Significativamente Oltre

spread

R-innovamenti montiani a Ferragosto?

 di Massimo Preziuso su L’Unità

Mentre gli italiani hanno provato a godersi il 15 di Agosto più duro dal dopoguerra – alcuni sotto gli ombrelloni, molti tra le mura domestiche – tante cose accadono in questo caldo mese in Italia.

Sembrava che tutto dovesse implodere, attorno alle parole di Mario Draghi dopo il Board della BCE, invece qualche barlume di speranza inizia ad apparire alla nostra vista.

Un dato su tutti: i famosi e ormai noiosi “spread” viaggiano lentamente ma in discesa con il differenziale tra BTP e Bund decennali verso la soglia dei 400 (oggi a 420) punti base. Sembra dunque che la BCE stia intervenendo in nostro sostegno e che i nostri titoli di stato siano giudicati ora meno a rischio di qualche settimana fa.

Secondo molti analisti, con spread tra i 300 e 400 punti base il debito pubblico italiano (che ancora continua a crescere vero i 2000 miliardi di euro!) ritorna a vivere sonni leggermente più tranquilli (a quei valori ad esempio l’Italia potrebbe dire un secco no all’adesione “controllata” al cosiddetto scudo anti-spread) per qualche mese.

Probabile che a quella soglia ci arriveremo entro il mese di Agosto e allora al Governo Monti sarà offerta l’ultima chance per completare questa esperienza di Governo tecnico con un giudizio complessivo positivo.

L’occasione consisterà nella possibilità di affrontare (senza scuse) lo spinoso e finora (ad esso) sconosciuto tema della crescita economica (ovvero di come si possa fermare quello che sembra un inesorabile declino dell’economia italiana, tra de-industrializzazioni e perdita di competitività nei settori tradizionali, assenza di investimenti privati e finanziamenti bancari, licenziamenti di massa nel pubblico e nel privato, assoluta inesistenza di politiche per la ricerca e l’innovazione, drammi ambientali nella grande industria).

Proprio oggi – sarà un caso forse – Monti ha parlato della volontà di alleggerire le aliquote IRPEF entro ottobre. Sarà vero? Speriamo. Lo potrà fare con le risorse liberate da un minore pagamento di interessi? Lo vedremo.

E’ chiaro comunque che al punto in cui siamo arrivati – ”messa in sicurezza” la finanza pubblica attraverso tassazione sui ceti medio-bassi, avviato un percorso (si spera selettivo) di tagli alla spesa pubblica che rischia di dare una ulteriore spinta recessiva,  fatte alcune riforme sul tema del lavoro e delle pensioni che rischiano di aumentare ulteriormente la precarietà e la disoccupazione – solo con il riavvio dei consumi (attraverso de-tassazione e crescita economica) si può frenare questa tremenda emorragia (si parla ormai di una tendenza naturale verso un PIL 2012 al -3%, che va anche oltre le previsioni di inizio anno dei cosiddetti “pessimisti”).

Sembra anche chiaro che il tema delle dis-missioni (svendite) di patrimonio (immobiliare e mobiliare) pubblico, così come impostato dal Ministro Grilli, oggi non abbia alcun senso: si tratterebbe di alleggerire ulteriormente l’ossatura economica-patrimoniale-industriale del Paese.

Hanno senso semmai iniziative che facciano “leva” sul patrimonio pubblico per alleggerire lo stock di debito pubblico e liberare così risorse da destinare a “cantieri per la crescita”.

Si parla da più parti della costituzioni di fondi immobiliari pubblici quotati che possano poi emettere debito “di qualità” da utilizzare come sopra. Quella sarebbe una buona strada. Ancora migliore se a tali fondi (finanziari) si associasse una attività reale (economica) che potesse agire da volano per il rilancio dei consumi sui territori.

Come Innovatori Europei, nei primi mesi del Governo Monti, insieme al gruppo SOS Rinnovabili  – con la partecipazione di molti cittadini – scrivemmo un “Manifesto per le Rinnovabili“, che proponeva anche la nascita di tali fondi immobiliari (potenzialmente replicabili a livello regionale) che “efficentassero – valorizzassero immobili pubblici” attraverso la leva della “ristrutturazione energetica” (efficientamento energetico, produzione energetica da fonti rinnovabili) ma anche ”edilizia” per una loro successiva quotazione ed emissione di obbligazioni “pregiate”.

Questo per fare un esempio, ma già solo la riduzione delle aliquote IRPEF e la nascita di questi “fondi immobiliari – energetici” darebbe il segno del cambio di passo del governo dei Professori e porterebbe seri e tangibili segnali di ripresa nel breve periodo. E’ proprio di azioni come queste che il Paese aveva bisogno l’anno scorso per evitare questa recessione a “doppia V” e di cui oggi ha ancora bisogno per evitare una lunga “depressione economica”.

La nuova Grecia d’Europa siamo noi

 
di Massimo Preziuso e Moris Gasparri (su Lo Spazio della Politica)   
 

Siamo entrati all’inferno.

L’Italia è con oggi a pieno titolo nella lista dei Paesi a “rischio default”. Lo ha anche detto un italiano – capo economista dell’OCSE – Pier Carlo Padoan: “non siamo troppo grandi per fallire”. L’Italia è da oggi in tutti i club che “non contano”.

In particolare è rientrata (lo era a settembre, quando però gli spread dei titoli pubblici erano sotto i 400 punti base) nel Club dei 500, che non è un network di potere ma è riferito a quei 4 Paesi europei – Grecia, Portogallo, Irlanda ed ora Italia – il cui “costo assicurativo” contro il proprio default (in linguaggio tecnico CDS – Credit Default Swap) è superiore al valore 500 (ovvero il mercato chiede 500 euro per assicurare 10,000 euro di titoli pubblici emessi da quel Paese).E’ poi entrata, sempre oggi, in quella brutta fase di crescita dei tassi di interesse sui propri titoli di stato che avviene “storicamente”, secondo molti economisti, quando si supera il valore del 6% (e oggi l’Italia ha tassi che vanno verso il 6,5%) e porta rapidamente al valore “mortale” del 7% (dove iniziano le fasi di “default tecnico” come in Grecia).

Tutto questo nonostante i continui acquisti di titoli pubblici italiani fatti dalla BCE provino, senza successo, ad aiutarci. Diverse banche internazionali dicono che questo “interventismo” da Francoforte valga altri 80-100 punti base di spread e che quindi, dovesse la BCE abbandonarci al nostro destino, il “vero” valore dei nostri spread sarebbe già di oltre 500 punti base e i nostri tassi di interesse avrebbero già superato il 7%.

In tutto ciò, ed è questa la cosa più preoccupante, l’Italia è sotto attacco per problemi di credibilità politica e di leadership. Lo abbiamo visto in molti momenti nell’ultimo anno, sia in politica internazionale (si veda l’assoluta uscita di scena dal capitolo libico, nonostante un massiccio impiego di forze militari), sia in politica europea (si veda l’uscita di scena graduale e continua dalle decisioni di politica economica e finanziaria) ed in ultimo in politica interna (con una maggioranza che prima ha perso il contatto con l’opposizione tutta, poi con tutte le forze sociali, ed ora si è completamente sfaldata al suo interno, a livello inter ed intra partitico).

Sembra proprio che siamo agli sgoccioli di un paradigma politico che è poi anche fortemente culturale. Il nostro futuro verrà scritto (insieme a quello europeo) in questo mese di novembre, e forse proprio nel G20 di Cannes che si apre nelle prossime ore, nel quale il Bel Paese la farà da “protagonista” forse più della malata Grecia.

Come ne uscirà politicamente l’Italia?

La debolezza del nostro sistema politico e la perdita di credibilità di Berlusconi hanno regalato in questi ultimi mesi a Giorgio Napolitano una posizione di forza sconosciuta in precedenza agli altri presidenti della Repubblica. Sarà lui a guidare politicamente questa fase, soprattutto il probabile passaggio ad un governo di emergenza nazionale guidato da figure esterne.

Il “siamo come la Grecia” per l’Italia ha poi un senso non solo finanziario, ma anche politico. Sapremo essere responsabili nel gestire una fase storica così convulsa, e che ci presenterà sicuramente il conto per gli anni a venire? Nel rispondere a questa domanda dobbiamo considerare anche i possibili scenari negativi. Divisioni politiche, misure rimandate e rimesse in discussione, rimbalzo delle responsabilità, crescita di spinte secessioniste, proteste di piazza guidate dai sindacati, movimenti sociali contrari alle misure di austerità decise dal direttorio franco-tedesco e dalla BCE, settori dell’opinione pubblica che chiederanno il ritorno alla lira, credit crunch per le piccole e medie imprese, aumento della disoccupazione.

E’ il modello greco, e ci conviene studiarlo con attenzione nelle sue evoluzioni. Perché da oggi per i mercati finanziari siamo diventati greci anche noi.

News da Twitter
News da Facebook