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PECHINO, LA MARATONA

Pechino, la maratona e i diritti universali

di Pierluigi Sorti

Non deve passare inosservata la notizia che alcuni notissimi atleti, iscritti alla Maratona, la più significativa gara delle prossime Olimpiadi, hanno dichiarato la loro indisponibilità a parteciparvi.

Essi hanno infatti denunciato l’ insopportabile e pericoloso inquinamento del cielo di Pechino e le conseguenti gravi ripercussioni derivanti all’ apparato respiratorio, in corridori impegnati, sotto massimo sforzo, in una gara podistica di 42 chilometri.

Non sappiamo se le loro dichiarazioni avranno un seguito coerente e se desisteranno davvero da tale competizione, ma è comunque importante stabilire un rapporto tra questa eventualità e il fatto che la Cina celebra le proprie olimpiadi come alloro finale del suo status di grande e crescente potenza economica mondiale.

Con le sue Olimpiadi, la Cina riceve infatti il riconoscimento corale di tutti i paesi del mondo che sono stati sedotti dalle dimensioni dei suoi crescenti indici economici dell’ ultimo ventennio, e riassumibili nel costante e poderoso aumento annuale del suo prodotto interno lordo, il Pil.

Sostanzialmente inascoltate le voci di coloro che denunciavano il prezzo di tale sviluppo con il crescente inquinamento climatico e sociale, le nazioni e gli operatori economici mondiali hanno guardato il fenomeno, limitandosi ad analizzare i possibili elementi di convenienza o, al contrario, delle ripercussioni negative che le rispettive economie potevano derivare, favorendone o contrastandone il processo di crescita.

Purtroppo ciò che avviene in Cina, in India e mondo asiatico pesa e peserà sempre di più in rapporto alla sostenibilità mondiale della somma complessiva dei Pil di tutte le economie e al disastro climatico che incombe e già ben visibile nei vari inquinamenti dell’ aria, dell’ acqua, dei rumori.

Se sono indubbie le responsabilità di tre secoli di egemonia del mondo occidentale sulle risorse della terra, ciò è avvenuto per una concezione, riconosciuta, delle singole sovranità nazionali che si basavano sul potere indiscriminato degli stati, ma quando ancora l’ allarme ecologico non poteva essere avvertito.

Dopo il disastro di due guerre mondiali, cominciò a farsi strada nei primissimi anni del dopoguerra l’ idea di un comune destino delle genti del mondo, prima con l’ introduzione del concetto di “crimine contro l’ umanità” , con la sua applicazione nei processi di Norimberga, e successivamente proseguito con l’ esaltazione e il rilievo internazionale dei diritti civili e umani.

Un processo che ebbe un andamento faticoso nei decenni della guerra fredda ma che soprattutto nell’ ultimo ventennio, registrava nel contempo l’ allarme ecologico subito esorcizzato con il contemporaneo affermarsi prima del mito e poi della dittatura del cosiddetto Pil, assurto al rango di indice primario della validità delle rispettive politiche economiche.

Il Pil , nella sua interpretazione illusoria di indice del benessere collettivo, ha infatti ripristinato inavvertitamente il concetto di sovranità statale, dotandola di una interpretazione formalmente più accettabile, per i reggitori di stato e per le collettività da essi governate, in quanto associata a una apparente visione di (egoistica ) prosperità.

Un indicatore che, già intrinsecamente rozzo e iniquo, è un incentivo a comportamenti bulimici nei rapporti con le risorse, non certo illimitate, del nostro habitat millenario.

Se gli atleti della maratona manterranno il loro proposito, con le motivazioni già espresse, davanti a una platea di miliardi di telespettatori, contribuiranno a ricordare l’ innegabile responsabilità, delle odierne generazioni e della rispettive classi dirigenti, e del conseguente dovere di correggere radicalmente le proprie scelte, per il futuro del pianeta.

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