Significativamente Oltre

speranza

Venerdì a Potenza #ApriteilPDBas : la transizione energetica sia al centro di una rinnovata segreteria regionale

ApriamoPDBas

Sosteniamo l’iniziativa #ApriteIlPDBas indetta dal Segretario del PD della Provincia di Potenza, Antonello Molinari.

Perché speriamo che la prossima segreteria regionale del Partito Democratico lucano si apra alle tante e variegate intelligenze presenti sul territorio e con esse definisca un inclusivo programma politico incentrato sulle esigenze di una Basilicata moderna, istruita, innovatrice, che vuole giocare la partita della competizione tra Regioni di Europa2020 da protagonista.

Fondamentale in tal senso che il Partito Democratico della Basilicata si doti di competenze nuove e interdisciplinari e di radicamento nella società vasta per comprenderne i desideri e ambizioni profonde, e comprenda che è arrivato il tempo per la Lucania di farsi leader della transizione energetica, orientata alla sostenibilità ambientale, che ormai è davvero in arrivo, visto che, ad esempio, “nel 2040, il 35% delle nuove auto (contro l’1% di oggi) avrà una spina per ricaricare le batterie“.

Perché la Regione in cui “vive” Matera2019 deve e può diventare il motore dello sviluppo sostenibile di tutto il Paese, accompagnando, con un rinnovato sostegno del governo nazionale, la trasformazione della più grande area petrolifera di Italia verso il futuro, che risiede nella assoluta centralità delle risorse ambientali, appunto.

Potenza, Roma, 6/4/2016

Massimo Preziuso

Innovatori Europei

Speranza: «Il governo deve ripartire dal Sud più spesa e investimenti pubblici»

Intervista a Roberto Speranza di Nando Santonastaso – Il Mattino

Forse davvero la politica si sta accorgendo  del baratro in cui è finito il  Mezzogiorno. Perché dopo le devastanti  anticipazioni del rapporto  Svimez 2014 e la costituzione  dell`intergruppo Mezzogiorno, trasversale  alle forze parlamentari, è il  capogruppo Pd alla Camera Roberto  Speranza – che del nuovo organismo  fa parte – a provare a svegliare  il Palazzo. «Sono rimasto sconcertato  dal silenzio, dall`assenza di dibattito  e di confronto che ha accompagnato  i dati Svimez, contrariamente  a quanto di solito accade in politica  su temi magari anche meno importanti»,  dice Speranza, meridionale  di Potenza.

Silenzio da rassegnazione?

«Non lo so. Mi preoccuperei se si  fosse trattato di indifferenza. Ero  anch`io alla Camera alla  presentazione dei primi dati del  nuovo rapporto Svimez, in qualità  di capogruppo del Pd. E di fronte  alla gravità della situazione mi  sarei aspettato ben altre reazioni.  Sono anni ormai che ci  continuano a piovere addosso  statistiche e rapporti che  documentano quanto sta  accadendo nel Sud: ma non vedo  un dibattito consapevole di tutto  ciò».

Ma non tocca alla politica  assumere questa  responsabilità?  E non è proprio  il partito di  maggioranza  relativa a  doversene fare  carico più degli  altri?

«Intanto prima  ancora della  politica, che ha  certamente le sue  responsabilità,  mi pare che siamo di fronte a una  sorta di impotenza dell`opinione  pubblica, di indifferenza come  dicevo prima. Che è purtroppo un   elemento di novità rispetto al  passato. Perché di fronte a certi  dati è incredibile che non si apra  un dibattito nazionale sul  Mezzogiorno. Oltre tutto i dati del  Pil del secondo trimestre, con un  calo superiore al previsto,  impongono questa scelta: ma se  un Paese non riparte da un`area  che ha perso il 3,5% di Pil in un solo  anno, di cosa discutiamo?».

Già, ma ne è consapevole anche il  governo?

«L`ultima cosa che possiamo fare  su questo tema è dividerci tra di  noi. Io so, ne abbiamo parlato  spesso con Renzi, che il governo è  consapevole di questa situazione.  Io ho un`idea e penso che su di  essa si possa ragionare in termini  concreti. Penso cioè che se non c`è  un`inversione di tendenza rispetto  alla politica del rigore dell`Unione  europea, l`Italia rischia di non  uscirne viva e il Mezzogiorno di  non accorciare più il divario con il  centronord».

Per cui, cosa bisognerebbe fare a  suo giudizio?

«La battaglia del governo in  Europa perché siano superati in  vincoli del 3% del Patto di stabilità  abbia come obiettivo il  Mezzogiorno. Perché è in  quest`area che i danni prodotti da  una regola assurda si fanno sentire  in maniera drammaticamente  elevata. Ed è qui, di conseguenza,  che il cambio di passo avrebbe  risultati decisivi per la  crescita del Paese».

Si spieghi meglio: perché  abbattere il muro del 3%  favorirebbe un ritorno  economicamente  significativo al  Mezzogiorno?

«Perché svincolare gli  investimenti pubblici e  privati da quella soglia  significherebbe rimettere  in moto il Sud nei cui  confronti la spesa in conto  capitale, che è decisiva per le sorti  di un territorio, ha subìto un calo  incredibile. Lo ha rilevato proprio  la Svimez. I tagli agli investimenti   in infrastrutture, ad esempio: se  nel centronord si sono mantenuti i  livelli di spesa per opere pubbliche  di 40 anni fa, al Sud oggi si spende  un quinto di quanto si faceva negli  anni `70».

Sta dicendo insomma che se il  Paese non ripartirà veramente  dal Sud non riuscirà ad  agganciare la ripresa, se ci sarà,  del prossimo anno?

«Certo, ma questo – sia chiaro – non  vuol dire rimettere in  discussione la spending review o  gli impegni internazionali del  Paese. La battaglia che credo  andrà fatta dal governo è per  liberare gli investimenti, non per  altri obiettivi. Abbattere il tetto del  3% e rilanciare il Sud al pari degli  interventi per le scuole e contro la  povertà mi sembrano le priorità  assolute in questa fase. Un Paese  che ha appena dimostrato di  potere e sapere fare riforme  complesse, come quella del  Senato, può e deve ottenere  altrettanta disponibilità  dall`Europa».

Pensa che anche il suo partito  oltre che il governo condividerà  questa scelta?

«Io non ho dubbi anche perché è  arrivato il momento di mettere fine  alla vulgata secondo cui il Sud  avrebbe beneficiato di maggiori  investimenti pubblici. I dati  dimostrano esattamente il  contrario: sul fronte degli  investimenti delle imprese  pubbliche nazionali, cito ancora la  Svimez, al Sud nel 2012 sono  crollati de112,8% rispetto all`anno  precedente mentre al centronord  nello stesso periodo sono saliti del  2,9%».

Eppure la sensazione è che si  rinunci a investire nel Sud  perché in fondo non ne  varrebbe più la pena…

«Io penso che al netto di  chi racconta di un Sud  sommerso di risorse  pubbliche, esista al  contrario una realtà nella  quale i limiti della spesa  emergono in maniera  chiara. Ecco perché un piano di investimenti per il  Mezzogiorno che possa  liberarsi dal vincolo del 3%  può e dev`essere la strada da  percorrere».

Dopo due trimestri negativi, il Pil  meridionale sarà anche nel 2014  con il segno meno. E la Svimez è  pessimista pure nel 2015: non  sarebbe il caso di interventi-choc  per rilanciare questa parte del  Paese?

«Intanto mettiamo al centro della  crescita il Sud perchè la via dello  sviluppo non può che ripartire da  qui dove sono concentrate la  maggiore disoccupazione  giovanile del Paese e la quota più  bassa di occupazione femminile.  Anche per questo la questione  meridionale o come la si vuole  definire è una questione  nazionale. Le scelte per il Sud non  potranno che influenzare  positivamente tutto il Paese. Non  so se occorrerà un intervento choc:  di sicuro il governo ha già  imboccato la strada di assicurare al  Mezzogiorno un sostegno  prioritario nelle sue ultime  misure».

A cosa si riferisce?

«Al pacchetto approvato il 22 luglio  dal consiglio dei ministri che  destina alle regioni meridionali  l`80% di oltre un miliardo e 400  milioni stanziati per la crescita  attraverso i contratti di sviluppo.  Non è un segnale come altri  considerate le potenzialità  espansive del territorio  meridionale e ovviamente anche i  suoi enormi ritardi. Naturalmente  questo non può far dimenticare  che occorrono investimenti forti in  infrastrutture, turismo, reti  immateriali, logistica: e che  servono anche investimenti  privati».

Non abbiamo  parlato finora di  fondi europei,  spesso ritenuti  l`unica  medicina per  guarire  l`ammalato Sud:  è un caso?

«I fondi europei  sono importanti  a condizione che  siano spesi bene.  I ritardi del Sud  in questo specifico settore sono  evidenti: per questo credo che sia  giusta la decisione del governo di  monitorare attraverso l`Agenzia  per la Coesione il loro utilizzo».

Intanto però il governo ha  rinunciato al ministro per la  Coesione: lei ha condiviso questa  decisione?

«Ne ho preso atto e ho fiducia che il  lavoro del sottosegretario  Graziano Delrio sia proficuo e  all`altezza della sfida. Di sicuro sul  terreno dei fondi europei l`Italia si  gioca una partita decisiva. Noi  dobbiamo avere una visione  strategica convinta: perché sfidare  l`Ue sulla soglia del 3% per  investire al Sud vuol dire  naturalmente assumersi come  Paese la responsabilità di  spendere bene le risorse  comunitarie».

Final report from Projects for another Italy in Europe, 30 novembre 2013, Rome

massimo convegno

Projects  for another Italy in Europe November 30, 2013 , at 10-14 Via Sant’Andrea delle Frate 16 , Rome – Conference Hall , Democratic Party

National and international experts from academia , institutions , from industry and enterprise, many young people partecipated to “Projects for another Italy in Europe”.

After the messages received by the Minister Bonino, the President of the Chamber Boldrini , the Secretary of the Democratic Party Epifani , the Deputy Minister Catricalà, the Vice – Chairman of the European Parliament Pitella, a statement of support and appreciation to the initiative by the Mayor of Rome Marino, the video message from the leader of the House of Deputies Speranza opened the conference.

Massimo Preziuso , President of European Innovators , did a quick overview on the project , which started in 2006 as a place for development and design of indipendent policy, supporting the idea of ​​the urgency of establishing a new political reformist and pro-European party , remains today an autonomous movement that operates in Europe and in the world .

The interventions , thanks to the distinguished speakers have pointed out – hoping for new directions of political and economic growth for Italy in Europe and in the world, in a context characterized by the difficulties of the United States , the complexity of the Chinese and Indian growth , the new opportunities from southeast Asia, and the natural but culturally difficult convergence with reality like Turkey or north Africa – the urgent need to strengthen the italian strategy and industrial policy.

It also became clear that Italy can be a leader in the software industry and know how based industries , and how the project European Innvoators , building collaborative networks for the promotion of Italian talents in the world is the lifeblood for the revival of a joint project to support Italy and Made in Italy in the world.

It  has been so easy to go to the final session, remembering how European Innovators has already given way to political experiences with independent programs based on a new policy-making aimed at the transformation of smart cities and their governance in progressive optic .

From the conference, it is clear the need for a country that produces wealth and consumption in all the territories and put in a new network knowledge and production, in which medium towns and large cities, around a Smart Capital, remain the protagonists.

The need to give breath to a wider European movement , shared with many of the featured speakers, in a collaboration with the different pro-European organizations, based on the hot topics and more than actual 2014 european elections (during the 2014 first semester of Italian Presidency of Europe the real construction of a Euro-Mediterranean community , with a ”South of Italy” leadership, will be necessary), will see European Innovators as a protagonist of the Italian revival in Europe, starting with the next election campaign.

The construction of an Italian leadership in Europe and in the Mediterranean passes exactly by a renewed capacity to develop complex long-term projects. This will continue to be our goal and our commitment .

Saluto del Vice Presidente vicario del Parlamento Europeo, Gianni Pittella, a Progetti per un’altra Italia in Europa, 30 novembre 2013, Roma

Gianni PITTELLA Vice President of the European Parliament
Bruxelles, 30 novembre 2013

Cari amici,
caro Massimo,

mi spiace non potere essere presente quest’oggi alla vostra importante iniziativa, ma impegni istituzionali mi impediscono di essere con voi.
Le forze democratiche del nostro Paese sono di fronte ad un passaggio cruciale. Una grande fase di cambiamento si sta aprendo e la grande battaglia del futuro non riguarderà organigrammi e incarichi, ma sarà una sfida di e tra idee.

In questa fase di ricomposizione, in cui si stanno tratteggiando i contorni della sinistra che sarà, Innovatori Europei dovrà contare con tutto il peso delle sue idee e l´iniziativa di oggi s’iscrive perfettamente in questa logica. I temi che affrontate sono decisivi per il Paese e per la sinistra: l’Europa innanzitutto perché il futuro dell’Italia dipende dal legame che sapremo consolidare tra il nostro paese e un’Europa che cambia, che non si limita a rigide politiche di austerità. La battaglia per il Talento e quella per il Mezzogiorno devono anch’esse essere il cuore del dibattito sul futuro della sinistra e dell’Italia.

Sono certo che l’appuntamento di oggi sarà solo un passaggio di un percorso che Innovatori Europei ha cominciato ormai da qualche anno e che l’ha portata a diventare uno degli attori più promettenti del dibattito culturale e politico.

Un caro saluto,
Gianni Pittella

Un centro di ricerca euromediterraneo sulle tecnologie e risorse energetiche del futuro. In Basilicata

di Massimo Preziuso (su L’Unità)turbina

La Lucania è terra di risorse naturali preziose, che la dovrebbero rendere tra le più ricche di Italia.

Eppure, da sempre, e ancora oggi, le statistiche economiche dicono incredibilmente il contrario.

Secondo dati pubblicati dalla Banca di Italia, la regione Basilicata risulta sempre più arretrata nel contesto nazionale. PIL 2012 al -3% , disoccupazione attorno al 15% e accentuata caduta della produzione industriale, del 9,5% rispetto al 2011.

Senza una forte presenza di piccola e media impresa diffusa, capace di competere sui mercati internazionali (anche e soprattutto per carenza di infrastrutture), la Regione in questi anni è sopravvissuta al tornado della crisi soprattutto grazie alle imponenti attività estrattive di petrolio e gas. Le compagnie petrolifere infatti estraggono enorme ricchezza dal territorio in cambio delle cosiddette “royalties” compensative.

Con risorse davvero ingenti – solo 2011  erano pari a 120 milioni di euro (di cui 100 milioni destinati all’ente Regione) – al netto di alcune interessanti ed iniziative in ambiti “nuovi” per la Basilicata (come il cinema, la cultura), non si è riusciti finora a disegnare alcun vero cammino di sviluppo sistemico. A livello regionale le royalties sono infatti servite al finanziamento di voci di bilancio (università, sanità), al finanziamento di “buoni benzina” (!), mentre a livello locale al più all’avvio di piccoli progetti occupazionali.

E proprio nei giorni scorsi l’Unione Europea certifica la retrocessione della Regione Basilicata, che torna tra le regioni “Ex – Obiettivo 1”.

E allora, passati vari anni dall’inizio di questo ciclo estrattivo intensivo – che non durerà all’infinito e che impatterà pesantemente l’ambiente – in tanti  si chiedono se e come esso potrà ancora determinare un impatto positivo sullo sviluppo di lungo periodo della Regione.

E’ evidente infatti che la rendita assicurata da risorse naturali – postulata nella staple theory – non è un fenomeno naturale, soprattutto in una Regione povera e piccola come la Basilicata, carente di un sistema di imprese diffuso.

Ed è proprio quella – l’imprenditorialità diffusa – la condizione necessaria allo sviluppo territoriale legato allo sfruttamento di risorse naturali, come quelle petrolifere. L’impresa quale moltiplicatore di sviluppo.

Ma è anche evidente che – per essere competitive e quindi insediarsi – le imprese necessitano di un milieu adatto.

Ebbene, oggi ci sono proprio tutte le condizioni al contorno per crearlo questo contesto “imprenditivo”:

– La Strategia Energetica Nazionale pone su un piano di forte centralità la Basilicata nel futuro dello sviluppo energetico ed economico del Paese.

Si parla infatti della realizzazione di un hub energetico dell’euro mediterraneo e si indica nella Basilicata il baricentro di una piattaforma di servizi di alto livello nel settore della distribuzione, attraverso imponenti attività di stoccaggio e lo sviluppo di una rete “smart” su scala europea e mediterranea.

– Il memorandum Stato – Regione sul petrolio lucano approvato nel mese scorso continua ad andare in questo senso, anche se va assolutamente “rinforzato” nella qualità e nella quantità della progettualità ipotizzata, ed equilibrato nella sua visione “centralistica” di governance di risorse che sono “locali”.

– La prossima programmazione dei fondi europei 2014-2020 prevede la necessità di un approccio “strategico” e di “originale” allo sviluppo delle regioni in ritardo di sviluppo.

Dunque, se al futuro davvero si vuole arrivare, e non ci si vuole ritrovare invece con un territorio semplicemente depauperato di risorse naturali e di ricchezza ambientale, è bene cominciare a parlare di una strategia di sviluppo, che sia “sostenibile” sia da un punto ambientale che da un punto di vista economico, che sia “strategico”, e che sia “originale”.

E’ per questo necessario partire dalla messa a rete del sistema dei saperi universitari e dell’industria energetica attorno allo sviluppo di un distretto delle tecnologie e risorse energetiche del futuro. Un progetto che veda protagonisti per primi i colossi petroliferi “lucani”– ENI, TOTAL e SHELL – e la Regione Basilicata, insieme nel promuovere un nuovo utilizzo delle royalties petrolifere nel rapido disegno e successiva implementazione di una strategia che guardi al futuro.

Un progetto, questo, di chiara valenza internazionale, in quanto centrale per lo sviluppo delle politiche energetiche dell’area euro – mediterranea, che quindi deve vedere coinvolta la Commissione Europea e i fondi strutturali 2014-20, oltre alle risorse derivanti dall’estrazione petrolifera.

Di un polo energetico internazionale si parla da tempo nel documento Strategia Regionale per la Ricerca, l’Innovazione e la Società dell’Informazione della Regione Basilicata. 

E la realizzazione di un distretto dell’energia è presente tra i progetti presenti nel “Memorandum petrolifero” tra Stato e Regione da poco pubblicato in Gazzetta ufficiale.

La Basilicata può oggi ambire a diventare il principale hub di ricerca e sviluppo di base e applicata (all’impresa) nei settori della manifattura legata all’energia del futuro (rinnovabile e fossile).

E così porsi come attrattore di nuove imprese, investimenti e professionalità internazionali.

Questa è la Lucania che si deve osare ad immaginare da adesso. Ed oggi ci sono proprio tutte le condizioni politiche al contorno per farlo.

Cosa ci dice l’evasione fiscale nel nostro territorio

immagine di Giuseppina Bonaviri

 “Il Sole” ha pubblicato la stima dell’evasione fiscale nelle 103 province italiane elaborata dal Centro Studi Sintesi. Il Centro ha incrociato i dati, relativi al 2011, del reddito disponibile pro-capite, con il benessere effettivo delle famiglie ed ha ricavato una graduatoria, in cui tanto più alta è la differenza fra i due dati, tanto maggiore è stimato l’ammontare del reddito che è sfuggito al fisco. La provincia di Milano è considerata con 152 punti quella con il minore tasso d’evasione;  quella di Ragusa, con 52 punti, la meno virtuosa. Nel Lazio, la provincia di Roma occupa l’11° posto,con 123 punti; le altre quattro, sono nella parte finale della graduatoria: Frosinone è all’86° posto, Rieti e Latina all’94°, Viterbo al 98°.  

 Fanno riflettere le stime dell’evasione fiscale, nel 2011, nelle province italiane pubblicate dal quotidiano economico della Confindustria, sia per i livelli di evasione stimati paragonabili a quelli delle province meridionali maggiormente in ritardo nello sviluppo sia per l’arretramento  della situazione socio-economica, nel 2012 e nel 2013, come più volte denunciato anche da Confcommercio, Confindustria Lazio e da Cgil, Cisl, e Uil.

Nel corso degli anni ci è stato fatto credere che un maggiore benessere potesse essere conseguito allentando “lacci e lacciuoli”: liberare le risorse morali e culturali della società civile ed i vincoli della Pubblica Amministrazione, per inseguire le migliori opportunità, sperando che questo condizioni fossero sufficienti ad una crescita complessiva. Ciò non si è verificato e la crisi mondiale ha ulteriormente aumentato le disuguaglianze e gli squilibri esistenti nel nostro territorio e fra questo ed il resto della regione, in particolare con la Capitale.

Eppure per quanto grave dovremmo evitare di soffermarci sul riflesso economico ed osservare le conseguenze che un così elevato tasso di evasione fiscale produce nella sottostante situazione sociale e della convivenza civile.

Una prima considerazione è che le dimensioni dell’evasione nel nostro territorio è tipica di economie locali in cui situazioni di eccellenza sopravvivono in un contesto di sottosviluppo. Assumerne consapevolezza significa intervenire in quell’indispensabile potenziamento del territorio che l’accordo di programma di 80 milioni di euro, dovrebbe iniziare a rendere possibile, per invertire la tendenza. Il secondo elemento di questa strategia è recuperare un’autonomia fiscale a livello comunale in grado d’essere meno gravosa sulle attività produttive e con l’auspicio di far emergere, con accordi sugli oneri sociali ed i contratti, le attività economiche in nero. Un’esigenza questa di cui si dovrebbe farsi carico anche la Regione Lazio.

Una seconda considerazione che scaturisce dalla stima dell’evasione fiscale è che il reddito sottratto al fisco attraverso l’economia sommersa e il lavoro nero, chiama in causa un’emergenza economica e sociale più vasta: i finanziamenti al consumo e alla produzione al di fuori dei circuiti legali. Non è questa una novità per la provincia di Frosinone: la Rete La Fenice e Libera denunciarono già nel dibattito pubblico avvenuto a Frosinone nel dicembre 2012 -in occasione della prima conferenza tematica “ Per una Regione libera dalle mafie e dalla corruzione”- le dimensioni gigantesche del fenomeno e l’inquinamento che produce nella vita collettiva: Cassino e Frosinone- secondo le stime  2011/2012 dell’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della nostra Regione- si trovavano ai primi posti tra i comuni dell’intera Regione come il paradigma negativo di quello che succede in una regione amministrata male. Infatti il lavoro senza tutele e l’immissione illegale di capitali che non di rado sconfina nell’usura e nell’espropriazione di proprietà ed attività economiche per quanti non  sono in grado di assolvere agli impegni assunti, sono forme di subalternità fisica e psicologica delle persone di cui occorre avere piena consapevolezza nell’interesse di tutti.

C’è infine un aspetto nell’evasione fiscale che sembra essere divenuto retorico ma che, invece, non lo è affatto: il venir meno del rispetto della legalità. La trasgressione dell’obbligo fiscale è una insidia per il più generale rispetto delle leggi e dell’autorità dello Stato. Deve inquietare in pari misura i responsabili della cosa pubblica ed i cittadini: i primi per la delegittimazione del proprio operato, i cittadini per il venir meno della consapevolezza d’esser essi stessi parte di una unica comunità. L’intreccio sempre più stretto tra corruttela e criminalità e non soltanto quella organizzata, favorisce un clima opaco e lesivo del libero svolgimento delle attività istituzionali ed imprenditoriali, alimentando l’incertezza del diritto, minando la sensibilità e la coscienza morale del paese con un sentimento diffuso di sfiducia che, di per sé, è nocivo allo sviluppo dell’intera Nazione.

 

 

 

Regione e petrolio, ultima chiamata (per la Basilicata)

Sarebbe interessante un confronto pubblico tra gli schieramenti elettorali (e i rispettivi candidati governatori) su un progetto condiviso e definito per la Basilicata petrolifera, che identifichi il traguardo da raggiungere

di MASSIMO PREZIUSO su Il Quotidiano della Basilicata

IN QUESTI giorni mi è capitato di leggere una serie di notizie che riguardano il tema del petrolio della Basilicata, terra da molto tempo paragonata ad una sorta di Arabia Saudita di cui ad oggi, forse, in pochissimi, hanno potuto constatare i tratti positivi. E’ di qualche giorno fa la bocciatura da parte del Consiglio di Stato del cosiddetto “bonus benzina”, con il rischio per i cittadini lucani del rimborso delle somme già percepite.

In molti ritennero quella iniziativa poco pertinente, in quanto sembrava voler risolvere la normale e forte tensione legata alla intensa estrazione petrolifera in una Regione – in questo caso poi riconosciuta per la sua formidabile qualità “ambientale” – con un contributo economico di qualche centinaia di euro per abitante, per di più vincolato all’acquisto di una benzina più cara che nel resto della penisola.

Aldilà della beffa per i cittadini, è bene che questa strana forma di compensazione ambientale termini e ceda il passo ad una visione strategica della royalty petrolifera quale moltiplicatrice di sviluppo (tema su cui ricercatori ed industria energetica studiano da tempo).

Nel contempo si legge di 2 miliardi di euro che il governo dovrebbe trasferire alla Basilicata, forse già a partire da settembre, tramite una cabina di regia nazionale, che accompagni finalmente all’operatività quel   piano di sviluppo infrastrutturale ed occupazionale, di cui si parla da tempo, anche nel memorandum di intesa Stato – Regione del 2011.

Dal 2011, va poi detto, la Regione risulta ancora più centrale nei piani di sviluppo (energetici) nazionali ed euro – mediterranei (si legga la Strategia Energetica Nazionale approvata quest’anno).

Volendo allora essere ottimisti ed ipotizzando che queste risorse arriveranno davvero, si può affermare che questa sia l’ultima chiamata per il rilancio di una strategia di sviluppo legata alla attività estrattiva, in una Regione che esce fortemente provata (tra le altre, nell’ordine del 10% di ricchezza regionale prodotta), da una crisi iniziata nel 2007, oggi arrivata alla sua durissima coda finale, che ha colpito ancora maggiormente quel Mezzogiorno troppo poco presente, per limiti culturali e logistici, sui mercati internazionali.

Se a questi fatti si aggiunge che molti dei leaders politici lucani, soprattutto del centrosinistra, oggi ricoprono incarichi di primissimo piano nel governo e nelle istituzioni, vi è spazio affinché questa opportunità venga colta pienamente: cominciando da subito, con un lavoro da svolgere a Roma, per far sì che la Cabina di regia nazionale, che dovrebbe gestire la allocazione ottimale di queste importanti risorse aggiuntive (2 miliardi di euro equivalgono 20-25% del PIL regionale, per intendersi), e più in generale il tema delle royalties, sia composta da un mix perfetto di personalità e professionalità (europee, nazionali e locali) che possano lavorare insieme per segnare almeno un goal concreto in tempi accettabili.

Uno tra questi goal può riguardare la realizzazione di quella grande infrastruttura di alta velocità ferroviaria Taranto – Potenza – Salerno, su cui anche il sottoscritto e gli Innovatori Europei dibattono da tempo (anche partecipando alla Viggiano Sustainable Development School e su questo giornale, con un contributo dal titolo “L’alta velocità ferroviaria per il rilancio della Basilicata”, pubblicato ad ottobre 2012), che potrebbe finalmente dare il senso di una voglia di “futuro connesso” ad una Regione che da decenni vive culturalmente e fisicamente isolata, rischiando di scomparire, prima o poi, dalla mappa geografica.

Una infrastruttura ferroviaria, questa, che colleghi rapidamente tre regioni meridionali (la Puglia, la Basilicata e la Campania) così fortemente complementari, e che permetta a persone e cose di dialogare pienamente, finalmente, con l’Italia, con l’Europa e un domani molto prossimo con l’area mediterranea e asiatica (tramite le strategiche “porte” di Napoli e di Taranto).

Su questo tema, se si vuole cominciare con passo deciso, e viste le imminenti elezioni regionali, sarebbe altresì interessante un confronto pubblico tra gli schieramenti elettorali (e i rispettivi candidati governatori) su un progetto condiviso e definito per la Basilicata petrolifera, che identifichi il traguardo da raggiungere.

Che sia quello ferroviario, aeroportuale o legato ad una piattaforma di rilancio industriale o turistico, alla fine, poco importa: basta che sia uno solo e sostanziale.

Sarà così la popolazione a scegliere, insieme alle istituzioni – locali, nazionali ed europee – in quale direzione vuole andare.

E’ finita la recessione?

di Francesco Grillo su Il Messaggero

Periodicamente ai malcapitati premier che provano a guidare l’Italia attraverso la crisi economica più lunga e brutale dalla seconda Guerra mondiale, capita di dover vedere segnali di ripresa per iniettare nel sistema le dosi di fiducia che sono necessarie per reagire. Esattamente un anno fa, a Monti parve di vedere la luce alla fine del tunnel. Dopo un altro anno di recessione, è il Ministro dell’Economia a invocare stabilità per consolidare l’inversione del ciclo economico che, secondo Saccomanni, dovrebbe consolidarsi subito dopo l’estate.

Tuttavia, stavolta c’è il rischio che la luce sia, davvero, quella di un Tir,  di un ulteriore aggravamento della congiuntura che si sta avvicinando ad un Paese già fortemente debilitato: infatti, proprio nella stessa settimana nella quale in Italia  si annuncia la fine della crisi, l’Economist dichiara, sulla base dei dati macro che arrivano da mesi da tutto il mondo,  esaurita la grande spinta propulsiva che le economie di Cina, India, Brasile e Russia sono riuscite ad imprimere per vent’anni all’economia mondiale e iniziata la “grande decelerazione” che rischia di penalizzare ulteriormente chi per vent’anni è rimasto fermo.

Se così fosse entreremmo in una fase successiva a quella genericamente chiamata della “globalizzazione”: utilizzare i mercati emergenti come possibile sbocco delle esportazioni non basterà più e i margini di crescita del benessere di una qualsiasi società, e ancora di più per quella italiana, verranno interamente giocati nella partita della innovazione. E ancora di più risulterà indispensabile, sciogliere quei nodi strutturali che ancorano – aldilà di eventuali rimbalzi tecnici –  l’economia italiana ad un trend di lungo periodo che continua ad essere fortemente negativo.

È comprensibile, quindi, invocare stabilità politica per poter trasformare un piccolo aumento di fiducia in aspettative; sarebbe un errore tragico incoraggiare l’idea che, forse, ce la potremmo fare – ancora una volta – senza completare quei cambiamenti che gli ultimi due governi hanno solo cominciato. Del resto è lo stesso Enrico Letta a ricordare che la stabilità stessa è un valore solo se serve ad affrontare le questioni sulle quali ci giochiamo il futuro.

In un contesto sempre più dominato dall’investimento in competenze e talento, come farà a sopravvivere un Paese che spende, dopo vent’anni di interventi marginali, in pensioni quattro volte di più di quello che spende in educazione, dagli asili alle università? Come possiamo sperare di ridurre e qualificare la spesa pubblica se non stabiliamo – aldilà della battaglia infinita sul tetto agli stipendi dei manager – criteri oggettivi per valutare le prestazioni di chi gestisce i soldi dei contribuenti e vi leghiamo la remunerazione e la conferma? Come si può pensare di attrarre investimenti esteri in Italia, se secondo le classifiche della Banca Mondiale ci collochiamo per la capacità di far rispettare i contratti nei tribunali, al centosessantesimo posto nel mondo, dopo il Madagascar e lontanissimi dalla Grecia? E con quali argomenti possiamo trattenere le imprese italiane che trasferiscono – una dopo l’altra – la sede all’estero, se non mettiamo mano ad un ridisegno globale dei meccanismi di distribuzione, definizione e accertamento delle imposte che vada aldilà del gioco a somma zero su IVA e IMU?

Sono queste le sfide da vincere per crescere davvero: avere il coraggio di discutere dei tabù dei diritti acquisiti e della intoccabilità del posto pubblico; proporre una vera strategia di cambiamento sulla giustizia e sul fisco che superi la logica delle guerre di posizione che hanno congelato tutto per decenni; trovare le parole per convincere anche i privilegiati che conviene mettersi in discussione.

All’ISTAT nelle stesse ore dell’annuncio di Saccomanni, è toccato certificare la serie negativa più lunga che l’Istituto abbia mai registrato nella sua storia di misurazioni: da ieri siamo all’ottavo trimestre consecutivo di contrazione del Prodotto Interno Lordo.

Per uscire dal tunnel è necessaria la fiducia nei nostri mezzi. Ma anche la consapevolezza che non può finire a tarallucci e vino. Che dalla crisi si esce cambiando. Spostando, cioè, risorse dalla conservazione di privilegi non più sostenibili a utilizzi che siano funzionali a farci trovare un ruolo in un contesto di competizione globale che è assai diverso da quello dal quale siamo praticamente usciti circa vent’anni fa.

News da Twitter
News da Facebook