Significativamente Oltre

Un buon 2017 per la Basilicata

2017di Rocco Tolve

Auguri di un buon 2017.

La speranza, o se vogliamo la necessità, è che ci sia, finalmente, il cambio di paradigma tanto atteso.

Che la politica sia un po’ meno “politics” (dinamiche attuate dai partiti o gruppi di pressione per riuscire ad ottenere il potere politico) e decisamente più “policy” (gestire la cosa pubblica), e che lo sguardo sia puntato non più all’orizzonte temporale della prossima elezione, per la quale è necessaria una quotidiana creazione del consenso in modi più o meno banali, ma al futuro delle prossime generazioni.

Che poi, in fondo, è quello che gli amministratori della cosa pubblica dovrebbero fare: identificare gli scenari di sviluppo locale e globale del prossimo futuro, ed impostare un impianto legislativo di creazione del valore e sostenibilità nel lungo termine (su scala generazionale, appunto) cercando di risolvere o almeno calmierare i principali problemi socio-economici del territorio.

La situazione appare particolarmente sentita nella nostra Basilicata, dove vuoi per la crisi che ormai ci attanaglia da un lustro abbondante (ed in cui vista la fatica quotidiana si è portati, inevitabilmente, a concentrare i propri sforzi sul breve termine), vuoi per la virata particolarmente forte sulla “politics”, con gruppi, fazioni e correnti che fanno a braccio di ferro per accaparrarsi il pezzo di torta principale (accompagnato magari da buone bollicine…prosit!), si è ormai perso di vista l’obiettivo di lungo periodo.

Eppure, a guardare numeri e statistiche, le problematiche sembrerebbero ben chiare ed identificabili.

Sul sito http://www.istat.it/it/basilicata e sul portale http://www.istat.it/it/archivio/16777 sono disponibili gli indicatori per le politiche di sviluppo.

Alcuni dati sono estremamente significativi nella loro durezza.

Nel decennio 2006-2015

A) il tasso di disoccupazione giovanile è passato dal 31.9 % al 47.7%

B) La disoccupazione complessiva sul totale della popolazione dal 10.6% al 13.7%

C) l’incidenza della disoccupazione di lunga durata (persone in cerca di occupazione da oltre 12 mesi) è passata dal 57.4 % al 65.6%

D) il tasso di giovani NEET 15-29 anni è passato dal 23.9% al 28.7%

E) il livello di istruzione della popolazione adulta (% di popolazione 25-64 anni in possesso almeno di diploma superiore) è sceso dal 49.9% al 41.1%

in termini demografici, l’indice di vecchiaia (percentuale di over 65 rispetto agli 0-14) è passato dal 138% al 170%, e l’età media della popolazione regionale è passata da 41.9 anni a 44.7 anni.

Contemporaneamente troviamo nel 2015 un 25% di famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà, e complessivamente, quasi 230.000 abitanti a rischio di povertà o esclusione sociale (1).

(1)      L’indicatore è dato dalla somma delle persone a rischio di povertà, delle persone in situazione di grave deprivazione materiale e delle persone che vivono in famiglie a intensità lavorativa molto bassa. Le persone a rischio di povertà sono coloro vivono in famiglie con un reddito equivalente inferiore al 60 per cento del reddito equivalente mediano disponibile, dopo i trasferimenti sociali. Le persone in condizioni di grave deprivazione materiale sono coloro vivono in famiglie che dichiarano almeno quattro deprivazioni su nove tra: 1) non riuscire a sostenere spese impreviste, 2) avere arretrati nei pagamenti (mutuo, affitto, bollette, debiti diversi dal mutuo); non potersi permettere 3) una settimana di ferie lontano da casa in un anno 4) un pasto adeguato (proteico) almeno ogni due giorni, 5) di riscaldare adeguatamente l’abitazione; non potersi permettere l’acquisto di 6) una lavatrice, 7) un televisione a colori, 8) un telefono o 9) un’automobile). Le persone che vivono in famiglie a intensità lavorativa molto bassa sono invidividui con meno di 60 anni che vivono in famiglie dove gli adulti, nell’anno precedente, hanno lavorato per meno del 20 per cento del loro potenziale.

Mentre, nell’ambito della competitività e del tessuto imprenditoriale, abbiamo osservato:

I) Una riduzione degli investimenti fissi in percentuale del PIL dal 24.33 % del 2006 al 20.12% del 2013;

II) Una riduzione degli investimenti PRIVATI in % del PIL dal 21.45% al 17.87%;

III) Un numero di occupati nei settori manufatturieri ad alta tecnologia e nei servizi ad elevata intensità di conoscenza ed alta tecnologia pari a 3.000 (su 180.000 occupati nell’anno 2013, appena l’1.6%. In Lombardia la percentuale è del 4.93% con 212.000 addetti “hi-tech”, nel Lazio addirittura del 6.17% con 136.000 addetti hi-tech);

IV) Il tasso a sopravvivenza a tre anni delle imprese nei settori ad alta intensità di conoscenza è passato dal 63.2% del 2007 al 43.7% del 2014;

V) Un tasso di iscrizione netto nel registro delle imprese (iscritte meno cessate) passato dal +0.8% del 2006 al -0.7% del 2015 , risulta negativo anche il tasso netto di turnover delle imprese (differenza tra tasso di natalità e mortalità), -1.5% nel 2014. Si è passati da 32.207 imprese del 2006 (con picco di 32.855 nel 2008) a 30.747 nel 2014.

Si rileva dunque un quadro di estrema fragilità, di progressivo impoverimento, di invecchiamento della popolazione, complice anche dinamiche demografiche che portano i giovani ad emigrare fuori regione, ed un tessuto economico/produttivo debole, con riduzione degli investimenti pubblici e privati, numero di imprese e di occupati nei settori hi-tech estremamente basso, scarsa propensione al rischio di impresa ed elevata mortalità delle stesse, complice anche decifit strutturali ed infrastrutturali (in reti sia fisiche che virtuali), che riducono la mobilità, l’incontro e lo sviluppo di persone, merci, idee, da cui possono nascere le soluzioni ai problemi di oggi e le idee per i settori economici portanti del domani.

In verità i problemi, già di per sé gravi, hanno conseguenze che si riverberano appunto su scala generazionale, ai quali la “policy” dovrebbe porre rimedio, prima che la nostra Regione si incammini in una spirale di declino inarrestabile, ed al proposito possono essere utili un paio di esempi.

L’elevato numero di famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà (25%), ed i numerosissimi abitanti a rischio povertà o esclusione sociale (oltre 200.000), sono spesso costretti a privazioni significative, in termini di alimentazione, di cure mediche, di istruzione o di sviluppo cognitivo e attività ludico-ricreative. Queste privazioni in particolar modo sui figli, e nei primi anni di vita dei bambini (anche a causa dei forti stress ambientali durante i quali il flusso di informazioni verso la corteccia prefrontale si interrompe, riducendo anche la creazione di sinapsi) riducono significativamente lo sviluppo cerebrale, cosa ormai accertata universalmente nelle neuroscienze vista la vivacissima neuroplasticità del cervello dei bambini, che vengono privati di stimoli, cure e attenzioni, ed energie. Si è dimostrato che il volume cerebrale di bambini che hanno vissuto al di sotto della soglia di povertà è dall’8 al 10% inferiore, in età adulta, rispetto a pari età che non hanno dovuto subire le medesime privazioni, ed i risultati in test intellettuali, i salari massimi ai quali possono giungere e la produttività lavorativa risulta, in modo analogo, inferiore.

(cfr https://www.scientificamerican.com/article/poverty-disturbs-children-s-brain-development-and-academic-performance/ ; https://www.scientificamerican.com/article/poverty-shrinks-brains-from-birth1/ )

È pertanto necessario fare il possibile, in termini di sviluppo della regione nel lungo periodo, per ridurre la percentuale di adulti in povertà o a rischio esclusione, o qualora questo non fosse possibile in maniera drastica fin da subito, provare a garantire ai bambini nella fascia 0-6 anni il miglior supporto possibile in termini di educazione, supporto e sviluppo.

È un processo che necessità appunto di “policy”, e senza allontanarci troppo verso i paesi nordici come Danimarca, Svezia, Norvegia, dai quali purtroppo siamo distanti anni luce, abbiamo all’interno del nostro territorio nazionale esempi di amministrazioni che hanno dedicato una porzione consistente del bilancio allo sviluppo psico-fisico, culturale ed educativo dei bambini. È il caso di citare la città di Reggio Emilia, che stanzia ogni anno oltre il 20% del proprio bilancio per il percorso educativo e formativo dei bambini 0-6 anni. Non si tratta di approccio del tipo “politics”, i bambini non hanno diritto di voto e non possono “ricambiare” il favore dei fondi stanziati per loro, ma piuttosto di buona policy, lungimirante, le cui conseguenze si misurano su una scala temporale generazionale.

(Altra problematica analoga riguarda l’effetto dirompente e devastante che avrà fra 25-30 anni il metodo pensionistico contributivo, in cui la prestazione previdenziale dipende dalla quantità di contributi versati, unita alla disoccupazione durante la quale, per sua stessa natura, non viene versato alcun contributo, e che genererà una numero spropositato di pensionati sotto la soglia di povertà. La cosa, unita al fatto che ad oggi le famiglie costituiscono il principale ammortizzatore sociale dei giovani disoccupati, può avere un effetto sociale devastante; ma chiaramente argomenti di tale portata vanno trattati in sede nazionale e non regionale).

Il secondo esempio riguarda chiaramente l’andamento demografico, con riduzione della popolazione ed incremento dell’età media e dell’indice di vecchiaia. La mancanza di un tessuto economico produttivo forte, e di investimenti mirati su cluster tematici, ha fatto sì che la crisi economica globale colpisse in maniera più forte qui da noi. L’elevato livello di disoccupazione, in particolar modo quella giovanile, e la mancanza di misure di impatto sul problema, ha generato un flusso migratorio di giovani, in particolar modo quelli con formazione universitaria e post-universitaria, con il risultato di drenare competenze e professionalità fuori dalla regione, di innalzare la vita media e l’indice di vecchiaia della popolazione residente.

La cosa, senza misure significative per invertire la tendenza, avrà come conseguenza una riduzione della forza lavoro specializzata e di creazione di imprese con elevato livello di conoscenza, una riduzione generale del tessuto economico produttivo, ed un contemporaneo aumento delle spese socio-assistenziali per gli anziani, con conseguente taglio di risorse su altri settori.

Dei pochi giovani che restano, alcuni diventano NEET, talmente scoraggiati dallo stato di fatto delle cose da non cercare neanche più occupazione, rifugiandosi negli ammortizzatori sociali garantiti dalla famiglia, alcuni entrano nel sistema della “politics”, provando tramite l’aspetto relazionale ad ottenere un piccolo posto o contratto di lavoro nel pubblico, ma chiaramente non è in grado di invertire la tendenza complessiva, e una piccola percentuale prova ad andare avanti, creando e rischiando in prima persona nel settore privato, o da dipendente, o mettendosi in proprio.

Una buona policy dovrebbe avere l’obbligo morale di invertire questa tendenza, concentrandosi sulla creazione di lavoro, sul provare a far rientrare i cervelli in fuga, o, nel caso peggiore, a non farne partire altri nel prossimo futuro.

Abbiamo le basi su cui partire. Un capitale umano straordinario, con alcune competenze di assoluta eccellenza. Centri di ricerca di caratura nazionale (Università, CNR), alcuni poli industriali di primissimo livello (Fiat-SATA a Melfi).

Serve una visione, quello che la buona politica dovrebbe avere.

Possiamo provare ad esempio ad investire in maniera significativa in ambito fin-tech, una volta completata l’infrastuttura di banda larga ed ultralarga sul territorio regionale.

Possiamo sfruttare il polo fiat-sata, alcune competenze interne all’Università, ed eventuali partnership (ad esempio con Pisa), per creare un polo avanzato di robotica e meccatronica, grazie al quale sarà possibile rilocalizzare nel nostro paese le industrie 4.0. Chiaramente essendo la robotica un’attività piuttosto capital intensive ma poco labour intensive, non genererà un significativo numero di posti di lavoro “generalisti”, ma un numero ridotto di competenze piuttosto specifiche. L’investimento è però in grado di generare un vantaggio competitivo nell’evoluzione del lavoro industriale.

Un numero significativo di posti di lavoro, perlatro non sostituibile nel medio periodo da intelligenze artificiali, importante nella nostra regione, e che avrà uno sviluppo nei prossimi decenni, è quello dei servizi alla persona (sanitari, socio-assistenziali, di supporto e di servizio) su cui la regione dovrebbe puntare in modo forte.

E poi vi sono chiaramente gli altri due cluster, quello energia e ambiente (che necessita di un articolo a parte) e quello dell’osservazione della terra sul quale si può procedere con investimenti piuttosto mirati.

Penso ad esempio alla civionica, la branca dell’ingegneria civile (quindi su strutture e infrastutture) che si occupa di structural health monitoring, controlli e monitoraggi su strutture ed infrastrutture esistenti (il mondo delle costruzioni nei prossimi decenni è destinato a muoversi sempre più verso la gestione e manutenzione del patrimonio edilizio ed infrastrutturale esistente) con sensori e sistemi di controllo da remoto, interfacciati su piattaforme e sistemi SDI (spatial data infrastructure) per la loro gestione, programmazione e manutenzione in tempo reale; oppure alla difesa del territorio dal rischio sismico e idrogeologico.

Ci sono diverse idee possibili, ma è importante che la POLITICA locale inizi ad avere una visione di lungo termine, un approccio da seguire senza disperdere tempi, risorse, e senza lotte interne per il “controllo” di un territorio che altrimenti rischia di dissolversi senza avere più molto da “controllare”. C’è bisogno di idee, competenze, e di una politica che si rinnovi. BUON 2017.

Ing. Rocco Tolve

“Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno.”                                                       Antonio Gramsci

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