Significativamente Oltre

rete

Il voto 2.0 nell’era dei big data

 ANSA

Il buio androne della casa di Bruges del mercante fiammingo Van Der Burse, nella seconda metà del XV° secolo tenne a battesimo le prime contrattazioni finanziarie moderne e sopratutto cominciò a porsi la necessità di dare forma a una misura dei corsi finanziari. Qualche decennio dopo ad Anversa nacque la borsa moderna e fu elaborato il primo indice del trading.Ma la storia di un indicatore che desse una valutazione sintetica delle trattazioni economiche è molto più lunga. Per rimanere al mediterraneo ricordiamo il trapezita dell’antica Grecia e il curia mercatorum romano. Sempre all’origine di questi indici la necessità di misurare un nuovo linguaggio, un importante sistema di valori, che non aveva una propria codifica.

Il movimento del denaro, più della sua accumulazione, era il nuovo motore dell’economica. E bisognava dargli un sistema metrico. La stessa necessità emerge ogni volta che si afferma un sistema valoriale: il potere, il consenso, il calore, la velocità, la potenza, la luce, la gravità. E, ormai da vari anni, la creatività e la tecnologia. Il Nasdaq, il mercato dei titoli tecnologici, ha avuto la forza di staccarsi dall’Indice Dow Jonas di Wall Street proprio in virtù di una diversa natura qualitativa delle aziende che misura.

Ora si stanno mischiando le acque, e, a esempio, consenso, sapere, e comunicazione, convergendo, danno corpo a una nuova forma di relazione umana: la significanza di rete.

Si tratta di un indice che, a secondo di un diverso mix fra fattori e indicazioni di contatto e di attenzione in rete, mostra il peso, la rilevanza, l’influenza di un soggetto nella comunità on line proporzionalmente alla pervasività che la rete sta assumendo nella nostra vita, invadendone tutte le dimensioni- personali, economiche, famigliari, culturali, didattiche, politiche- i nostri click stanno diventando un alias della nostra identità.

Da tempo ormai a livello comunicazionale e commerciale, la pista che tracciamo con i nostri movimenti digitali, viene ripercorsa e scandagliata dai grandi sistemi di “profilazione”, che ci identificano, analizzano, e scompongono, in base alla metabolizzazione dei dati che è utile realizzare. Ma questo è solo un aspetto della nostra vita social. Sempre più la rete è quello che Stefano Rodotà, per rimanere in Italia, ha codificato come il nuovo spazio pubblico, come l’agorà dove la nostra vita sociale scorre e si manifesta. La rete è specchio delle nostre opinioni, dunque anche indice.

Forse il primo caso clamoroso dove la misurazione della presenza digitale dell’opinione pubblica coincise perfettamente con la manifestazione del consenso popolare furono le elezioni presidenziali americane del 2008, quelle che decretarono il trionfo dell’allora debuttante Barack Obama. Il grafico che vedete sotto, mostra il differenziale nelle presenze e significanze di rete fra i due contendenti- lo stesso Obama e il senatore repubblicano Mc Cain -il giorno prima del voto, 3 novembre. Il dato coincise impressionantemente con il voto popolare. Fu la certificazione che la rete è la vita.
Da allora molti voti sono passati nelle urne. E sempre più la forbice fra le due dimensioni -virtuale e reale- è oggi praticamente chiusa.

Se retroattivamente andiamo a misurare la significanza -ossia quel complesso indice che misura le dinamiche di rete in base a valori quali fiducia, prestigio, influenza, presenza e dinamismo -ci accorgiamo che praticamente nella sfera occidentale la rete registra e anticipa le urne, sempre. Nelle successive elezioni di medio termine americane e poi nelle presidenziali del 2012, e ancora in Europa in Francia e in Germania, i trend tendono ad assimilarsi.

Con la differenza che mentre sondaggi e risultati finali rimangono dati numerici assoluti ma non analitici, la rete si articola subito nelle diverse componenti dell’indice unitario, permettendo una comprensione del processo di formazione del dato.

L’Italia non fa eccezione. Tutt’altro. Da tempo seguo sulla comunità www.mediasenzamediatori.org le elaborazioni sulla significanza di rete che elabora Rocco Pellegrini sui principali personaggi politici italiani.

Ora dalla politica si passa ai fenomeni sociali: quanto contano i negozi di Roma? quanto pesano sul mercato globale i ristoranti di milano? le università italiane sono più o meno dinamiche di quelle spagnole? e i servizi di economy sharing tedeschi sono più usati di quelli inglesi?

Domande che determinano il nuovo valore aggiunto di un territorio, incrementando la così detta value placement di un brand geo referenziato.

Il big data ormai determina, costituisce e anticipa il trend socio economico di una città o di un intero paese. A questo punto la domanda è: può ancora rimanere una pratica esoterica da stregoni occulti? questi dati che ormai battono moneta possono ancora essere abbandonati alla discrezionalità di questo o quel software?

Veniamo alle prossime elezioni amministrative. I dati di rete sono impressionanti. A Roma Giacchetti non vale la metà della Meloni. A Napoli la Valente non riesce nemmeno a essere apprezzata dai sistemi digitali. A Milano la differenza fra Sala e Parisi è maggiore di quanto accreditato dai tradizionali sondaggi. Possiamo lasciare queste proiezioni a chi ci costruisce su proprie strategie professionali.
Il prestigioso istituto di rilevazioni Gallup, il padre di tutti i sondaggisti, da tempo ha chiuso la sua sezione delle rilevazioni statistiche, perchè ormai il mercato è invaso e superato dal big data.

È necessario che l’Authority delle comunicazioni si appropri di questa materia e la disciplini, rendendo intellegibili e trasparenti le elaborazioni e dando all’intero settore una rilevanza istituzionale. Il voto aumentato sta ormai contando non meno del voto reale. E la democrazia si deve organizzare.

Primarie (PD) senza Rete

di Michele Mezza

Dopo l’ondata di annunci e sollecitazioni on line, con email e sms che a Roma e Napoli si era sollevata con le primarie, ritorna il gelido silenzio fra elettori ed eletti.

E’ davvero singolare quest’uso frenetico delle rete da parte dei candidati politici. Si arroventa nei pressi del voto, si iberna subito dopo.

Qualcuno pensa anche di essere un candidato digitale, come capita a Napoli all’ex sindaco Bassolino bruciato sul filo di lana nella consultazione interna del PD napoletano, solo per aver organizzato meglio il megafono on line.

In altri casi siamo alle4 solite catene di S. Antonio diffuse oltre che con i me4zzi più tradizionali, telefono e richiami amicali, via social. Ma niente di più.

Non è un problema di dimestichezza con i nuovi linguaggi, che ormai nuovi non sono più da vari lustri.
E’ proprio un nodo politico, di più, un indicatore del modo con cui si intende la relazione fra governanti e governati .In altri tempi si sarebbe detto : è un fatto conseguente alla concezione del partito.

La campagna elettorale è un fenomeno in cui il consenso, lo si dimentica spesso, è la conseguenza e non la causa della relazione fra candidato ed elettori. Il contenuto che da forma al legame è il programma. Ossia l’impegno che il candidato prende rispetto a specifici temi e su cui chiede un mandato. Ecco proprio il mandato è la materia prima del legame che si vuole stringere.

Tanto è vero che in un movimento come i 5S di grillo il tema del mandato sta diventando dirompente.
Infatti se l’identità e la ragione, quella che si chiama nel marketing la value proposition, che caratterizza un’opzione politica , è solo uno stato d’animo, o, come accade prevalentemente nelle primarie, è solo una personalità, un nome, un gruppo che si raccoglie attorno ad un personaggio, allora le modalità di selezione dei voti che si realizza sulla rete diventa inevitabilmente una sollecitazione ad omologarsi, ad arruolarsi, in quella schiera. Dopo di che è evidente che ad ogni allentamento dello stato d’animo- sono a favore o contro una certa situazione o un certo leader- si sfilacciano i motivi di solidarietà e fedeltà. Così come accade, se tutto è puramente basato su plebisciti nominalistici allora all’insorgenza di altre personalità diviene naturale osservare cambi spettacolari di schieramento. Insoimma se è tutto solo un semplice proce4sso di adesione ad un’offerta politica debole, o emotiva, le identità e le solidarietà sono altrettanto deboli e mobili.

Il tutto diventa clamorosamente evidente nel riflesso delle relazioni che si costituiscono in rete.
Una campagna tutta basata semplicemente sulla discriminante emotiva – noi siamo buoni e gli altri cattivi- o nominalistica – stai con me o contro di me – ha come unico linguaggio lo stalking politico che quel genio di Totò sintetizzo con il tormentone : votantonio, votantonio, votantonio, gridato con il megafono nel cortile di un grande condominio, o scandito digitalmente in rete con email o sms.
Un modello unidirezionale, top down, che riproduce fedelmente il sistema più arcaico della propaganda politica, ereditato dai vecchi partiti di massa. Un sistema che quei partiti vivevano intensamente perché riferito a ceti sociali identitari e culturalmente estremamente definiti, come erano le basi sociali del PCI o della DC nei decenni scorsi. In quelle situazioni la campagna elettorale doveva consolidare e concludere un lungo proce4sso di convergenza e identificazione di larghe masse nel gruppo dirigente di partiti che ne rappresentavano interessi e richieste. Il manifesto elettorale era la ciliegina finale su una torta che si impastava e cuoceva ogni giorni negli anni precedenti nelle sezioni, nei circoli, nelle associazioni di categorie nei sindacati.
Oggi, si spara nel mucchio. Ci si rivolge ad un indefinito mosaico sociale, estremamente frantumato e parcellizzato, in cui il legame fra base e vertice si costituisce proprio nella stipula del micro contratto elettorale.

La campagna propagandistica oggi riassume e riflette anche la forma organizzativa e il radicamento sociale dell’organizzazione politica. Diventa essenziale dunque che l’atto, la meccanica, promozionale sia fortemente interattiva, sia, cioè, in grado di costituire e consolidare rapporti di delega diretta da singoli frammenti sociali al leader.
Il linguaggio di questa forma di comunicazione organizzativa è il social. Ossia un luogo dove si negoziano le forme di rappresentanza politica sulla base di una convergenza di contenuti e di stili di comportamento.
Le piattaforme social sono oggi , potremmo dire, la nuova forma partito. Sono luogo e linguaggio di quel processo in cui Manuel Castells nel suo saggio Reti di Indignazione e di speranza (Bocconi editore) spiega che “il potere è esercitato tramite la costituzione di significati nell’immaginario collettivo”.
Dunque non solo il mandato e la rappresentanza ma proprio la gestione della governance avviene mediante una capacità di imporre e concordare “significati” nell’immaginario sociale .

E’ proprio quanto riuscì a fare Barak Obama nella sua miracolosa compagna elettorale del 2008, quando scombussolò ogni previsione e ragionamento sociologico, cambiando completamente la base sociale di quel voto, grazie ad una potente azione di proposta e condivisione di “significati nell’immaginario collettivo.” Un’azione che non fu realizzata, e non poteva esserlo per gli interlocutori che erano stati scelti, top down mas proprio bottom up, tutta inevitabilmente e faticosamente dal basso.
Ancora Castells infatti precisa :”la comunicazione è il processo di condivisione dei significati tramite lo scambio di informazioni”.

Uno scambio che rende paritaria la posizione del singolo elettore e quella del singolo candidato. Anzi se una prevalenza vi deve essere sta proprio nella capacità del candidato di cedere all’insieme dei suoi elettori la scena per renderli soggetto comune e identitario, forzando la loro natura frammentata. Come infatti testimoniò David Axelrod, lo stratega di quella straordinaria campagna elettorale che sorprese l’America: Obama ha vinto non perchè ha usato la rete per parlare con i suoi elettori, ma perchè tramite la rete ha fatto parlare gli elettori fra di loro”. In questa scelta si coglie la coerenza e la magia della leadership digitale che coglie e valorizza la vera specificità del nuovo mezzo: l’ascolto e la condivisione sociale permanente.
Internet è infatti, come disse una volta uno dei suoi padri naturali, Tin Berner-Lee, una listening technology non una speaking technology.

Rispetto a questo quadro possiamo misurare la miseria della politica nazionale. Sia nella versione grillina, in cui la rete è solo un gigantesco schermo che moltiplica e facilità la diffusione di messaggi verticali. Anzi nelle ultime soluzioni la rete diviene anche il grande fratello che coglie la devianza e punisce il dissenso.
Sia nella versione petulantemente predicatoria dei questuanti dei voti che la utilizzano come una pervasiva mano che ci tira la giacca all’ultimo momento.

Se misuriamo e analizziamo la tipologia dei messaggi che ad esempio a Napoli ed a Roma hanno diffuso gli accounts dei candidati alle primarie troviamo solo annunci, solleciti e promemoria. Mai una vera conversazione.

L’unica parziale giustificazione per questa pacchiana malversazione comunicativa è che la rete non tollera tergiversazioni, distrazioni, esorcismi. Costringe tutti i candidati o i propagandisti a misurarsi con i temi che la rete stessa propone. Innanzitutto se stessa: che posizione ha un candidato sindaco sulle strategie di cablaggio della città? Si può parlare in rete senza avere un’idea di come diffondere l’accesso alla rete?

Secondo i conflitti che affiorano in rete: privacy, monopoli digitali, subalternità culturali, inibizioni e censure, prevaricazioni autoritarie. Infine il tema dello sviluppo e della competitività in rete. Oggi non possiamo pensare di rivolgerci ad interlocutori che agiscono in rete ignorando che l’unico tratto comune che questi mostrano è la propria ambizione, culturale, sociale, economica, o anche solo personale, ad affermare la propria identità, quello che Bauman chiama “ la nuova lotta di classe, la lotta per apparire”.
Obama negoziò punto per punto il suo programma sull’ambiente, la net neutrality, il copy right, la digitalizzazione del paese. E portò 39 milioni di americani digitali che non avrebbero votato alle urne.
Cosa propone invece in Italia il candidato di Roma o Napoli ad un cittadino, ad un quartiere, ad una community per il futuro: vinceremo insieme o no e come ?

Parlare in rete significa condividere e concordare strategie e non solo fedi. Il silenzio digitale che segue ogni frenesia propagandistica ci dice che siamo ancora lontani, troppo lontano per dare un’affidabile aspettativa al popolo digitale. E dunque non stupiamoci se il popolo digitale ignora le tirate di giacca.

ll Gelato di Viola

grillodi Michele Mezza

123 mila firme in poche ore raccolte sul web da una gelataia fiorentina che vive a Venezia -Viola Tesi-  ha dimostrato che qualcosa di rilevante è accaduto anche in politica, nel secolo della rete. Dopo l’informazione, la formazione, le professioni, i servizi, la pubblica amministrazione, la ricerca, la finanza, anche la politica è investita dall’ondata di disintermediazione che disarciona i giganti e premia i nani.

Un fenomeno complesso e ingovernabile, che , a poche ore dal trionfo, porta persino il Gigante a 5 stelle ad inseguire la gelataia di Venezia, imprecando contro la nanetta che si è intrufolata nel suo giardino.

E’ la rete, bellezza, verrebbe da dirgli.

La pancia conta quando è alla pancia che si parla. Ed affiora  ora il vecchio richiamo solidarista ed emancipatorio di una base sociale che viene da sinistra  ma trascende la sinistra- non   ha votato PD, ignora Vendola, non parla con Ingroia, perché da tempo non vi vede la potenza trasformatrice della realtà. Ma quando si trova in mano le chiavi di Palazzo Chigi il primo istinto è quello di guardare da dove si è venuti.

Ma chi sono e cosa è successo?

Loro sono  quello che fanno, ed è accaduto quanto doveva accadere. Ne più ne meno.

Loro, i grillini, anzi il movimento 5 Stelle, votanti e votati, sono esattamente come appaiono. Giovani, ma non giovanissimi,  precari ma non disoccupati, tecnici, ma non esecutivi, impiegati, ma non placati, cattolici, ma non subalterni, laici, ma non ideologici. Soprattutto digitali, ma non smanettoni.

E’ un movimento della rete, ma non sulla rete. Per certi versi  i 5 Stelle non sono molto dissimili dalle primavere arabe.

In Algeria, Tunisia, Egitto è pure sorto un movimento di protesta, composto da giovani, professionisti ed emarginati. Si disse è la rivoluzione di Facebook. In realtà, questo è il nodo che la politica tende ad esorcizzare, quel movimento, e ancora di più Grillo, non cresce perché usa la rete per parlare, ma perché usa la rete per produrre. Abbiamo di fronte un movimento che si caratterizza per un nucleo di  operai del web: informatici, mediatori, broker, insegnanti, amministratori, imprenditori.

Questa è l’aristocrazia operaia di Grillo. Attorno a questo nucleo  si sta raccogliendo un mosaico di  ceti e figure sociali  convergenti: giovanissimi irridenti, giovani ambiziosi, famiglie silenziose, anziani ignorati, lavoratori in esubero.

Il movimento si è agglutinato per condensazione, come i fenomeni tipo Occupy, dove ci si aggrega per singole convergenze, per condivisione di isolate tematiche, senza la pretesa, ne l’ambizione, di costituire una visione organica. La frammentazione sociale non permetterebbe di ripercorrere la vecchia strada del partito forte, gramsciano, che dall’astronave all’ago, assume un’unica visione del mondo. Quell’approccio è stato del tutto rimosso, insieme alle macerie del Muro di Berlino. Qui è rintracciabile una prima rilevante contraddizione di Grillo come leader: ogni volta che tenta una stretta, di imporre un metodo leninista, perde pezzi e capacità di guida nei nuovi movimenti a rete la direzione è il punto finale di una lunga coda, non la testa  iniziale.

Il linguaggio connettivo è il brusio della rete che prende tono per i lavori nella rete. L’elemento unificante è  l’estraneità, prima, l’ostilità, poi, per le elites: tutte le elites. In particolari quei salottini, meglio ancora quei tinelli, dove gli staff dei decisori, le figure adiacenti ai  leaders, i frequentatori degli amministratori. I sobborghi del potere, più che il vero potere. I riti delle terrazze, dello scambio di privilegi, di mance di prevaricazioni.

Questa è la cultura della rete. Forse , si dirà, la cultura di ogni opposizione che contrappone ai poteri costituiti, che se ne vuole liberare.

In realtà la rete produce distanza e indifferenza, più che ostilità. Gran parte dei grillini, soprattutto i nuclei storici, in Emilia e in Piemonte ad esempio, sono  figure che vivono autonomamente in circuiti professionali o formativi che non hanno nulla da chiedere alla politica per se stessi. Si tratta di ceti che vivono di competenze, specializzazioni settoriali, flessibilità nell’uso del proprio tempo, controllo delle ambizioni di consumo, versatilità nel muoversi nel paese e fra paesi.

Ragazzi che per il proprio equilibrismo fra saperi e fra condizioni, trovano mercato. La rete  è la scorciatoia, che trasforma l’idea o la disponibilità in opportunità. Un ceto  non reattivo alla politico, ma insofferente, proprio perché non chiede, per l’etica, e le competenze. Di fronte al combinato disposto di un degrado morale e di una palese incapacità scatta la contrapposizione: si può fare meglio, si deve fare bene.

Qui si crea un cuneo che scompone la base sociale delle due forze tradizionali: che scava nel mondo del lavoro, e distoglie il mondo delle proprietà. Si crea un popolo della comunicazione, che conscio del proprio isolamento , ma anche della propria abilità, e del proprio tempo, investe in relazioni: si clicca per condividere la propria riprovazione che diventa rabbia e poi sfida.

Proviamoci è lo slogan. La grande prova , non a caso, è nei feudi: l’Emilia rossa, il Veneto verde, la Sicilia azzurra.

Il territorio produce il salto di qualità, ma  comporta anche le prime contraddizioni. Come spiega il saggio della direttrice dell’istituto Cattaneo, Elisa Gualmini, Il Partito di Grillo, sono state le elezioni amministrative del 2010 ha dare la consapevolezza che la sfida era vincente: Parma, ma soprattutto Budrio.

Nel paese rosso al 70%, i grillini , mail dopo mail, forum dopo forum, “I like” dopo “I like”, censiscono le forze e mettono in rete i mestieri che non corrispondono alla rappresentatività della sinistra: informatici, consulenti, cottimisti delle filiere di arredamento e ceramiche. Arriviamo per la prima volta a voti in doppia cifra.

Reddito di cittadinanza, connettività, energie rinnovabili, KmZero, diffidenza per l’Europa. E’ il programma di una community  da maso digitale. Il lavoro è ormai un dato anagrafico da risarcire, non da organizzare: non il conflitto ma l’indennità per la disoccupazione.

L’unico incaglio al momento sono proprio le amministrazioni locali. Le prime esperienze segnano alti e bassi. E trovano, sul territorio un’unica resistenza, la Lega di Maroni. I dati elettorali, soprattutto in Lombardia vedono, straordinariamente, la Lega non solo sopravvivere dopo il bombardamento dei mesi scorsi, ma addirittura trovare una via per un nuovo radicamento. Nelle regionali Lombarde, fra lista ufficiale della Lega e Lista civica Marroni vediamo che il bottino elettorale dei lombardi è incrementato addirittura, spalmandosi sul territorio, in  maniera proporzionale al tessuto produttivo.

La debolezza nelle grandi città- la lega è sopravanzata dal PD in tutti i capoluoghi provinciali della Lombardia, e vince in tutte le provincie- indicherebbe un carattere arretrato del voto leghista. In realtà nelle città ormai risiedono elites e ceti amministrativi e commerciali, mentre si snodano nel territorio extra urbano le filiere produttive e della ricerca applicata.

La lega si è nutrita di un tessuto sociale straordinariamente americano. Grillo invece si è aperto un varco nella giungla metropolitana, insidiando per la Lega anche nelle campagne industriali.

Andremo ad un conflitto finale o si ipotizza un colpo di scena fra i barbari sognati e i sognatori cittadini? Questo è il vero interrogativo che la sinistra dovrebbe porsi: impedire la convergenza di una Lega senza Berlusconi e un grillismo amministrativo.

In questo quadro la televisione è usata da grillo come carica al contrario: meno la vedi meglio stai, meno ci sei più comunichi, meno ti fai coinvolgere , più sei popolare. Grillo cavalca un trend storico: la TV come disvalore, così come ogni consumo di massa, tanto più se legato alla spesa pubblica, come la TV, è un disvalore.

Il trionfo arriva quando la lontananza dalla TV diventa incubo per la TV, che comincia a cercarti ossessivamente, parlando di te, senza te. Tanto più che avendo solo una bandiera popolare, il rifiuto dei politici, e tanti programmi settoriali, non declinabili in TV- energie, agricoltura, lavori digitali, No Tav, ambiente- la rete e’ il catalogo ideale per dare ad ognuno il programma on demand.

Anzi la TV diventa l’uniforme della politica, l’emblema del regime: Vespa, ma anche Santoro, con il loro sovraesporsi ai partiti diventano i bersagli più facili da inquadrare: non ci vengo perché sei il nemico.

In questo quadro da catalizzatore dei movimenti, che trovano un provider che li porta  alle soglie del potere, si aggiunge l’effetto Monti. Con il Governo tecnico, Grillo estende il suo marketing: diritti e qualità della vita, ma anche fisco e sviluppo. Dobbiamo parlare alla pancia di una maggioranza silenziosa orfana e disgustata da Berlusconi. 

In poche settimane Grillo diventa  “neo cons” : assume un carattere da anarco – conservatore, all’americana. La rete in questo  lo aiuta ancora: la natura individualista, competitiva, anti statalista, comunitaria, cooperativa, ma non solidarista, diventa un ambiente coerente per ibridare la cultura di una movimento nato a sinistra ma diventato digitalmente populista, tout court.

Si verifica in politica quanto è già in atto in altri segmenti sociali. Nell’informazione i grillini sono l’enorme proletariato digitale dell’informazione senza contratti  né testate, che chiedono connettività, copy-left e  ricerca. Lo stesso vale nelle professioni, nei saperi, nell’assistenza, nel commercio: un’ondata di auto-imprenditori che incalzano i titolari di ogni funzione chiedendo di condividerla. Il grillisom è la  fase supresa del networking, per parafrasare Lenin.

Non si aggredisce, ne comprende il fenomeno, se non si decifra il processo di riconfigurazione di ogni verticalità fordista in una nuova orizzontalità a rete.

Il combinato disposto di un’anima di equo sostenibilità di sinistra, con un’aggressività di individualismo competitivo di destra porta grillo ad un nuovo interclassismo  digitale, che gli permette , unico sul mercato politico, di parlare i nativi digitali, e tramite loro, di trainare l’attenzione delle generazioni emancipate. E di dettare l’agenda politica.

La dinamica della campagna elettorale lo ha dimostrato.

Il sito  http://www.twazzup.com/?q=giannino&l=it che misura le citazioni e la tracciabilità  dell’attenzione della comunità di twitter per singoli soggetti, traducendoli in TPH ( tweets per  ogni ora) il 18 febbraio dava questa classifica dei contendenti alle elezioni.

grillo          1128

giannino      898

berlusconi   811

monti           703

bersani        474

ingroia           94

vendola         53

Il dato risentiva, ovviamente, delle perturbazioni del giorno. E quel giorno Grillo aveva lanciato la sua ennesima provocatoria sfida al sistema e Giannino invece stava incubando la bomba Zingales.

Ma strisciando l’insieme dei dati nelle settimane precedenti, si notava come in quasi ogni giorno della campagna elettorale si era consumata una perturbazione che aveva fatto impennare i dati delle citazioni in rete per le liste dei grillini .

Un’attenzione che  si gonfiava nelle piazze più che nelle arene televisive e si depositava nella rete. Un fenomeno di curiosità di tipo “serendipico”, ossia di ricerca di cose nuove senza sapere bene cosa  che si concludeva sempre con il piacere  di essere stupiti da quello che si trovava attorno a Grillo. Un’ansia di nuovo che addirittura tracimava oltre i confini  dei 5 stelle, arrivando ad investire anche soggetti in qualche modo affini, nella loro eccentricità, come  il movimento di Giannino.

Con alti e bassi,   il pendolo “serendipico”, in una relazione di causa ed effetto  veniva sempre attratto dalla capacità di Grillo, e in subordine di Giannino e ,infine, dello stesso Berlusconi, di determinare la cosi detta agenda – setting del dibattito elettorale. Mentre rimanevano inerti, sostanzialmente marginali, personaggi tutti da salotto televisivo, come Vendola e  Ingroia, o schiacciati nel ruolo di bersaglio come Monti e,  in mezzo come snodo fra le due realtà-quella dinamica di Grillo, innanzitutto, Giannino e Berlusconi e quella inerte di Vendola, Ingroia e Monti – la macchina da guerra di Bersani.

Nell’ultima settimana  ha preso forma lo tsunami. E il gruppo si sgrana con un gerarchia che poi sarà , nei suoi trend premianti, riprodotta dal voto.

Bersani, che aveva registrato nell’arco del mese precedente una media TPH attorno a 300, con l’ultimo rush finale propagandistico non sfonda il muro delle 500 citazioni medie per ogni ora della giornata. Vendola e Ingroia, non si fuoriescono dalla gabbia di quota 100, e Monti, che pure aveva un valore doppio di Vendola , attorno a 230,non supera mai le 350 citazioni.

Grillo invece, che  pure all’inizio della campagna elettorale aveva un valore non dissimile da Bersani- 300/350 TPH- si impenna prepotentemente ,e supera con forza, nel corso delle 24 ore di ogni giorno dell’ultima settimana preelettorale,  quota 600, arrampicandosi, nelle ultime, decisive,36 ore sul tetto delle 2.000 citazioni per ora.

Il 23 febbraio, il giorno prima del voto, e  dopo  la manifestazione di Piazza S. Giovanni, è il  momento di svolta, che tutti i sondaggisti concordano nel ritenere decisivo per orientare le due paludi  che incombevano sul risultato: gli indecisi e i potenziali astenuti.

Grillo trova un canale forte di comunicazione con i due universi di  voto inespresso. In particolare appare visibile la  dinamica , nell’ultima settimana che porta a concentrarsi su Grillo l’attenzione dell’area di simpatizzanti ex PD , in maniera  decisamente più marcata  rispetto a quella  di provenienza PDL, che pure all’inizio della campagna  aveva costituito lo zoccolo duro del consenso alle liste 5 Stelle.

La tracciabilità di questo processo in rete conferma che ormai l’opinione pubblica reale non si discosta dall’opinione media della rete. Soprattutto l’indice di socialità, cioè di circolarità della relazione, calcolabile con i grafi che misurano l’interattività della comunicazione che si realizza negli spazi web. Più i flussi di comunicazione sono interattivi, producono cioè un dialogo multipolare, più le opinioni che vi si formano hanno un valore universale. Grillo ha raccolto vision, protesta e proposte, e le ha  trasformate in un flusso  circolare di reciprocità. Chi ha concepito questo disegno ha studiato molto da vicino il fenomeno Obama, arrivando ad applicare la regola David Axelrod, il consulente del presidente americano, che in Italia non si è ripetuto con il suo sodalizio con Monti, secondo il quale Obama vince non perché usa la rete per parlare con i suoi elettori, per questo c’è la TV, Obama vince perché fa parlare i suoi elettori fra di loro.

E questo lo ha scoperto anche la gelataia di Venezia.

E ora inizia un’altra storia, sulla rete.

Come si risponde al Partito Amazon di Grillo?

di Michele Mezza

Per fortuna che c’e’ la crisi.

E’ davvero il caso di dirlo dinanzi allo sfacelo politico. La crisi, con la sua salutare azione di disillusione per chiunque ancora spèeri di sopravvivere con le vecchie ricette, è oggi l’unico motore del cambiamento.

Un motore che in assenza di una spinta consapevole ed autonoma della comunità nazionale, può comportare, come tutte le rivoluzioni passive, uno sbocco conservatore.

I dati elettorali ci confermano che i problemi sono grandi, ma tutto è possibile, perfino una positiva ripartenza.

I dati ci segnalano alcuni scenari di fondo:

– Una destra  senza contenitore, dove  i flussi elettorali tracimano in cerca di vettori.Il letto del fiume non è a secco, anzi, ma non ci sono argini.

– La sinistra ha invece solo contenitori, senza spinta dell’acqua, che compress da argini alti ristagna ma non spinge.

– Infine il segnale di una irriducibilità fra ceti socio anagrafici e una leva politica che non si intendono. Sembra che parlino lingue diverse: grillini, localisti, leghisti vari, continuano a declinare una domanda di rappresentanza senza assistenza, e la politica risponde con un’offerta di assistenza senza rappresentanza.

Ancora una volta l’insorgenza del malessere non deve essere confuso con la patologia. Grillo è la Bonino di turno, che ricordate, arrivò alle europee fino al 9% nazionale.

Con due differenze: la rete come forma, la lunga coda come organizzazione. Grillo infatti unifica un caleidoscopio di differenze: Parma, Vicenza, Genova,Sicilia, sono facce di un movimento assolutamente estranee l’una alle altre. Il modello è esattamente la lunga coda di Andersen: ogni prodotto trova la sua nicchia, ogni consumatore chiede un prodotto differente. Grillo apre la sua Amazon elettorale e coagula la differenza dandole un respiro nazionale. Il linguaggio e la forma di tutto questo particolarismo è la rete, che significa, estraneità alla TV, lontananza dal palazzo, selezione delle professionalità. I partiti imbarcavano gli avvocati, Grillo fa eleggere gli informatici.

Il sintomo è ormai chiaro:si apre la stagione della generazione che non ha nulla da chiedere. Si spara sul malaffare perchè non si ha niente da chiedere di concreto e personale.

I grillini, come i designer di Milano, o i gastronomi di Slow Food, o  i ricercatori della Normale, non chiedono nulla alla politica perchè giocano su scenari globali, dove la negoziazione parte dai livelli di sapere che si possono scambiare.

La destra cercherà ora di rispondere con la ricetta del 94 di Berlusconi: raccogliamo i cocci o vincono i cosacchi.Casini sarà costretto a starci, e la Chiesa si giocherà le suggestioni di Todi sull’altare di una nuova sacra alleanza(Fini, come previsto, sotto i ponti).

La sinistra replicherà, con uno slogan simmetrico: compattiamo l’alleanza possibile per non far vincere Berlusconi. Tutti  e due  si perderanno al centro, mentre le rispettive basi sociali si dispiegheranno nelle fascie laterali, dove i conservatori cavalcheranno il populismo anti democratico, e i riformatori la conflittualità territoriale.

Il vero buco nero, più che le fanfaronate sui conti dei partiti, sta proprio nell’incapacità di declinare i nuovi linguaggi dell’autorappresentazione: la rete , come spiega Castells, nasce dal protagonismo dell’Io.

Chi federera’ le moltitudini degli infiniti io? la cultutra di massa non sa rispondere. Il lavoro non trova legami da annodare.

Solo la ricomposizione di alleanze locali, fra saperi, amministrazione e competizione, può comporre le tre esse di un programma plausibile: sussidiarietà, solidarietà, sviluppo.Obama sta traducendo in inglese i tre termini. In Europa chi raccoglie la sfida?

La vera sfera di cristallo: come la rete riproduce e anticipa il senso comune della società

di Michele Mezza e Rocco Pellegrini

Ha vinto la democrazia, ha vinto la gente, hanno vinto i referendari, ha vinto l’opposizione.

Ma sopratutto ha vinto la rete.

Questo è il nuovo spettro che si sta aggirando per il mediterraneo, nelle piazze egiziane, libiche, siriane, tunisine, spagnole, greche ed ora anche nelle urne italiane.

Il popolo della rete è diventato protagonista della scena politica italiana.

I principali osservatori, sorpresi dai risultati delle città come Milano e Napoli, si stanno rassegnando a considerare come plausibile spiegazione l’irrompere di un nuovo strano protagonista: l’elettore in socialnetwork.

Nadia Urbinati, su Repubblica, qualche giorno prima del voto del 12 e 13 giugno, si diceva certa del quorum sulla base della “scoperta” che la TV non è più il domino dei consumi mediatici nel nostro paese. Lo stesso Corriere della sera lunedì 13 giugno in prima pagina annunciava un articolo dall’eloquentissimo titolo “Il web protagonista tra spot ed ironia”.

Gli old media stanno ormai inseguendo i new media.

Il dato che colpisce e stupisce tutti è che nel nuovo mondo digitale i media non siano semplici strumenti di comunicazione, ma ambienti di attivazione, luoghi di relazione, motori di interattività sociale.

Si realizza qui la straordinaria previsione di Marshall McLuhan che già nei lontanissimi, dal punto di vista tecnologico, anni ’70 proclamava che l’utente è il contenuto.

E’ proprio la partecipazione dell’utente nel coprodurre il messaggio il nuovo contenuto ed anche il nuovo contenitore, dei media moderni.

La differenza fra i vecchi e nuovi media sta proprio in questa dinamica che trasforma persino la missione dei media: non più semplici strumenti, per quanto innovativi , di comunicazione ma vere macchine di produzione e di profilazione di soggetti sociali, che vengono trasformati dall’uso delle piattaforme digitali, da Facebook a Twitter.

Il sistema mainstream corre ormai dietro la rete in tutto il mondo non soltanto perché nella rete si arriva prima sui fatti e si creano i trend dei comportamenti sociali, ma soprattutto perché la gente, diciamo la pancia della società che frequenta la rete, sperimenta una libertà ed una potenza di interferenza nei processi decisionali prima di Internet assolutamente sconosciuta perché impossibile.

Questo nuovo “sistema di comunicazione” ha già fatto la differenza nelle elezioni del presidente degli Stati Uniti, come abbiamo documentato nel libro Obama.net, dove raccogliemmo la ricerca sui 4 anni di Obama in rete prima della sua elezione. Un comportamento segnato non dall’uso della rete come megafono, per meglio propagandare la propria candidatura, quanto dalla scelta di puntare sull’area sociale di chi in rete si immerge per lavoro o semplice interesse. Una “nuova classe sociale”, un nuovo ceto che pretende nuove culture di governo e , sopratutto, l’abilitazione a partecipare alle decisioni.

Un fenomeno non dissimile si è affacciato nelle piazze nord africane nei mesi scorsi. A minacciare i regimi al comando sono state folle di giovani, alfabetizzati e connessi che pretendevano un supporto efficiente da parte del proprio governo per competere e vincere sulla scena della propria vita.

L’Italia è diventata laboratorio avanzato di una nuova politica in socialnetwork.

Un’Italia che, forse sorprendendo alcuni osservatori pigri e tradizionali, è già in marcia sulla strada di una trasformazione sociale: 29 milioni di presenze attive in rete, +19% di incremento dell’ e-commerce, +40% di smartphone, 6 ore e mezzo a settimana su Facebook, il 50% delle piccole e medie aziende che già ha adottato soluzione di cloud computing per i propri servizi in rete. Sono dati che ci parlano di un paese nuovo, individualizzato, professionalizzato, competitivo e sopratutto digitale, culturalmente digitale.

Non sono cose nuove queste per noi di mediasenzamediatori.org , la nostra comunity che raccoglie il lavoro della cattedra di Teoria e Tecnica dei Nuovi Media dell’Università di Perugia, che da anni discute appunto delle discontinuità sociali, prima che tecnologiche, della rete.

Mettendo l’utente al centro della rete, possiamo dire, a buon diritto, e potendolo documentare, siamo riusciti a prevedere, con grande precisione l’esito del referendum.

Infatti , già da sabato, cioè il giorno prima dell’inizio delle votazioni mentre dominava la discussione sulla possibilità del quorum, abbiamo fissato il risultato finale della partecipazione al voto in un range che andava dal 55 al 60%. Non ci riteniamo né indovini, né brillanti analisti.

Siamo semplici osservatori dei nuovi fenomeni digitali.

Noi siamo convinti, che se si vuole capire dove vanno le cose nel tempo nostro, bisogna guardare alla rete non diversamente da come nel secolo scorso bisognava guardare alla fabbrica.

In questo spirito abbiamo cercato di usare elementi di statistica inferenziale, molto semplici, per capire le tendenze nei comportamenti di massa e siamo convinti che presto questi giochetti matematici diventeranno scienza “ufficiale” ed influiranno in molti campi, ad esempio nel giornalismo, con fenomeni importanti ed emergenti come il data driven journalism.

La rete, infatti, ci mette a disposizione grandi masse di dati che descrivono i comportamenti delle comunità sociali, delle imprese, dei cittadini nei più svariati campi e che, se correttamente interpretati, ci permettono di inferire cose concrete, molto concrete.

 

Ad esempio, quando nei giorni passati si discettava del raggiungimento del quorum, abbiamo sviluppato un piccolo programmino. Un programma per acquisire ed indicizzare i dati relativi ai pronunciamenti e alle dichiarazioni in merito al referendum sui principali socialnetwork, Facebook e Twitter.

Al primo campione, relativo a Facebook,abbiamo assegnato il 75% del valore finale ed a quello su Twitter il rimanente 25%.

Il risultato ottenuto ci ha dato una stima del quorum intorno al 58,5% con uno scarto di +-3%.

Non abbiamo diffuso i risultati per puri scrupoli scaramantici, ma ci siamo convinti che la partita fosse vinta con molto anticipo sui tempi reali.

Vuol dire questo che abbiamo un modello di previsione universale? No di certo: una cosa del genere non ha senso.

Ne parliamo semplicemente perché siamo convinti che la rete ci offra strumenti assai potenti e che di qui viene l’innovazione del nostro tempo.

Anche questa cosa dimostra come anche nel nostro paese ormai le comunità di socialnetwork riflettano, sempre più fedelmente, il senso comune di un intero paese.

Esattamente come fu per Obama.

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