Significativamente Oltre

sanità

La seconda fase dello sviluppo cinese offre nuove opportunità per l’Italia (nella Sanità)

 

 La sanità, ultimo treno per l’Italia verso la Cina

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 08 febbraio 2014

È ormai un luogo comune parlare con preoccupazione del rallentamento della crescita cinese. Anche qui a Pechino si scrive con un certo allarmismo che l’aumento dello scorso anno è stato il più basso dal 1990 e che peggiorerà ancora nell’anno in corso. Quando tuttavia analizziamo a fondo i dati statistici, vediamo che la crescita è stata nel 2014 del 7,4% e che, nell’anno in corso si manterrà al di sopra del 7%, anche secondo le più pessimistiche previsioni. Per un paese che ha raggiunto un livello di reddito abbastanza elevato questi dati valgono più della crescita a due cifre che ha accompagnato la prima fase dello sviluppo cinese.

Le preoccupazioni non possono perciò nascere dal tasso di crescita del PIL che, nonostante il suo rallentamento, fa invidia a tutti, ma dalle decisioni politiche che il paese deve affrontare nel prossimo futuro per proseguire a correre a ritmo sostenuto e completare quindi il processo di modernizzazione iniziato quasi quarant’anni fa.

Il governo cinese si è recentemente imposto il compito di cambiare quello che noi definiamo un “modello di sviluppo” fondato sugli investimenti e sulle esportazioni, per passare ad una crescita più equilibrata, con un aumento dei consumi e del ruolo del mercato interno.

L’inizio di questa nuova strategia ha comportato una politica monetaria più prudente e un controllo di una “bolla immobiliare” che rischiava di fare salire al cielo il tasso di inflazione. Il governo ha perciò dovuto mettere mano al freno.

Il crollo del prezzo del petrolio e delle materie prime, delle quali la Cina è il massimo importatore, ha reso più facile questo riequilibrio dell’economia e, nello stesso tempo, ha provocato un progressivo rallentamento dell’aumento dei prezzi. L’inflazione è oggi al livello minimo da molti anni, per cui sono oggi possibili gli stimoli all’economia che fino a poche settimane fa rischiavano di innestare un processo inflazionistico.

Anche se può sembrare strano, un ulteriore elemento ha influito sulla minore crescita degli ultimi mesi: la lotta contro la corruzione, iniziata in grande stile dal presidente Xi. Una lotta che ha portato ad una diminuzione degli acquisti di un’ampia gamma di beni di lusso che costituivano uno dei rifugi più praticati dei proventi della corruzione.

Una lotta contro la corruzione che non solo esercita i suoi effetti nelle boutique dei beni di pregio ma che è l’oggetto principale delle conversazioni di Pechino, perché ha già portato veri e propri sconvolgimenti nelle cariche dello stato, nell’alta burocrazia e nel potente ambiente dei dirigenti delle imprese pubbliche. Una guerra fondata sulla convinzione che la corruzione era così diffusa da divenire un impedimento per lo stesso sviluppo economico della Cina. Una guerra, tuttavia, che può essere definitivamente vinta solo attraverso una maggiore indipendenza della magistratura dal potere politico. Un obiettivo solennemente annunciato dal Presidente Xi ma che si presenta ancora di difficile attuazione.

Dato per condiviso il fatto che la nuova fase di crescita non può consolidarsi senza un aumento dei consumi interni, è anche diventata dottrina comune che, senza un miglioramento della protezione pensionistica e sanitaria, i cittadini cinesi saranno ancora obbligati a risparmiare e non a spendere.

Si aprono quindi, almeno in teoria, nuove forme di possibili collaborazioni con noi europei, dato che il sistema sanitario americano, che fino ad ora è stato ed è ancora il principale se non esclusivo punto di riferimento dei cinesi, è intollerabilmente costoso, pur non offrendo una copertura universale, che è invece il fondamento dei migliori sistemi sanitari europei.

Se vogliamo fare un confronto che tocca direttamente il nostro paese dobbiamo ancora una volta ricordare che, nonostante tutti i rilievi che si possono compiere, il costo della sanità italiana è tra i più bassi d’Europa (spendiamo infatti tra il 7 e l’8% del nostro PIL) e noi italiani viviamo in media quasi quattro anni di più degli americani che spendono invece intorno al 17-18%.

Ebbene in questi giorni è in visita ufficiale a Pechino il primo ministro francese Valls e leggiamo che, nel contorno di questa visita, si è intensamente parlato di una strategia di cooperazione fra il sistema sanitario francese e quello cinese.

In Cina, per la debolezza delle nostre strutture, abbiamo lasciato agli altri ( cominciando dai nostri amici francesi) l’organizzazione delle moderne catene distributive. Non siamo ovviamente presenti nelle strutture alberghiere dove americani, asiatici e altri europei fanno da padroni e siamo quasi assenti dalle organizzazioni professionali e di consulenza che raggiungono ormai fatturati astronomici. Mentre cioè le nuove realtà, a partire da quella cinese, fondano la seconda fase del loro sviluppo sui servizi, noi praticamente non esistiamo, anche se i più alti profitti si realizzano soprattutto nel settore terziario. Non vedo tuttavia perché l’Italia non cerchi di recuperare parte del terreno perduto almeno nei campi, come quello sanitario, nei quali vi è ancora spazio per una nostra presenza. Non si tratta solo di prestigio (anche se il settore sanitario contribuisce tanto all’immagine di un paese) ma di una realtà che mobilita enormi ricadute economiche.

Certo tutte le nostre regioni (che hanno la competenza in materia sanitaria) hanno una dimensione nettamente inferiore a quella di una qualsiasi metropoli cinese, ma si dovrà pure trovare il modo di essere presenti con l’intero pese nei settori nei quali si può entrare solo se si opera in modo efficiente, integrato e capace di dialogare in modo paritario con le strutture pubbliche cinesi.

Operando in modo disperso e senza un sistema distributivo alle spalle abbiamo fino ad ora perso anche la gara del mercato del vino. La nostra insufficiente presenza in Cina è soprattutto affidata ad alcune medie imprese specializzate nella loro nicchia di mercato. Pur nei limiti della loro dimensione queste imprese stanno facendo grandi cose. È tuttavia ora di affrontare anche le sfide nelle quali si deve impegnare l’intero paese. La sanità, pur con infinite difficoltà, è ancora una sfida alla nostra portata.

Parliamo di sanità – I

giuseppina1di Giuseppina Bonaviri

Si assiste, ormai da troppo tempo, ad un moto immobile che colpisce il bel Paese. Le stagioni passano e le riforme sono ferme. Non c’è accenno di progetto e di programma per  risollevare le sorti di tanti italiani messi alla gogna da anni di mala politica. In questa immobilità come pensare di rilanciare innovazione e ricerca tanto più se volessimo impostare un piano sanitario strategico su concrete basi scientifiche ad iniziare dalle nostre periferie? La riorganizzazione dei servizi sociali e sanitari diviene parola d’ordine a partire dagli Stati Generali  che imposteremo nel nostro entroterra argomenti su linee guida programmatiche e senza veleni  che vedano al centro  diritti e persone, sostenibilità del sistema, trasparenza dei dati, emancipazione collettiva.  La salute non è un costo ma un investimento economico e sociale, un valore per l’intero paese e per la qualità dei suoi abitanti. Una cosa sarebbe risparmiare sulla sanità pensando di riorganizzarla e ammodernarla a partire dalla condivisione di un Patto per la salute altro sarebbe ridurre  il fondo sanitario.

Il Patto alla salute tra Stato e Regioni (risalente a giugno di questo anno) prevede un risparmio concordato con le stesse regioni, senza traumi, affinché ci si avvicini ai costi standard  per arginare corruzione e sprechi. Il finanziamento per il servizio sanitario nazionale di quest’ anno siglato con un accordo tra Stato e Regioni- salvo eventuali modifiche  che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e variazioni macroeconomiche- ammonta a 109,9 miliardi di euro e l’accordo con il governo prevede un aumento di circa 2 miliardi e mezzo per il 2015 e 2016 ( per il 2015 saranno erogati  111,6 miliardi e per il 2016 115,4 miliardi). La macroeconomia deve calarsi ora e necessariamente nei territori con studi di settore che partano da politiche di discontinuità e non di continuismo amministrativo.

Tuttavia, dal testo della proposta di riforma costituzionale emerge chiaramente la consapevolezza della necessità di assicurare, in alcuni specifici settori, uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale. A corollario delle potestà esclusive, sono infatti previste, in capo al legislatore statale, numerose norme generali – tra cui “norme generali per la tutela della salute mediante le quali si intende garantire la soddisfazione di quelle istanze unitarie, connaturate ad alcuni qualificati e specifici obiettivi di carattere generale, come appunto la tutela della salute”. Agli amministratori della salute pubblica va chiesto subito, fuori da macchinosi e strumentali atti dimostrativi o da organigrammi ministeriali prevedibili  per malaffare e collusioni dunque non accettabili, la garanzia reale di una programmabilità degli investimenti pubblici per la salute da effettuarsi nel nostro locale ambito territoriale, attraverso la predisposizione di piani annuali di investimento accompagnati da un’adeguata analisi dei fabbisogni e della relativa sostenibilità economico-finanziaria complessiva.

Nella nostra provincia a che punto sono gli studi di fattibilità e conseguente programmazione sanitaria? Quali le proposte elaborate dalla Asl locale per spending review interna? Quali gli interventi previsti localmente come da richiesta del Patto (da adottare entro il 31 dicembre 2014) in attuazione dei principi di equità, innovazione e appropiatezza nel rispetto degli equilibri programmati della finanza pubblica? Quali gli interventi urgenti previsti in provincia dedicati e finalizzati al miglioramento e all’erogazione  dei LEA? A che punto è, dalle nostre parti, l’analisi sulle percentuali di patologie aids, fibrosi cistica, rivalutazione sussidi, medicina penitenziaria, emersione lavoro fondamentali ed obbligatori perché le regioni adottino provvedimenti economici d’impatto rispetto ai locali servizi sanitari? E quali gli obiettivi programmatici previsti per il prossimo semestre dalla azienda sanitaria locale? Saranno in grado gli alti organismi burocratici interni alla realtà sanitaria provinciale di permettere -come da richiesta nazionale- la semplificazione degli iter sanitari attraverso il potenziamento degli strumenti di programmazione, controllo e valutazione privilegiando il corretto utilizzo delle risorse e del personale con la dovuta affermazione della cultura del merito, della trasparenza anche attraverso progetti di riqualificazione condivisi con l’area vasta e metropolitana? E come sarà reso attuativo in provincia il programma operativo regionale 2014-2015 che prevede un decremento dell’ospedalizzazione nei termini sia di dimissioni che di ospedalizzazione? Come avverrà la riduzione dei ricoveri ad alto rischio di inappropiatezza in considerazione della diminuzione dei posti letti prevista dal piano sanitario nazionale (pl x 1.000 ab. da 4,5 a 3,9) considerando, tra l’altro, che la quota di popolazione straniera è pari a circa il 9,5% della popolazione totale e che la popolazione di 65+ anni costituisce circa il 20% della popolazione totale, concentrata specialmente nelle Province di Rieti e di Viterbo mentre la popolazione anziana fragile (definita sulla base dell’età, delle condizioni sociali e dei ricoveri per malattie croniche), rappresenta circa il 3.5% della popolazione di 65+ anni del Lazio (circa 44.000 persone nel 2013 )? Abbiamo risposte pronte per interventi sanitari locali di management qualificati che nascono da ricerche e studi appropiati, di campionamento, osservazionali e validati sulla base di lavori epidemiologici-statistici, stratificati per rischio e per territorio, per patologie, per gruppi omogenei?

E allora, fintanto che avremo imparato ad usare scienza e coscienza, metodo e rigore al di fuori da ogni  schieramento,  in attesa che il piano strategico locale sia trasmesso alla Regione per la relativa approvazione entro il termine fissato di legge del 15 ottobre 2014 ed in attesa che venga modulato il  Tavolo di coordinamento (attraverso il quale la Regione fornirà alle Aziende sanitarie locali indirizzi inerenti ricollocazione di attività e funzioni inter e sovra aziendali prevedendo che potranno essere anche approvate modifiche ai posti letto) abbassiamo i toni e non giochiamo con la salute. Abbiamo urgenza di salvaguardare la qualità di vita dei nostri compaesani con azioni preventive, diagnosi precoci , reti di medicina associativa ( che in provincia non sono ancora attuative), con servizi territoriali di accoglienza al nuovo disagio e riabilitativi, di assistenza ai dimessi e ai cronici che non vengono reintegrati e accuditi dalle famiglie. Il privato non può rimanere unica garanzia alla complessità socio sanitaria che emerge. Va rilanciato un progetto dal basso, autogestito, per il recupero dell’umanesimo mettendo al sevizio del buon governo conoscenza e tecnica.

Abbiamo bisogno di welfare agibile che accompagni la solitudine delle utenze dimenticate e abbandonate. Iniziamo dalla costituzione volontaria di un” Social-Selfie” di specialisti e di figure sanitarie che, avendo seriamente a cuore la propria gente, dia il via alla nascita di ambulatori popolari gratuiti compensativi delle enormi carenze di una sanità pubblica lacerata.

Rientri all’italiana – una sanità che affonda

di Francesco Zarrelli (IE Molise)

La spesa sanitaria, problema che esiste da circa 30 anni e che solo oggi, all’alba di una crisi economica senza precedenti, salta davanti agli occhi dei nostri amministratori e’ uno dei tanti talloni di achille del nostro budget nazionale. Bisogna correre ai ripari – giusta osservazione, bisognava farlo da tempo ma come si dice “meglio tardi che mai”.

La ricetta elaborata per poter pareggiare la spesa e’ semplice e rispondente al classico teorema italico del fare cassa – tagli lineari, blocchi del turnover del personale che va in pensione, stop delle assunzioni, tagli ai posti letto, rincari dei ticket sanitari e chi piu’ ne ha, piu’ ne metta.

In tutto questo questo chi e’ che paga il conto?

Inefficienze e spese folli in ambito sanitario vengono pagate ovviamente dai cittadini e soprattutto vengono pagate due volte da chi deve accedere al servizio sanitario nazionale, i quali non solo si ritrovano ad essere salassati da tasse regionali piu’ salate, ma anche da pesanti accise sui carburanti, i quali notoriamente di questi tempi costano poco. La cosa piu’ grave non e’  l’esborso al quale noi tutti siamo costretti per riordinare i conti ma il servizio inefficiente e totalmente insufficiente che spesso costringe molti, che per questioni di urgenza, sono costretti a doversi rivolgere a loro spese a strutture sanitarie private per poter tutelare la loro salute.

Lavorare nella sanita’ del rientro

Il piano di rientro cosi concepito, oltre a creare forti disservizi verso i pazienti, e’ generatore di forti malesseri nell’ambiente lavorativo. Contratti co.co.pro., incarichi temporanei, scarsita’ di personale, di strumentazione adeguata e di posti letto sono parte dominante della realta’ che si vive tutti i giorni negli ospedali italiani. Si perde a poco a poco il senso di quello che si fa’ grazie alla decurtazione delle buste paga e si decapita letteralmente, a coloro che credono nel lavoro che svolgono, il sentimento di appartenenza verso la propria azienda sanitaria per via delle pessime condizioni lavorative nelle quali si e’ costretti.

Ci si meraviglia dunque di quello che succede nei prontosoccorsi romani, quando si vede gente ammassata nei corridoi su barelle traballanti, o peggio ancora quando si trasmette in tv un tentativo di rianimazione svolto dal personale sanitario ad un paziente steso a terra per mancanza di posti nelle sale di urgenza. La politica scarica il barile a chi combatte tutti i giorni sul fronte della vita, andando a sospendere dal servizio i dirigenti delle unita’ operative che vivono quel dramma tutti i giorni, rendendo chiaro agli occhi dei lavoratori e spero anche dei pazienti, la loro mancanza di volonta’ nel voler risolvere davvero questo problema.

Cosa fa dunque questo piano di rientro sanitario?

Il suo scopo e’ evidente, si limano gli sprechi insieme alla componente positiva della spesa sanitaria. Si spende meno e’ vero, ma a cosa serve questo risparmio se comporta la distruzione della sanita’ pubblica e gratuita? Chi trae vantaggio da questa situazione sono sicuramente le strutture private le quali fanno un passo avanti ogniqualvolta il pubblico e’ costretto a farne uno indietro, centri diagnostici e cliniche private oggigiorno crescono come funghi. Intanto i privilegiati e gli intoccabili baroni della sanita’ pubblica continuano a conservare le loro posizioni e i loro proventi, le consulenze insensate continuano ad essere date agli amici degli amici, le gare di appalto pubbliche continuano ad essere viziate a favore dei conoscenti. Si vogliono ridimensionare gli sprechi senza volerli eliminare poiche’ importante retaggio della politica laurista, a scapito del servizio reso ai cittadini e della salute pubblica.. tanto i politici si curano nelle cliniche private a carico dei nostri generosi portafogli.

La pesante partita di Obama

obama

di Rocco Pellegrini

Obama sta giocando tutto il suo prestigio e la sua influenza per far passare la riforma sanitaria e la riforma dei mercati finanziari ma il Congresso, spinto dalle forti resistenze del paese reale, gli sta mettendo i bastoni tra le ruote. Cerchiamo di capire perché e cosa c’è in gioco.

Il 29 settembre scorso, “la commissione Finanze del Senato ha bocciato con 15 voti contro 8 la proposta di creazione di un ente pubblico che faccia concorrenza effettiva alle grandi assicurazioni. Una misura contenuta nel testo iniziale della riforma presentato da Obama, che comunque, di fronte alle enormi difficoltà che il progetto incontra, ha da tempo mostrato disponibilità ad accogliere un compromesso”.

Così si legge in un articolo del Corriere della Sera che racconta gli ultimi accadimenti del progetto di riforma sanitaria in discussione nelle assemblee elettive negli USA. Obama ha impegnato in questa partita, che è un cavallo di battaglia storico per i democratici anericani, tutta la sua autorevolezza come si capisce dall’intervento al Congresso del 10 settembre 2009.

A noi europei, e soprattutto a noi italiani abituati al sistema sanitario nazionale che garantisce assistenza pubblica gratuita per tutti, tanta resistenza ed avversità ad una legge che ci sembra naturale e che dovrebbe dare a 45 milioni di americani (oggi esclusi da qualsiasi forma di assistenza) la copertura sanitaria, appare largamente incomprensibile.

Bisogna, però, calarsi nella realtà americana e, soprattutto, nella cultura americana per capire le ragioni di uno scontro così duro, rispetto al quale anche una personalità carismatica e popolare, come è Barack Obama, appare in grande difficoltà.

Dal testo del suo discorso e da tante altre dichiarazioni, sia del presidente che del suo entourage, appare evidente che l’amministrazione democratica non vuole fare passi indietro ed è disposta a giocarsi “tutto” pur di non fare la fine che fece l’amministrazione Clinton quando provò a far passare la sua riforma sanitaria che pure era, senz’altro, meno ambiziosa di questa prodotta dal nuovo presidente.
La presa di posizione della Commissione Finanze del Senato non è un fulmine a ciel sereno perché durante tutta l’estate negli USA il dibattito sulla riforma è stato ampio e molto diffuso, e spesso ha assunto toni molto aspri perché la destra repubblicana, ridotta al lumicino dopo la dissoluzione dell’eredità della vecchia presidenza Bush, ha visto nella lotta contro questa riforma la tanto attesa occasione per recuperare un rapporto con una parte importante della pubblica opinione.

Sono voltate parole grosse, le solite accuse di socialismo, addirittura ci sono state campagne televisive ed in rete che hanno pargonato Obama ad Hitler perché, tramite la riforma sanitaria, lo Stato avrebbe voluto controllare la vita e la morte dei cittadini americani.

Mettendo da parte, però, simili eccessi cerchiamo di dare una risposta al perché di un simile scontro. Chi vincerà questa partita? Come sarà il probabile compromesso verso il quale le cose sembrano andare?
Solo un indovino particolarmente ferrato potrebbe rispondere a simili domande. Quel che serve a noi qui è capire lo scenario degli interessi in gioco, il resto è al di là della nostra portata.
In primo luogo sarà necessario fare due conti per capire la dimensione economica delle forze coinvolte. Usando Google Finance è possibile ricavare un insieme di oltre 6500 imprese attive sui mercati americani.

 

Diamo uno sguardo a questa tabella che, senz’altro, ci aiuterà a capire:

 

All Sectors       22.912  
Financial          4.897  21.37%
Services          4.166  18.18%
Energy            3.295  14.38%
Technology        2.920  12.74%
Healthcare        1.915   8.36%
Basic Materials    1.700   7.42%
Cons. Non-Cyclical 1.412   6.16%
Capital Goods     0.700   3.06%
Utilities           0.678   2.96%
Cons. Cyclical     0.570   2.49%
Conglomerates    0.339   1.48%
Transportation     0.320   1.40%

 

I valori sono in trilioni di dollari, cioè in migliaia di miliardi di dollari e si riferiscono ai mercati del 29 settembre scorso.

Il primo valore rappresenta la capitalizzazione complessiva del mercato. L’ordine dei settori è per importanza quantitativa. Il settore Healthcare rappresenta le case farmaceutiche e tutti quelli che operano nel settore medicale in senso più vasto, comprese case di cura ed ospedali.

E’ chiaro che è fortemente interessato alla riforma sanitaria. La Technology è a lei avversa. Come vedete, rappresenta quasi il 13% di tutto il mucchio. Ma gli interessi non finiscono qui. Dalla tabella evinciamo che il settore più importante in assoluto con più del 21% del totale è il settore finanziario, all’interno del quale un ruolo non indifferente è giocato dal sistema assicurativo.

La sanità americana è fatta tutta dal sistema delle assicurazioni private, tranne qualche ramo marginale di assistenza agli anziani, e come racconta Obama nel suo intervento, rappresenta oltre un sesto della spesa complessiva del sistema America.

E’ un sistema pieno di corruzione e molto costoso che è totalmente avverso alla riforma democratica. Si tratta di una lobby che si è presentata col cappello in mano di fronte al consumatore americano quando, qualche mese fa, la crisi sembrò travolgere tutto ma che oggi ha riacquistato forza ed in buona parte ha restituito i prestiti ricevuti dallo stato per riacquistare iniziativa senza controllo.

Proprio per tener sotto controllo questa parte della problematica, Obama ha deciso di abbinare al discorso sulla riforma sanitaria un altro importante discorso sulla riforma dei mercati finanziari parlando a Wall Street il 14 settembre 2009 per ragionare sulla crisi e sulle soluzioni che l’amministrazione americana vuol realizzare per stabilizzare i mercati finanziari ed evitare nuove e più drammatiche crisi nel futuro.
Per capire dai numeri come e quanto queste potenti forze economiche abbiano recuperato dai minimi della crisi sarà il caso di dare uno sguardo ai numeri del 3 marzo 2009 quando tutto sembrò crollare e lor signori chiesero l’intervento dei contribuenti di tutto il mondo:

 

All Sectors       14.150 
Services          2.939  20.77%
Financial          2.302  16.27%
Energy            2.220  15.69%
Technology        1.577  11.14%
Healthcare        1.523  10.76%
Cons. Non-Cyclical 0.967   6.83%
Basic Materials    0.966   6.83%
Utilities           0.500   3.53%
Capital Goods     0.381   2.69%
Cons. Cyclical     0.343   2.42%
Conglomerates    0.221   1.56%
Transportation     0.210   1.48%

 

Come potete notare il settore finanziario era sotto ad un treno ma le dimensioni della ripresa le capiamo meglio se compariamo con la terza ed ultima tabella i valori del 3 marzo con quelli del 29 settembre:

 

All Sectors         8.762  61.92%
Financial           2.595  112.73%
Services           1.227  41.75%
Energy             1.075  48.42%
Technology         1.343  85.16%
Healthcare         0.392  25.74%
Basic Materials     0.734  75.98%
Cons. Non-Cyclical  0.445  46.02%
Capital Goods      0.319  83.73%
Utilities             0.178  35.60%
Cons. Cyclical       0.227  66.18%
Conglomerates      0.118  53.39%
Transportation       0.110  52.38%

 

Guardate quanto ha recuperato il settore finanziario! Di fronte ad un recupero del 60% circa di tutto il mercato il settore finanziario supera abbondantemente il 110% ed è quasi doppio rispetto a tutti gli altri, tecnologia esclusa che pure ha buone performance benchè inferiori a quelle del settore finanziario.
Appare evidente da queste assai eloquenti cifre di come questo settore abbia rialzata la testa ed oggi rialza anche il bastone del comando. Nel nostro piccolo è notizia odiena che le due maggiori banche italiane hanno deciso di non usufruire dei cosiddetti Tremonto Bond prefendo rivolgersi al mercato. Tremonti le ha accusate di preparare la prossima crisi giocando alla finanza creativa nuovamente.

Indizzi di questi comportamenti vengono da tutto il mondo. Si capisce, dunque, tornando al nostro ragionamento quanto sia grande l’interesse e quanto forti le lobby che Obama sta sfidando. Ma ciò non basterebbe se ad esse non si aggiungesse una consumata visione americana che è contro l’assistenza pubblica e che vede nell’intervento dello stato il peggiore di tutti i mali.

L’idea che chi ha poco deve soffrire è un’idea molto forte nelle comunità 

protestanti americane e si è portati a pensare che chi non ce la fa a fare da solo è meglio che non sia aiutato perché ciò indurrebbe comportamenti parassitari.
 
Dunque la montagna che si para davanti ad Obama sembra assai difficile da scalare e tuttavia io penso che il presidente riuscirà ad avere un qualche risultato. In fondo questa ripresa economica è una ripresa senza occupazione ed i numeri staranno pur dalla parte della banche ma gli interessi delle persone? Forse, anzi sicuramente, non del tutto.
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