politici, fino ad ora, lo hanno solo velatamente e a tratti criticato, per poi correggere subito dopo il tiro, per paura di essere attaccati da media e cittadini (si, anche noi!).

Ora la Politica deve fare un passo avanti, o non lo farà mai più.

Per primo il Partito Democratico, che deve accelerare sui tempi decisionali e (provare, rischiando, a) prendere la guida del Paese, da adesso, aldilà di quando si andrà a votare.

Bersani indichi subito e senza timori la data delle primarie e convochi (dopo) i “partners” con cui vuole  condividere un percorso politico e programmatico.

Aprirà così una nuova stagione, grazie a quelle enormi energie potenziali presenti nel Paese, che si metterebbero in gioco con lui, e che oggi invece rischiano di andare in “corto circuito” per sempre.

Non c’è più tempo da perdere, pena ritrovarci con un Monti Bis in una Italia irriconoscibile e in “stato di guerra”, già a cominciare da Ottobre – Dicembre prossimi.

Questo perchè è ormai chiaro a tutti che il Paese è attaccato per due motivi, prima ancora che per il Debito Pubblico (che c’è sempre stato e sempre ci sarà, seppure in maniera un po’ più ridotta): la assenza di un futuro politico delineato (nella continua tentazione, forse ormai distrutta da fatti così netti, verso una “grande coalizione Montiana”) e la inattitudine dell’attuale Governo ad affrontare il tema della crescita, in un periodo di conclamata recessione.

Non è possibile stare a guardare il Paese affondare. E per il Partito Democratico è davvero ora di smetterla con la “strategia” e le “grandi questioni” e di cominciare a proporre semplicimente la propria visione per il futuro di un’Italia – lasciata allo sbaraglio dal Governo dello spread – che ha bisogno da subito di almeno un minimo di normalità.

Forza, Bersani, ora tocca a Te!

La nuova Grecia d’Europa siamo noi

 
di Massimo Preziuso e Moris Gasparri (su Lo Spazio della Politica)   
 

Siamo entrati all’inferno.

L’Italia è con oggi a pieno titolo nella lista dei Paesi a “rischio default”. Lo ha anche detto un italiano – capo economista dell’OCSE – Pier Carlo Padoan: “non siamo troppo grandi per fallire”. L’Italia è da oggi in tutti i club che “non contano”.

In particolare è rientrata (lo era a settembre, quando però gli spread dei titoli pubblici erano sotto i 400 punti base) nel Club dei 500, che non è un network di potere ma è riferito a quei 4 Paesi europei – Grecia, Portogallo, Irlanda ed ora Italia – il cui “costo assicurativo” contro il proprio default (in linguaggio tecnico CDS – Credit Default Swap) è superiore al valore 500 (ovvero il mercato chiede 500 euro per assicurare 10,000 euro di titoli pubblici emessi da quel Paese).E’ poi entrata, sempre oggi, in quella brutta fase di crescita dei tassi di interesse sui propri titoli di stato che avviene “storicamente”, secondo molti economisti, quando si supera il valore del 6% (e oggi l’Italia ha tassi che vanno verso il 6,5%) e porta rapidamente al valore “mortale” del 7% (dove iniziano le fasi di “default tecnico” come in Grecia).

Tutto questo nonostante i continui acquisti di titoli pubblici italiani fatti dalla BCE provino, senza successo, ad aiutarci. Diverse banche internazionali dicono che questo “interventismo” da Francoforte valga altri 80-100 punti base di spread e che quindi, dovesse la BCE abbandonarci al nostro destino, il “vero” valore dei nostri spread sarebbe già di oltre 500 punti base e i nostri tassi di interesse avrebbero già superato il 7%.

In tutto ciò, ed è questa la cosa più preoccupante, l’Italia è sotto attacco per problemi di credibilità politica e di leadership. Lo abbiamo visto in molti momenti nell’ultimo anno, sia in politica internazionale (si veda l’assoluta uscita di scena dal capitolo libico, nonostante un massiccio impiego di forze militari), sia in politica europea (si veda l’uscita di scena graduale e continua dalle decisioni di politica economica e finanziaria) ed in ultimo in politica interna (con una maggioranza che prima ha perso il contatto con l’opposizione tutta, poi con tutte le forze sociali, ed ora si è completamente sfaldata al suo interno, a livello inter ed intra partitico).

Sembra proprio che siamo agli sgoccioli di un paradigma politico che è poi anche fortemente culturale. Il nostro futuro verrà scritto (insieme a quello europeo) in questo mese di novembre, e forse proprio nel G20 di Cannes che si apre nelle prossime ore, nel quale il Bel Paese la farà da “protagonista” forse più della malata Grecia.

Come ne uscirà politicamente l’Italia?

La debolezza del nostro sistema politico e la perdita di credibilità di Berlusconi hanno regalato in questi ultimi mesi a Giorgio Napolitano una posizione di forza sconosciuta in precedenza agli altri presidenti della Repubblica. Sarà lui a guidare politicamente questa fase, soprattutto il probabile passaggio ad un governo di emergenza nazionale guidato da figure esterne.

Il “siamo come la Grecia” per l’Italia ha poi un senso non solo finanziario, ma anche politico. Sapremo essere responsabili nel gestire una fase storica così convulsa, e che ci presenterà sicuramente il conto per gli anni a venire? Nel rispondere a questa domanda dobbiamo considerare anche i possibili scenari negativi. Divisioni politiche, misure rimandate e rimesse in discussione, rimbalzo delle responsabilità, crescita di spinte secessioniste, proteste di piazza guidate dai sindacati, movimenti sociali contrari alle misure di austerità decise dal direttorio franco-tedesco e dalla BCE, settori dell’opinione pubblica che chiederanno il ritorno alla lira, credit crunch per le piccole e medie imprese, aumento della disoccupazione.

E’ il modello greco, e ci conviene studiarlo con attenzione nelle sue evoluzioni. Perché da oggi per i mercati finanziari siamo diventati greci anche noi.

Berlusconi è un lusso che non ci possiamo più permettere

 

Di Massimo Preziuso (pubblicato su Lo Spazio della Politica)

Partiamo da un fatto molto negativo. L’Italia è entrata rapidamente e a pieno titolo nel gruppo dei cosiddetti PIIGS – Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, nonostante il Governo e le istituzioni internazionali ci avessero detto in varie occasioni che tale enorme rischio fosse scongiurato, fondamentalmente grazie alle politiche di contenimento del deficit del ministro Tremonti.

Questo perché, dopo tre anni di crisi, l’Italia ha contemporaneamente perso l’occasione storica di ristrutturare il proprio sistema economico e dare slancio ad una economia che nella crisi ha perso un 6% di PIL e si trova oggi ai livelli di ricchezza degli anni’90, con livelli di produttività industriale bassissimi e livelli di consumi in serio affanno, in un Paese che oggi è nei fatti più povero.

Per anni in Italia si parlava della Spagna come un Paese “economicamente inferiore”, a tratti trainato da bolle di crescita speculativa. Ed in effetti, in teoria l’Italia aveva ed ha una struttura economica e finanziaria più robusta di quella spagnola. Eppure, in pochi mesi, queste due economie si trovano mano nella mano nel buio della crisi. E in tutto questo, mentre il premier Zapatero pochi giorni fa si è dimesso per provare ad attenuare le tensioni del mercato spagnolo, ieri il nostro premier Berlusconi ha continuato a sostenere (come più volte durante questi ultimi anni) che il Paese è stabile e forte, che il sistema bancario è a riparo da rischio, che esiste una congiura dei mercati e della politica contro il Sistema Italia e il suo governo. E oggi, mentre i mercati vivevano una giornata pesantissima, ha addirittura invitato chi avesse soldi a comprare le azioni delle sue aziende.

Detto questo, la situazione che viviamo è delicatissima ed è racchiusa bene in alcuni fatti di Borsa.

Dopo il discorso “rassicurante” di ieri del Premier alle Camere, oggi i titoli azionari di tre gruppi fondamentali per l’economia italiana come Fiat, Unicredit e Intesa San Paolo lasciano sul campo intorno al 10%.

L’indice azionario FTSE MIB, dopo essere andato in tilt verso la chiusura per un “problema tecnico”, ha lasciato sul campo circa il 5%.

Negli ultimi sei mesi, un gigante dell’impiantistica come Maire Engineering ha perso il 70% della propria capitalizzazione, mentre nei soli ultimi due il colosso di stato della difesa, Finmeccanica, ne ha perso il 50%.

Il valore totale della Borsa italiana è oggi di circa 442 miliardi di Euro ovvero poco più del valore delle sole Apple e Google messe insieme (che valgono circa 400 miliardi di Euro).

In parallelo a questo, continua la corsa dei rendimenti dei BTP (i titoli pubblici italiani) che oggi raggiungono un differenziale massimo (dall’introduzione dell’euro) indicando quanto difficile e oneroso sia diventato collocarli sul mercato.

Tutto questo fa venire in mente una cosa importante, ovvero che non solo le singole aziende ma il Paese tutto è scalabile.

E quando un intero Paese è scalabile si rischia di perdere indipendenza e sovranità, dopo aver perso credibilità internazionale.

Ed alla fine dei conti, questa brutta situazione ha fondamentalmente a che fare con una questione molto semplice: la assoluta perdita di credibilità del nostro Paese a livello internazionale, che è fortemente data da chi lo governa.

Ma in tutto questo il nostro Premier ha chiaramente detto che il suo Governo va avanti fino al 2013, perché così gli italiani hanno deciso.

Mi chiedo: ce lo possiamo permettere? O è il caso che tutti insieme – politica, parti sociali e società civile – si uniscano per proporre rapidamente una soluzione nuova e sostenibile, che eviti un possibile disastro economico e sociale in Italia?

Sabato 9 Aprile in piazza in tutta Italia contro il Precariato

Mentre la benzina vola verso i 1,6 Euro a litro, il Parlamento lavora giorno e notte attorno ai problemi giudiziari del Premier, la crisi libica e del mediterraneo diventano un mero problema di gestione “alla meglio” di flussi migratori, non esiste  alcuna azione di politica economica ed industriale in corso e, nel contempo, gran parte delle ultime due generazioni di italiani vivono in assenza assoluta di certezze…

…domani, 9 Aprile, è proprio il caso che scendiamo in piazza in tutta Italia contro il Precariato.

Massimo Preziuso

Le 3 crisi

Le 3 crisi

di Massimo Preziuso (pubblicato su Tr3nta.com)

Le 3 crisi – nucleare, mediterranea e tedesca – ed un’unica opportunità per il nostro Paese: la creazione di un asse italo – tedesco.

Siamo in un periodo di cambiamenti epocali e, nel 2011, questi cambiamenti si sovrappongono rendendo ancora più difficile, per ragioni di complessità e di tempo, pensare a soluzioni. Ma è pur vero che proprio in periodi di grande complessità come questo possono trovarsi grandi e nuove opportunità. In questo caso per il nostro Paese. 

Dico subito dove io ne vedo una: nella creazione di un asse italo – tedesco che, partendo da una proposta comune per una gestione “più diplomatica possibile” della situazione in Libia, possa poi diventare un asse di collaborazione in tutto il Mediterraneo, per gestirne uno sviluppo equilibrato e duraturo, avendo come baricentro delle iniziative il settore chiave dell’energia. E tre sono le crisi che mi fanno pensare a questo: quella del nucleare, quella del  editerraneo e quella, appena cominciata, tedesca.

Nucleare
: con la pesantissima complicatissima crisi creatasi in Giappone dove, passate due settimane da un devastante terremoto, la situazione è altamente seria a causa di danni in una delle centrali nucleari, l’opinione pubblica mondiale si è svegliata, comprendendo ancora meglio che la soluzione nucleare non è la scelta migliore di sostenibilità energetica, e che va quindi profondamente ripensata.

Mediterraneo: con le crisi egiziana, tunisina e libica – e la possibilità non così improbabile che tali situazioni si estendano a breve in altri paesi dell’area mediterranea – si è aperto un enorme ed inaspettato capitolo di politica estera, ed in particolare per l’Unione Europea, sia per motivi di dovuta solidarietà rispetto a paesi che ci sono molto vicini, sia per opportunità e ragionamenti di geopolitica e di interessi commerciali – in particolar modo legati all’approvigionamento energetico.

Germania: legata alle prime due crisi – nucleare e mediterranea – se ne vede una terza, appena cominciata, del colosso tedesco. Proprio oggi il cancelliere Merkel con la sua CDU perdono pesantemente alle regionali in un territorio opulento e fondamentale, il Baden-Wuerttemberg, dove il nuovo governatore sarà espresso – e non è un caso – dal Partito dei verdi. Tutto questo nonostante la Merkel avesse provato ad andare incontro – con una manovra chiaramente  opportunista – alle aumentate esigenze ambientaliste del dopo Giappone, praticamente annullando i programmi tedeschi nel nucleare, e alla volontà della sua gente di tenersi fuori dalla guerra in Libia. Dopo oggi, il governo entra in chiara crisi- Tutto questo mentre, in queste settimane, si è formato un asse anglo – francese nel mediterraneo, che rischia di rosicchiare larghe fette di influenza all’attuale locomotore europeo. Ed un Paese che fino a oggi ha avuto un ruolo di leadership assoluta nelle politiche europee a questo vorrà e dovrà sicuramente reagire.

Ebbene, queste tre crisi – Nucleare, Mediterraneo, Germania – rappresentano una inaspettata opportunità per un Paese, l’Italia, in piena crisi di identità e di potere – in Europa e nel mondo – ed a forte rischio di un accentuato declino – proprio a causa della crisi mediterranea. Infatti, dopo essere stato assente dalla scena internazionale per troppo tempo, nelle prossime ore il nostro Paese potrebbe portare avanti – ed oggi il Ministro Frattini ha annunciato  una proposta comune – un’iniziativa di recupero di forza sulla scena internazionale, appunto strutturando una azione politica (che poi diventi economica ed industriale) comune con la locomotiva tedesca, proprio a partire dalla gestione della crisi libica e mediterranea. E’ chiaro che la Germania ha oggi bisogno di un partner europeo con cui provare a rientrare nella gestione della crisi nell’area mediterranea, ed indirettamente confermare la propria leadership, e che questo può farlo solo con un alleato come l’Italia. Di contro è evidente che l’Italia – alleandosi con il colosso tedesco – potrebbe inaspettatamente trovarsi in ruolo di centralità politica, soprattutto nella auspicabile fase di sviluppo dell’area, successiva al periodo di crisi, che molto probabilmente sarà fortemente legato al tema energetico ed infrastrutturale e potrebbe fortemente basarsi sul paradigma della “green economy”. Ed Italia e Germania, con le loro aziende e capitali, sono già protagonisti nel settore (si veda, tra i tanti altri, il mega – progetto “Desertec”). Aldilà di questi fattori “opportunistici”, sembra altresì evidente che un asse italo – tedesco rappresenti la soluzione migliore per dialogare, in maniera diplomatica e commerciale, con il mondo libico, ma più in generale mediterraneo – per motivi culturali e per ragioni economiche – industriali.E visto che le due potenze europee condividono l’idea che la gestione di una crisi così grande e complicata non possa che incentrarsi sul tema della diplomazia, vi è da auspicare che Italia e Germania si rendano conto di questa opportunità unica, per loro stesse e per il mondo mediterraneo, ed agiscano subito, prima che la crisi da quelle parti si trasformi in un qualcosa di ingestibile ed incontrollato.

8 suggerimenti alla classe dirigente italiana

giovani

di Massimo Preziuso, pubblicato sulla rivista generazionale Tr3nta

Tracciato un quadro generale della situazione giovanile in italia, Massimo Preziuso prova a elencare otto punti su cui la classe dirigente italiana dovrebbe investire a partire già dal prossimo anno.

Siamo alla fine di un altro anno (e di un decennio) difficile per la nostra cara Italia.
Il Paese lentamente continua nella sua fase declinante, e questo lo si vede nell’economia ma soprattutto nei fatti sociali.
Le iniziative del movimento studentesco e gli scontri a Roma di qualche giorno fa – malamente gestiti dalla classe dirigente italiana (professionisti, intellettuali, politici) come un qualcosa di strano, fastidioso e fuori luogo – sono una semplice cartina dello stato dell’arte del Paese.
Siamo giunti ad un momento cruciale.
Le nuove generazioni (gli studenti medi e universitari) unite alle ormai quasi – nuove (i trentenni e quarantenni dalla vita precaria) stanno finalmente dando segnali evidenti alla restante parte del Paese di una situazione che non va più bene nemmeno a loro, che la stanno vivendo da un decennio almeno da protagonisti negativi e passivi.
Va detto che, in questo contesto, vi sono anche altri segnali positivi provenienti dai giovani.
Aumenta ad esempio la spinta verso l’associazionismo e la imprenditorialità.
Mai come in questi anni si vedono ragazzi anche giovanissimi che tornano ad impegnarsi nel volontariato o nella politica, cosa che non accadeva solo dieci anni fa. E questo è un fatto che va colto e sostenuto.
Basta poi girare per LinkedIn e leggere i profili professionali dei trentenni di oggi per capire che rivoluzione silenziosa è in atto: da un lato si torna a scendere in piazza nell’età della formazione, dall’altro si rivede il modo di essere lavoratori nell’epoca della precarietà, ma anche delle variegate opportunità, e si ricercano nuove forme di soddisfazione personale al di fuori dei grandi involucri aziendali.
Tutto questo è semplicemente cambiamento, generato da un momento difficilissimo ancora mascherato dai media e dalla politica.
Ed è su questi germogli di “pacifica rivoluzione generazionale” che bisogna assolutamente e rapidamente fare leva per lasciarci alle spalle un decennio di crisi.
E devono farvi leva soprattutto le classi dirigenti che, risultate incapaci di svolgere il proprio ruolo – “dirigere” la società e la sua parte più energica, i giovani, verso il cambiamento – dovranno almeno ora riuscire ad assecondarne il moto spontaneo.

Ed allora cosa si può consigliare loro?

Scrivo qui una mia semplice “wish-list” in ordine casuale, sperando non risulti per questo banale.

Si può e si deve:

1) Immergersi nei luoghi in cui oggi si discute e si fa nuova cultura ed innovazione: il Web ed i social network;

2) Liberare sempre più l’accesso alla Rete, a cominciare da una seria diffusione libera del collegamento internet in luoghi pubblici, con il Wi-Fi;

3) Aiutare a sviluppare a pieno le iniziative associative di vario tipo che nascono nel Web, soprattutto nel passaggio al “mondo reale”, senza il quale Internet non esplica pienamente il suo enorme potenziale di driver culturale e di innovazione;

4) Sostenere la nascita e lo sviluppo di iniziative imprenditoriali giovanili mettendo insieme risorse pubbliche e private;

5) Aiutare i giovani ad effettuare esperienze di formazione e lavoro nei paesi dell’Unione Europea, per formarli alla nuova cornice cultuale di riferimento;

6) Sostenere uno sforzo congiunto delle università italiane per avvicinare i giovani al mondo delle professioni fin dai periodi di studio superiore e universitario;

7) Favorire l’accesso dei giovani in politica, a partire dal livello locale, anche attraverso le così tanto vituperate “quote arancio”. Sono certo che la loro migliore conoscenza del mondo presente sia fondamentale nelle istituzioni più della (eventuale) minore esperienza;

8 ) Last but not least, tornare ad insegnare a scuola – rendendola centrale nella formazione del discente – la ormai lontana ma ancora più necessaria, in una società sempre più complessa, “educazione civica”;

Buon lavoro e buon 2011!

14 Dicembre 2010 – Gioventù bruciata

jamesdi Aldo Perotti

C’è un film con James Dean, “Gioventù bruciata” nel quale in una scena si tiene lachicken run, una corsa in auto che si svolge di notte su un rettilineo che termina sull’orlo di un precipizio: vince chi, lanciato a folle velocità, smonta per ultimo dall’auto in corsa prima di precipitare nel burrone. Nel film la corsa finisce male come ci si deve attendere.
 
Mi sembra che questa corsa verso il voto di fiducia del prossimo 14 dicembre contenga delle forti similitudini con la chicken run, vince chi salta per ultimo. L’ultimo a saltare è quello che potrà dire “vedete, è colpa loro, io sono il più forte ed il più coraggioso disposto ad andare comunque avanti. Berlusconi, da molti invitato (salta ! salta!) non ne vuole sapere di dimettersi, anzi, dice a Fini: “salta tu! Dimettiti”.
Le automobili, rubate, (bella questa) sono il paese. Il voto di fiducia è il salto nel vuoto (letteralmente il salto nel vuoto per il paese).
Se il 14 dicembre i finiani votano contro e il Governo perde la fiducia l’ultimo ad abbandonare l’auto è Berlusconi che può subito avviare una bella campagna elettorale “vittimistica”. Se i finiani ci ripensano e all’ultimo e votano a favore e come se loro vettura inchiodasse lontano dal burrone, quasi a voler salvare l’automobile (il paese), lasciano quindi la vittoria a Berlusconi che a questo punto è vincente anche se l’auto (sempre il paese) continua la sua corsa nel vuoto.
Ci potrebbe essere la possibilità che l’intervento di altri sia in grado di cambiare la storia. L’intervento dell’UDC a supporto del Governo potrebbe chiudere Fini ed i suoi dentro l’auto e farli precipitare nel burrone.
Allo stesso modo la Lega, stanca di queste teste calde e decisa a chiudere la questione, potrebbe comunque, negando la fiducia nonostante i ripensamenti di Fini, buttare i conducenti nel burrone con lo scopo di rubargli le auto alle prossime elezioni.
In questo film le auto fanno sempre una brutta fine. Il pubblico (perché nel film ci sono gli spettatori, le ragazze che urlano) sta a guardare.
Dobbiamo trovare un modo di salvare questa gioventù bruciata che passa il tempo ad ubriacarsi ed a distruggere auto.

E’ Bossi il vero nemico mortale di Berlusconi

E’ Bossi il vero nemico mortale di Berlusconi

di Rocco Pellegrini

Il rapporto tra Bossi e Berlusconi è sempre stato un classico matrimonio d’interesse. Ciascuno dei due coniugi e le loro multiformi corti ci hanno sempre raccontato la favola del grande rispetto, della grande stima, del valore strategico innovativo ma i cittadini italiani ben sanno che questi due “amanti”, in realtà, perseguono interessi diversi, qui e li convergenti, ma sostanzialmente divaricati. Il papi ed il suo partito azienda stanno facendo il sacco dell’Italia, accaparrandosi tutto quello che possono mentre il bel paese deperisce e soffre, l’uomo delle caverne vuole semplicemente “liberare il Nord” , cioè separare la contabilità e la raccolta del risorse onde a ciascuno spetti il suo. Berlusconi ritiene Bossi un prezzo da pagare per realizzare il suo piano e viceversa. Questa è la realtà le altre essendo chiacchiere di bar. E’ evidente che una simile intesa dipende molto dalla salute di ciascuno dei contraenti, dalla “potenza” che ognuno esprime qui ed ora. Come in natura la debolezza di un animale lo espone all’aggressione dei predatori così in questo “bel rapporto” l’idillio dipende dai rapporti di forza. Si da il caso che il papi sia un pò indebolito: l’uomo del “fare” appare un pò cagionevole, con la febbre alta.
E’ saltato il rapporto con Fini. Berlusconi ogni volta che ha vinto le elezioni, il buon risultato ottenuto è stato sempre il frutto di un lavoro di aggregazione perché il partito azienda (Forza Italia) è sempre oscillata tra il 20 ed il 25%. Si tratta, come è evidente, di un partito forte ma non capace, da solo, di arrivare al potere. I tanti coriferi del potere carismatico ci descrivono un papi che calamita i voti, che ammalia i cuori, che incanta i votanti quasi fosse il pifferaio magico o il mago Merlino ma questa è propaganda anche un pò dozzinale e di cattivo gusto. Berlusconi ama presentarsi come un non politico, come un “imprenditore prestato alla politica” ma, al contrario, è sempre stato un vero politico capace di aggregare, di mettere insieme forze diverse: quando ha vinto è sempre stato così. Fin dal suo debutto, quando “sdoganò” il Movimento Sociale Italiano escluso fino a quel momento da qualsiasi gioco di governo, dimostrò queste virtù politiche essenziali per arrivare a quantità spendibili per il governo del paese.
La rottura con Fini lo indebolisce moltissimo e gli fa rivedere i tempi tristi (per lui) delle vittorie di Prodi. Berlusconi ha ben chiaro che senza creare un sistema di alleanze ha poche speranze di mantenere il potere. Per lui si tratta di una questione di “vita o di morte” perché sappiamo, gli italiani sanno, che ha qualche scheletro nell’armadio e che, senza scudi legittimi o illegittimi, potrebbe essere tolto dal gioco della politica molto presto non da una magistratura ostile ma dai suoi errori. Deve dare una rinfrescata alla sua rete di alleanze perché da solo non va da nessuna parte, né i colonnelli ex AN rappresentano una soluzione vera alla rottura con Fini. I giornali parlano di serrati tentativi di corteggiamento di un suo vecchio nemico Casini, di disperati tentativi di trovare qualche parlamentare disponibile a scambiare consenso per potere, di negoziati con gli odiati finiani, ecc ecc: insomma il papi si da da fare e prende tempo perché la sua situazione è molto ma molto difficile. Fateci caso: l’uomo del fare non parla più al suo adorato pubblico. Ringhiano, minacciando elezioni e prendendosi in tutta risposta belle pernacchie, i Cicchitto, i Bondi, gli ascari come Minzolini, Feltri, Belpietro, ma lui, l’uomo del “ghe pensi mi” decide di sparire, di minimizzarsi, di riflettere. E’ difficile spiegare agli italiani come abbia fatto a sperperare una maggioranza bulgara, senza precedenti, come abbia potuto dissipare un capitale politico così rilevante come quello che italiani gli hanno consegnato nell’aprile del 2008.  L’arma delle elezioni è un coltello spuntato perché senza alleanze sa bene che non ha possibilità credibili ed, infatti, lascia che a brandirla siano i suoi uomini, lui se ne guarda bene. Ammesso e non concesso che riuscisse a vincere alla camera sembra proprio che al senato non ci sarebbero i numeri e, dunque, lui, il papi sarebbe il sacrifico necessario per un governo di larghe intese in un quadro parlamentare diviso. C’è da non dormire e le rare immagini che si vedono del grand’uomo lo mostrano molto, molto preoccupato.

 

Il problema fondamentale, quasi che quelli descritti fossero bazzecole, però, è che il cavernicolo dal dito medio eretto sente il sangue, sente la crisi del suo caro amico e si eccita. Lui si che ha interesse ad andare alle elezioni. Tutti gli osservatori parlano di forti smottamenti nell’elettorato del Nord verso la Lega e questi sarebbero voti del PDL perché chi vota a sinistra non ama gli animali preistorici, un pò impresentabili. Tra l’altro per il disegno di Bossi un eventuale parlamento dimezzato con la Lega più forte sarebbe perfetto per imporre il suo federalismo, cioè la tragedia finale per questo sventurato paese: un quadro politico che porterebbe rapidamente verso il superamento dell’unità d’Italia aprendo una crisi rispetto alla quale questa che viviamo sarebbe descritta come ‘età dell’oro. Dunque Bossi minaccia elezioni, va dritto verso lo scopo anche se sa bene che c’è un ostacolo pesante al quale Fini ha alluso nel suo discorso di Mirabello.Se Berlusconi si dimettesse il presidente Napolitano, nel rispetto della costituzione vigente, avrebbe il dovere di cercare una qualsivoglia maggioranza parlamentare che garantisse la continuità della legislatura ed allora sarebbero guai grossi, per il gatto e la volpe. Ecco perché ieri sera, mentre ancora rullavano i tamburi di guerra propagandistici, il papi ha detto: “Ho il dovere di governare”. La montagna ha partorito il topolino: ma tant’è. Di più non si può.
Corri, corri Berlusconi… Mala tempora currunt. In tanti si sono distaccati da te ed il tuo migliore amico è il tuo peggior nemico come nella società dei babbuini dove il leader beta, nell’80% dei casi, uccide il leader alfa. D’altra parte chi semina vento raccoglie tempesta .
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