Significativamente Oltre

sviluppo sostenibile

Un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile e la nuova Forma Partito adesso o il PD si schianta alle amministrative

pd

di Massimo Preziuso

Non è più tempo di attendismi.

Dal caso “Guidi” al referendum sulle “trivelle”, fino alle gravi notizie che emergono spesso dai territori, emerge un fatto chiaro: il Partito Democratico sta subendo una forte emorragia di consenso.

Arrestabile, a mio avviso, solo con l’avvento di due svolte riparatrici, che in realtà non sono nemmeno difficili da attuare.

La prima riguarda la nascita di quel forte Ministero per lo Sviluppo Sostenibilequel MISS da noi proposto più volte al Partito Democratico, fin dal congresso vinto da Bersani nel 2009 – che accorpi la ormai centrale tematica ambientale a quella dello sviluppo economico, per disegnare un nuovo paradigma di crescita del Paese, spostando il baricentro della azione governativa dalle “riforme per la crescita” alla “crescita economica” reale.

Dando così agli italiani l’idea che il Premier voglia davvero raggiungere quei forti traguardi di produzione energetica rinnovabile e di sviluppo economico sostenibile, di cui ha parlato prima e dopo la sconfitta subìta al cosiddetto Referendum sulle Trivelle (nel quale, va ricordato, nonostante il poco intelligente richiamo del governo alla astensione, sul non modesto 32% di votanti, circa l’86% ha votato a favore dello stop alle concessioni in mare aperto).

A questa innovazione nella attività governativa, il Segretario del Partito Democratico Matteo Renzi dovrebbe accompagnare una accelerazione nell’innovazione della Forma Partito, su cui una Commissione Nazionale – di cui abbiamo fatto parte – ha intensamente lavorato nell’anno passato, concludendo i lavori il mese scorso.

Dotando così il Partito Democratico di nuovi strumenti di interazione con la società italiana, per disegnare finalmente quella nuova progettualità che nasce dal dialogo tra territori e governo, delineando una nuova traiettoria di crescita economica e sociale sostenibile di cui l’Italia e gli italiani hanno davvero bisogno.

Speriamo che nelle prossime settimane il Segretario – Presidente Matteo Renzi voglia avviare questi cambiamenti, dando nel contempo sostanza all’avvio di una nuova stagione di rinnovamento partecipato dalla cittadinanza e dalle sue esigenze e progetti, che ancora sinceramente non si vede.

Se questo non avverrà, è chiaro a molti che, alle amministrative di Giugno, il Partito Democratico e il Governo di cui è protagonista andranno incontro ad una sonora battuta di arresto, che già da tempo si vede, sia da sondaggi nazionali che indicano il PD sotto il 30%, ormai tallonato dal Movimento 5 Stelle, da un lato, e dall’ armata Brancaleone del Centrodestra dall’altro, che dal progressivo distacco di alleati importanti nei territori.

 

 

 

 

L’Europa ha bisogno di una “terapia choc” per uscire dalla crisi

Il Piano di investimenti europei (Eur 800 mld nel 2015-2020) per la transizione economica sostenibile del vecchio continente – oggi proposto dal PSE  – sommato al massiccio stimolo monetario avviato da BCE l’ultima chance per invertire una terza lunga stagnazione, che potrebbe essere letale.
Speriamo diventi subito una proposta condivisa.
Gli Innovatori Europei

Oggi, il gruppo S&D ha proposto di creare un nuovo fondo da 400 miliardi all’interno del piano di investimenti per promuovere la crescita e l’occupazione in Europa.

Il piano è stato presentato oggi durante una conferenza stampa a Bruxelles.

Il presidente del gruppo S&D Gianni Pittella ha dichiarato:

“Per la prima volta dopo l’era Barroso, crescita e flessibilità sono seriamente prese in considerazione dalla Commissione. Questo nuovo approccio potrebbe rappresentare l’inizio di una rivoluzione per l’Europa.

“Vogliamo portare avanti una terapia choc. Una terapia choc attraverso l’investimento di nuove risorse fresche (pubbliche e private), nuovi strumenti di investimento europei e finalmente l’azione di una ‘clausola per gli investimenti’ associata al piano di Juncker: il denaro pubblico speso dagli stati membri per determinati progetti europei non deve essere calcolato nel computo del deficit nazionale.

“Non è più tempo di mezze misure. E’ tempo di decisioni coraggiose e sagge. Abbiamo proposto una terapia choc per far partire la ripresa della nostra economia e salvare l’Europa da lotte sociali, populismi e disintegrazione”.

La vicepresidente del gruppo S&D per lo Sviluppo sostenibile, Kathleen van Brempt, dichiara:

“Gli investimenti senza capo né coda non rimetteranno l’Europa in carreggiata. Ciò che importa non è soltanto la quantità degli investimenti, ma dove le risorse saranno investite.

“La transizione verso un’economia sostenibile e basata su un uso efficiente delle risorse è la priorità e la sola strada che abbiamo davanti. Gli investimenti devono essere mirati alla transizione e all’efficienza energetica, all’economia digitale, all’innovazione e alle risorse umane, favorendo così la creazione di nuovi posti di lavoro. L’Europa deve focalizzarsi su progetti che non potrebbero mai svilupparsi senza lo stimolo di investimenti pubblici”.

La vicepresidente del gruppo S&D per gli Affari economici, finanziari e sociali, Maria João Rodrigues, aggiunge:

“Oggi l’Europa si trova dinanzi al rischio di un lungo periodo di bassa crescita e di disoccupazione di massa. Siamo anche di fronte a un deficit di investimenti stimato in 300 miliardi all’anno. Gli Stati membri hanno bisogno di recuperare la flessibilità in modo da essere in grado di investire. Occorre ripristinare sia gli investimenti privati, sia quelli pubblici. I fondi pubblici devono servire come leva per attrarre gli investimenti privati. Forme leggere di sovvenzioni, come ad esempio un prestito senza interessi, potrebbero sbloccare molti progetti importanti che altrimenti non potrebbero permettersi il finanziamento a condizioni puramente commerciali. Gli investimenti europei devono riguardare tutti gli stati membri dell’Ue ed essere rivolti al sostegno delle regioni in crisi”.

La vicepresidente del gruppo S&D per il Bilancio, Isabelle Thomas, ha sottolineato:

“Non sosterremo un ‘finto’ piano di investimenti”. Abbiamo bisogno di denaro fresco. Per questo proponiamo di creare un fondo speciale. Il capitale iniziale sarebbe gradualmente fornito dagli stati membri dell’Ue per raggiungere i 100 miliardi entro entro sei anni. Tali contributi nazionali dovrebbero essere esentati dal calcolo del deficit e del debito pubblico.

“Su questa base, il fondo potrebbe mobilitare ulteriori 300 miliardi messi sul piatto dagli investitori privati. Questa capacità finanziaria pubblica di 400 miliardi potrebbe generare un totale di 500 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati”.

Primarie: associazione ‘Innovatori europei’ sostiene candidatura Bersani

(ASCA) – Roma, 3 ott  L’associazione Innovatori europei sostiene la candidatura di Pier Luigi Bersani alle primarie del centrosinistra.

 

”Crediamo – ha dichiarato Massimo Preziuso, presidente di Innovatori Europei dopo l’incontro con Roberto Speranza, coordinatore del comitato Bersani – che Bersani sia il candidato che esprima la giusta sintesi tra credibilita’ e rinnovamento, e l’unico politico che possa portare avanti, da subito e con serieta’, le istanze per le quali il nostro movimento si batte da anni”.
”Speriamo di avviare presto una collaborazione concreta col segretario – prosegue Preziuso – perche’ riteniamo che queste siano tematiche fondamentali in un’agenda di governo.

Innovatori europei nasce nel 2006 dando il proprio contributo dalla societa’ civile, dalla quale conserva le basi, alla nascita del partito democratico. L’associazione si occupa di temi legati ai diversi campi dell’innovazione: dalle energie rinnovabili allo sviluppo sostenibile, all’implementazione di un welfare nei territori, alle problematiche legate alle frequenze radiotelevisive, alla riforma delle istituzioni europee.

Le 3 crisi

Le 3 crisi

di Massimo Preziuso (pubblicato su Tr3nta.com)

Le 3 crisi – nucleare, mediterranea e tedesca – ed un’unica opportunità per il nostro Paese: la creazione di un asse italo – tedesco.

Siamo in un periodo di cambiamenti epocali e, nel 2011, questi cambiamenti si sovrappongono rendendo ancora più difficile, per ragioni di complessità e di tempo, pensare a soluzioni. Ma è pur vero che proprio in periodi di grande complessità come questo possono trovarsi grandi e nuove opportunità. In questo caso per il nostro Paese. 

Dico subito dove io ne vedo una: nella creazione di un asse italo – tedesco che, partendo da una proposta comune per una gestione “più diplomatica possibile” della situazione in Libia, possa poi diventare un asse di collaborazione in tutto il Mediterraneo, per gestirne uno sviluppo equilibrato e duraturo, avendo come baricentro delle iniziative il settore chiave dell’energia. E tre sono le crisi che mi fanno pensare a questo: quella del nucleare, quella del  editerraneo e quella, appena cominciata, tedesca.

Nucleare
: con la pesantissima complicatissima crisi creatasi in Giappone dove, passate due settimane da un devastante terremoto, la situazione è altamente seria a causa di danni in una delle centrali nucleari, l’opinione pubblica mondiale si è svegliata, comprendendo ancora meglio che la soluzione nucleare non è la scelta migliore di sostenibilità energetica, e che va quindi profondamente ripensata.

Mediterraneo: con le crisi egiziana, tunisina e libica – e la possibilità non così improbabile che tali situazioni si estendano a breve in altri paesi dell’area mediterranea – si è aperto un enorme ed inaspettato capitolo di politica estera, ed in particolare per l’Unione Europea, sia per motivi di dovuta solidarietà rispetto a paesi che ci sono molto vicini, sia per opportunità e ragionamenti di geopolitica e di interessi commerciali – in particolar modo legati all’approvigionamento energetico.

Germania: legata alle prime due crisi – nucleare e mediterranea – se ne vede una terza, appena cominciata, del colosso tedesco. Proprio oggi il cancelliere Merkel con la sua CDU perdono pesantemente alle regionali in un territorio opulento e fondamentale, il Baden-Wuerttemberg, dove il nuovo governatore sarà espresso – e non è un caso – dal Partito dei verdi. Tutto questo nonostante la Merkel avesse provato ad andare incontro – con una manovra chiaramente  opportunista – alle aumentate esigenze ambientaliste del dopo Giappone, praticamente annullando i programmi tedeschi nel nucleare, e alla volontà della sua gente di tenersi fuori dalla guerra in Libia. Dopo oggi, il governo entra in chiara crisi- Tutto questo mentre, in queste settimane, si è formato un asse anglo – francese nel mediterraneo, che rischia di rosicchiare larghe fette di influenza all’attuale locomotore europeo. Ed un Paese che fino a oggi ha avuto un ruolo di leadership assoluta nelle politiche europee a questo vorrà e dovrà sicuramente reagire.

Ebbene, queste tre crisi – Nucleare, Mediterraneo, Germania – rappresentano una inaspettata opportunità per un Paese, l’Italia, in piena crisi di identità e di potere – in Europa e nel mondo – ed a forte rischio di un accentuato declino – proprio a causa della crisi mediterranea. Infatti, dopo essere stato assente dalla scena internazionale per troppo tempo, nelle prossime ore il nostro Paese potrebbe portare avanti – ed oggi il Ministro Frattini ha annunciato  una proposta comune – un’iniziativa di recupero di forza sulla scena internazionale, appunto strutturando una azione politica (che poi diventi economica ed industriale) comune con la locomotiva tedesca, proprio a partire dalla gestione della crisi libica e mediterranea. E’ chiaro che la Germania ha oggi bisogno di un partner europeo con cui provare a rientrare nella gestione della crisi nell’area mediterranea, ed indirettamente confermare la propria leadership, e che questo può farlo solo con un alleato come l’Italia. Di contro è evidente che l’Italia – alleandosi con il colosso tedesco – potrebbe inaspettatamente trovarsi in ruolo di centralità politica, soprattutto nella auspicabile fase di sviluppo dell’area, successiva al periodo di crisi, che molto probabilmente sarà fortemente legato al tema energetico ed infrastrutturale e potrebbe fortemente basarsi sul paradigma della “green economy”. Ed Italia e Germania, con le loro aziende e capitali, sono già protagonisti nel settore (si veda, tra i tanti altri, il mega – progetto “Desertec”). Aldilà di questi fattori “opportunistici”, sembra altresì evidente che un asse italo – tedesco rappresenti la soluzione migliore per dialogare, in maniera diplomatica e commerciale, con il mondo libico, ma più in generale mediterraneo – per motivi culturali e per ragioni economiche – industriali.E visto che le due potenze europee condividono l’idea che la gestione di una crisi così grande e complicata non possa che incentrarsi sul tema della diplomazia, vi è da auspicare che Italia e Germania si rendano conto di questa opportunità unica, per loro stesse e per il mondo mediterraneo, ed agiscano subito, prima che la crisi da quelle parti si trasformi in un qualcosa di ingestibile ed incontrollato.

Gli scenari energetici nell’area EU – MENA

desertec

di Massimo Preziuso

Nei prossimi decenni, diversi sviluppi globali creeranno enormi sfide per l’umanità. Ci confronteremo con problemi quali il cambiamento climatico, la crescita demografica oltre i limiti della capacità del Pianeta, ed una crescita di domanda di energia ed acqua causata da battaglie per la prosperità e l’espansione.

In un mondo fortemente interconnesso nell’economia, nei commerci e nella politica, sfide come queste vanno affrontate in ambito globale.

In questo contesto, per l’Europa è al contempo naturale e fondamentale rivolgere lo sguardo alla sponda sud del mediterraneo, se vuole affrontare le criticità a cui ci avviciniamo.

In tal senso, l’Unione Europa, nel dimostrarsi ancora una volta quale principale promotore di innovazione politica del pianeta, ha fatto importanti passi verso la definizione di una piattaforma politica euro – mediterranea, coinvolgendo anche l’area medio orientale.

Le relazioni politiche ed economiche dell’Unione Europea (UE) con i paesi della sponda sud del mediterraneo (Med) hanno subito, negli ultimi anni, una profonda evoluzione.

Fra il 1995 e il 2003 la politica mediterranea dell’Unione Europea si è concretizzata soprattutto nel Partenariato Euro-Mediterraneo (PEM), noto anche come processo di Barcellona. Dopo l’allargamento dell’UE nel 2004, i paesi sud-mediterranei facenti parte del PEM sono stati inclusi nella nuova politica europea di vicinato (PEV) accanto a quelli dell’Europa orientale restati fuori dall’UE.

Nel dicembre 2007, in una conferenza stampa a Parigi, presenti i primi ministri di Italia e Spagna, il presidente Sarkozy ha annunciato la creazione dell’Unione per il Mediterraneo (UpM). I paesi che hanno firmato il documento istitutivo sono quarantatre: tutti i membri dell’Unione Europea e le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo, ad eccezione della Libia che ha preferito partecipare come osservatore. Questo nuovo organismo, costituito a livello dei primi ministri delle nazioni aderenti, ha una doppia presidenza affidata a turno a due paesi, uno europeo e l’altro mediterraneo (attualmente Francia ed Egitto).

La sede dell’UpM, decisa in una riunione avvenuta a Marsiglia nel novembre 2008, è Barcellona.

Dal 2009 tutte le strutture logistiche dell’organizzazione sono operative, guidate da un segretariato generale, con l’incarico di gestire i fondi e di controllare lo stato di avanzamento dei progetti comuni che verranno intrapresi.

L’UpM può finanziare i suoi progetti utilizzando diverse fonti, dalla partecipazione del settore privato al prelievo dal budget europeo, dal contributo dei partners a quello della Banca europea di investimento.

A tutt’oggi però l’operatività di UpM è molto limitata per difficoltà politico-istituzionali non ancora superate.

L’UpM, nasce con l’idea che i settori economici siano trainanti per lo sviluppo delle relazioni tra le due sponde del mediterraneo, e per questo ha come compito prioritario la realizzazione di progetti regionali di grande impegno economico e i firmatari dell’accordo hanno convenuto di dare la priorità a sei iniziative fondamentali:

– il disinquinamento del Mediterraneo,

– la costruzione di autostrade marittime e terrestri tra le due sponde del Mediterraneo,

– il rafforzamento della protezione civile,

– la creazione di un piano solare mediterraneo,

– lo sviluppo di un’università euro-mediterranea

– un’iniziativa di sostegno alle piccole e medie imprese

 

In particolare, al suo interno, il tema energetico – ambientale ne rappresenta un motore trainante, nella constatazione del primario ruolo che le energie rinnovabili possono avere nel garantire un avvicinamento reale tra le due sponde del mediterraneo.

Secondo uno studio del 2009 della Fondazione Mezzogiorno Europa (M. Pizzigallo, L’Italia e l’Unione per il Mediterraneo, Napoli, Fondazione Mezzogiorno Europa, 2009) infatti “la principale richiesta dei Paesi del Maghreb, nell’ambito dei futuri progetti targati UpM, riguarda il trasferimento di tecnologia per la realizzazione di impianti fotovoltaici, eolici e geotermici. La produzione di energia “pulita” libererebbe molti di questi Paesi da una stringente dipendenza energetica, tanto più se si considerano le caratteristiche fisiche e climatiche dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, per le quali il sole e il vento costituiscono una “materia prima” a basso costo e a massimo rendimento. Per tali motivi, dunque, proprio sul settore energetico vertono i progetti futuri di molti enti, e anche l’Italia guarda con favore allo sviluppo delle energie rinnovabili, cercando di trarre giovamento dalla condivisione di conoscenze ed esperienze con la sponda Sud”.

Esempio concreto di attuazione dell’iniziativa in ambito energetico è dato dal “Piano solare mediterraneo” (PSM) inserito nell’UpM per l’integrazione dei mercati energetici e la promozione dello sviluppo sostenibile nell’area del mediterraneo. L′obiettivo principale del PSM è noto: installare 20 GigaWatt di capacità di energia rinnovabile nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente entro il 2020; in buona parte per soddisfare i bisogni locali, ma in parte anche per esportare elettricità nell′Ue, dove potrà essere utilizzata per contribuire al conseguimento dell′obiettivo di portare al 20% la quota di rinnovabili ne consumo totale di energia.

In questo contesto, su iniziativa del chapter tedesco del Club di Roma, nasce il progetto Desertec (che oggi raduna sedici primari partner tra cui Eon, Rwe, Deutsche Bank, First Solar, oltre all’italiana Enel Green Power) che propone una cooperazione tra Europa, Medio Oriente e Africa Settentrionale (EU-MENA) per la costruzione di centrali solari termodinamiche ed eoliche nei deserti della regione MENA. Obiettivo del progetto è di proporre e realizzare impianti solari ed eolici nei Paesi nord-africani e medio – orientali, al fine di coprire entro il 2050 il 15% della domanda elettrica dell’Europa e una porzione significativa di quella dei Paesi produttori, con investimenti stimati in circa 400 miliardi di euro.

Il trasporto avverrà grazie alla realizzazione di una rete di linee di trasmissione elettrica ad alta tensione con cavi sottomarini tra Africa ed Europa, denominata Transgreen, progetto di punta tra i sei previsti dalla UpM, presentato dalla francese Edf.
Sullo sfondo, la posta in gioco è molto alta. Si tratta di sviluppare l’interscambio di energia elettrica e di collegare le nuove fonti di generazione di energia rinnovabile alle reti tradizionali. E allo stesso tempo, rendendo disponibili grandi volumi di energia generata in località remote, consentire una maggiore apertura del mercato dell’elettricità tra stati, favorendo la riduzione dei prezzi al consumo e la spinta all’innovazione tecnologica. L’obiettivo finale è ridurre i costi per l’utente finale. Con un’incognita. I tempi sicuramente lunghi, e la necessità di un non sempre facile coordinamento politico tra stati.

L’accoppiata Desertec-Transgreen può diventare a sua volta complementare della “Supergrid” paneuropea, che si inquadra nell’ambito degli obiettivi Ue di riduzione delle emissioni di gas serra del 20% entro il 2020 e che prevede di rendere disponibili grandi volumi di energia generata in località remote da fonti rinnovabili. Un esempio tipico sono le centrali eoliche offshore del nord Europa, come quelle in corso di realizzazione in Gran Bretagna.
Attualmente nel Mediterraneo sono collegate con linee a corrente alternata le reti elettriche di Marocco e Spagna, via Gibilterra. Transgreen dovrebbe partire più a est, da Algeria o Tunisia. Molti i progetti allo studio, come il collegamento Balcani-Italia, Malta-Italia, Tunisia-Sicilia.

In conclusione, tornando ad UpM, per alcune sue caratteristiche, secondo lo studio di Mezzogiorno Europa, essa rappresenta una grande opportunità di crescita per l’Italia: “In primo luogo, la connotazione prettamente tecnica e progettuale della nuova organizzazione, che individua gli ambiti prioritari di intervento in settori economici e sociali di particolare rilevanza strategica: l’ambiente, con particolare riferimento alla lotta all’inquinamento nel Mediterraneo; i trasporti; la protezione civile; le energie alternative, con il progetto di “Piano Solare Mediterraneo”; l’alta formazione e la ricerca, nel cui ambito è stata prevista l’istituzione di un’Università Euro-Mediterranea; lo sviluppo economico, sociale ed imprenditoriale dell’area mediterranea. In secondo luogo, la flessibilità regionale di tali progetti che potranno investire tutti o solo una parte dei partner, a seconda del loro grado di interesse e di coinvolgimento nello specifico settore di intervento. Questa sorta di “cooperazione a più velocità” nel Mediterraneo potrebbe consentire alle realtà italiane di porsi in prima fila nell’implementazione dei progetti con i paesi della sponda Sud. In terzo luogo, la decisa apertura, prevista nell’UpM, agli attori non statali, come le autorità locali, le imprese e le organizzazioni non governative, costituisce un quadro istituzionale di estremo interesse per l’Italia, in cui la forte crescita della cooperazione decentrata ha già permesso ad enti, istituzioni, autorità locali e organizzazioni della società civile di assumere una forte proiezione internazionale, spesso con il Mediterraneo come area di intervento privilegiata.”

 

Per concludere, alcuni cenni su Europa ed Area Mena:

EUROPA

L’Unione Europea è una unione politica ed economica composta attualmente da 27 Stati membri. Con oltre 500 milioni di abitanti, è oggi l’area economica più ricca del mondo.

La Regione, riconosciuta da tutti quale leader nelle politiche energetiche – ambientali (in ultima il “pacchetto clima” varato nel 2008), con la costituzione di una UpM centrata sul tema dimostra una naturale capacità di guardare oltre e di fare innovazione politica.

Nonostante si trovi in una fase delicata della sua vita politica, alle prese con pesanti crisi proprio in alcuni dei paesi “mediterranei” (Grecia, Spagna e Portogallo), l’Unione sta dunque puntando fortemente sul tema energetico – ambientale quale occasione per il rilancio della sua iniziativa politica e della sua economia, oltre che necessità per il superamento di una dipendenza sostanziale da partners “difficili” come la Russia nell’approvigionamento di combustibili fossili, e la contestuale riduzione del gap di costo dell’energia che ne limita seriamente e da tempo la competitività di sistema.

Vi è da dire che all’interno della UE risiedono paesi riconosciuti quali leaders delle industrie delle energie pulite (si pensi alla Germania, ma anche alla Spagna e all’Italia, nella filiera della produzione di energia elettrica da rinnovabili) e della sostenibilità ambientale (si pensi al caso della Svezia o dell’Olanda, per le loro politiche ambientali).

Detto questo, la costituzione di un mercato europeo dell’energia è ancora lontano, viste le correnti differenze esistenti tra i singoli stati membri nella composizione della produzione energetica e quindi nei livelli di prezzi ed emissioni ad essa relative: vi è quindi ancora molto da lavorare.

Il settore è sede di enormi potenziali di crescita per l’intera Unione, ma necessita di un approccio più europeo di quello finora avuto (che vede essenzialmente la libertà per i singoli Paesi membri di definire le proprie politiche energetiche, all’interno di alcuni obiettivi europei di lungo periodo).

 AREA MENA 

Per area MENA si intende l’area del Nord Africa e del Medio Oriente, che parte dal Marocco – nord ovest dell’Africa – ed arriva all’Iran – sud est asiatico.

La Regione ha una popolazione simile a quella europea (circa 500 milioni di persone) ed è caratterizzata fortemente dalle sue vaste risorse petrolifere e di gas naturale, che la rendono decisiva per la stabilità economica del pianeta: secondo l’Oil and Gas Journal (Gennaio 2009), la Regione ha il 60% delle riserve di petrolio mondali (810.98 miliardi di barili) ed il 45% delle riserve di gas naturale (2868.886 trilioni di cubic feet).

Anche per questo l’area MENA nei prossimi anni vivrà seri problemi derivanti dalla presenza contestuale di un enorme aumento demografico e di seri impatti da cambiamento climatico.

Studi della Banca mondiale prevedono dal solo aumento della popolazione, da qui al 2050, il dimezzamento delle risorse acquifere per individuo. Nello stesso periodo di tempo, la temperatura  prevista in rialzo di 2°C comporterà severi danni e numerose morti. Nel contempo, l’area è caratterizzata da un livello di emissioni di CO2 di 60% superiore alla media dei paesi in via di sviluppo.

Detto questo, i paesi MENA hanno un enorme potenziale nelle energie rinnovabili. In particolare, essi condividono le migliori condizioni al mondo per l’energia solare: abbondante soleggiamento, basse precipitazioni, ed enormi distese di terreni non utilizzati vicini a reti viarie e di trasmissione. E fortunatamente, nell’intero bacino del mediterraneo la domanda per elettricità “verde” sta crescendo rapidamente.

I paesi produttori di petrolio dell’area, in particolare i paesi del Golfo, stanno prendendo la leadership tecnologica e finanziaria nello sviluppo di tecnologie low carbon, in particolare per quanto riguarda la carbon capture and storage (CCS). In questo ambito la regione potrebbe contribuire a portare tale tecnologia dalla fase attuale di testing a quella di commercializzazione su larga scala.

Vi è da aggiungere però che, laddove una crescita low carbon dell’economia potrebbe generare importanti benefits per le economie dei paesi MENA (aumenti di produttività e risparmi fiscali associati ad una migliorata efficienza nell’uso dell’energia, una migliorata qualità dell’aria, una ridotta congestione del traffico, etc), le barriere tecnologiche ed in particolare i bassi livelli di prezzo dell’energia presenti nella regione danno un basso incentivo – in assenza di supporto finanziario esterno – per uno sviluppo low carbon su larga scala.

Un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile per la Green Economy and Society in Italia

svilupposostenibile

Se si vuole essere protagonisti nella nuova epoca della Sostenibilità, questo è il tempo delle grandi innovazioni, soprattutto in Italia.

Tante sono le cose da fare, nel settore pubblico ed in quello privato, nei mondi della scuola, della ricerca, dell’industria, dei media, della finanza ed altri ancora.

Ma la prima cosa di cui un Paese come il nostro ha bisogno oggi è la nascita di una struttura di Governo che attui e coordini tutto il complesso di “politiche pubbliche” necessarie all’avvio di un percorso che ci porti ad una Green Economy and Society.

Una soluzione in tal senso è la nascita di un Ministero per lo Sviluppo Sostenibile (MISS), che accorpi in sé il Ministero dello Sviluppo Economico (MSE) e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM).

In tal modo, il MISS si doterebbe della forte capacità di impatto sul mondo industriale dell’attuale MSE (che è l’amministrazione di riferimento per i settori portanti dell’economia italiana) e dell’esperienza e competenza in tema ambientale del MATTM (che è l’amministrazione preposta all’attuazione della politica ambientale), migliorando efficacia e efficienza della spesa pubblica.

Il Ministero per lo Sviluppo Sostenibile diverrebbe così, insieme al Ministero dell’Economia, il motore delle politiche di sviluppo (sostenibile) dei prossimi decenni in Italia.

Una proposta come questa, oggi, è chiaramente una provocazione, ma un Paese moderno, perché possa cambiare davvero, ha il dovere di discutere anche di provocazioni.

Massimo Preziuso

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