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Il voto 2.0 nell’era dei big data

 ANSA

Il buio androne della casa di Bruges del mercante fiammingo Van Der Burse, nella seconda metà del XV° secolo tenne a battesimo le prime contrattazioni finanziarie moderne e sopratutto cominciò a porsi la necessità di dare forma a una misura dei corsi finanziari. Qualche decennio dopo ad Anversa nacque la borsa moderna e fu elaborato il primo indice del trading.Ma la storia di un indicatore che desse una valutazione sintetica delle trattazioni economiche è molto più lunga. Per rimanere al mediterraneo ricordiamo il trapezita dell’antica Grecia e il curia mercatorum romano. Sempre all’origine di questi indici la necessità di misurare un nuovo linguaggio, un importante sistema di valori, che non aveva una propria codifica.

Il movimento del denaro, più della sua accumulazione, era il nuovo motore dell’economica. E bisognava dargli un sistema metrico. La stessa necessità emerge ogni volta che si afferma un sistema valoriale: il potere, il consenso, il calore, la velocità, la potenza, la luce, la gravità. E, ormai da vari anni, la creatività e la tecnologia. Il Nasdaq, il mercato dei titoli tecnologici, ha avuto la forza di staccarsi dall’Indice Dow Jonas di Wall Street proprio in virtù di una diversa natura qualitativa delle aziende che misura.

Ora si stanno mischiando le acque, e, a esempio, consenso, sapere, e comunicazione, convergendo, danno corpo a una nuova forma di relazione umana: la significanza di rete.

Si tratta di un indice che, a secondo di un diverso mix fra fattori e indicazioni di contatto e di attenzione in rete, mostra il peso, la rilevanza, l’influenza di un soggetto nella comunità on line proporzionalmente alla pervasività che la rete sta assumendo nella nostra vita, invadendone tutte le dimensioni- personali, economiche, famigliari, culturali, didattiche, politiche- i nostri click stanno diventando un alias della nostra identità.

Da tempo ormai a livello comunicazionale e commerciale, la pista che tracciamo con i nostri movimenti digitali, viene ripercorsa e scandagliata dai grandi sistemi di “profilazione”, che ci identificano, analizzano, e scompongono, in base alla metabolizzazione dei dati che è utile realizzare. Ma questo è solo un aspetto della nostra vita social. Sempre più la rete è quello che Stefano Rodotà, per rimanere in Italia, ha codificato come il nuovo spazio pubblico, come l’agorà dove la nostra vita sociale scorre e si manifesta. La rete è specchio delle nostre opinioni, dunque anche indice.

Forse il primo caso clamoroso dove la misurazione della presenza digitale dell’opinione pubblica coincise perfettamente con la manifestazione del consenso popolare furono le elezioni presidenziali americane del 2008, quelle che decretarono il trionfo dell’allora debuttante Barack Obama. Il grafico che vedete sotto, mostra il differenziale nelle presenze e significanze di rete fra i due contendenti- lo stesso Obama e il senatore repubblicano Mc Cain -il giorno prima del voto, 3 novembre. Il dato coincise impressionantemente con il voto popolare. Fu la certificazione che la rete è la vita.
Da allora molti voti sono passati nelle urne. E sempre più la forbice fra le due dimensioni -virtuale e reale- è oggi praticamente chiusa.

Se retroattivamente andiamo a misurare la significanza -ossia quel complesso indice che misura le dinamiche di rete in base a valori quali fiducia, prestigio, influenza, presenza e dinamismo -ci accorgiamo che praticamente nella sfera occidentale la rete registra e anticipa le urne, sempre. Nelle successive elezioni di medio termine americane e poi nelle presidenziali del 2012, e ancora in Europa in Francia e in Germania, i trend tendono ad assimilarsi.

Con la differenza che mentre sondaggi e risultati finali rimangono dati numerici assoluti ma non analitici, la rete si articola subito nelle diverse componenti dell’indice unitario, permettendo una comprensione del processo di formazione del dato.

L’Italia non fa eccezione. Tutt’altro. Da tempo seguo sulla comunità www.mediasenzamediatori.org le elaborazioni sulla significanza di rete che elabora Rocco Pellegrini sui principali personaggi politici italiani.

Ora dalla politica si passa ai fenomeni sociali: quanto contano i negozi di Roma? quanto pesano sul mercato globale i ristoranti di milano? le università italiane sono più o meno dinamiche di quelle spagnole? e i servizi di economy sharing tedeschi sono più usati di quelli inglesi?

Domande che determinano il nuovo valore aggiunto di un territorio, incrementando la così detta value placement di un brand geo referenziato.

Il big data ormai determina, costituisce e anticipa il trend socio economico di una città o di un intero paese. A questo punto la domanda è: può ancora rimanere una pratica esoterica da stregoni occulti? questi dati che ormai battono moneta possono ancora essere abbandonati alla discrezionalità di questo o quel software?

Veniamo alle prossime elezioni amministrative. I dati di rete sono impressionanti. A Roma Giacchetti non vale la metà della Meloni. A Napoli la Valente non riesce nemmeno a essere apprezzata dai sistemi digitali. A Milano la differenza fra Sala e Parisi è maggiore di quanto accreditato dai tradizionali sondaggi. Possiamo lasciare queste proiezioni a chi ci costruisce su proprie strategie professionali.
Il prestigioso istituto di rilevazioni Gallup, il padre di tutti i sondaggisti, da tempo ha chiuso la sua sezione delle rilevazioni statistiche, perchè ormai il mercato è invaso e superato dal big data.

È necessario che l’Authority delle comunicazioni si appropri di questa materia e la disciplini, rendendo intellegibili e trasparenti le elaborazioni e dando all’intero settore una rilevanza istituzionale. Il voto aumentato sta ormai contando non meno del voto reale. E la democrazia si deve organizzare.

La vera sfera di cristallo: come la rete riproduce e anticipa il senso comune della società

di Michele Mezza e Rocco Pellegrini

Ha vinto la democrazia, ha vinto la gente, hanno vinto i referendari, ha vinto l’opposizione.

Ma sopratutto ha vinto la rete.

Questo è il nuovo spettro che si sta aggirando per il mediterraneo, nelle piazze egiziane, libiche, siriane, tunisine, spagnole, greche ed ora anche nelle urne italiane.

Il popolo della rete è diventato protagonista della scena politica italiana.

I principali osservatori, sorpresi dai risultati delle città come Milano e Napoli, si stanno rassegnando a considerare come plausibile spiegazione l’irrompere di un nuovo strano protagonista: l’elettore in socialnetwork.

Nadia Urbinati, su Repubblica, qualche giorno prima del voto del 12 e 13 giugno, si diceva certa del quorum sulla base della “scoperta” che la TV non è più il domino dei consumi mediatici nel nostro paese. Lo stesso Corriere della sera lunedì 13 giugno in prima pagina annunciava un articolo dall’eloquentissimo titolo “Il web protagonista tra spot ed ironia”.

Gli old media stanno ormai inseguendo i new media.

Il dato che colpisce e stupisce tutti è che nel nuovo mondo digitale i media non siano semplici strumenti di comunicazione, ma ambienti di attivazione, luoghi di relazione, motori di interattività sociale.

Si realizza qui la straordinaria previsione di Marshall McLuhan che già nei lontanissimi, dal punto di vista tecnologico, anni ’70 proclamava che l’utente è il contenuto.

E’ proprio la partecipazione dell’utente nel coprodurre il messaggio il nuovo contenuto ed anche il nuovo contenitore, dei media moderni.

La differenza fra i vecchi e nuovi media sta proprio in questa dinamica che trasforma persino la missione dei media: non più semplici strumenti, per quanto innovativi , di comunicazione ma vere macchine di produzione e di profilazione di soggetti sociali, che vengono trasformati dall’uso delle piattaforme digitali, da Facebook a Twitter.

Il sistema mainstream corre ormai dietro la rete in tutto il mondo non soltanto perché nella rete si arriva prima sui fatti e si creano i trend dei comportamenti sociali, ma soprattutto perché la gente, diciamo la pancia della società che frequenta la rete, sperimenta una libertà ed una potenza di interferenza nei processi decisionali prima di Internet assolutamente sconosciuta perché impossibile.

Questo nuovo “sistema di comunicazione” ha già fatto la differenza nelle elezioni del presidente degli Stati Uniti, come abbiamo documentato nel libro Obama.net, dove raccogliemmo la ricerca sui 4 anni di Obama in rete prima della sua elezione. Un comportamento segnato non dall’uso della rete come megafono, per meglio propagandare la propria candidatura, quanto dalla scelta di puntare sull’area sociale di chi in rete si immerge per lavoro o semplice interesse. Una “nuova classe sociale”, un nuovo ceto che pretende nuove culture di governo e , sopratutto, l’abilitazione a partecipare alle decisioni.

Un fenomeno non dissimile si è affacciato nelle piazze nord africane nei mesi scorsi. A minacciare i regimi al comando sono state folle di giovani, alfabetizzati e connessi che pretendevano un supporto efficiente da parte del proprio governo per competere e vincere sulla scena della propria vita.

L’Italia è diventata laboratorio avanzato di una nuova politica in socialnetwork.

Un’Italia che, forse sorprendendo alcuni osservatori pigri e tradizionali, è già in marcia sulla strada di una trasformazione sociale: 29 milioni di presenze attive in rete, +19% di incremento dell’ e-commerce, +40% di smartphone, 6 ore e mezzo a settimana su Facebook, il 50% delle piccole e medie aziende che già ha adottato soluzione di cloud computing per i propri servizi in rete. Sono dati che ci parlano di un paese nuovo, individualizzato, professionalizzato, competitivo e sopratutto digitale, culturalmente digitale.

Non sono cose nuove queste per noi di mediasenzamediatori.org , la nostra comunity che raccoglie il lavoro della cattedra di Teoria e Tecnica dei Nuovi Media dell’Università di Perugia, che da anni discute appunto delle discontinuità sociali, prima che tecnologiche, della rete.

Mettendo l’utente al centro della rete, possiamo dire, a buon diritto, e potendolo documentare, siamo riusciti a prevedere, con grande precisione l’esito del referendum.

Infatti , già da sabato, cioè il giorno prima dell’inizio delle votazioni mentre dominava la discussione sulla possibilità del quorum, abbiamo fissato il risultato finale della partecipazione al voto in un range che andava dal 55 al 60%. Non ci riteniamo né indovini, né brillanti analisti.

Siamo semplici osservatori dei nuovi fenomeni digitali.

Noi siamo convinti, che se si vuole capire dove vanno le cose nel tempo nostro, bisogna guardare alla rete non diversamente da come nel secolo scorso bisognava guardare alla fabbrica.

In questo spirito abbiamo cercato di usare elementi di statistica inferenziale, molto semplici, per capire le tendenze nei comportamenti di massa e siamo convinti che presto questi giochetti matematici diventeranno scienza “ufficiale” ed influiranno in molti campi, ad esempio nel giornalismo, con fenomeni importanti ed emergenti come il data driven journalism.

La rete, infatti, ci mette a disposizione grandi masse di dati che descrivono i comportamenti delle comunità sociali, delle imprese, dei cittadini nei più svariati campi e che, se correttamente interpretati, ci permettono di inferire cose concrete, molto concrete.

 

Ad esempio, quando nei giorni passati si discettava del raggiungimento del quorum, abbiamo sviluppato un piccolo programmino. Un programma per acquisire ed indicizzare i dati relativi ai pronunciamenti e alle dichiarazioni in merito al referendum sui principali socialnetwork, Facebook e Twitter.

Al primo campione, relativo a Facebook,abbiamo assegnato il 75% del valore finale ed a quello su Twitter il rimanente 25%.

Il risultato ottenuto ci ha dato una stima del quorum intorno al 58,5% con uno scarto di +-3%.

Non abbiamo diffuso i risultati per puri scrupoli scaramantici, ma ci siamo convinti che la partita fosse vinta con molto anticipo sui tempi reali.

Vuol dire questo che abbiamo un modello di previsione universale? No di certo: una cosa del genere non ha senso.

Ne parliamo semplicemente perché siamo convinti che la rete ci offra strumenti assai potenti e che di qui viene l’innovazione del nostro tempo.

Anche questa cosa dimostra come anche nel nostro paese ormai le comunità di socialnetwork riflettano, sempre più fedelmente, il senso comune di un intero paese.

Esattamente come fu per Obama.

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