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O.D.G. ASSEMBLEA INNOVATORI EUROPEI

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ASSEMBLEA ASSOCIAZIONE – CENTRO STUDI INNOVATORI EUROPEI

ROMA, VIA DEI GIUBBONARI 38, ROMA

Ore 11 – 11.30

Introduzione: Chi siamo, dove andiamo e perché una Associazione – Centro Studi

Ore 11.30 – 12.30

Le attività dei Centri Studi attivi

Energia e Ambiente / Sapere e Innovazione/ Europa e Mediterraneo

Ore 12.30 – 13.30

La Rete territoriale: esperienze

Ore 13.30 – 14.30

Pausa Pranzo

Ore 14.30 – 15:00

Redazione, Comunicazione, Web e Tecnologie

Ore 15 – 15.30

Prossimi appuntamenti: i Convegni IE

Ore 15.30 – 17

Dibattito e Conclusioni

DIAMO VOCE AL FUTURO

www.innovatorieuropei.com

infoinnovatorieuropei@gmail.com

BARONI A ROMA

Cari amici,

vi scrivo dopo aver seguito con angoscia e costernazione le ultime mosse del governo Berlusconi per quanto riguarda i temi di Università e ricerca. L’elezione per la terza volta di un uomo cosi` discusso legittima definitivamente una tipologia comportamentale tipicamente italica, che vede nel bene pubblico una risorsa da spartire tra parenti ed amici. Questo atteggiamento e` ormai diventato una parte organica della vita pubblica di una fetta consistente della società italiana e la recente elezione del nuovo rettore dell’Università di Roma ne rappresenta un eloquente esempio.

Vi inoltro una lettera che insieme ad altri colleghi della Vrije Universiteit di Amsterdam abbiamo inviato alla rivista scientifica “Nature”, col fine di dare vita ad un dibattito a livello internazionale che abbia come come tema certe pratiche riprovevoli che hanno luogo in alcune Università italiane. Buona lettura

“Imagine if the dean of the Medicine faculty would appoint his wife, a former high school teacher of literature, full professor of History of Medicine in his own faculty. Imagine if the same dean would also appoint his own son associate professor in the same faculty. Imagine if the dean’s daughter, a law graduate, would become associate professor of Forensic Medicine, again in the same faculty. Imagine this dean to be elected Rector Magnificus of the whole University with an overwhelming majority of 1788 votes by his fellow professors. Imagine finally this University to be the largest of Europe in number of students, and you will have an idea of what happened last week, with the election of Luigi Frati as the new Rector of “La Sapienza” in Rome.

Unfortunately, this is only the tip of the iceberg of what happens every day in many Italian universities, with the tacit agreement of a relevant majority of the academic staff, as has been convincingly revealed in the recent book “L’Università truccata” of Roberto Perotti.

It is often said, and it is certainly true, that Italy does not invest enough in the R&D sector (only 1.1% of the GDP in 2006 compared to a European average of 1.84% for the same period). With this letter, however, we want to expose a problem of the Italian universities which is subtler, because endemic: the dramatic absence of meritocratic criteria in the selection of the academic staff, with the tacit complicity of those called to vote on these issues. It is in fact not surprising to find so few foreign scientists in a country where “territorial belonging” is more important than scientific soundness, where the rules of the concorsi (Italian public competitions) are tailored on the persons to be chosen, where the winner of a concorso is decided (and known) far in advance and where the best candidates are discouraged to bother the judging commission by competing. The problem is so radical that it paradoxically calls for simple solutions: e.g. allocating funds according to the department’s scientific productivity, making international committees mandatory for the evaluation of the research proposals, introducing a strict regulation of the appointing process to avoid conflicts of interest.

As Italian academicians, living abroad and experiencing how things might work differently, we see it as our moral duty to expose the poor status of our academic system and to trigger an open international debate on possible and reasonable solutions.”

Saluti da Amsterdam,

Andrea Candelli – IE Trieste/Amsterdam

MA E’ VERA DISOCCUPAZIONE?

di Daniele Mocchi
I recenti dati Istat sulle tendenze del mercato del lavoro italiano lanciano segnali di una preoccupante crisi occupazionale che nei prossimi mesi potrebbe ulteriormente acuirsi alla luce della piega che sta prendendo l’economia mondiale.
Il tasso di disoccupazione è infatti riaumentato, posizionandosi al 6,7%, e la fase di crescita dell’occupazione sta gradatamente rallentando. A parte il terziario, tutti gli altri settori, a cominciare dall’industria, denotano restringimenti della base occupazionale. I servizi reggono a questo urto, facendo però ricorso in dosi sempre più massicce ai contratti atipici che vengono utilizzati soprattutto per impiegare lavoro femminile.
Tant’è che nel giro di dodici mesi, l’incidenza degli occupati che lavorano oltre le 30 ore è scesa di un punto percentuale (dal 74,6% al 73,5% attuale), riversandosi quasi totalmente nella fascia più bassa, quella che lavora dalle 10 alle 30 ore (dal 18,8% al 19,9%).
In generale le indicazioni che provengono da questi dati sono quelle che si tende a lavorare meno tempo, si lavora con meno sicurezze e diritti, e si trova lavoro soprattutto nei servizi.
Inoltre, a differenza di ciò che comunemente si può pensare, l’incremento della disoccupazione non è figlia soltanto di una espulsione della forza lavoro, ma anche di ex inattivi, soprattutto donne, che hanno deciso finalmente di mettersi attivamente alla ricerca di un’occupazione.
Questo fatto deve indurre a pensare, perché se da un lato è positivo, visto l’auspicio che l’occupazione (ma anche l’occupabilità) femminile aumenti, avendo la capacità di trascinarsi dietro lo sviluppo economico e sociale di un Paese, dall’altro questo nuovo attivismo deve fare riflettere alla luce anche della difficile condizione che vivono oggi le famiglie monoreddito. E’ evidente infatti, che oggi la famiglia ha problemi a sbarcare il lunario quando vi è una sola entrata, per cui anche quelle donne che fino a ieri potevano permettersi di stare fuori dal mondo del lavoro, oggi sono costrette ad entrarvi, anche accettando condizioni meno tutelanti da un punto di vista occupazionale e retributivo, ancora meglio laddove l’unico percettore di reddito è un working poor o un lavoratore atipico.
In genere questi nuovi lavori femminili del terziario sono spesso di basso profilo e abbastanza dequalificanti.
Questo non vuol dire che di punto in bianco sia sparita completamente quella che gli addetti ai lavori chiamano “la zona grigia”, ossia quell’area che sta a cavallo tra l’essere forza lavoro e il non esserlo.
Esiste purtroppo ancora un circa 5% di persone che per un motivo o per l’altro (disponibilità o ricerca) è in questa zona: è quello che viene definito segmento potenziale. E’costituito soprattutto da scoraggiati (sono circa un milione e mezzo ed in aumento del 17% rispetto a 12 mesi fa), donne in particolare, che anche per vincoli oggettivi legati all’ingresso e al contesto familiare, non sono riuscite a trovare in questi anni uno straccio di lavoro che risponda minimamente alle proprie esigenze/studi.
Sono convinto che su questi segmenti lo Stato debba mettere in campo azioni di policy, che oltre a favorirne un loro ingresso nel mercato del lavoro e/o a stimolarne le capacità imprenditoriali, mirino ad aumentarne il grado di autostima o la consapevolezza delle loro potenzialità

NASCE IL CENTRO STUDI INNOVATORI EUROPEI

Il giorno 11 Ottobre a Roma, a Via Dei Giubbonari 38 diamo il via ufficiale al Centro Studi Innovatori Europei, con inizio dei lavori alle ore 10.30

Il Movimento Innovatori Europei – dopo due anni di attività trova la sua naturale evoluzione nel trasformarsi in un centro studi politico culturale dal nome “Innovatori Europei”, quale luogo per continuare la costruzione di idee e progetti in tema di innovazione nell’economia, nella società e nella politica italiana ed europea.

Ad oggi Innovatori Europei conta già su:

– circa 600 collaboratori interessati a partecipare attivamente al Movimento Innovatori Europei a livello europeo

– 3 Centri Studi già attivi (Energia ed Ambiente, Europa e Mediterraneo, Sapere ed Innovazione

– Una Redazione composta de decine di persone

– Una Rete di Gruppi Territoriali

Il giorno 11 Ottobre a Roma, a Via Dei Giubbonari 38 diamo il via ufficiale, con inizio dei lavori alle ore 10.30

Per chi fosse interessato a saperne di più, infoinnovatorieuropei@gmail.com

Grazie

Innovatori Europei

INTERVISTA A WALTER VELTRONI

Veltroni: con Berlusconi democrazia svuotata Come la Russia di Putin

«Dove porterà la continua conversione del governo in potere?»

ROMA — Walter Veltroni, perché lei parla di «bullismo al governo »?

«Perché vedo un cambio di passo in questa legislatura, uno scarto rispetto ai governi della storia repubblicana. La società italiana e occidentale vive in uno stato di angoscia che non ho mai visto da quando sto al mondo. Mi viene in mente Dickens: “Era il migliore e il peggiore dei tempi, era il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l’inverno della disperazione”. Anche nel nostro tempo accadono meraviglie: la scienza, la comunicazione. Eppure in Italia vedo prevalere i segni del tempo peggiore. Sulla fiducia vincono paura, chiusura, arroccamento. E la paura è un moltiplicatore della crisi. Quando una società ha paura, è tentata dal barattare democrazia per decisione. È una sorta di maleficio: ogni volta che la crisi democratica si è saldata con la crisi sociale e con il prevalere di suggestioni populistiche e autoritarie, sono accadute le tragedie peggiori nella storia dell’umanità».

Siamo messi così male?

«Viviamo un tempo che ha in sé gravi rischi. Se non ci sarà una sufficiente controreazione, rischiamo di veder realizzarsi anche in Italia il modello Putin. È il rischio di tutto l’Occidente. Una democrazia sostanzialmente svuotata. Una struttura di organizzazione del potere che rischia di apparire autoritaria. Il dissenso visto come un fastidio di cui liberarsi, la divisione e l’autonomia dei poteri come un ostacolo da rimuovere »

L’incapacità di decidere è stata fatale al centrosinistra.

«È vero. Sono il primo a dire che la democrazia è anche decisione. Ma la democrazia prevede che si governa pro tempore, non che si è al potere. Che si governa nell’interesse di tutti i cittadini, non di una fazione o di una persona. Loro invece si comportano come gente che ha preso il potere. Il capo del governo oscilla dal discorso alla Adenauer del primo giorno a una quotidianità in cui il capo dell’opposizione è definito ora “un fallito”, ora “un funambolo”, ora “inesistente”. L’hanno fatto con Rutelli, con Prodi, adesso con me. Una cosa che non avviene in nessun Paese del mondo».

Dove vede i segni del «modello Putin»?

«Il governo tratta il Parlamento come fosse una perdita di tempo, una rottura di scatole, un impedimento. Ora, mi è evidente la lentezza dei lavori parlamentari; ma il rimedio è ridurre le Camere a una e i parlamentari alla metà, non impedire di discutere e migliorare leggi che sono discutibili e migliorabili. Il governo ha l’obiettivo di far male ai sindacati. Ora, io sono tra coloro che stimolano il sindacato ad assumere un atteggiamento riformista. Ma indebolire i sindacati è una scelta suicida, il cui risultato è la proliferazione delle rappresentanze autonome e corporative. Il governo addita negli immigrati un nemico; ma se espelli un uomo dalla società, si comporterà come un espulso, e avremo un Paese non più sicuro ma meno sicuro, in cui già ora accadono episodi gravissimi di intolleranza, di caccia allo straniero. L’assassinio di Abdul per un pacco di biscotti è un segno del tempo peggiore. C’è tutto: la povertà, l’esasperazione, il razzismo. E i genitori che dicono: “Pensavamo di essere italiani, abbiamo scoperto di essere neri”».

Il movente razzista è stato escluso dalla Procura.

«Ma è stato ammesso da La Russa. Del resto, non ho mai sentito di un ragazzo sprangato al grido di “sporco bianco”. Ancora: il governo ha nel mirino le autorità indipendenti; ora toccherà a quella per l’energia e il gas; l’indipendenza dà fastidio. Il governo muove all’attacco della magistratura. Anche noi vogliamo la riforma, convocheremo gli Stati generali della giustizia per discuterla; ma ci preoccupano i diritti di sessanta milioni di cittadini, non i problemi di uno solo. E, per la scuola, l’idea di bocciare alle elementari e alle medie i ragazzi che hanno anche solo un’insufficienza significa favorire l’abbandono e l’elusione scolastica, specie tra i più poveri; qualcosa che farebbe accapponare la pelle a un uomo come don Milani».

Di «putinizzazione» parlò in piazza Navona Flores d’Arcais. Non teme di essere accostato all’opposizione più radicale?

«Questa preoccupazione l’hanno espressa in molti, anche molti moderati. E poi non c’è nulla di più radicale di quello che stanno facendo loro. Radicalità non nel cambiamento, ma nella sistematica conversione del governo in potere. La mia non è solo una denuncia, è anche un appello. Ripristiniamo le condizioni minime, fisiologiche del confronto. Guardiamo agli Stati Uniti, dove Bush chiama e i democratici rispondono. Bush non ha insultato Obama, l’ha consultato. Così funzionano le grandi democrazie. Ci vuole un po’ più di moderazione; ma la moderazione è estranea a un governo che ha un’idea sostanzialmente autoritaria delle relazioni con chi è diverso. Mi chiedo dove diavolo arriveremo».

Si è offeso per le polemiche su Alitalia?

«Guardi, qui in casa mia, su quei due divani là in fondo, si sono seduti Epifani e Colaninno, e hanno trovato l’accordo. Io ho un giudizio pessimo di come il governo ha gestito la vicenda, compresa la scelta di una cordata non si sa in base a quali principi. Avrei potuto lasciare che il governo andasse a sbattere e ne pagasse le conseguenze. Ho fatto una scelta diversa, recuperando una trattativa che era morta, con la cordata che dopo aver scaricato i debiti sui contribuenti intendeva scaricare sui lavoratori ulteriori margini di profitto. In un Paese civile, il capo del governo in questi casi dà atto al capo dell’opposizione. Costa tanto fare questo sforzo? Ma lui, che vive nel terrore della comunicazione, improvvisa uno spot a freddo contro di me, si inventa che avrei fatto saltare la trattativa che invece stavo riannodando».

Sull’Alitalia il Pd è stato a lungo in difficoltà. Del resto, il vostro ministro ombra è il figlio del capo della cordata.

«Lei non pensa che in Italia cominci a esserci un pensiero unico? Sono stanco dell’assenza di una coscienza critica che ignora la trave e si concentra sulla pagliuzza. Il premier è padrone di mezzo Paese, sua figlia entra nel consiglio di Mediobanca, e il conflitto di interessi è quello di Matteo Colaninno? Se in passato l’egemonia della sinistra ha asfissiato la destra, ora l’egemonia della destra asfissia il Paese. C’è un clima plumbeo, conformista, come se a chi governa fosse consentita qualsiasi cosa. La Gelmini arriva a Cernobbio in elicottero, come neppure Dick Cheney. Il premier non va all’Onu, non partecipa alla trattativa Alitalia, per andare al centro Messegué; senza che nessun tg lo dica. Leggo sull’Espresso che a San Giuliano c’è stata una selezione tra gli operai, per fargli incontrare solo quelli più bassi di lui. Non so come li abbiano trovati; so che queste cose accadono nei sistemi autoritari. Ma i riflettori vengono puntati su di noi. Se un dirigente locale del Pd fa una critica, finisce in prima pagina. Se il sindaco di Roma smentisce Berlusconi sulla legge elettorale per le Europee, finisce in un colonnino».

Lei teme anche per l’indipendenza dei giornali?

«Sì. È giusto che il governo cambi con un provvedimento amministrativo le regole di erogazione dei fondi pubblici ai quotidiani, riportandolo sotto il suo controllo? È giusto che, in questo clima asfissiante, chiudano il Manifesto, il Secolo, Liberazione, Europa? Un clima in cui il sedicente portavoce del governo definisce Leoluca Orlando “esponente di un partito contrario ai valori della libertà e della democrazia”. Come se spettasse al dottor Bonaiuti dare patenti di libertà e democrazia».

A proposito di Rai, qual è il vostro candidato alla presidenza?

«Il presidente è un tassello di un percorso. Che deve cominciare con l’elezione di Orlando alla Vigilanza. Noi accettammo Storace; perché loro non possono accettare un esponente del partito di Di Pietro, cui Berlusconi offrì il Viminale? Poi occorre riformare la governance della Rai. Se le regole non cambiano, e se c’è il consenso sul nome di Petruccioli, per noi va bene. Ma è la destra a essere divisa: tra chi vuole alla direzione generale Parisi e chi vuole Gorla, tra chi vuole dare al direttore generale più poteri e chi no. Io non mi opporrei a rafforzarlo, se questo significa ridimensionare il peso dei partiti in Rai. Purtroppo il pensiero unico prevale anche in televisione. Al riguardo, non può non essere visto con grande preoccupazione l’annuncio de La7 di voler licenziare 25 giornalisti; di tutto c’è bisogno in Italia tranne che di limitare ulteriormente la libertà d’informazione».

È sicuro di aver fatto bene a lasciare il comitato per il museo della Shoah?

«Sì. Al clima plumbeo concorre pure la rivalutazione del fascismo. Il museo della Shoah era un’idea della comunità ebraica e mia. Il nuovo sindaco ha fatto l’apologia di un regime che, ben prima delle leggi razziali, ha provocato la morte di tutti i capi dell’opposizione: il liberale Gobetti, il comunista Gramsci, il socialista Matteotti, il cattolico don Minzoni, gli azionisti Carlo e Nello Rosselli. Il giorno dopo, anziché correggersi ha aggravato le cose, condannando l’esito ma non la natura del fascismo. Con un sindaco che non si mette a urlare di fronte ai saluti romani, gli stessi saluti che hanno accompagnato gli uomini che andavano a morire a via Tasso o alle Ardeatine, per me è difficile discutere della Shoah».

Non la preoccupa anche lo stato del Pd? I prodiani la attaccano e Prodi tace. Il partito è diviso in ogni regione, in Sardegna la bega finisce in tribunale. Dopo D’Alema, pure Rutelli annuncia la sua corrente. «No, non sono preoccupato. Lo ero sino ad agosto. Ma da settembre, dalle feste e dalla summer school, dal contatto con il nostro popolo, credo siamo usciti tutti convinti che va benissimo il pluralismo culturale, non il correntismo esasperato. Abbiamo una base molto forte e molto sana. Nei sondaggi stiamo risalendo. Il clima sta cambiando. Lo vedremo quando tra quattro settimane manifesteremo contro la politica economica di un governo che occulta la povertà, non si occupa di prezzi e salari, fa sparire pure i soldi della social card. La destra pagherà la sua confusione culturale, il passaggio brusco e zuzzurellone da Reagan a Zhivkov, dalla deregulation allo statalismo. Il tempo migliore può ancora prevalere sul tempo peggiore».

Aldo Cazzullo – Corriere della Sera

VELTRONI A NEW YORK

Veltroni a NY: nei talenti italiani il futuro del nostro Paese

David Ragazzoni – I.E. New York

Cogliendo l’occasione della propria presenza a New York per seguire da vicino le ultime settimane della corsa alla Casa Bianca, venerdi’ 19 settembre Walter Veltroni è stato ospite presso la City University of New York (CUNY) per un’intervista sul rapporto tra politica e potere nelle esperienze del riformismo italiano. In quale direzione si stanno muovendo l’Italia e l’Europa negli ultimi due anni? Cosa intende fare la ‘nuova’ sinistra italiana dopo i risultati elettorali di aprile ? E, soprattutto, come potrà la politica progressita europea tornare ad agire nel prossimo futuro, dopo una stagione in cui l’enfasi pur condivisibile sul parlare e sul confronto pubblico sembra aver progressivamente sfilacciato ogni residua capacità decisionale ?

Su tali questioni, sollevate nel pomeriggio da Jane Kramer, corrispondente per l’Europa del New York Times, è tornato il leader del PD nell’incontro serale a Wall Street con alcuni studenti e professionisti italiani che svolgono esperienze di lavoro e di ricerca a New York. Ha sottolineato l’importanza, per il Partito Democratico e per l’Italia in generale, di avere nei giovani talenti gli ambasciatori della cultura italiana negli Stati Uniti: ragazzi e ragazze che coltivano le proprie competenze nei settori piú diversi con l’intenzione e la speranza di poter consegnare alla politica del proprio paese il meglio di quanto appreso. In tal senso ha assicurato che il programma sul ‘rientro dei cervelli’, tralasciato dal penultimo governo Berlusconi e non recuperato nella breve parabola prodiana, sarà al centro degli impegni del governo ombra sul versante dell’università e della ricerca : formarsi all’estero – ha detto Veltroni, recuperando i frequenti dibattiti in merito nel mondo accademico, tra cui gli interventi sulle pagine di Repubblica di Nadia Urbinati – deve costituire una scelta, non l’unica strada da percorrere. È essenziale che l’Italia sappia ritrovare davvero nuovi spazi per il merito, perchè senza innovazione e senza competenze l’economia, la politica e la vita del paese rischiano di tradursi in schemi mentali ossificati, incapaci di pensare frontiere nuove per paura e ignoranza. Ció implica anche il saper comunicare in modo nuovo, come il PD intende fare con l’avvio nei prossimi mesi di una propria televisione e rivista on-line, e guardare all’esperienza di chi oltreoceano ha mostrato piú degli altri come «la vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare». Se il Partito Democratico americano di Obama riuscisse a conquistare la Casa Bianca, sarebbe per le analoghe esperienze italiane ed europee uno staordinario incoraggiamento, il segnale che il vento è cambiato e che il mondo non sta procedendo unimamente verso destra. Bisogna dunque radicare il PD negli Stati Uniti, anche istituendo una festa democratica italiana con cadenza annuale a New York, e il Gruppo Promotore per il Partito Democratico US, coordinato per la parte di NY da Emilia Vitale, avrà il compito decisivo di sviluppare nel prossimo futuro queste premesse.

David Ragazzoni

d.ragazzoni@sns.it

QUESTE STRANE GIOVANILI DEL PARTITO DEMOCRATICO

INNOVATORI EUROPEI www.innovatorieuropei.com

CIRCOLO PD “BARACK OBAMA” www.pdobama.wordpress.com

GIOVEDI’ 25 SETTEMBRE 2008

COMUNICATO CONGIUNTO:

QUESTE STRANE ELEZIONI DELLA GIOVANILE DEL PARTITO DEMOCRATICO

Innovatori Europei ed il Circolo on line del PD “Barack Obama” si chiedono perché le Primarie della Costituente dell’Organizzazione Giovanile del Partito Democratico vengano condotte in modo così poco aperto e trasparente.

Preso atto della pubblicazione del regolamento e del posticipo delle date ultime per la presentazione delle candidature, dalle modalità e i tempi in cui a questa si è pervenuti e dalla visione del regolamento stesso risulta evidente che, ancora una volta, ci si sia mossi per difendere appartenenze pregresse e non per idee e programmi nuovi.

Il nostro timore è che i candidati principali alla Segreteria Nazionale dell’organizzazione risulteranno essere espressione di correnti dei partiti politici da cui il Partito Democratico è nato – DS e Margherita – mentre tutto il mondo dell’associazionismo e la società civile non potranno esprimere una candidatura.

Ci impressiona in particolare l’assenza nel regolamento di alcun tipo di riferimento al coinvolgimento della società civile.

La nostra paura è che, in questo modo, il Partito Democratico vada ulteriormente ad indebolirsi agli occhi dei suoi elettori e simpatizzanti, soprattutto i giovani.

Innovatori Europei e PD Obama

LE ELEZIONI DEI GIOVANI PARTITO DEMOCRATICO

Oggi, dopo aver avuto discussioni informali con amici riguardo le prossime elezioni dei Giovani del PD, mi rendo conto del rischio che il Partito Democratico sta correndo.

A pochi giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle candidature, ancora nulla si sa.

Leggo di una “outsider” candidata a Segretario, Giulia Innocenzi, che critica Veltroni sul modus operandi di queste elezioni, l’appoggio da lei ricevuto da Mario Adinolfi e niente più di ufficiale.

Come mai..?

Massimo

LA VERA STORIA DI ALITALIA

– Anni 70 -80: Alitalia è il 7° vettore aereo internazionale, una società di diritto pubblico (come del resto la maggioranza delle aviolinee nazionali in Europa) con alterne vicende e bilanci tra il rosso ed il nero, ma autorevole compagnia di bandiera che ci rappresenta degnamente nel mondo.

– Anni 90: liberalizzaziane del trasporto aereo negli USA, fine del protezionismo con conseguenze in Europa: nascono le prime compagnie private, occorre una revisione delle strategie per affrontare costi crescenti, tariffe in competizione e partnership intercompany per aumentare l’efficienza. Il modello a rete con hub di smistamento diventa il più gettonato ed ogni paese importante ne ha almeno uno. Per l’Italia Linate evidentemente non va bene (non può gestire volumi da hub e non può crescere in dimensioni), Fiumicino non è politicamente corretto (non è in Padania ed il nord ricco in cui cresce la Lega è ansioso di non dipendere da Roma ladrona); si costruisce un hub dedicato in terra padano – quasi svizzera, completo di comunicazioni terrestri, costi che superano i 300 miliardi di lire, la maggioranza spesi sul territorio padano. Ma una grande alleanza internazionale ne garantirà il riempimento, affermano i promotori, politici ed imprenditori.

– Fine 1999: la data di inizio operazioni di Malpensa, dopo essere ritardata di alcuni mesi, viene finalmente rispettata ma le infrastrutture di collegamento ancora latitano; Malpensa è scomodo ed i milanesi preferiscono Linate ed altri piccoli aeroporti per raggiungere le destinazioni volute; le compagnie low cost prendono la palla al balzo e offrono voli punto-punto molto più convenienti. L’accordo con KLM prospettato per creare sinergie tra Malpensa e Schipol viene abbandonato e KLM prenderà a breve la strada dell’incorporazione in Air France. Grande occasione persa, come facciamo a far crescere Malpensa? AirOne comincia a rosicchiare quote di mercato ad Alitalia sulla tratta Roma – Milano Linate.

– 2000-2001: piano Alitalia-AirFrance-KLM di fusione, concordato tra le compagnie. Alitalia otterrà il 35% del pacchetto azionario finale, il gruppo sarà il terzo a livello europeo. Le immense spese per la costruzione di Malpensa sono state sostenute dalla Comunità Europea e dallo stato italiano negli anni precedenti (prima e durante gestione Prodi dopo ribaltone – forse era meglio per la Lega stare con il centrosinistra per qualche anno, chissà perchè). Berlusconi dice NO ed il piano va a monte. Ma ormai l’aeroporto (e la frittata) è fatto, ma con cosa lo riempiamo? Occorre che Alitalia rimanga a Malpensa per qualche anno a tutti i costi (dei contribuenti, ma non importa).

– 2002-2003: crisi del trasporto aereo post 9/11 – che tegola! Alcune compagnie chiudono, molte ristrutturano e/o si aggregano, Alitalia continua a bruciare cassa ma adesso c’è una scusa in più (il mercato va male) per non ottenere risultati nel risanamento. Gli altri (vettori esteri) hanno capito che a breve-medio termine potranno negoziare una fusione o un acquisto da una posizione molto vantaggiosa. Grazie alla crescita delle low-cost, il modello punto-punto si impone sul modello hub almeno per il medio-breve raggio: Alitalia si trova a competere con le low cost sulla maggior parte delle tratte, avendo tagliato pesantemente quelle intercontinentali.

– 2004-2006: occorre una ricapitalizzazione con soldi pubblici, più di un miliardo di €: durante il governo Berlusconi, Mengozzi e Cimoli si comportano da pre-commissari, tenendo d’occhio i bilanci senza colpo ferire. Era forse quello il momento di far partire tenendo un’asta pubblica, visto che i bilanci erano un minimo decenti.

– 2007-Marzo 2008: il governo Prodi lancia una gara internazionale per l’acquisizione della maggioranza di Alitalia. Solo AirFrance-KLM presenta un’offerta seria per l’acquisto della compagnia; le altre, tra cui quella di AirOne, sono inconsistenti: AF offre 1.7 miliardi di euro con COPERTURA TOTALE dei debiti del vettore e 2100 esuberi. La campagna elettorale di inizio 2008 ruota attorno alle dichiarazioni di Berlusconi su un salvataggio molto meno oneroso per la compagnia. Air France fiuta puzza di bruciato e scappa. Il governo entrante chiede a Prodi di ricapitalizzare con 300 M€; si tratta di un prestito ponte, ma il nuovo governo la trasferisce in conto capitale.

– Giugno-Settembre 2008: dopo un paio di mesi estivi di suspence per la preparazione del colpo finale, gli imprenditori italiani salvatori delle patrie aviolinee escono allo scoperto e Berlusconi supporta la (s)cordata CAI piena di aspettative per affari futuri con lo Stato italiano. Il piano: oltre 6000 (?) esuberi, copertura completa dei debiti da parte dei contribuenti, prendere o lasciare con lo spettro/ricatto del fallimento. Banca Intesa supporta l’offerta che oggettivamente sembra un affarone. Perchè tutto vada in porto basta che non vi sia altra scelta ed i tempi stringano. CAI ha questa opzione di giocare da sola ma ha il fiato di Berlusconi sul collo che ci si è giocato un pò di reputazione, anche loro se fossero stati liberi sul mercato avrebbero fatto come AirFrance e Lufthansa (e gli altri compratori potenziali, es: Aeroflot); spariti in attesa della fine. Business is business.

– Oggi: ma che disastro! Qualcuno si rifiuta di farsi mettere con le spalle al muro, incredibile! Di chi è la responsabilità della situazione? Della CGIL e dei piloti? No è sua, del Berluska (capo degli imprenditori che non vogliono il mercato) e dei suoi colleghi che dal post tangentopoli hanno messo le mani sulle aziende a partecipazione pubblica gestendone le privatizazioni con il permesso di politici della sponda opposta non troppo agguerriti (per utilizzare un eufemismo). Alcune sono andate in porto, altre no, ma tutte hanno fatto la fortuna dei protagonisti, i lungimiranti imprenditori italiani (Beppe Grillo aggiungerebbe: con le pezze al culo). E se tutta la CAI si prendesse AirOne (finalmente Totò, ops Toto riuscirebbe a risolvere i suoi problemini e non dovrebbero essere i cittadini a farlo) i cavalieri coraggiosi avrebbero finalmente la loro bella linea aerea tutti insieme, ripianandone i debiti e viaggiando in prima classe a loro spese. Per loro il rapporto costi/benefici dell’affare Alitalia si è alzato molto in questi ultimi giorni e, insieme al clima finanziario globale deterioratosi, il rischio non vale più la candela. Che si spegne lentamente ma inesorabilmente.

Michele Cipolli

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