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YUNUS E LA “BANCA DEI POVERI”

YUNUS: Con il Crédit Agricole la “Banca dei poveri” si concretizza sempre di piu’ in Europa.

di Mauro Stefanelli

Auspicabile in futuro un maggior coinvolgimento anche degli istituti italiani.

Lo storico accordo tra il premio Nobel 2006 per la pace Muhammed Yunus ed il presidente di Crédit Agricole Georges Pauget consolida in Europa le basi in materia di microfinanza.

Creata tra Crédit e Grameen Bank una fondazione alla pari in joint venture, con sede in Lussemburgo, con un capitale iniziale di 50 milioni di Euro.

Si ricorda che la Grameen Bank, altresì nota ai media come “banca dei poveri”, è dal 1976 che opera in Bangladesh, dove ha ancora il suo quartiere generale.

Con la mission di sviluppare iniziative imprenditoriali tra le classi meno abbienti, la Grameen sta in tutto il mondo vincendo la sua scommessa di business: “Prestare danaro alla povera gente non solo è eticamente ammirevole ma, a conti fatti, è anche economicamente redditizio”.

Come infatti l’economista Yunus tiene ad esibire in tutte le sessions cui partecipa, i dati del suo istituto sono in tal senso inequivocabili:

– Un capitale sociale di 6 miliardi di dollari Usa;

– Il Fiscal Year 2006 chiuso con un saldo attivo netto di bilancio di 20 milioni di dollari;

– 100 i paesi del mondo attualmente interessati;

– 7 milioni di clienti a livello global ancora prevalentemente concentrati nella penisola indiana (di cui il 97% donne);

– Un mercato potenziale di 1,5 miliardi di clienti per un valore di circa 300 miliardi di dollari come target di affidamenti, nonchè un trend di crescita annuo del 20-30%;

– Un tasso di rientro per i prestiti che supera addirittura il 99% (percentuale nettamente superiore agli standard delle concessioni del credito classico);

– Una formula vincente: Gli investitori molto spesso sono gli stessi debitori, a suo tempo incoraggiati (nel 93% dei casi di finanziamento) ad acquistare quote dell’istituto di credito e a diventarne così comproprietari.

Ad essere premiato da questo nuovo modo di “fare banca” è senza dubbio il desiderio di riscatto e la creatività dei soggetti beneficiari dei finanziamenti.

Il diritto al credito, quale nuova nozione nel vocabolario dei diritti umani, viene ad assumere dimensioni di vera e propria pietra miliare nei processi di pace internazionali.

Il raggiungimento di equilibri di distensione, infatti, transita indissolubilmente per contesti in cui a dominare sono l’equilibrio economico ed un’ equa distribuzione delle risorse.

Questa l’ottica in cui a Yunus è stato riconosciuto il Nobel due anni fa: Premiato proprio per la pace anziché per l’economia, interpretata, quest’ultima, come mezzo per il perseguimento della prima.

Vuoto per pieno il ‘Social Business’ messo in piedi in questi 30 anni dal benefattore di Chittagong, la comunità rurale del Bangladesh dove l’iniziativa partì, in prospettiva sarebbe in grado di emancipare dalla povertà il 60% della popolazione mondiale.

Ciò, ovviamente, qualora ci fosse un disegno politico di sostegno da parte dei diversi paesi.

Per tornare al Crédit Agricole, piu’ che blasonata istituzione creditizia transalpina, questa è stata la prima banca a stringere contatti con la Grameen per la realizzazione di un progetto comune di sviluppo del “credito etico”.

C’è da scommettere che i francesi avranno saputo fare bene i loro calcoli, non solo alla luce dei numeri di cui sopra, ma anche e soprattutto,se confrontati, dei “risicati” andamenti di crescita degli istituti di credito tradizionali occidentali.

Microleasing e microfactoring sono in agenda i due settori nei quali la neonata joint venture ha intenzione di cimentarsi nell’immediato; questi, oltre alla creazione di un fondo etico entro il 2009 dedicato alla microfinanza.

Il raggiungimento di 100 milioni di Euro di surplus, rispetto ai 50 milioni già stanziati all’inizio, sono stati considerati l’obiettivo sfidante per ampliare subito dopo il raggio d’azione geografico e potenziare così il mercato africano (avvalendosi dei canali creditizi dei paesi francofoni, soprattutto dell’area maghrebina).

In sintesi, diciamo che di carne al fuoco con questo matrimonio d’interessi ne è stata messa eccome.

Calandoci nella realtà nostrana, c’è da dire che, se in generale l’Europa non è stata sorda al richiamo etico e solidaristico dell’economista bengalese, l’Italia fino ad ora si è limitata a dei timidi approcci.

Il Bel Paese ha infatti attivato poco piu’ del 20% dei programmi microcreditizi europei, con circa 350 entità beneficiarie (pari all’1% della quota continentale), mentre le stime ufficiali del Bollettino statistico della Banca d’Italia, per l’arco temporale 2001/2005, hanno certificato che sono stati erogati soltanto 550 mila euro circa di microcrediti…

Della serie: Si può dare di piu’.

Per concludere con alcune mie considerazioni, penso sia indubbio che la realtà occidentale si presenti differente da quella terzomondista e dei principali paesi emergenti dove il bisogno di certi interventi è maggiormente sentito.

Ad ogni modo una cosa è certa: Parlare sempre di piu’ di finanza etica farà bene all’opinione pubblica…. Farà riflettere sugli ancora elevatissimi guadagni che i nostri istituti di credito realizzano sulla pelle della collettività.

Si comincia a proporre di tassare le banche e si scomoda come al solito Robin Hood, intitolandone addirittura una tax….:Mi sta bene per carità…..

Mi auspico però che si continui su questa strada, che si dia, consentitemi il gioco di parole, un “taglio alla forbice” ancora troppo larga tra tassi debitori e tassi creditori cui la clientela è sottoposta.

Ritengo che se si arrivasse ad avere delle banche “formato public company” nel vero senso della parola (la formula della partecipazione azionaria della Grameen naviga in questa direzione…), forse la musica cambierebbe davvero……

Sperare è d’obbligo

Mauro Stefanelli

LA LUNA DI MIELE GIA’ FINITA?

Basta leggere i giornali di questi ultimi giorni, per percepire un ulteriore cambiamento “negativo” in atto in Italia.

Diversi fatti ne danno sostanza:

– L’approccio padronale del Governo al problema, enorme, della Giustizia

– La sostanziale mancanza di collaborazione positiva tra Governo ed opposizione (che oggi diventa uno STOP da parte del PD e di Veltroni)

– La sostanziale “stanchezza” che continua a contrassegnare i lavori di costruzione del PD

– L’assenza di dibattito nella Società civile, e la conclusione di quell’importante fase di vivacità che abbiamo tutti vissuto negli anni in cui il PD andava a nascere, sotto la leadership del tanto (ingiustamente) “criticato” Prodi

– Il mancato avvio di politiche innovative sui Temi dell’Ambiente e della Ricerca, tranne qualche piccolo Spot (come quello delle Borse di Ricerca per i Dottorandi).

…Speriamo che la Luna di Miele non sia già finita, altrimenti andiamo a finire male!

IE

ADEGUAMENTO BORSA DI DOTTORATO

Questa è una bella notizia per la ricerca, in genere.  Ora bisogna andare avanti: questo non può essere che il primo STEP di una lunga SERIE, per rinnovare il PAESE.

Massimo

Ecco il comunicato stampa del Ministro (innovatore) Gelmini

(AGI) – Roma, 17 giu. – Via libera all’aumento di 240 euro al mese per le borse di dottorato. Ad annunciarlo e’ il ministro della Pubblica Istruzione, Mariastella Gelmini, nell’audizione davanti alla commissione Cultura della Camera. “Da pochi giorni abbiamo reso operante l’emendamento del senatore Giuseppe Valditara”, ha spiegato il ministro, sottolineando come la retribuzione dei nostri ricercatori sia”troppo bassa rispetto alla media europea e alla media Ocse”, il che “rende il ruolo meno appetibile da parte dei giovani di talento. Occorre investire risorse perche’ i ricercatori italiani siano in numero maggiore e siano meglio pagati”.
Ed ecco il commento di Marianna Madia, che aveva avviato una interrogazione parlamentare a riguardo, qualche giorno fa

Dottorati bene adeguamento borse. Ma non è che l’inizio – (dal blog di Marianna Madia)

Il ministro Gelmini ha annunciato che il sospirato aumento delle borse di dottorato diverrà immediatamente operativo con un incremento per i dottorandi di 240 euro. Il PD approva questa norma votata dal parlamento nella scorsa legislatura predisposta dal governo Prodi e infine realizzata dal ministro Gelmini. Avevo su questo argomento presentato pochi giorni fa un’interrogazione cofirmata da Dario franceschini e dal gruppo PD in commissione cultura.

Non era più accettabile che un candidato al dottorato di ricerca guadagnasse nel nostro paese 805 euro di fronte ai 1200 dei colleghi austriaci, dei 1400 dei francesi, ai 1500 dei britannici, ai 2200 degli svedesi e ai 3300 dei danesi.

Ora Gelmini completi la riforma del dottorato. Devono scomparire progressivamente i senza borsa e nel frattempo eliminare le tasse universitarie che essi pagano; aumentare il numero delle borse a disposizione e favorire il rapporto tra dottorato di ricerca e mondo del lavoro attraversi strumenti di incentivo.

Ed ecco il commento dell’ADI, primo motore dell’iniziativa

RICERCA: ADI, SODDISFAZIONE PER AUMENTO BORSE DOTTORATO

Roma, 17 giu. – (Adnkronos) – “Soddisfazione per l’annuncio della firma del decreto di aumento delle borse di dottorato da parte del ministro Gelmini”. Lo esprimono gli appartenti all’Adi, Associazione dottorandi e dottori italiani, che questa mattina si erano mobilitati a Roma per ottenere una risposta definitiva, dopo sei mesi di attesa, sul decreto di aumento dei minimi delle borse di dottorato, necessario a rendere disponibili i 120 milioni di euro stanziati in Finanziaria 2008. L’aumento di circa 240 euro al mese, dovrebbe portare le borse dagli attuali poco piu’ di 800 euro a circa 1.000 euro mensili, e i giovani ricercatori di Roma, spiega il segreatario dell’Adi della capitale, Francesco Vitucci, “questa mattina si sono improvvisati lavavetri per sensibilizzare l’opinione pubblica e per richiamare l’attenzione sulle proprie condizioni di vita e di ricerca sempre piu’ precarie. Le borse di dottorato, ferme da ormai 8 anni a circa 800 euro, non permettono di vivere in maniera autonoma: fare ricerca e studiare in condizioni decorose e’ spesso molto difficile”. “Come Adi siamo particolarmente soddisfatti della notizia dell’aumento delle borse di dottorato -interviene Giovanni Ricco, segretario Adi- e’ quello che i dottorandi italiani, e noi come associazione, chiedevamo, da tempo. L’aumento rende giustizia del lavoro di studio e di ricerca dei giovani ricercatori e fa recuperare loro, almeno in parte, la perdita di valore delle borse degli ultimi otto anni”. (segue)

MERITOCRAZIA

di Daniele Mocchi
In questi ultimi giorni, sta tornando centrale nel dibattito politico nazionale il tema della meritocrazia e del talento. Iniziamo innanzitutto col dire che la società italiana ha un serio ed evidente gap da colmare su questo fronte. Premiare la meritocrazia e il talento significa aumentare la mobilità sociale, attualmente al palo, significa aprire le porte a chi per esempio è nato da genitori operai, non condannando il soggetto a fare la stessa sacrificata vita di coloro che lo hanno messo al mondo.
Significa anche maggiore efficienza e parità di diritti tra pubblico e privato.
Onestamente, le prime prese di posizione del Ministro dell’Innovazione Brunetta su questo tema non mi sono dispiaciute. Tuttavia l’esperienza insegna che non bastano le buone intenzioni, sono tantissimi gli ostacoli da superare, oltre ad un modello culturale che non si può pensare di cambiare soltanto a colpi di legge, come dimostrano le diverse riforme succedutesi negli anni precedenti (come ad esempio l’introduzione della licenziabilità dei dipendenti pubblici) che nella realtà sono rimaste inapplicate.
Qualche giorno fa leggendo l’intervista di Brunetta al Corriere sono un pò trasecolato: il senso della dichiarazione che ha fatto circa l’introduzione di un’aspettativa non retribuita per coloro che dal pubblico vorrebbero passare al privato o diventare autonomi, chiudendone il contratto se l’approdo va a buon fine, mi è sembrata più un’idea tesa al dimagrimento della Pubblica Amministrazione che ad una valorizzazione dei talenti che vi lavorano. E’ infatti assolutamente evidente che accetterebbero di lasciare il posto pubblico, coloro che credono veramente nelle loro capacità e si sentono frustrati perché non riescono a valorizzarle, a metterle in atto…Figuriamoci se i fannulloni penserebbero minimamente a mettere su un’impresa o a lavorare in un’azienda privata!
E’ per questo che ritengo che alle mere dichiarazioni debbano seguire atti concreti e corrispondenti e determinazione nelle loro applicazioni.

LA NUOVA FRONTIERA ENERGETICA

OPEN PAPER – ENERGIA, 12-06-2008 (Redatto da Gabriele Mariani)
La crisi delle risorse energetiche tradizionali, per ora solo annunciata, ma abbastanza vicina anche nelle attuali aspettative di vita, ha già effetti pesanti per i nostri consumi.
La “grandiosità” del problema aggredisce le nostre coscienze e ci impedisce di vivere come prima, anche se cerchiamo ostinatamente di credere, in termini personali ed egoistici, che si troverà una soluzione, e che le nostre condizioni di vita non muteranno. Tuttavia, anche se gli effetti sul piano pratico non incidono ancora in modo definitivo sul nostro stile di vita, cresce dentro di noi il malessere e il timore di svegliarci un giorno in un mondo diverso.
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Non si possono rimandare le scelte.
Occorre farsi carico dei problemi.
I problemi di chi ricerca uno sviluppo delle condizioni sociali ed economiche che sia portatore di benessere in un contesto favorevole e rassicurante.
La conoscenza delle nuove frontiere delle tecnologie, la ricerca di obiettivi sfidanti.
Occorre sacrificare la ricerca di tranquillità e di sicurezza nel breve termine, puntando agli interessi delle generazioni a venire.
L’egoismo dei paesi progrediti porta a spendere tutti gli obiettivi della politica e dell’economia al sostegno del nostro attuale benessere. Le possibili conseguenze negative sulle generazioni future già si avvertono, ma non si affrontano con serio impegno.
Infatti gli ultimi due secoli di sviluppo delle condizioni di vita sul nostro pianeta, e in particolare l’accelerazione del secolo scorso, hanno richiesto l’impiego di enormi quantità di energia, e comportano ora la prospettiva di un rapido esaurimento delle fonti tradizionali di sviluppo e di benessere, sostanzialmente di origine fossile. Tutto ciò anche per l’uso sfrenato e poco efficiente di questa energia, spreco che è causa ormai universalmente riconosciuta del surriscaldamento del globo terrestre e del danno ecologico conseguente.
A coloro che non credono o non vogliono credere alle cause di questa situazione di crisi danno una risposta le leggi della termodinamica, che sanciscono che, pur essendo l’energia una costante,a causa della eccessiva dissipazione si può arrivare a comprometterne l’equilibrio. Intendendo come equilibrio quello fra l’apporto dell’energia dal sole e il processo di conversione della natura, che per millenni ha stabilito condizioni favorevoli allo sviluppo della vita animale e vegetale sulla crosta terrestre. E ne deriva un disordine che può avere conseguenze che, misurate sui nostri tempi di vita, rischiano di essere devastanti e irreversibili.
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I paesi che soffrono delle condizioni di sottosviluppo tentano di “rompere” la volata dei paesi ricchi. Paradossalmente chi ha meno certezze ha anche più coraggio, o ha la forza della disperazione, ed è quindi più disposto a rischiare a breve termine. La disponibilità di grandi quantità di energia è essenziale nella lotta contro la fame .Ne consegue ad esempio l’uso sfrenato tal quale(ovvero senza trattamenti adeguati che ne limitino le caratteristiche inquinanti) di energia di natura fossile, quale il carbone, disponibile ancora in gran quantità nei paesi in via di sviluppo. Ma il disastro e la beffa sono ancor più grandi quando si incentiva l’uso di prodotti dell’agricoltura per fabbricare carburanti sintetici .

Lo stato di arretratezza e la necessità di sviluppo può comportare da parte di questi popoli un uso improprio delle risorse, e diventare una minaccia per coloro che li hanno sino ad ora sopravanzati. Ed oggi per uso improprio è da intendersi anche quello su vasta scala di idrocarburi, petrolio, carbone e gas, le maggiori cause di una produzione enorme di gas tossici e di CoDue, che la natura non riesce più a riciclare. La possibilità di “catturare” la CoDue e reiniettarla nel sottosuolo è una soluzione che l’uomo sta studiando, ma che, sia dal punto di vista tecnico che economico, non trova per ora larga applicazione. Forse potrebbe trovarla se imposta o favorita da un contributo economico.
Così paesi come la Cina o l’ India nel migliore dei casi, o l’Iran e Pakistan nel peggiore, diventano in prospettiva mine vaganti.
La natura a lungo termine porrà rimedio a questo disordine, come ha già fatto in altre situazioni nei millenni trascorsi, ma della nostra civiltà, o di parti di essa, potrebbero rimanere solo dei segni. E’ quanto è già accaduto per delle civiltà di cui si ricercano i motivi della sparizione, genericamente da ricondurre comunque al rapporto non corretto e irrispettoso dell’uomo con la natura.
Quindi la prima esigenza è quella di promuovere lo sviluppo su vasta scala sull’intero pianeta di nuove risorse energetiche alternative alle risorse fossili e rispettose della natura
E questo oggi è possibile solo con l’energia nucleare.
Già la dimensione delle attuali carenze e/o delle esigenze prossime future giustifica la necessità di non rimandare più a lungo l’impiego di tecnologie che ormai hanno raggiunto un elevato livello di sicurezza, quali il nucleare di terza generazione, come dimostra l’esercizio, nella maggior parte dei casi da oltre vent’anni, di oltre 200 centrali in Europa e 500 nel mondo, con le migliorie nel frattempo intervenute nei progetti.
Contemporaneamente sviluppare gli studi e le applicazioni della quarta generazione, potenzialmente meno impattante dal punto di vista del combustibile(torio al posto di uranio arricchito) e meno inquinante dal punto di vista delle scorie tossiche. Il prototipo andrà in esercizio fra poco e si parla di venti o trent’anni di tempo necessari per mettere a punto il progetto su grande scala.
Sospendere quindi la realizzazione di centrali di terza generazione non è possibile, perché molte di quelle in esercizio stanno per chiudere il loro ciclo di attività ottimale di progetto (trent’anni circa). Aspettare significa continuare a incrementare l’uso di combustibili fossili.

Non c’è nulla tuttavia che l’uomo abbia scoperto, inventato, o solamente intuito in una certa epoca che non possa essere valorizzato come un elemento che va ad aggiungersi al miracolo della nascita e dello sviluppo dell’universo. Perché non esiste in natura il buono e/o il cattivo in assoluto, ma è l’uso che l’uomo fa delle risorse che le qualifica .E questo deve valere a maggior ragione per una risorsa così “grandiosa “ come l’energia fornita dall’atomo.
Compito di coloro che veramente vogliono farsi garanti di uno sviluppo che, mirando alla salvaguardia del nostro futuro, voglia combattere le ingiustizie e diminuire le distanze fra lo stile di vita degli uomini, è quello di non trascurare ogni chance che miri alla globalizzazione del processo. Negare una possibilità a qualcuno in nome della sicurezza di pochi significa coltivare l’odio e la ribellione.
Perseguire questi obiettivi significa abbattere le frontiere e stimolare la cooperazione allo sviluppo.
Non è solo generosità,ma è lungimiranza .Da soli si sopravvive ma non si salvano le generazioni future. Ogni tonnellata in meno di CoDue prodotta a casa nostra può avere un effetto insignificante se non contribuiamo a far sì che se ne producano cento, mille in meno in India e in Cina. Perché tale sarà il rapporto dettato dallo sviluppo fra le nostre esigenze e quelle di questi paesi entro i prossimi vent’anni.
Ma veniamo all’Italia .
Rispetto agli altri paesi europei noi abbiamo un forte gap da recuperare.
Al momento attuale infatti, a causa dei ritardi e degli sbandi della nostra politica energetica dopo l’esito del referendum sul nucleare alla fine degli anni ‘80 , dobbiamo importare dall’estero circa il 15% per cento dell’energia attualmente necessaria al benessere del paese, con la previsione di un incremento straordinario dei consumi solo nei prossimi vent’anni, senza una seria politica e un’educazione al risparmio. E il mezzo più pratico e veloce è ricorrere all’energia nucleare.
E’ un rischio calcolato, perchè la scelta, in fondo, se vogliamo essere sinceri, l’hanno già fatta per noi quei paesi , come Francia e Svizzera, che hanno realizzato una catena di centrali nucleari ai nostri confini .Centrali che ci forniscono l’energia che ci manca e di cui non possiamo, per ora almeno, fare a meno.
E allora…………………..come si può convincere coloro che vivono nel ricordo dell’effetto devastante dell’energia sprigionata dall’atomo per usi non pacifici ?
Non esistono elementi definitivi per dare le garanzie che la gente si aspetta, se non in termini di statistiche di un numero limitato di incidenti, dopo Cernobyl, con effetti molto limitati, se confrontati fra l’altro con altre situazioni incidentali che affrontiamo nella vita di ogni giorno accettandoli senza riserve.

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Ciò non significa rinunciare alle risorse energetiche rinnovabili, anche se non se ne può sviluppare l’impiego in modo concentrato e su grande scala, come occorre negli impianti di produzione di E.E. al servizio delle grandi comunità, e anche se i costi per kilowattora prodotto sono al momento fra i più alti.
Occorre devolvere contemporaneamente adeguate risorse per lo sviluppo e le applicazioni di nuove tecnologie per lo sfruttamento di fonti di energia rinnovabili che possano fare da cuscinetto, o diversificare l’uso delle risorse.
Ma trovare le risorse economiche e/o gli incentivi in Italia è più gravoso, stante l’attuale già alto costo dell’energia. E’ possibile ed è quasi doveroso per quei paesi che hanno affrontato il rischio delle centrali di terza generazione anche dopo Cernobyl. Perché hanno usufruito dei vantaggi dei bassi costi dell’energia e, al termine quasi di questo ciclo e in attesa dei progetti meno impattanti degli impianti di quarta generazione,hanno risorse economiche da impiegare nello sviluppo di queste tecnologie.
In questo contesto in Italia devono trovare spazio l’impiego delle energie rinnovabili anche su scala ridotta e sul piano locale, ovunque l’entità della domanda ne giustifichi l’impiego, incentivandone l’applicazione con l’uso di sgravi fiscali e/o di finanziamenti agevolati.

Le tesi più ardite degli oppositori a questo tipo di politica energetica sono che tali problemi e le scelte conseguenti potrebbero essere vanificate nei prossimi anni dallo sviluppo dell’efficienza e del risparmio, con la conseguenza che i consumi nei prossimi vent’anni potrebbero rimanere stabili o non incrementarsi in modo significativo, favorendo una transizione più graduale e tranquilla, ovvero senza gravi rischi di “black out”, all’impiego delle energie rinnovabili, e alla messa a punto dei progetti nucleari di quarta generazione.
Questa tesi non va sicuramente trascurata né dai Governi né da tutte le forze politiche,che devono stimolare i comportamenti virtuosi, attraverso leggi che favoriscano e/o puniscano tali comportamenti . Perché incrementare l’efficienza negli impianti e nelle costruzioni comporta gravi costi, almeno nel breve termine.
Ecco perché occorre pretendere che ciò avvenga al livello più elevato del governo del paese, che possa farsi carico della impopolarità della cosa .Ma si auspica che ciò parta ancora più in alto, dalle organizzazioni internazionali, quali ONU ed UE.
A qualcuno vorremo pur credere……………

Ma ciò è ancor più necessario, perché è possibile che non tutte le informazioni sulle vicende che accompagnano la nascita e la vita degli impianti che trattano uranio vengano diffuse in modo trasparente, almeno quando riguardano “mancati incidenti”, finché rimangono tali.
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Non esiste certezza, la sola soluzione è che la corsa allo sviluppo non ci esima dall’obbligo civile di fare ordine nel modo di operare di casa nostra, sviluppando la nostra educazione all’uso corretto delle risorse, parlandone in casa, nelle scuole e in ogni occasione pubblica.
Sviluppare una gara fra coloro che accettano ogni rischio pur di limitare i danni di uno sviluppo senza freni e coloro che ancora credono nella possibilità che l’umanità sappia darsi delle regole.

10/06/2008

CONSIDERAZIONI SULL’EUROPA

Una riforma federalista che si doveva fare prima di allargare l’Europa comunitaria.

di Riccardo Sani

Parte di politici ed di attenti osservatori del processo di integrazione politica dell’Europa ritiene che l’allargamento dell’Unione Europea non sia efficaciemente realizzabile con le attuali istituzioni, assolutamente carenti nelle competenze e quindi inutile se non controproducente per una vera integrazione politica.

In effetti , se non vogliamo usare volutamente il paraocchi, organi e meccanismi decisionali, già oggi in difficoltà, impostati per governare allora “un’Europa a SEI” non possono correttamente funzionare per un organizzazione con 27 stati membri.

Le istituzioni dell’Unione sono già del tutto incapaci di gestire i problemi che devono affrontare, specie in politica estera ed armonizzazione fiscale, e che, con l’avvento dell’EURO, sono aumentati in modo esponenziale !

I numerosi incontri al vertice dei massimi esponenti istituzionali europei, per concordare sulla ormai da tempo superata proposta intergovernativa di Giscard d’Estaing, non avevano partorito nulla di risolutorio per rimediare a tutto ciò. Dopo la bocciatura di Olanda e Francia il panorama era decisamente nero.

Le riunioni successive sono sfociate nel concordato di Lisbona, ora all’approvazione dei singoli stati europei, avevano sollevato molte aspettative ma purtroppo nell’ambiente aleggiava chiaramente lo scontro fra spirito e concetto intergovernativo e spirito e concetto federalista. Ed anche questa volta il risultato è demoralizzante in quanto lo spirito intergovernativo ha vinto ancora.

In realtà politica estera ed interna imporrebbero fin da ora e con estrema urgenza di fare fronte al deficit democratico che l’Unione Europea presenta ! Un Parlamento europeo con reali competenze legislative, una Commissione europea, eletta dal Parlamento, trasformata in un vero governo esecutivo, un Consiglio dei ministri, attuale rappresentante della più deprimente situazione intergovernativa, strutturato come un Senato della Federazione, sono necessari come il pane quotidiano .

L’evidenza del deficit democratico è tale da dispensare di fornire qualsiasi prova in merito ed è facile affermare che la situazione di stallo è da addebitare ai politici europei di vertice, gelosi detentori e conservatori dei loro egoismi e poteri nazionali, e non certo alla popolazione europea.

Occorre pure sottolineare che accanto alla mancanza di una vera visione strategica da parte dei massimi esponenti politici dei vari paesi esiste una sorda e tenace resistenza da parte delle burocrazie degli stati nazionali che dopo la moneta unica non vogliono perdere altre fette di sovranità a favore di Bruxelles.

D’altra parte la moneta unica contiene in sè un enorme potenziale acceleratore del processo di riorganizzazione delle realtà economiche europee per quanto riguarda i criteri di maggiore concorrenza e di superamento dei monopoli nazionali.

Purtroppo questo potenziale è stato limitato dalla lentezza con la quale si muovono i singoli Governi che considerano ancora alcuni settori “di importanza strategica”, in un panorama che è ormai completamente diverso. Se a tutto ciò aggiungiamo l’incapacità a risolvere i temi del welfare che servono per procedere ad una ricollocazione delle risorse di capitale e lavoro in settori con maggiore produttività, ecco chiarita una ulteriore limitazione del potenziale EURO.

Occorreva quindi impegnarsi una buona volta sulla strada che porta all’allargamento ma facendola precedere da una proposta di riforma istituzionale di carattere federalista dell’Unione che permetta di funzionare poi nel nuovo contesto !

Molti se ne rendono conto ma pochi sono coscienti dell’importanza della posta in gioco, specie fra le file di molte formazioni politiche . Purtroppo il lieder Veltroni appare pressochè insensibile al problema. Berlusconi lo era ancor più in precedenza.

E’ essenziale rendersi conto che il sistema intergovernativo attualmente operante è giunto al capolinea e ci si trova volente o nolente , davanti alla necessità di un salto di qualità finale che è quello del trasferimento della sovranità, per un certo numero di competenze, dagli stati-nazione ad una Federazione Europea.

Non esito a dire che ciò è l’unica condizione per evitare il rischio della dissoluzione di quanto già costruito, tenendo anche conto che la globalizzazione sta svuotando progressivamente questi stati europei di molti poteri. Sarebbe ridicolo da parte dei governi un arroccamento su sovranità nazionali ormai irreversibilmente destinate ad una forte limitazione in presenza della situazione mondiale. Bene pubblico, tutela della sicurezza, benessere e dignità nell’ambito internazionale impongono il salto di qualità.

Bisogna difendere il primato della politica ma ristabilendola in un contesto europeo affinchè essa non sia soltanto una vuota parola.

Tutto questo non comporta la perdita di valori linguistici, culturali e morali.
Al contrario questi trarrebbero vigore dal fatto che verrebbero sostenuti in un ambiente politico stabile all’interno europeo e forte nei rapporti internazionali.

Mi pare quindi logico affermare che tutto ciò non sia concepibile nell’ambito di un semplice allargamento dell’Unione e potrebbe realizzarsi solo in un ambito dove il grado di interdipendenza sia forte e la maturità di un opinione pubblica, grazie all’esperienza fin troppo lunga del processo di integrazione, sia maggiore. Perciò una ipotesi logica e proponibile ancora appare quella che solo i paesi che lo desiderano potrebbero formare il nucleo federale all’interno dell’Unione, a partire dal quale si svilupperebbe poi probabilmente una grande federazione che comprenda gli altri paesi. Ricordiamo a proposito la storia degli Stati Uniti d’America ed il progetto per la creazione di un primo nucleo duro aperto poi a tutti dell’ex presidente della Germania Kohl.

Nb: Giunge ora la notizia della bocciatura del Trattato di Lisbona da parte dell’Irlanda !!!

Questo è il risultato di avere volutamente ignorato il popolo europeo e non avere voluto proporre una autentica Costituzione federale dell’Europa da parte dei primi ministri di questi superatissimi staterelli europei e dalla grande maggioranza dei vertici dei partiti che vivono ancora nella miseria intellettuale e culturale di un egoismo di potere nazionalista che ci condanna all’impotenza nel mondo !!!

IL FUTURO NELLA CLEAN ECONOMY

E’ impossibile non scrivere qualcosa su quello che in questi ultimi giorni si legge dai media, sull’ andamento dei mercati finanziari, dei prezzi del petrolio e delle materie prime, e della recessione che sta colpendo, a partire dagli Stati Uniti, tutto il mondo Occidentale.

Tutti questi accadimenti hanno un filo comune: la “tardiva” (per scelta?) constatazione, da parte dei mercati, delle istituzioni e dei cittadini, che il mondo è “limitato” nelle sue risorse naturali, e quindi nella sua crescita.

Tutti questi accadimenti sono, però, anche “acceleratori” di quel processo di transizione verso la Clean Economy che da tempo aspettavamo, e di cui ho provato a scrivere l’anno scorso (“La finanza si muove verso le Green Technologies” ).

Una cosa non riesco a comprendere, però: perchè realizzare così tardi quello che da tanto tempo si sapeva, nel mondo delle istituzioni?

Nel momento in cui la Globalizzazione prendeva piede, era evidente che, esaurita la positiva spinta competitiva, la domanda (di risorse naturali e, quindi, di beni e servizi) sarebbe cresciuta velocemente rispetto all’offerta, comportando, nel tempo, un PREZZO elevato.

La domanda è: era questo della “crescita infinita” un modello di sviluppo irrinunciabile per il nostro Pianeta, 20-30 anni fa?

O era possibile “sceglierne” un altro, più equilibrato e rispettoso dei limiti che la Natura impone, una Clean Economy appunto?

Massimo Preziuso

LA DEMOCRAZIA DI CALIGOLA

di Pierluigi Sorti

Forse i cittadini dabbene pensano che i nostri parlamentari europei si stiano cimentando con i grandi temi della sopravvivenza del pianeta, con l’ applicazione dei trattati di Kyoto, con lo spettro della fame del mondo, con la politica monetaria della Bce e l’ aumento del prezzo della benzina ?

No, in questi giorni il problema che li assilla è la legge che regolerà le elezioni europee di primavera del prossimo anno. Perché sembra che gli orientamenti si ispirino al vecchio detto contadino per il quale il maiale può essere sfruttato in tutte le sue parti ……

Cioè, si congettura sull’ estensione dei criteri del “porcellum” anche alle elezioni europee, i cui principi ispiratori si dovrebbero rifare a una visione strettamente proporzionalista. Di fatto, almeno. Ecco infatti i canoni ispiratori che le camere, con spirito bipartisan, si appresterebbero ad applicare : riduzione a dimensioni solo regionali delle circoscrizioni elettorali; clausola di sbarramento delle liste a una quota minima del 3% ; liste bloccate e conseguente abolizione del voto di preferenza.

Chi ne ha voglia, può divertirsi a prefigurare quali potranno essere i destini delle formazioni politiche di centro, di destra e di sinistra: prospettive, per le ali estreme, quasi di pace cartaginese.

Singole liste si troverebbero di fronte all’ alternativa di rischiare la loro scomparsa o subire l’ infeudamento nelle liste maggiori. Si possono, tristemente, ipotizzare disponibilità di singoli esponenti ad essere ospitati, con posizione formalmente decorosa, in liste compiacenti.

Insomma il sistema politico rappresentativo nazionale, inconsciamente, troverebbe una sua adeguata definizione nella cinica minaccia dell’ imperatore Caligola di voler procedere alla nomina senatoriale del suo cavallo.

Non esistono più anticorpi democratici alla deriva delle corporazioni politiche nazionali ?

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