Significativamente Oltre

Investimenti

Innovazione e investimenti per non finire come il Messico

di Romano Prodi su Il Messaggero

Mariachi Band Performing with Violins ca. July 1991 Puerto Vallarta, Mexico

Mariachi Band Performing with Violins ca. July 1991 Puerto Vallarta, Mexico

Riflessioni fiduciose e constatazioni amare sono state al centro dell’Assemblea annuale della Confindustria. La fiducia è nella constatazione che molte tra le imprese esportatrici sono state capaci di trasformarsi e, crescendo, si sono adeguate alle dure regole della globalizzazione.
Le constatazioni amare riguardano invece il fatto che, dopo una lunga crisi, la risalita è ancora “modesta e deludente” e, soprattutto, che la produttività del sistema Italia e dell’industria manifatturiera non tengono il passo con gli altri grandi paesi europei.
Alla perdita di velocità del sistema produttivo si è inoltre accompagnato un processo di selezione che ha provocato la scomparsa di quasi un quinto delle nostre aziende e di un peggioramento generale dei risultati economici delle imprese.
Il Presidente della Confindustria e il Ministro dello Sviluppo hanno accompagnato la lettura di questi dati con una serie di proposte destinate ad agire favorevolmente sulla dimensione delle imprese, sulle regole di governo delle imprese stesse, sull’alleggerimento del loro peso fiscale, sugli incentivi agli investimenti e su un rapporto più costruttivo con le banche e con la Pubblica Amministrazione.
Misure non solo utili ma necessarie per dare corpo ad una “risalita” finalmente robusta e veloce sulla quale tutti noi facciamo conto.
Alcune riflessioni aggiuntive sono tuttavia necessarie per capire quali sono gli elementi di fondo che rendono difficile questa “risalita”.
Partiamo da un dato molto semplice ma sorprendente. La lunga crisi di produttività ( e quindi di efficienza) del nostro sistema produttivo e la contemporanea crisi mortale di tante aziende sono state infatti accompagnate da un ottima tenuta della nostra bilancia commerciale, largamente attiva nel settore manifatturiero. Tutto questo mette in rilievo che, pur nella scomparsa delle nostre grandi imprese, abbiamo, centri di eccellenza che, nonostante tutti i nostri limiti, si affermano nei mercati internazionali vincendo i concorrenti tedeschi, cinesi e americani.
Se, nonostante queste affermazioni, la produttività non aumenta, questo significa che una parte troppo grande del nostro sistema economico non è capace di trasformarsi e vive cercando nicchie di mercato interno che si vanno sempre più restringendo, proprio per il cattivo andamento dei nostri consumi e dei nostri investimenti e per la pervasività della globalizzazione.
Se a questi dati aggiungiamo quelli che l’ISTAT regolarmente ci fornisce riguardo alla fortissima crescita dell’economia illegale, ci troviamo di fronte a un’economia italiana sempre più anomala rispetto a quella degli altri paesi europei.
Usando l’esagerazione come strumento didattico Alberto Forchielli, in un recente confronto televisivo, traeva le conseguenze di questi dati affermando che l’Italia si va orientando verso una struttura simile a quella del Messico, dove convivono tre diverse organizzazioni economiche. Una prima formata da imprese eccellenti che sfidano i mercati internazionali, una seconda che opera in un mercato informale, sfruttando le imperfezioni del mercato e utilizzando mano d’opera scarsamente specializzata ed ancora più scarsamente garantita e remunerata. Infine una corposa parte del Paese vive nell’evasione delle regole e nell’illegalità.
Non credo che questo sia fatalmente il nostro destino ma penso che le tendenze che ci portano verso di esso debbano essere combattute con ogni mezzo, affermando in ogni circostanza la maestà della legge e operando sulla preparazione delle risorse umane che sono alla base del successo di ogni paese moderno.
La lettura della realtà non è invece consolante perché i confronti sull’efficacia dei sistemi scolastici ci trovano costantemente in coda, intere realtà del paese operano sempre più nell’ombra e i dati sul progresso dell’illegalità e sulla penetrazione della criminalità nella vita economica e amministrativa sono allarmanti. Credo tuttavia che noi abbiamo ancora la capacità di reagire con successo, dimostrando di avere obiettivi comuni e condivisi.
Il compito di dettare e di imporre la rotta per vincere la sfida spetta naturalmente al governo ma, come si usa dire in Gran Bretagna, la regina si aspetta che ciascuno faccia il proprio dovere.
Dato che queste riflessioni partono dall’analisi di quanto è stato detto nell’assemblea della più autorevole rappresentanza del mondo industriale voglio quindi aggiungere che, mentre mi sono amareggiato ma non sorpreso di vedere molte delle nostre più grandi e floride imprese cadere in mani straniere, mi sono amareggiato e sorpreso nel vedere che i ricavi di queste vendite non sono stati per niente investiti nel fare progredire le nostre strutture produttive.
Dobbiamo cioè concludere che se i generali sentono il dovere di combattere, nemmeno gli incitamenti della regina saranno certo in grado di farci vincere la durissima battaglia che deciderà il nostro futuro.

Finalmente flessibilità. Ora il patto di stabilità è un po’ più intelligente

di Gianni Pittella su Huffington Post

Si potrebbe dare fiato alle trombe. Ma non lo facciamo. Vogliamo solo salutare, con un pizzico di legittima soddisfazione, quel che è avvenuto in sede europea dopo tanto parlare, in questi ultimi mesi, della battaglia tra austerità e crescita. La Commissione Juncker ha mantenuto la promessa e ha consegnato il suo regolamento sul famoso fondo europeo per gli investimenti strategici.

É significativo che ciò sia avvenuto nel giorno di chiusura del semestre di presidenza italiana a poche ore dal resoconto svolto nell’aula di Strasburgo dal presidente Renzi. Ed è importante che la politica di flessibilità possa tagliare oggi un importante traguardo. A dimostrazione che le battaglie politiche condotte con convinzione e fermezza si possono vincere.

Questo rapporto – un vero e proprio testo legislativo – è adesso una realtà. Si tratta di quel provvedimento così tanto atteso che punta in tre anni a mobilitare più di 300  miliardi di investimenti pubblici e privati per favorire la crescita e l’occupazione. Vogliamo e dobbiamo essere chiari e leali quando si evocano cifre che possono alimentare, a torto o a ragione, delle facili aspettative.

Il piano varato dall’esecutivo comunitario, a pochi mesi dal suo insediamento, non promette la Luna. Ma costituisce – questo è indubbio – una inversione di tendenza, e dunque di azione politica economica, negli atti e nei comportamenti delle Istituzioni dell’Ue. Grazie a questo, possiamo registrare un primo successo. Con la mobilitazione di risorse pubbliche e private. Più ci sarà fiducia e ottimismo, più il piano agirà a cascata in un moto – ci si augura – che trascini e gonfi il vento della crescita.

Non è retorica, ma una possibilità reale. Proprio perché stavolta l’Europa si impegna con risorse importanti agevolando gli Stati membri i quali potranno scorporare quelle spese per gli investimenti. Dopo sei anni di crisi si comincia a prendere coscienza della necessità di un’inversione di tendenza. Forse non è esagerato affermare che da questo momento può iniziare anche un nuovo modo di servirsi della costruzione europea, mettendo l’accento su lavoro e sul sociale provando a bandire l’immagine, costruita spesso ad arte, di un’Unione nemica dei popoli e amica della Finanza.

Nell’azione dell’Unione non ci sono mai state inversioni di rotta repentine. Ma accelerazioni certamente. Questo evento politico, che mette in testa nell’agenda europea un intervento di considerevole portata nella sfida alla crisi economica che scuote il continente da parecchi anni, è uno di questi momenti. Un passo avanti, un cambiamento sostanziale nel modo di affrontare le questioni più sensibili e urgenti. Stiamo parlando di uno strumento di azione economica, che dovrà essere approvato dai due legislatori (Parlamento europeo e Consiglio dei ministri Ue) entro il prossimo mese di giugno, un “colpo di frusta” per l’economia europea come ha detto Juncker.

La Comunicazione sulla flessibilità nel patto di Stabilità e crescita, approvata ieri e alla cui definizione il nostro gruppo ha contribuito in maniera decisiva, fa diventare il Patto di stabilità e di crescita meno stupido (come disse Romano Prodi) e anzi, lo rende più intelligente. Perché – ecco il punto politico più interessante – introduce una quota di flessibilità e un margine di manovra per i bilanci dei Paesi che hanno una sofferenza dal punto di vista del debito e che intendono investire massicciamente per il rilancio delle proprie economie. È quel che si voleva? Certamente, anche se si tratta di un primo passo. Ma già da solo rappresenta una spinta formidabile se saremo capaci di sfruttarla in pieno. Utilizzando in maniera efficace e produttiva le risorse, specie quelle contenute nei Fondi Strutturali.

Di sicuro, il piano di Bruxelles non imporrà, come taluno aveva fatto credere, alcuna imposizione di riforme “dall’alto”. L’Europa punitiva, questa volta, non ha trovato acqua in cui nuotare. Anzi, gli Stati nazionali che contribuiranno al Fondo di Investimento della Bei, si vedranno riconosciuti e non conteggiati questi sforzi del loro bilancio e gli Stati impegnati in riforme strutturali interne vedranno riconosciuto questo loro operato. Inoltre, la cosiddetta “regola d’oro” funzionerà anche se il limite del 3% resta, per il momento, non rimuovibile. Non cesseremo, ovviamente, di batterci.

Ci sono, dunque, una serie di condizioni che hanno il segno del cambiamento. Si tratta di cogliere al volo questa opportunità. L’Europa, come si vede, può cambiare. Anche se ciò costa sempre un lavoro paziente, a volte testardo, e di lunga lena. Una strada si è aperta. Tocca a noi, agli Stati, alle forze politiche, di asfaltarla e renderla transitabile. Per allontanarci definitivamente dalla cieca austerità.

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