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COME SUPERARE QUESTA CRISI 2

crisiCome superare questa crisi ? Quale crisi !? Crisi economica e/o crisi del sistema

di Aldo Perotti

Leggo nel bell’articolo di Daniele una serie di proposte tutte ponderate, ragionevoli, ma nelle quali non trovo personalmente, e spero non se ne dispiaccia, nulla di veramente nuovo.

Si tratta effettivamente di ottime proposte ma non immaginano, come invece piace a me, un mondo diverso.

Ma iniziamo con ordine. La crisi.

A detta del nostro Presidente del Consiglio la crisi, letta come recessione – riduzione del PIL , è un fenomeno trascurabile. E, da un certo punto di vista, ha ragione. Se il PIL misura in qualche modo il “livello di benessere” tornare 3 o 4 anni indietro nel tempo non è così terribile. Il problema vero è che leggere la crisi attraverso gli usuali indicatori economici si rischia di giungere ad una sottovalutazione del problema ed alla ricerca di soluzioni “economiche”, tutt’al più aziendalistiche.

Ed è quello che sta succedendo. Aiuti, incentivi, detassazione, qualche svalutazione, ricontrattiamo i mutui, detassiamo, riorganizziamo, ricapitalizziamo, ecc. ecc. In quest’ottica la crisi non spaventa più di tanto; la possiamo interpretare come una fase ciclica negativa quanto si vuole ma, come dicono tutti gli economisti, passerà.

Se invece allarghiamo lo sguardo con una visione più distaccata si osserva che la crisi economica, ed è questo che più spaventa, sembra essere un segnale di crisi “socio-planetaria”, nella quale in discussione non sono in fondamentali dell’economia ma i fondamentali della convivenza umana sul pianeta.

Gli uomini “consumano” le risorse del nostro pianeta da millenni. Molte si rigenerano, altre no. Questo consumo ha avuto una accelerazione spaventosa negli ultimi due secoli. I benefici li conosciamo tutti. C’è una parte del pianeta la cui vita ha raggiunto livelli di qualità inimmaginabili cent’anni or sono. Se paragoniamo la vita di un faraone a quella di molti nostri contemporanei ho l’impressione che il faraone nutrirebbe una sostanziale invidia nei confronti di chi per alimentazione, durata della vita, potere sugli uomini, considerazione degli altri, è oggi anche un semplice capitano d’industria.
Il problema reale è che il livello dei consumi individuali, per ragioni che la storia spiega, è drammaticamente diverso da individuo a individuo, da regione a regione, da stato a stato. Le scienze economiche hanno studiato e spiegato tutto questo, proponendo anche soluzioni, ma senza risolvere il problema. Gli ultimi 50 anni poi, grazie ad una relativa pace mondiale, hanno permesso la creazione di relazioni economiche globali che hanno visto e vedono lo spostamento di risorse, materie prime, semilavorati, lavoratori, scienziati, su tutta la superficie del pianeta. Tutto questo permette un livello di produzione (e di consumo) elevatissimo e misurabile attraverso quantità enorme di rifiuti che l’umanità produce.

Per complicare le cose si deve aggiungere che il tutto è dominato da un principio generale che rende disponibile per l’uso di altri quelle risorse detenute e non utilizzate a fronte della promessa di una maggiore restituzione futura. Si tratta del sistema dei prestiti, del credito, della rendita, dell’interesse sul capitale, che rende certo possibile un ancora maggiore utilizzo delle risorse ed un maggiore consumo anticipato (un consumo diremmo “a debito”). Tutto questo ha portato, a scala planetaria, ad un tale intreccio di collegamenti creditore-debitore che il fallimento di una banca in un posto sul pianeta fa cadere sul lastrico una famiglia all’altro capo del mondo. Molti hanno “consumato” (e ancora consumano) a spese di altri. Paesi come gli Stati Uniti hanno debiti enormi con la Cina dove milioni di operai “lavorano e producono” per permettere ad altri di consumare, questo a fronte di un impegno che sulla carta li rende in pratica ormai “proprietari” (in senso lato) di un pezzo di America.
Immaginiamo per un attimo di voler mettere un po’ d’ordine e consolidare il debito trasformandolo tutto in diritti reali: hai un debito ? hai perso la tua proprietà che viene ceduta a chi vanta dei crediti. Vedremmo delle cose incredibili: tutti i beni pubblici del nostro paese diverrebbero proprietà in parte dei cittadini in cambio dei titoli di debito pubblico e in parte di proprietà estera; molte fabbriche italiane – attraverso una serie di passaggi finanziari – diventerebbero probabilmente proprietà di cittadini cinesi o indiani; e purtroppo si scoprirebbe che a fronte (a garanzia) di molti investimenti finanziari non c’è nulla o nei casi migliori qualcosa di molto incerto che vedrà la luce solo nel futuro.

I parametri di “ricchezza” dei singoli paesi valutati non sul PIL (sul consumo) ma sul “patrimonio” ci vedrebbero di fronte un mondo diverso.

La complessità del sistema è tale che investire in un fondo di investimento in Italia può significare comprare una quota parte di una casa negli Stati Uniti per farci abitare un operaio che al primo problema sul lavoro non pagherà l’affitto o la rata del mutuo (sono i famigerati sub-prime sparpagliati per il mondo).

Se una cosa di positivo c’è, in questo sistema, è che ha creato una sorta di fratellanza universale nella quale i creditori ci tengono molto ai debitori nella speranza di recuperare il loro investimento. Paradossalmente tutti pregano per una ripresa dell’economia americana nella speranza di recuperare un po’ del denaro investito quando ,attraverso il fallimento delle banche, molti hanno già “donato” fiumi di denaro ai super-consumatori americani.

Questo, come prima conseguenza, riduce molto le possibilità di guerre (non si uccide il debitore.. i morti non pagano i debiti).

Non ci sono ancora segnali di “rottura” di questo meccanismo per cui ritengo che la crisi che stiamo affrontando è e rimane una crisi economica. Il livello di fiducia nell’umanità è ancora abbastanza elevato. Si continuano ad utilizzare le banche, le carte di credito. Si comprano i titoli di stato. La borsa valori è attiva e funzionante, ha perso qualche punto, ma nessuno mette in discussione il sistema. Bisogna però ricordare che esiste un movimento “no global” che fa proseliti.

Credo personalmente che la globalizzazione sia ormai un dato di fatto e che indietro non si torna. Il vero problema verrà alla luce quando in questo sistema globale il gruppo dei “creditori” che stanno permettendo ai consumatori “a debito” di mantenere il loro livello di consumi inizierà a consumare “in proprio” ed in particolare a chiedere di rientrare delle “somme anticipate”. A quel punto ci potrebbe essere un’inversione delle parti con gli attuali consumatori che scendono a livelli di consumi sempre più bassi pur continuando a produrre (e molto) per garantirsi la sussistenza. Una sorta di inversione dei ruoli tra oriente/terzo mondo e occidente.

Come evitare questa possibile più grave crisi ? Dobbiamo essenzialmente puntare a limitare i danni e cercare potentemente di recuperare un sistema più sostenibile.

Barack Obama credo lo abbia ben chiaro.

L’occidente deve consumare di meno. Deve consumare meglio. Non più la quantità ma la qualità del consumo deve divenire i l parametro del benessere. Un atteggiamento parsimonioso verso le cose è l’unico che permetterà a tutti una vita sostenibile. Risparmiamo acqua, aria, terra.

Si deve ristrutturare il sistema del credito con l’obiettivo di combattere l’accumulo di capitale. L’accumulo di capitale finanziario è il latifondo moderno, va combattuto con ogni mezzo per l’inevitabile deriva usuraria che comporta (non è una cosa nuova … le religioni spesso combattono il concetto di interesse).

Bisogna ripensare la banca del futuro. Molto promettenti , a mio giudizio, le iniziative di “social lending”.

L’obiettivo può essere quello di qualificare il nostro sistema di vita facendo in modo che i paesi emergenti nel perseguire il nostro livello di benessere non abbraccino (cosa che purtoppo stanno facendo) l’attuale modello insostenibile che con i suoi cicli economici, con la promozione dell’indebitamento, con il capitalismo d’assalto, è spesso fautore di tragedie come l’impoverimento, la disoccupazione, l’emarginazione.

E’ forse questo, certo a parole mie, il “Patto delle responsabilità collettive per il Paese” a cui accennava Daniele.

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