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Il Movimento 5 stelle è la Rivoluzione francese “italiana” senza ghigliottine né sangue
di Salvatore Viglia
Solo chi non vuole vedere, non capisce cosa stia accadendo nel paese. Grillo è una macchina schiacciasassi che sta travolgendo ed appianando tutto quello che incontra. Di questo il paese ha bisogno per poter riscrivere un nuovo copione. Le resistenze più o meno giustificate di attaccamento al vecchio, alle segreterie antiche dei partiti presiedute da facce verdi ed avvilite con le tasche piene di soldini e privilegi, sembrano culottes al paragone dei perizoma. Quella di Grillo è una novità risolutiva la cui portata è pari a quella che la Rivoluzione francese rappresentò per la Francia prima e per il mondo poi. Certo è che la mente non riesce ad associare una rivoluzione senza la violenza, i forconi, i giustizialismi sommari. Ciò che il M5S ha messo su è un impasto che lievita giorno per giorno. Nessuno, nemmeno Grillo stesso può prevedere con certezza cosa succederà domani mattina. Questa è una pagina di storia che ha a che fare con l’innovazione purissima della comunicazione e della rivisitazione di concetti cui la politica non ha saputo adeguarsi. E’ una naturale evoluzione della vita “agevolata” dall’iniziativa di un movimento che ha messo in moto un motore che va da solo ormai in una sorta di moto perpetuo. E’ una speranza, forse è la speranza, quella verde, serena anche se lontana dall’attuarsi. Non neghiamoci di aver bisogno di sperare. E’ umano anche questo. Nelle roccaforti delle “Bastiglie” allestite alla bisogna si cerca di addossare la colpa dello sfacelo del paese proprio a Grillo che non c’era, che non voleva venire e che si è trovato, per coscienza, a farsi portavoce della gente comune. Non è leale questo atteggiamento e non lo serebbe per chiunque si trovasse al posto di Grillo. Il mal comune mezzo gaudio rassicura i galli sui cumuli di immondizia per troppi anni adagiati a non fare nulla. Questa Rivoluzione italiana è degna di attenzione critica e non di approssimazione qualunquista. Se qualcuno si lusinga ancora sull’innocua presenza del M5S avrà a che fare con una realtà implacabile.
Sabato 9 Marzo ore 10 – Sala Newton di Città della Scienza: “Una Stanford del mediterraneo a Bagnoli”
INNOVATORI EUROPEI vi invita a partecipare – Sabato mattina, 9 marzo, ore 10 – ad un incontro presso la Sala Newton di Città della Scienza per una riflessione tra società civile su quanto accaduto e sul rilancio della città e dell’Italia a partire dalla cultura e dalla scienza.
A valle del dibattito lanciamo il progetto “Una Stanford del mediterraneo a Bagnoli“.
Vi aspettiamo,
Gli IE
N.B. La pagina Facebook dell’iniziativa è https://www.facebook.com/events/362821520500709/
E’ nata la Community del progetto “Stanford in Bagnoli”
E adesso incontriamoci a Bagnoli
di Michele Mezza per Innovatori Europei
Non penso di poter scrivere cose particolari su Bagnoli.
So solo che quel pezzo di terra era stata una straordinaria spugna di sogni e speranze, dopo la dimissione del 1986.
Rileggiamoci il libro di Ermanno Rea: passione e mestizia, quasi un presentimento. Con la chiusura della fabbrica chiude il futuro, senza fabbrica non siamo niente.
Incredibilmente senza fabbrica sono stati niente proprio quel fior fiore di intellettuali e dirigenti politici che erano nati sul lavoro e la fatica altrui. Ora che c’era da inventare un nuovo futuro nulla.
Per venti anni un frustrante gioco di carte: autorizzazioni, società pubbliche, nomine, dimissioni, sostituzioni, convegni.
E Città della Scienza rimaneva sola. Doveva essere il primo germe di una straordinaria proliferazione.
Rimase una fortezza assediata e questa notte è caduta. Ora che accade?
Si spengono le fiamme e si ricomincia con le carte: ci vuole uno shock, un trauma.
Io propongo che il popolo del sapere a Napoli chieda l’intervento dell’Unione Europea, dei caschi blu, come a Kabul, per gestire a marce forzate un progetto di insediamento di campus della ricerca.
Convochiamoci a Napoli, a Città della Scienza, nel cortile e promuoviamo una conferenza dei servizi immateriali che incardini a Napoli un cantiere reale per Bagnoli.
Subito però, o perderemo faccia e futuro. Il secondo dopo la prima.
Raccogliamoci da qui.
La pagina dell’evento su Facebook: https://www.facebook.com/events/362821520500709/
Ecco i primi aderenti (per adesioni infoinnovatorieuropei@gmail.com):
Michele Mezza
Massimo Preziuso
Luisa Pezone
Anna Dauria
Marco Race
Alessandro Migliardi
Maurizio Imparato
Cetti Capuano
Alfonso Gentile
Emilia Vitale
Alessandro Santise
Sarah Scognamiglio
Stefania Arminio
Nico Cimino
Cristiano Orefice
Luigi Petrazzuoli
Maurizio Imparato
Marina Ravallese
Luca Lopez
Maria Grazia Biggiero
Alessio Viscardi
Annacarla Tredici
Alice Mandrone
Giuliana Ferraboli
Elvira Erman
Anna Paola Merone
Vincenzo Fiorillo
Verio Massari
Marina Cassese
Carmine D’Onofrio
Pasquale Luongo
Guido Visciano
Francesco Enrico Gentile
Giuseppe Spanto
Italia e U.E. nel bipolarismo mondiale
di Stefano Schembri
Washington contro Pechino. Sembra sempre di più questo l’assioma geopolitico moderno, in un mondo che dopo la caduta del muro di Berlino, torna per la prima volta a vedere un paese, la Cina, scalfire l’unipolarismo a stelle e strisce instauratosi a seguito dell’implosione Sovietica.
Ma possiamo veramente dire che i prossimi decenni saranno caratterizzati solamente da questi due attori? E quale ruolo potrà avere in tutto ciò il nostro paese?
Un’analisi più approfondita sui paesi in sviluppo ci mostra che oltre alla Cina, altri paesi si stanno affacciando sulla scena globale. Parlo degli ormai noti BRICS (Brasile, Russia, India, la Cina stessa e Sud Africa), ma anche di Indonesia, Viet Nam e Malesia, i quali grazie al bassissimo costo della mano d’opera possono ora attrare massicci investimenti esteri e raggiungere tassi di crescita dal 5 all’8%, che per paesi come il nostro rappresentano un miraggio.
A ben vedere, dunque, le prospettive per l’Italia, sono abbastanza tetre. A seguito delle politiche di austerity del governo Monti, il nostro tasso di crescita del PIL oscilla fra lo 0 e il -1%, al di sotto del già basso tasso di crescita medio dei paesi dell’euro-zona (un po’ meglio va per i paesi dell’Unione Europea che non hanno aderito all’euro). Ma non è finita qui: l’Italia, sesta potenza mondiale fino a un decennio fa, dopo esser stata scavalcata da Cina e Brasile negli anni passati, si appresta a finire in decima posizione a seguito dell’ininterrotta crescita di Russia e India. Secondo le previsioni, tuttavia, questo è un destino comune per i paesi europei, e non ci vorrà molto prima che Brasile, Russia e India, superino anche il PIL di Regno Unito, Francia e perfino di quello che viene considerato il ‘treno d’Europa’, la Germania.
C’è però un dato che può farci sorridere, e deve farci ragionare, ossia il considerare i paesi europei in maniera congiunta, e non singolarmente. L’Unione Europea, risulterebbe cosi la prima potenza mondiale, con un Prodotto Interno Lordo di 16 trilioni di dollari. Anche se calcolassimo la sola euro-zona, essa costituirebbe comunque la seconda potenza mondiale, ad un passo dagli Stati Uniti, e di gran lunga sopra la Cina. Una super potenza del genere, di certo stravolgerebbe gli equilibri mondiali, e mediante una maggiore integrazione (alludo in particolare ad una integrazione fiscale) potrebbe intraprendere politiche congiunte che le permettano di aumentare anche quel tasso di crescita che al momento oscilla fra il +3% della Germania e il -7% della Grecia.
I dati parlano chiaro, non costituiscono una teoria economica, ed i nostri governi europei ne sono certamente a conoscenza. Una maggiore integrazione è dunque un auspicio di cui i vari leader dovrebbero tener conto, ma la storia ci insegna che sono più frequenti le spinte separatiste (Lega Nord in Italia, indipendentismi Catalani e Baschi in Spagna, ecc.) che quelle unitarie. Inoltre, nei confronti dell’Unione Europea molte critiche sono state fatte a seguito della crisi che ormai colpisce i nostri paesi da circa 5 anni. Non sono da sottovalutare la proposta di un referendum per l’uscita dall’U.E. del Primo Ministro inglese David Cameron, o del leader del Movimento Cinque Stelle, Beppe Grillo, così come le politiche anti europeiste del Primo Ministro ungherese Viktor Orbán.
Se si tratta di populismo o meno potremmo discuterne a lungo, quel che è certo è che nel contesto geopolitico mondiale, con un cospicuo numero di paesi in rapida crescita economica, il ruolo dell’Italia come singolo ha una rilevanza limitata, per giunta in diminuzione, mentre quello dell’Unione Europea in quanto blocco unito, è ben altro discorso. Del resto, senza richiamare citazioni storiche ed erudite, basta il celebre proverbio ‘l’unione fa la forza’ a rendere il concetto.
Basta con gli imbrogli, è ora di giocare a carte scoperte
di Antonio Diomede (pubblicato su www.reasat.it)
Vedo, un po’ divertito, ma non tanto, tutti i giorni in tv e sulla stampa le varie tesi sull’analisi del voto degli italiani. Nei dibattiti radiotelevisivi e sui giornali si ascoltano e si leggono le più fantasiose motivazioni per giustificare il pauroso vuoto politico e di potere creatosi in un paese europeo, l’Italia, dopo quello del 1918-1922 per il quale Mussolini marciò su Roma, e quello tedesco della repubblica di Weimar del 1929-1933 a causa del quale un imbianchino, un certo Adolf Hitler, diede vita alla più spietata dittatura mai esistita dai giorni della Creazione. Giornalisti e politici, ognuno dice la sua in base alle proprie idee o posizioni del proprio partito, ma tutti sono d’accordo nell’affermare che “il risultato del voto, piaccia o non piaccia è l’espressione del popolo e come tale, in democrazia, va rispettato”. Tutto Ok, sembra non ci sia nulla da dire. Invece, per come si è svolta la campagna elettorale ci sarebbe tanto da dire. Infatti in una “vera democrazia”, quella sancita dalla Costituzione per capirci, l’elettore non va confuso e, soprattutto, durante la campagna elettorale non dovrebbe essere ammesso “il falso ideologico” che, oltre tutto, è punibile dal codice penale (artt. 476,477 e 478). Invece la campagna elettorale si è svolta con lo stile “del mercato delle vacche” dove tutto si compra a buon prezzo. Abbiamo assistito a leader politici e candidati che promettevano falsamente di tutto pur di carpire la buona fede dell’elettore per accaparrarsi il voto. Berlusconi ha promesso il rimborso dell’IMU sulla prima casa tant’è che alcuni pensionati sociali subito si sono presentati alle Agenzie delle Entrate per richiedere il modulo di rimborso. Così di voti ne ha presi un botto e c’è mancato poco che non vincesse ancora! Ma non è tutto; ha anche promesso un condono tombale senza specificare per chi e per cosa. Bersani ha promesso un po’ di tutto e un po’ di niente. Ha perfino, vagamente, detto che avrebbe rivisto la “Gasparri” e il “conflitto d’interessi”. Grillo, ha promesso di togliere tutti i privilegi alla classe politica. D’accordo, ma quando promette la riforma del Paese non sa di cosa parla. Non sa che, ad esempio, Berlusconi & C. anche se dovessero essere sbattuti fuori dal Parlamento, continueranno a governarci almeno per altri dieci anni attraverso i suoi uomini piazzati nei posti di comando dell’amministrazione pubblica. Ad esempio, nei Ministeri, i Capi di Dipartimento, i Direttori Generali e tutto lo staff dirigenziale è occupato dai suoi fedelissimi e fino a quando non andranno in pensione, con le laute liquidazioni che si ritrovano, sono inamovibili. Altro esempio. Le Autority italiane sono nominate dai capi dei Partiti. Pertanto l’AGCOM e l’Antitrust, fino a scadenza (ma sono state appena nominate) sono dominio di Monti e Berlusconi. In queste condizioni, qualsiasi riforma verrebbe uccisa prima di nascere e quand’anche nascesse verrebbe boicottata nella pratica attuazione. Poi, nel nostro settore, ci sono i Corecom di nomina partitica. Tutte bocche da sfamare che come uccellini appena nati vorrebbero prendere il volo per dominare lo spazio politico insieme alla mamma. Infine ci sono le lobby, sempre pilotate in maggioranza da Berlusconi, pronti a minacciare crisi di mercato se non si soddisfano le loro tasche. Allora che si fa? Preso atto che ci stiamo giocando la democrazia e se ciò non è ancora avvenuto lo dobbiamo proprio a Grillo che è riuscito ad ammortizzare la rabbia dei giovani e di larga parte dei lavoratori e del ceto medio attraverso la formazione del Movimento 5 Stelle; considerata l’inesperienza “governativa” dei singoli senatori e deputati eletti nel Movimento 5 Stelle; bisognerebbe aiutarli a capire come “gira il mondo della burocrazia ministeriale e delle lobby” in modo da non farsi abbindolare (circuire) da codesti abilissimi signori veri professionisti nel farsi i cazzi propri a scapito del Paese. Scusate lo sproloquio, non lo farò mai più, mi è venuto spontaneo nella penna e mi spiace cancellarlo. Per quanto ci riguarda noi siamo a disposizione nell’interesse generale del Paese.
ll Gelato di Viola
123 mila firme in poche ore raccolte sul web da una gelataia fiorentina che vive a Venezia -Viola Tesi- ha dimostrato che qualcosa di rilevante è accaduto anche in politica, nel secolo della rete. Dopo l’informazione, la formazione, le professioni, i servizi, la pubblica amministrazione, la ricerca, la finanza, anche la politica è investita dall’ondata di disintermediazione che disarciona i giganti e premia i nani.
Un fenomeno complesso e ingovernabile, che , a poche ore dal trionfo, porta persino il Gigante a 5 stelle ad inseguire la gelataia di Venezia, imprecando contro la nanetta che si è intrufolata nel suo giardino.
E’ la rete, bellezza, verrebbe da dirgli.
La pancia conta quando è alla pancia che si parla. Ed affiora ora il vecchio richiamo solidarista ed emancipatorio di una base sociale che viene da sinistra ma trascende la sinistra- non ha votato PD, ignora Vendola, non parla con Ingroia, perché da tempo non vi vede la potenza trasformatrice della realtà. Ma quando si trova in mano le chiavi di Palazzo Chigi il primo istinto è quello di guardare da dove si è venuti.
Ma chi sono e cosa è successo?
Loro sono quello che fanno, ed è accaduto quanto doveva accadere. Ne più ne meno.
Loro, i grillini, anzi il movimento 5 Stelle, votanti e votati, sono esattamente come appaiono. Giovani, ma non giovanissimi, precari ma non disoccupati, tecnici, ma non esecutivi, impiegati, ma non placati, cattolici, ma non subalterni, laici, ma non ideologici. Soprattutto digitali, ma non smanettoni.
E’ un movimento della rete, ma non sulla rete. Per certi versi i 5 Stelle non sono molto dissimili dalle primavere arabe.
In Algeria, Tunisia, Egitto è pure sorto un movimento di protesta, composto da giovani, professionisti ed emarginati. Si disse è la rivoluzione di Facebook. In realtà, questo è il nodo che la politica tende ad esorcizzare, quel movimento, e ancora di più Grillo, non cresce perché usa la rete per parlare, ma perché usa la rete per produrre. Abbiamo di fronte un movimento che si caratterizza per un nucleo di operai del web: informatici, mediatori, broker, insegnanti, amministratori, imprenditori.
Questa è l’aristocrazia operaia di Grillo. Attorno a questo nucleo si sta raccogliendo un mosaico di ceti e figure sociali convergenti: giovanissimi irridenti, giovani ambiziosi, famiglie silenziose, anziani ignorati, lavoratori in esubero.
Il movimento si è agglutinato per condensazione, come i fenomeni tipo Occupy, dove ci si aggrega per singole convergenze, per condivisione di isolate tematiche, senza la pretesa, ne l’ambizione, di costituire una visione organica. La frammentazione sociale non permetterebbe di ripercorrere la vecchia strada del partito forte, gramsciano, che dall’astronave all’ago, assume un’unica visione del mondo. Quell’approccio è stato del tutto rimosso, insieme alle macerie del Muro di Berlino. Qui è rintracciabile una prima rilevante contraddizione di Grillo come leader: ogni volta che tenta una stretta, di imporre un metodo leninista, perde pezzi e capacità di guida nei nuovi movimenti a rete la direzione è il punto finale di una lunga coda, non la testa iniziale.
Il linguaggio connettivo è il brusio della rete che prende tono per i lavori nella rete. L’elemento unificante è l’estraneità, prima, l’ostilità, poi, per le elites: tutte le elites. In particolari quei salottini, meglio ancora quei tinelli, dove gli staff dei decisori, le figure adiacenti ai leaders, i frequentatori degli amministratori. I sobborghi del potere, più che il vero potere. I riti delle terrazze, dello scambio di privilegi, di mance di prevaricazioni.
Questa è la cultura della rete. Forse , si dirà, la cultura di ogni opposizione che contrappone ai poteri costituiti, che se ne vuole liberare.
In realtà la rete produce distanza e indifferenza, più che ostilità. Gran parte dei grillini, soprattutto i nuclei storici, in Emilia e in Piemonte ad esempio, sono figure che vivono autonomamente in circuiti professionali o formativi che non hanno nulla da chiedere alla politica per se stessi. Si tratta di ceti che vivono di competenze, specializzazioni settoriali, flessibilità nell’uso del proprio tempo, controllo delle ambizioni di consumo, versatilità nel muoversi nel paese e fra paesi.
Ragazzi che per il proprio equilibrismo fra saperi e fra condizioni, trovano mercato. La rete è la scorciatoia, che trasforma l’idea o la disponibilità in opportunità. Un ceto non reattivo alla politico, ma insofferente, proprio perché non chiede, per l’etica, e le competenze. Di fronte al combinato disposto di un degrado morale e di una palese incapacità scatta la contrapposizione: si può fare meglio, si deve fare bene.
Qui si crea un cuneo che scompone la base sociale delle due forze tradizionali: che scava nel mondo del lavoro, e distoglie il mondo delle proprietà. Si crea un popolo della comunicazione, che conscio del proprio isolamento , ma anche della propria abilità, e del proprio tempo, investe in relazioni: si clicca per condividere la propria riprovazione che diventa rabbia e poi sfida.
Proviamoci è lo slogan. La grande prova , non a caso, è nei feudi: l’Emilia rossa, il Veneto verde, la Sicilia azzurra.
Il territorio produce il salto di qualità, ma comporta anche le prime contraddizioni. Come spiega il saggio della direttrice dell’istituto Cattaneo, Elisa Gualmini, Il Partito di Grillo, sono state le elezioni amministrative del 2010 ha dare la consapevolezza che la sfida era vincente: Parma, ma soprattutto Budrio.
Nel paese rosso al 70%, i grillini , mail dopo mail, forum dopo forum, “I like” dopo “I like”, censiscono le forze e mettono in rete i mestieri che non corrispondono alla rappresentatività della sinistra: informatici, consulenti, cottimisti delle filiere di arredamento e ceramiche. Arriviamo per la prima volta a voti in doppia cifra.
Reddito di cittadinanza, connettività, energie rinnovabili, KmZero, diffidenza per l’Europa. E’ il programma di una community da maso digitale. Il lavoro è ormai un dato anagrafico da risarcire, non da organizzare: non il conflitto ma l’indennità per la disoccupazione.
L’unico incaglio al momento sono proprio le amministrazioni locali. Le prime esperienze segnano alti e bassi. E trovano, sul territorio un’unica resistenza, la Lega di Maroni. I dati elettorali, soprattutto in Lombardia vedono, straordinariamente, la Lega non solo sopravvivere dopo il bombardamento dei mesi scorsi, ma addirittura trovare una via per un nuovo radicamento. Nelle regionali Lombarde, fra lista ufficiale della Lega e Lista civica Marroni vediamo che il bottino elettorale dei lombardi è incrementato addirittura, spalmandosi sul territorio, in maniera proporzionale al tessuto produttivo.
La debolezza nelle grandi città- la lega è sopravanzata dal PD in tutti i capoluoghi provinciali della Lombardia, e vince in tutte le provincie- indicherebbe un carattere arretrato del voto leghista. In realtà nelle città ormai risiedono elites e ceti amministrativi e commerciali, mentre si snodano nel territorio extra urbano le filiere produttive e della ricerca applicata.
La lega si è nutrita di un tessuto sociale straordinariamente americano. Grillo invece si è aperto un varco nella giungla metropolitana, insidiando per la Lega anche nelle campagne industriali.
Andremo ad un conflitto finale o si ipotizza un colpo di scena fra i barbari sognati e i sognatori cittadini? Questo è il vero interrogativo che la sinistra dovrebbe porsi: impedire la convergenza di una Lega senza Berlusconi e un grillismo amministrativo.
In questo quadro la televisione è usata da grillo come carica al contrario: meno la vedi meglio stai, meno ci sei più comunichi, meno ti fai coinvolgere , più sei popolare. Grillo cavalca un trend storico: la TV come disvalore, così come ogni consumo di massa, tanto più se legato alla spesa pubblica, come la TV, è un disvalore.
Il trionfo arriva quando la lontananza dalla TV diventa incubo per la TV, che comincia a cercarti ossessivamente, parlando di te, senza te. Tanto più che avendo solo una bandiera popolare, il rifiuto dei politici, e tanti programmi settoriali, non declinabili in TV- energie, agricoltura, lavori digitali, No Tav, ambiente- la rete e’ il catalogo ideale per dare ad ognuno il programma on demand.
Anzi la TV diventa l’uniforme della politica, l’emblema del regime: Vespa, ma anche Santoro, con il loro sovraesporsi ai partiti diventano i bersagli più facili da inquadrare: non ci vengo perché sei il nemico.
In questo quadro da catalizzatore dei movimenti, che trovano un provider che li porta alle soglie del potere, si aggiunge l’effetto Monti. Con il Governo tecnico, Grillo estende il suo marketing: diritti e qualità della vita, ma anche fisco e sviluppo. Dobbiamo parlare alla pancia di una maggioranza silenziosa orfana e disgustata da Berlusconi.
In poche settimane Grillo diventa “neo cons” : assume un carattere da anarco – conservatore, all’americana. La rete in questo lo aiuta ancora: la natura individualista, competitiva, anti statalista, comunitaria, cooperativa, ma non solidarista, diventa un ambiente coerente per ibridare la cultura di una movimento nato a sinistra ma diventato digitalmente populista, tout court.
Si verifica in politica quanto è già in atto in altri segmenti sociali. Nell’informazione i grillini sono l’enorme proletariato digitale dell’informazione senza contratti né testate, che chiedono connettività, copy-left e ricerca. Lo stesso vale nelle professioni, nei saperi, nell’assistenza, nel commercio: un’ondata di auto-imprenditori che incalzano i titolari di ogni funzione chiedendo di condividerla. Il grillisom è la fase supresa del networking, per parafrasare Lenin.
Non si aggredisce, ne comprende il fenomeno, se non si decifra il processo di riconfigurazione di ogni verticalità fordista in una nuova orizzontalità a rete.
Il combinato disposto di un’anima di equo sostenibilità di sinistra, con un’aggressività di individualismo competitivo di destra porta grillo ad un nuovo interclassismo digitale, che gli permette , unico sul mercato politico, di parlare i nativi digitali, e tramite loro, di trainare l’attenzione delle generazioni emancipate. E di dettare l’agenda politica.
La dinamica della campagna elettorale lo ha dimostrato.
Il sito http://www.twazzup.com/?q=giannino&l=it che misura le citazioni e la tracciabilità dell’attenzione della comunità di twitter per singoli soggetti, traducendoli in TPH ( tweets per ogni ora) il 18 febbraio dava questa classifica dei contendenti alle elezioni.
grillo 1128
giannino 898
berlusconi 811
monti 703
bersani 474
ingroia 94
vendola 53
Il dato risentiva, ovviamente, delle perturbazioni del giorno. E quel giorno Grillo aveva lanciato la sua ennesima provocatoria sfida al sistema e Giannino invece stava incubando la bomba Zingales.
Ma strisciando l’insieme dei dati nelle settimane precedenti, si notava come in quasi ogni giorno della campagna elettorale si era consumata una perturbazione che aveva fatto impennare i dati delle citazioni in rete per le liste dei grillini .
Un’attenzione che si gonfiava nelle piazze più che nelle arene televisive e si depositava nella rete. Un fenomeno di curiosità di tipo “serendipico”, ossia di ricerca di cose nuove senza sapere bene cosa che si concludeva sempre con il piacere di essere stupiti da quello che si trovava attorno a Grillo. Un’ansia di nuovo che addirittura tracimava oltre i confini dei 5 stelle, arrivando ad investire anche soggetti in qualche modo affini, nella loro eccentricità, come il movimento di Giannino.
Con alti e bassi, il pendolo “serendipico”, in una relazione di causa ed effetto veniva sempre attratto dalla capacità di Grillo, e in subordine di Giannino e ,infine, dello stesso Berlusconi, di determinare la cosi detta agenda – setting del dibattito elettorale. Mentre rimanevano inerti, sostanzialmente marginali, personaggi tutti da salotto televisivo, come Vendola e Ingroia, o schiacciati nel ruolo di bersaglio come Monti e, in mezzo come snodo fra le due realtà-quella dinamica di Grillo, innanzitutto, Giannino e Berlusconi e quella inerte di Vendola, Ingroia e Monti – la macchina da guerra di Bersani.
Nell’ultima settimana ha preso forma lo tsunami. E il gruppo si sgrana con un gerarchia che poi sarà , nei suoi trend premianti, riprodotta dal voto.
Bersani, che aveva registrato nell’arco del mese precedente una media TPH attorno a 300, con l’ultimo rush finale propagandistico non sfonda il muro delle 500 citazioni medie per ogni ora della giornata. Vendola e Ingroia, non si fuoriescono dalla gabbia di quota 100, e Monti, che pure aveva un valore doppio di Vendola , attorno a 230,non supera mai le 350 citazioni.
Grillo invece, che pure all’inizio della campagna elettorale aveva un valore non dissimile da Bersani- 300/350 TPH- si impenna prepotentemente ,e supera con forza, nel corso delle 24 ore di ogni giorno dell’ultima settimana preelettorale, quota 600, arrampicandosi, nelle ultime, decisive,36 ore sul tetto delle 2.000 citazioni per ora.
Il 23 febbraio, il giorno prima del voto, e dopo la manifestazione di Piazza S. Giovanni, è il momento di svolta, che tutti i sondaggisti concordano nel ritenere decisivo per orientare le due paludi che incombevano sul risultato: gli indecisi e i potenziali astenuti.
Grillo trova un canale forte di comunicazione con i due universi di voto inespresso. In particolare appare visibile la dinamica , nell’ultima settimana che porta a concentrarsi su Grillo l’attenzione dell’area di simpatizzanti ex PD , in maniera decisamente più marcata rispetto a quella di provenienza PDL, che pure all’inizio della campagna aveva costituito lo zoccolo duro del consenso alle liste 5 Stelle.
La tracciabilità di questo processo in rete conferma che ormai l’opinione pubblica reale non si discosta dall’opinione media della rete. Soprattutto l’indice di socialità, cioè di circolarità della relazione, calcolabile con i grafi che misurano l’interattività della comunicazione che si realizza negli spazi web. Più i flussi di comunicazione sono interattivi, producono cioè un dialogo multipolare, più le opinioni che vi si formano hanno un valore universale. Grillo ha raccolto vision, protesta e proposte, e le ha trasformate in un flusso circolare di reciprocità. Chi ha concepito questo disegno ha studiato molto da vicino il fenomeno Obama, arrivando ad applicare la regola David Axelrod, il consulente del presidente americano, che in Italia non si è ripetuto con il suo sodalizio con Monti, secondo il quale Obama vince non perché usa la rete per parlare con i suoi elettori, per questo c’è la TV, Obama vince perché fa parlare i suoi elettori fra di loro.
E questo lo ha scoperto anche la gelataia di Venezia.
E ora inizia un’altra storia, sulla rete.
Grillo non tiri troppo la corda, anche se ha fatto bene a tirarla sin qui
di Arnaldo De Porti
Beppe Grillo ha vinto una grande battaglia: ha rotto una forma-mentis politica che gli Italiani non digerivano più.
Lo scossone elettorale ne è la prova più provata; e di questo, senza dubbio, è necessario riconoscergli il merito, indipendentemente dalla metodologia, non sempre democratica, da lui adottata per arrivare a detto risultato.
Ma di questa metodologia non c’è da incolparlo più di tanto se si considera che altri, a mio avviso in maniera disonesta e dolosa, hanno messo in atto una sorta di voto di scambio promettendo la restituzione dell’IMU.
Ma se quest’ultimo fatto ha tolto, quasi per punizione, oltre sei milioni di voti a chi l’ha messa in atto, io suggerirei oggi a Grillo di non tirare oltre la corda se non vuole che essa si trasformi in un cappio al collo. Con le conseguenze che ne deriverebbero.
Gli Italiani infatti hanno capito che egli è democratico in maniera contraddittoria: da una parte lo è quando dialoga con l’elettorato col supporto web, dall’altra è antidemocratico quando non consente ai suoi di adoperare il simbolo. Ergo,. democratico “ad libitum”.
Ora Grillo sembra scagliarsi contro Bersani e quest’ultimo gli risponde di dire ciò che vuole, ma in parlamento.
Stando così le cose, e cioè ove nessuno parli con nessuno, e Grillo pensi di entrare in parlamento per fare la bella statuina, allora non v’è dubbio alcuno che l’Italia sprofonderebbe nel caos. Con conseguenze ben immaginabili, ivi compresa l’ipotesi che detta corda non debba necessariamente stringersi strettamente al collo dell’ex-comico. E questa volta senza rompersi davvero.
Il fatto che, pochi minuti fa, la Germania abbia detto che oggi l’Italia è nelle mani di due clown, non promette bene.
La vittoria di Grillo
È certamente il vincitore assoluto delle elezioni politiche 2013. Anche se è Grillo quello che più di tutti dovrà cambiare pelle nei prossimi mesi per non far evaporare il proprio successo.
Una lista che neppure esisteva nel 2008 è il primo partito del Paese: lo tsunami capace di portare un’intera classe dirigente, un sistema di potere al capolinea. Si salva Silvio Berlusconi, anche se, però, anche per lui si pone da tempo il problema difficile di come uscire da un gioco logorante senza pagarne le conseguenze.
Un successo straordinario che potrebbe cambiare la faccia della politica in Italia. E in Europa.
I motivi del successo sono evidenti: la fiducia in chi ha governato questo Paese negli ultimi vent’anni (per dieci il centro destra, sette il centro sinistra e tre di governi tecnici) è bassissima. Del resto l’Italia in questo periodo si è completamente fermata, come stabiliscono i dati sulla crescita economica che vedono il nostro Paese al penultimo posto nel Mondo. Ma soprattutto negli ultimi mesi, Bersani e Monti hanno ignorato la questione decisiva: quella di unpatto tra Stato e cittadino che non funziona più da tempo e che Grillo e Berlusconi hanno cavalcato, in assenza di una proposta complessiva da parte dei concorrenti più accreditati
L’accusa più frequente, quella di non possedere competenze si è poi trasformata in un micidiale boomerang per chi sul piano della conoscenza dei problemi ha spesso miseramente fallito.
Bisogna, infine, riconoscere a Grillo una formidabile strategia comunicativa: la campagna elettorale ha premiato o chi utilizza solo la televisione (Berlusconi) oppure chi la evita totalmente e usa solo la rete e le piazze.
In questo vuoto di idee, comprensibilità e credibilità, il Movimento 5 Stelle ha costruito il suo successo. A questo punto esiste persino una base sociale costituita – come dimostra un recente studio del think tank britannico Demos che ha valutato la possibilità che il fenomeno si ripeta altrove – da persone con livelli di scolarità più elevata della media e che, però, sono più frequentemente colpiti dalla disoccupazione. Educati ed esclusi: il prototipo di quello che potrebbe essere non solo un elettorato ma una classe rivoluzionaria, come direbbe, forse, Casaleggio.
I rischi e i limiti del movimento sono chiari: un leader geniale (proprio come lo è stato Berlusconi) e nessuna classe dirigente (come dimostravano gli interventi del comizio finale a Piazza San Giovanni). Nel vuoto di governabilità, il movimento dovrà adesso rimanere compatto, diventare squadra, dimostrare di poter anche risolvere problemi giganteschi. Governerà per i prossimi vent’anni chi unirà conoscenza e capacità di coinvolgere; chi sarà capace di portare l’agenda del cambiamento profondo anche in Europa.
Non è detto che sarà Beppe Grillo il leader capace di vincere la sfida finale. Certamente lui innesca da oggi una trasformazione che nessuno potrà fermare con qualche aggiustamento marginale.
Articolo pubblicato su Il Messaggero del 26 Febbraio
Resoconto dell’assemblea nazionale degli Innovatori Europei
Hanno partecipato in tanti, nonostante la scelta di una giornata infrasettimanale a quattro giorni dalle elezioni nazionali, all’assemblea nazionale di “Innovatori Europei”, che si è tenuta ieri 20 Febbraio 2013 alla Camera dei Deputati, per valutare le iniziative progettuali sviluppate in questi anni, in Italia e nel mondo, e per ragionare, attorno al manifesto politico, sul futuro del movimento associativo.
Rimanendo nell’area del centrosinistra, in cui è nata e cresciuta, Innovatori Europei apre al confronto con le tante realtà politiche portatrici di innovazione, rimandando agli Stati generali degli Innovatori Europei che si terranno a fine primavera.
Massimo Preziuso, presidente e fondatore del movimento, ha dato il via ai lavori, raccontando le attività svolte in un lungo start-up iniziato nel 2006 e che ha visto il movimento interessarsi e crescere attorno al dibattito politico del centrosinistra, proponendo tematiche di frontiera intellettuali ed innovative.
Zaira Fusco, moderatrice del dibattito, ha dato lettura dei saluti di Enrico Letta, vice segretario del Partito Democratico, e di Gianni Pittella, primo vice presidente del Parlamento Europeo agli Innovatori Europei.
L’incontro è poi proseguito con significativi interventi dai territori.
Giuseppina Bonaviri nel suo “Nuovo welfare nei territori del Lazio” ha introdotto il tema della necessaria attenzione, nel processo di rafforzamento dell’Unione Europea, ai territori e in particolare ai piccoli comuni, in un Paese in cui essi rappresentano la netta maggioranza in termini demografici.
Osvaldo Cammarota ha proseguito con “Innovazione politica e istituzionale in Campania“ raccontando il lavoro svolto da Innovatori Europei in Campania durante le primarie per la premiership del centrosinistra, con l’avvio di un dibattito con alcuni candidati.
Vincenzo Girfatti ha concluso con “Innovatori Europei e Terra del Sud” raccontando l’evoluzione del percorso svolto a Caserta, con la nascita di Terra del Sud, oggi nostro partner propositivo e progettuale.
La giornata è continuata con un lungo panel di descrizione del lavoro che si svolge nei nostri centri studi, attraverso testimonianze di coloro che hanno contribuito alle varie attività.
La discussione è cominciata con un intervento dal titolo “Un futuro sostenibile per la Taranto dell’acciaio” che ha visto Massimo Sapienza parlare di come la città pugliese possa e debba diventare luogo di eccellenza nel settore delle auto elettriche e delle rinnovabili.
Con “l’innovazione europea” Michele Mezza ha parlato della necessità di cambiare modo di affrontare il tema dell’innovazione, divenuto “mainstream”, spostando invece a ragionare e legiferare per facilitare i “nuovi luoghi” di produzione di informazione a diventare i naturali nuovi produttori di benessere e lavoro.
E’ poi intervenuto Nello Iacono che ha raccontato le tematiche di attualità connesse alla “Carta d’intenti per l’innovazione in Italia” scritta dai nostri amici di Stati Generali dell’Innovazione.
Si è poi passati al centro di competenza sulle “politiche europee e mediterranee”.
Paolo Di Battista ha introdotto il tema “Stati Uniti di Europa”, che richiede passaggi intermedi di rafforzamento delle istituzioni europee, in particolare il Parlamento Europeo, e la progressiva centralizzazione, a livello comunitario, di nuove politiche.
Luisa Pezone con “La nuova Europa nel mediterraneo” ha poi proseguito sull’importanza del mediterraneo quale bacino naturale di costruzione dell’Europa dei prossimi anni, dei limiti di budget dedicato a questo tema, e della forte e naturale centralità dell’Italia in un’Europa unita che guarda a Sud.
Salvatore Viglia con “Quale futuro e quali opportunità per le comunità italiane all’estero?” ci ha raccontato delle enormi potenzialità che risiedono negli italiani residenti in tutto il mondo, quali naturali ambasciatori della cultura e per lo sviluppo del Belpaese.
Antonio Diomede è intervenuto sul tema “Salviamo il pluralismo radiotelevisivo dal conflitto d’interessi” parlandoci dell’importanza di rivedere l’intervento pubblico in questo settore, per contrastare il predominio di pochi sulla scena dell’informazione, e le conseguenze negative in termini di libertà di informazione.
Mario Di Gioia ha continuato sul tema “Innovazione in musica, arte e spettacolo” chiedendo l’impegno forte di Innovatori Europei in rappresentanza di settori legati alla cultura e all’informazione oggi presi in ostaggio da interessi di pochi.
Infine, un interessante panel di presentazione di alcuni progetti del Think Tank BRICS, aperto con una rapida descrizione del progetto “Italia – India” sviluppato da Asif Parvez incentrato sul tema della sostenibilità dell’acciaio.
Ha proseguito Rainero Schembri, che ci ha raccontato della “importanza del trattato UE-Mercosur”, e di rivederlo per non perdere i rapporti con un Sud America, ricco di saperi e ricchezza italiana.
Infine, abbiamo avviato il capitolo Italia-Cina, e delle enormi opportunità di dialogo e crescita proveniente dalla facilitazione di partenariati italo-cinesi, con introduzione Carlotta Maraschi e l’intervento di Lifang Dang, dal titolo “Attrazione di investimenti cinesi in Italia: come?”
La giornata si è conclusa con un vivace dibattito, incentrato sul nostro manifesto politico aperto, dal titolo “tra lavoratori e produttori”, alla presenza di Arturo Artom (RI), Pier Virgilio Dastoli (Movimento Europeo), Sandro Gozi (PD), Claudio Sperandio (Movimento Cinque Stelle), che ne hanno condiviso temi e impostazione.
Massimo Preziuso ha infine chiuso i lavori, salutando i tanti amici intervenuti con calore e partecipazione, sperando di proseguire con loro un percorso che è sempre tutto da costruire e che vedrà a fine primavera un momento di riflessione ancora più strutturato negli “Stati Generali degli Innovatori Europei”, in cui il movimento si incontrerà – a discutere e ad implementare proposte comuni – con i tanti soggetti politici ed intellettuali con cui discute ormai da anni.
Nei prossimi mesi, Innovatori Europei continuerà ad essere un originale luogo di dibattito e di proposta di policy making di frontiera, rafforzando appunto il dialogo con quei partiti politici e movimenti portatori di innovazione, al fine di facilitare interventi legislativi atti a migliorare la vita delle tante realtà e settori che oggi rappresenta.