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PD, articolo 18 e la sindrome del monopolista

francesco_grillo di Francesco Grillo

Conosco Ivan Scalfarotto, lo stimo e gli riconosco – per aver difeso le diversità – parte dei meriti che hanno portato il Partito Democratico a rimanere l’unico partito rimasto in piedi, dopo una guerra di posizione che ha svuotato il Paese di quasi tutte le sue risorse civili ed economiche. E, tuttavia, ieri sera mi è tornato in mente un episodio successo qualche anno fa: eravamo, credo a Piombino, si discuteva (ovviamente) di rinnovamento di classi dirigenti e, rispetto alla premessa che facevo di non essere iscritto al Partito Democratico, fu proprio Ivan a farmi notare – scherzando – che prima di partecipare al dibattito sarei dovuto andare in segreteria a risolvere questo piccolo dettaglio operativo, “perché il Partito Democratico discute del proprio futuro con chi vi aderisce”.

Mi è tornato in mente questo episodio ieri sera sentendo distrattamente del dibattito alla direzione del Partito. Un dibattito che chiunque giudichi le cose con un minimo di serenità, non può che ritenere surreale, tanto quanto quello che si è svolto negli ultimi dieci giorni sull’articolo 18. Per dieci giorni si è parlato fuori e dentro il PD solo di questo; il PD e il Paese sono sembrati sull’orlo di una crisi di nervi e di una scissione irreversibile; e, alla fine, di tanto rumore per nulla, siamo tornati – con la mediazione che, comunque, ha lasciato il Partito passato in tre tronconi attorno alla maggioranza larga per Matteo – al punto di partenza; lasciare la reintegra solo per i licenziamenti discriminatori e disciplinari è esattamente ciò che prevede l’articolo 18 nella sua formulazione attuale.

Mi è tornato in mente, l’episodio di Piombino perché il dibattito di questi giorni fa capire che dall’essere rimasto l’”unico ancora in piedi” (come alla fine di un film degli anni ottanta) resta di essere danneggiato soprattutto il PD. Senza un avversario da battere, senza alternative il PD rischia di implodere su se stesso. E deve essere questo l’ultimo, velenoso abbraccio che quel genio di Berlusconi sta riservando al partito che ha combattuto per vent’anni.

Il PD rischia se non è sfidato sui contenuti da nessuno, di non avere più contenuti. Oltre a quelli di una comunicazione, di una sociologia sulle intenzioni che rischia di non entrare mai, davvero, nel merito delle soluzioni. Credo che l’Italia ha bisogno di un PD forte e di una democrazia funzionante. Ed è per questo motivo che mi è tornato in mente Ivan. Perché è, proprio, nel momento in cui resti senza avversari che rischi di sederti e di cominciare a gestire il potere come se fosse fine a stesso. Mentre la società, quella che è fuori dalle stanze “dove si discute del futuro del PD” va avanti senza aspettare.

Sarebbe paradossale che la sindrome del monopolista colpisse una classe dirigente così giovane: è questo il momento per decidere di correre il rischio di andare a confrontarsi con chiunque abbia idee concrete.

Auguri ad Ivan Scalfarotto (Vice Presidente PD) ed a I Mille

Ivan scalfarotto

Siamo lontani da Natale, ma in questo periodo tocca fare, con piacere, molti Auguri.

Dopo Bersani e Letta, tocca ad Ivan Scalfarotto per la sua nomina a Vice Presidente del PD.

La vittoria di Scalfarotto rappresenta un successo, speriamo non l’ultimo, per i tanti movimenti associativi che sono cresciuti negli ultimi anni attorno al Partito Democratico.

I complimenti vanno fatti in particolare a I Mille, gruppo nato nel 2007 (ricordo di aver partecipato al loro primo incontro), che ha da sempre supportato il suo membro Scalfarotto e che oggi vede raggiunto questo importante traguardo.

Va aggiunto che la Mozione Marino, come fu per Letta e la Bindi alle Primarie 2007, ha dato un importante contributo di innovazione al PD, che a mio avviso continua a crescere e a rafforzarsi (seppure) lentamente e in maniera silenziosa.

Buon lavoro.

Massimo Preziuso

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