Significativamente Oltre

Massimo Preziuso

Bersani faccia “en plein”: un ticket con Matteo

 
Oggi è stata una bellissima domenica. Finalmente si torna a respirare in Italia.
 
Questa vittoria netta di Pierluigi Bersani è la vittoria di tutto il centrosinistra e della maggioranza degli italiani che da tempo chiedono un governo a guida PD, progressista ed europeista.
 
Forse manca un passaggio, per fare “en plein” stasera: proporre a Matteo Renzi un ticket di governo.
 
Matteo, al netto di una comunicazione politica a tratti davvero brutta, merita di essere coinvolto, perché testimonia l’energia e la voglia di cambiamento di una intera generazione, che è poi la mia, quella dei trentenni.
 
Un ticket Bersani – Renzi darebbe un messaggio enorme all’Italia. Quello di un PD “unito nella diversità”.
 
Questo il mio auspicio, anche se so bene che sarà di difficile attuazione, per motivi che sono anche sostanziali.
 
Ad ogni modo, viva il Partito Democratico.
 
Da domani, si riparte.

R-innovamenti nel Partito Democratico

 di Massimo Preziuso su l’Unità

E finalmente il Partito Democratico – e con esso il Paese – sta per tornare a vivere una fase di innovazione politica e culturale.

Sono passati ormai più di 6 anni da quando  tanti di noi si entusiasmarono con la discesa in campo di Romani Prodi da Brussels, sicuri che il Paese avrebbe finalmente svoltato. Iniziò da lì un biennio unico, in cui tanti normali cittadini scoprirono il piacere di mettere da parte almeno un po’ i propri interessi indivduali per condividere idee e progetti politici con sconosciuti, che poco dopo sarebbero diventati molto di più. Così ad esempio accadde – cito un’esperienza diretta – nelle Associazioni per il Partito Democratico e poi in Innovatori Europei.

E, con Prodi premier, furono proprio le primarie del Partito Democratico del 2007 il momentum in cui tutti gli italiani, direttamente coinvolti o indirettamente sollecitati, sentirono di vivere un periodo unico di partecipazione e dibattito. E, cosa più importante, questa energia si “sentì” per le strade di Italia.

Tutto finì rovinosamente nel 2008 con la caduta del Governo Prodi, e l’inizio di 4 anni di pesantissima crisi politica ed economica.

Prima la fase finale – la più brutta – di un berlusconismo auto – referente e auto – distruttivo, che ci ha incattivito, mentre già accusavamo i primi colpi della crisi internazionale.

Poi, in una tensione masochistica, la scelta di un governo “troppo tecnico” a guida Monti, che ha totalmente disintegrato la (già poca) progettualità e l’attivismo della società civile ed imprenditoriale nei territori italiani.

Infine, conseguenza di tutto questo, l’emergere prepotente – alle amministrative di maggio scorso – di una realtà come il Movimento 5 Stelle, che rappresenta a pieno lo svuotamento della proposta politica dei partiti e della loro quasi inesistente presa sull’intera popolazione, logorata pesantemente dalla coda finale di una crisi diventata troppo lunga e di dimensione europea.

Arrivati a questo punto il Partito Democratico doveva necessariamente cambiare passo, pena la sua scomparsa dalla scena politica, dopo quella del PDL, della Lega e del mai nato Terzo Polo. E all’ultimo momento lo ha fatto, nella direzione nazionale di venerdì scorso.

Con la r-innovata scelta delle Primarie per la selezione del candidato premier di centro-sinistra, il Segretario Bersani ha infatti messo finalmente un punto a questo brutto quadriennio e aperto un nuovo libro, che libererà energie in tutto il Paese.

E lo si è visto subito: nello stesso giorno, un PDL alla ricerca di un suo nuovo spazio di azione, seppure ridimensionato, ha annunciato anche’esso primarie per la leadership, seppure alla sua maniera (cioè senza alcuna discussione precedente).

E lo si continuerà a vedere sempre di più nei prossimi giorni e settimane. Il Paese tornerà presto ad attivarsi. La gente tornerà a crederci e a partecipare, ne sono convinto.

Ora c’è questo libro nuovo da scrivere a più mani. Il Partito Democratico – come era immaginabile ed auspicabile – ne sarà l’editore e questa è una bella notizia per tutti quelli che vi hanno dedicato energie in questi anni.

Adesso cominciano i 10 mesi più affascinanti e sfidanti per il Paese dal dopoguerra, al cui termine – con le elezioni di Aprile 2013 – dovremo ritrovarci in un’altra era con tante facce e tanti progetti nuovi, per tornare a crescere ed entusiasmarci.

Tocca a tutti noi: è tornato il momento della partecipazione, che è stavolta necessaria ancora di più che 5-6 anni fa.

R-innovamenti italiani 2013

R-innovamenti italiani 2013 (di Massimo Preziuso su L’Unità)

Si può dire quel che si vuole, ma un primo rinnovamento italiano, domenica e lunedì scorsi, in Italia c’è stato eccome.

A prima vista, i cambiamenti avvenuti possono anche sembrare modesti, ma a guardar bene, l’Italia che esce dal primo turno delle elezioni amministrative è in nuce già una Italia rinnovata.

Vediamo in sintesi perchè:

– Il Movimento Cinque Stelle è ora il principale virus di sana società civile entrato nel sistema immunitario ormai davvero senza forze del sistema partitico italiano, e farà da apripista a numerose iniziative civiche alle elezioni politiche del 2013.

– Le tante liste civiche scese in campo nella battaglia amministrativa, insieme ai partiti tradizionali o da indipendenti, sono in molti casi risultate più forti delle liste con sigla partitica, e questo è un dato altrettanto forte.

– Il PDL e la Lega sono già da annoverare come esperienze politiche passate: dovranno cambiare ragione sociale e sigla presto, travolte ormai da enormi problematiche interne e da questa lunghissima crisi economica nei fatti generata dal loro inattivismo politico e resa oggi così esasperata ed esasperante dalla (in) azione dell’attuale governo tecnico.

– Il PD – unico partito politico in Italia (dopo che l’eventuale alternativa ad esso – il Terzo Polo – è già stata rapidamente archiviata il giorno stesso in cui doveva nascere, per bocca del leader Casini) – è nei fatti ancora incapace di sperimentare un cambiamento sostanziale e rimane a difendere una “posizione dominante”: si comporta infatti come un grande operatore industriale che opera in un mercato protetto, in cui però presto arriverà una naturale ondata di “liberalizzazioni” e di “aperture” che rischia di travolgerlo. Lo si è visto nella scelta dei candidati sindaco in varie città di Italia, dove ha prevalso una assurda continuità (che poi lo ha penalizzato), nonostante il vento di innovazione, che ormai sta sfondando le porte di Italia e di Europa.

In tutto questo quadro politico, ci avviamo ormai verso quell’ #annozero2013 italiano di cui scrivo da tempo, e che proprio oggi la Commissione Europea certifica intravedendo addirittura la necessità di una ulteriore manovra finanziaria per 8 miliardi di euro in un contesto di rapporto deficit/Pil 2012 a -2% e 2013 a -1,1% nel 2013, nonostante il pregresso di sacrifici e di austerità imposta ai cittadini nei mesi scorsi.

E’ proprio per questo travagliato quadro politico ed economico che ci si aspetta grandi cambiamenti nei prossimi 12 mesi che ci porteranno alle elezioni politiche.

La domanda che ci si pone è: ce la farà il Partito Democratico a diventare, dopo 5 anni di avviamento, quel naturale attrattore delle tante energie distribuite nel BelPaese, fuori dalle istituzioni, che comunque porteranno avanti questa rivoluzione all’italiana? Oppure queste tante energie nuove si aggregheranno intorno a Beppe Grillo o a nuovi leader che prenderanno rapidamente la scena, imponendosi come forza di “distruzione creativa” italiana?

E’ ormai attorno a questa domanda – e alla risposta ad essa – che ci giochiamo il futuro del Paese: nell’ #Italiannozero2013 appunto.

 

Clonare @fabriziobarca

 di Alessandro Aresu (su Lo Spazio della Politica)

Negli ultimi giorni ha preso piede il rumor giornalistico-politichese (a partire dall’articolo di un quotidiano maestro di questo genere ) secondo cui il Ministro della Coesione Territoriale Fabrizio Barca potrebbe essere un nuovo Romano Prodi, capace di unire i delusi di questa stagione politica in un progetto di rilancio dell’Italia.

Questa notizia mi ha sorpreso, perché avevo deciso, a partire da uno scambio di battute su Facebook con Massimo Preziuso, di dedicare a Barca una nuova puntata della serie di profili de Lo Spazio della Politica che propongono la “clonazione” delle personalità italiane che ci hanno colpito (una storia cominciata qui). Finora non ho mai preso posizione sulle figure da clonare e non vorrei basarmi su indiscrezioni giornalistiche, ma su un altro livello di approfondimento. Prima, una breve nota sulla serie della “clonazione” dello Spazio della Politica: cerca di essere un esercizio con una morale, perché l’attenzione per le personalità (senza che diventi un’ossessione) vuole dare l’idea di una cultura dell’esempio. Ognuno di noi si porta appresso un pantheon di maestri diretti e indiretti, consapevoli e non consapevoli. Non è possibile basare un percorso e una visione del mondo solo su di sé e vale la pena di stare in dialogo, se si vuole crescere.

La stessa descrizione del ministero di Barca, per la coesione territoriale, è il primo passaggio  su cui vale la pena di soffermarsi. Direi che, prima dei colpi giunti dalle recenti vicende, è stata la scelta politica con cui Giorgio Napolitano ha allungato le celebrazioni dell’Unità d’Italia e tolto la stagione leghista dall’agenda. Al posto del federalismo, la coesione: si tratta di un ministro senza portafoglio, ma il messaggio che fornisce è opposto a quello della retorica della rivendicazione di indipendenza per una parte dell’Italia rispetto a un capro espiatorio, sia nella prospettiva del Nord che nella prospettiva del Sud. Allo stesso tempo, con Barca Napolitano ha recuperato una figura che, rispetto ai colleghi ministri, presenta alcune particolarità. È vero, proviene dall’amministrazione pubblica come molti altri. Troppi, a mio avviso, non solo perché Lucio Caracciolo è meglio di Terzi ma per un motivo che non riguarda le nostre preferenze faziose: quando hai un problema di inefficienza della spesa pubblica l’amministrazione centrale è pienamente coinvolta, ed è utopico pensare che si impegni seriamente per l’autoriforma, a partire dall’autocritica necessaria per ogni processo di questo tipo.

Il padre di Fabrizio Barca, Luciano, è stato responsabile economico del PCI, e lui è stesso è stato membro di quella fucina di classe dirigente che è stata la Federazione dei Giovani Comunisti Italiani. Più ancora che sulla sua collocazione politica, tuttavia, vorrei soffermarmi su tre punti. Il primo riguarda proprio la necessità di riempire di contenuto l’espressione continuamente ripetuta, “classe dirigente”, nel contesto della storia dello sviluppo e dell’impresa in Italia. Un profondo conoscitore della società e dell’impresa italiana, Giulio Sapelli, ha pubblicato un pamphlet critico sul governo dei professori (si può leggere per intero su Linkiesta), in cui se la prende contro la “crudeltà istituzionale” del governo e scrive:

I professori italiani, come quelli europei e di tutto il mondo, vivono nell’iperuranio dell’astrattezza, in primo luogo gli economisti che troppo spesso sono solo professori e non intellettuali, con conseguenze ancor più umanamente devastanti: concepiscono i soggetti umani come cavie e non come persone.

Chi, come lo stesso Sapelli, ha letto “Storia del capitalismo italiano”, sa che questa definizione non si applica affatto a Barca, che i suoi lettori conoscono come intellettuale. In quel testo, l’economista parte dal progetto incompiuto di Raffaele Mattioli (che nel 2012 compie quarant’anni) dell’Associazione per lo studio della classe dirigente dell’Italia unita e compie un’analisi pregevole della fase “gloriosa” del capitalismo italiano secondo la categoria del compromesso senza riforme. È un saggio che consiglio a tutti quelli che sono interessati a capire le occasioni mancate dello sviluppo italiano, in un volume che spicca anche per la capacità del curatore di aggregare alcuni dei migliori studiosi che aiutano a comprendere il nostro Paese, da Franco Amatori a Marcello De Cecco. Analisi di questo genere segnalano, tra l’altro, che la risposta alla domanda cruciale “Come è fatta l’Italia e come è possibile cambiarla?” non deve giungere necessariamente dai consulenti di Boston Consulting Group o di McKinsey. Non è obbligatorio pagare profumatamente questa gente affinché ci insegni a pensare e a vivere sotto forma di report. La risposta può giungere anche da chi l’Italia l’ha girata di persona e, come nel test dell’ultimo libro di Charles Murray, ha magari messo almeno una volta piede in un capannone o in una stalla. E può venire da quei serbatoi, come la Banca d’Italia, in cui il nostro Paese, tra pregi e difetti, ha mostrato di poter produrre classe dirigente. Senza alcuna stupida presunzione autarchica e avendo sempre davanti l’errore del dopoguerra, quella “rinuncia a disegnare un meccanismo istituzionale che assicuri il rinnovamento del ceto dirigente”, altrimenti il “compromesso senza riforme” si trasforma in “nostalgia senza progetto”. Confortati da nuove testimonianze, ci ritroviamo ancora a celebrare il grande Raffaele Mattioli, senza sapere che fare, un po’ sconfortati.

Il secondo punto per cui abbiamo bisogno di “Clonare Fabrizio Barca” riporta all’articolo di Chiara Mazzone che abbiamo pubblicato a gennaio, “Ce la faremo a spendere i fondi europei nel 2012?”, a cui rinvio per maggiori approfondimenti. L’innesto tra interesse nazionale e politica europea è uno dei punti su cui Lo Spazio della Politica cerca di spendersi di più, fin dai contributi di Moris Gasparri e Matteo Minchio al nostro lavoro collettivo sull’Europa di tre anni fa. Già nel 2003, su Limes, Barca invitava a “prendere sul serio la politica di coesione comunitaria, attiva, con i suoi 30 miliardi di euro annui di dotazione” suggerendo per il Paese una mappa in quattro punti: per la competitività di tutte le regioni, meno aiuti di stato e addizionalità, difendere la “Maastricht del Mezzogiorno” e riformarne le regole, contenere il contributo finanziario netto dell’Italia. Dopo dieci anni, giornali come “Il Corriere della Sera” indicano con un cronometro il tempo trascorso dall’impegno dei presidenti delle camere per la riforma sul finanziamenti ai partiti. È un tema di rilievo e sentito fortemente dai cittadini, come quello che riguarda la legge elettorale. Allo stesso tempo, noi pensiamo che sia altrettanto urgente, seppur più faticoso da inserire nel dibattito pubblico, il cronometro dei fondi europei. Un tema non percepito, ma cruciale, perché dietro quel cronometro vi sono grandi, medie e piccole opere infrastrutturali, nuove imprese, percorsi di formazione, posti di lavoro, oltre alla questione dell’efficienza della nostra amministrazione pubblica. Dobbiamo anche pensare a questo, magari in una pausa dei nostri continui litigi, e a Sergio Fajardo, ex sindaco di Medellin, che negli edifici riqualificati nelle zone degradate delle città faceva appendere lo striscione “le vostre tasse sono qui!”. Anche questo sarà un mattoncino della coesione, che vince quando è più concreta della paura e del generico auspicio della bellezza della tassazione, e quando non si riduce al semplice catalogo delle cose da fare.

Infine, e questa è la ragione del titolo, il terzo motivo per cui vale la pena di clonare il ministro Barca riguarda il suo uso di Twitter. Il ministro è su Twitter dal 5 dicembre 2011 e la lettura integrale delle sue comunicazioni (la parte curata dallo staff è molto minoritaria, anche se presente per la cronaca live degli eventi) dà una buona prospettiva sulla sua attività di governo, dal racconto delle diverse città e strade italiane che ha visitato, al suo profilo di studioso (vedi i tweet sul servizio dell’Economist sull’ascesa del capitalismo di stato, qui il dibattito) per giungere poi al punto più importante, l’interazione con i cittadini, oltre che con i giornalisti e le altre autorità. Questa parte del profilo di Barca, con un po’ di buona volontà, non sarà poi difficile da clonare.

R-Innovamenti italiani

 

di Massimo Preziuso (su L’Unità)

Ero tra quelli che nel 2009 – quando sembrava che l’Italia avrebbe pagato di meno la crisi “americana” di quanto stavano andando a pagare paesi ad economia più finanziaria della nostra – dicevano che il rischio era invece che il Belpaese avrebbe scontato come gli altri quell’anno e poi addirittura vissuto  – insieme a pochi compagni di sventura – una ricaduta di febbre, entrando nella cosiddetta “crisi a doppia V”.

Ebbene, il 2012 – dopo un 2009 disastroso e un 2010-2011 di bassissima crescita – sta nei fatti avverando quel pensiero, con una recessione seria in atto e in aumento.

Improvvisamente oggi è chiaro un po’ a tutti che siamo arrivati a quell’anno zero italiano, che in tanti pensavano fosse già passato qualche anno fa, ma che invece arriva solo nel 2012.

E in tutto questo la politica di puro rigore finora attuata dal Governo Monti non aiuta affatto, andando semplicemente ad indebolire un tessuto socio – economico già fortemente lacerato.

Laddove le varie riforme attuate o in via di discussione siano – nella teoria – in gran parte condivisibili, esse risultano incomprensibili per questioni di “contesto” in cui vanno a essere imposte ai cittadini.

Ancora di più se si pensa alla contestuale assenza di politiche redistributive e di azioni di sviluppo, uniche vere leve di rilancio di un Paese immobilizzato.

Tranne virate primaverili, l’attuale esecutivo sarà servito fondamentalmente per renderci  conto di quanto urgente fosse, in Italia, ripartire – da zero – con energie nuove e progetti di innovazione, che nascono solo dal ritorno di una politica più autorevole, rispettosa degli elettori e dei territori, mancata per troppi anni.

Il Paese è oggi nei fatti paralizzato su tutto. Si deve ora tutti insieme rimboccarsi le maniche e lavorare per una vigorosa ripartenza, come fu nel secondo dopo guerra. Le elezioni del 2013 devono essere l’inizio di tutto questo.

Sono stati davvero  tanti i cambiamenti radicali che questa globalizzazione accelerata di un tratto ci ha sbattuto davanti agli occhi. In primo, quello di aver trasformato l’Italia da potenza globale in attore di secondo livello. Già questo fatto da solo manderebbe in crisi una popolazione. Figuriamoci allora quanto ci si possa sentire smarriti ad essere italiani nel 2012.

E’ da questo smarrimento che dobbiamo uscire rapidamente per poter ripartire. Per farlo il Paese deve affidarsi a nuovi talenti e nuove progettualità, che – aldilà della tanta retorica che circola da tempo sul tema – nei fatti ancora oggi (il sottoscritto lo diceva già nel 2006) rimangono confinati nella testa dei Giovani e delle Donne, prima che in altri luoghi.

Il tempo per ripartire è pochissimo, ma sento che noi italiani ancora una volta (ci) imporremo un cambiamento epocale che non è più possibile posticipare, proprio perché – restando fermi ancora – tutto continuerà rovinosamente a crollare.

Apro dunque questo spazio di discussione per dire la mia sui tanti “R-innovamenti” di cui credo questo Paese abbia urgentemente bisogno,  e che già in molti stanno provando a mettere in campo nei territori e in alcuni settori dell’economia e della società.

Mi occuperò principalmente di quei  temi che ritengo da sempre prioritari per il nostro Paese, come appunto quello generazionale e di genere, quello del merito nella società italiana, dell’Europa dei popoli, delle nuove tecnologie e del loro impatto su una società cambiata, di una nuova politica energetica e industriale sostenibile, della necessaria centralità del Mezzogiorno nel progetto Euro – Mediterraneo e – last but not least – dunque dell’esigenza di una rinascita della Politica in Italia.

 

“Prima Persona” presenta “European Common Goods” al Parlamento Europeo

Domani, 23 Novembre al Parlamento Europeo di Brussels l’associazione promossa dal Vice Presidente Gianni Pittella – Prima Persona – presenterà  il manifesto “European Common Goods“.

Innovatori Europei Brussels partecipa all’iniziativa e porta con sè la Bozza del Manifesto “Ricostruiamo l’Italia con le Rinnovabili”, promosso insieme a SOS Rinnovabili, per nuovi suggerimenti e proposte migliorative.

Vi aspettiamo.

 Per chi volesse contattarci: infoinnovatorieuropei@gmail.com

In Russia, cresce il movimento ambientalista

 

di Massimo Preziuso

Torno oggi da una intensa settimana passata in Russia, dove sono stato invitato a parlare di politiche energetiche sulle rinnovabili in Italia e in Europa.

Ne torno molto contento. Ho conosciuto una Russia cambiata e cresciuta da un punto di vista di “social awareness” e questo mi ha fatto molto piacere.

Ho parlato ad una platea di giovani studenti universitari e professionisti, impegnati nel mondo dell’ecologia e dell’ambiente con il movimento green ECA Planet (il cui motto è “Ambientalista – Bello –  Alternativo”), di Innovatori Europei e di quello che accade in Italia, facendone un caso di studio europeo, per concludere con alcuni suggerimenti alla Russia su quello che “non deve fare” per sviluppare, all’interno di un contesto molto diverso rispetto al nostro, una industria verde.

Ho voluto soprattutto comunicare il fatto che le politiche su settori in fase di crescita e carichi di innovazione – come quello energetico – vanno fatte con la piena approvazione della politica e della cittadinanza e che non possono permettersi “stop and go”.

Ovvero che è importante prima di tutto avere una cultura ambientalista, e che questa non nasce se non attraverso una formazione ambientalista. E’ questo che ho suggerito nella media conference internazionale ai giornalisti che ci chiedevano “come sviluppare l’industria green russa”. Ho detto che, “laddove un Paese fa degli utili provenienti dall’Oil & Gas una principale voce di bilancio, si puo’ diventare certamente green, ma nel lungo periodo, e partendo proprio dall’education e da movimenti come ECA”.

Nonostante il mio approccio critico, sono stato contento di ricevere diversi feedback e commenti, oltre a diverse richieste di collaborazione con l’Italia (ho parlato anche di un interessante Master, che si chiama Emerges, che Luiss Business School sta avviando, invitando giovani professionisti russi a parteciparvi).

Molti piccoli imprenditori green mi hanno detto di voler collaborare e crescere con le nostre aziende del settore. Alcuni producono ottima frutta organica, altri accumulatori di energia prodotta da solare termico residenziale o progetti immobiliari 100% ecologici.

Sono poi andato a visitare gli importanti progetti immobiliari che si stanno realizzando vicino Sochi – che sarà sede delle Olimpiadi invernali nel 2014 – e ho visto un’area che si sta trasformando e diventando rapidamente una bellissima località turistica di tipo europeo.

Differentemente da quello che molti europei possono immaginare, sembra proprio che la Russia guardi l’Europa quale modello di riferimento e migliore partner possibile per innovare il proprio Paese.

Non solo perché il nostro continente è patria di innovazione di frontiera su diverse tematiche (come quella ambientale) ma anche perché, nei fatti, ha moltissime similitudini con la Russia (basta girare per la regione del Caucaso per riconoscerne panorami, climi e cultura mediterranei).

Sarebbe allora bello vedere il nostro Paese accelerare nella collaborazione con le avanguardie culturali russe, come quello di ECA Planet.

Anche con iniziative politiche, oltre che di business. E anche perché da queste collaborazioni si potrebbe trarre anche lezioni interessanti.

Ad esempio, come si realizzano (in Russia) summer camps con centinaia di giovanissimi appassionati di ambiente e come si portano a termine in pochi mesi campagne per piantare 1 milione di alberi in tutto il paese grazie al lavoro di migliaia di scuole in tutto il Paese.

E allora, confrontiamoci con Paesi che sembrano diversi da noi – ma non lo sono – e cresciamo insieme a loro.

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