Significativamente Oltre

futuro

Taranto Sostenibile

di Massimo Daniele Sapienza – Innovatori Europei

(con questo contributo, presentato alla assemblea di IE di febbraio scorso, diamo il via alla nostra riflessione su “Taranto Sostenibile”)

Vorrei affrontare una delle questioni chiave e più calde del dibattito ambientalista italiano non con una prospettiva locale ma inquadrando il caso Taranto nel suo contesto più generale globale e storico. 
Taranto può essere vista come la madre di moltissime battaglie ambientaliste perché rappresenta molto bene lo scontro fra due diverse e antitetiche concezione della storia: innovazione contro conservazione.
Per cercare di spiegare meglio si può dare un’occhiata ai numeri: il mercato mondiale dell’acciaio è cresciuto triplicandosi dal 1995 al 2012 con un tasso medio di crescita pari a circa il 4,5% all’anno. 
Questa crescita però non è stata omogenea su tutti i mercati, ma anzi al contrario abbiamo assistito ad una fortissima migrazione delle produzioni verso i mercati asiatici e in particolare quello cinese. L’acciaio con tutti i suoi costi ambientali e sociali tende a spostarsi dai paesi ricchi a quelli in corso di accelerato sviluppo anche perché in quei paesi è maggiore la domanda per evidenti ragioni: espansione del settore infrastrutture e manifatturiero in primis.
Se guardiamo all’Unione Europea notiamo che la produzione in Europa è scesa per circa il 3% all’anno mediamente. Anche il dato dell’Unione Europea, come quello del mercato globale, va letto in una prospettiva duale: da un lato Germania e Italia, che hanno un modello di sviluppo basato su settori tradizionali e, in particolare per l’Italia, sulla produzione di macchinari, hanno cercato di tenere le proprie quote di produzione (Germania -0,1% e Italia -0,3% all’anno fra il 2005 e il 2011); dall’altro paesi che hanno diversa vocazione industriale e che stanno abbandonando velocemente la produzione di acciaio (Gran Bretagna -5%, Francia -4% e Spagna -3,5% all’anno fra il 2005 e il 2011). 
Il primo fatto saliente che vorrei sottolineare e quindi la scelta complessivamente molto tradizionalista e conservatrice del nostro paese: in un mondo che sta delocalizzando e spostando le produzioni di acciaio verso altre geografie l’Italia cerca di resistere contrapponendo un modello di sviluppo industriale tradizionale basato sulla tenuta dell’acciaio. 
Parliamo adesso un po’ più specificatamente di Taranto e dell’Ilva. L’impianto creato negli anni 60 ha raggiunto il suo picco di occupazione e di produzione nel 1975. In quell’anno lavoravano all’Ilva 25.000 persone. Da allora il livello occupazionale ha cominciato a declinare. Dopo quasi 40 anni di deriva oggi lavorano all’Ilva circa 12.000 persone, la metà del picco. A Taranto si produce il 30% dell’acciaio italiano. 
Con quali prospettive?
I lavori di bonifica previsti dall’AIA imporrebbero un onere stimato in circa 2,5 miliardi di Euro, chiaramente un’enormità, e soprattutto insostenibile se commisurati agli utili totali realizzati dall’azienda negli ultimi 15 anni (3 miliardi di Euro).
Nella sostanza non è necessaria una laurea in economia per comprendere la realtà: nessun privato investirebbe mai una somma pari ai suoi utili degli scorsi 15 anni per ambientalizzare un impianto che produce un prodotto, il cui mercato, secondo tutte le analisi di tendenza è destinato a ridursi considerevolmente nel breve, medio e lungo periodo. Aggiungo infine, perché non è un elemento di poco conto, che il costo dell’acciaio prodotto a Taranto crescerebbe molto a valle delle ambientalizzazioni rendendolo di fatto fuori mercato anche al di là del trend più generale al quale abbiamo fatto riferimento in precedenza. 
La notizia tragica della richiesta di cassa integrazione per 6.000 dei 12.000 dipendenti di Taranto ha 2 chiavi di lettura. La prima appare squallida e legata al ricatto occupazionale nel quadro della lotta con la magistratura per ottenere il dissequestro delle somme provenienti dalla vendita dei prodotti realizzati durante il semestre di sequestro degli impianti. 
La seconda, ugualmente grave, è invece legata all’assoluta mancanza di prospettive per uno stabilimento e per una produzione che ormai è fuori mercato e fuori dal tempo.
Torno quindi al dilemma che ponevo all’inizio del mio intervento, ossia il confronto fra innovatori e conservatori.
Il governo italiano con i decreti salva Ilva ha fatto una scelta di vera e totale conservazione. Si è rifiutato di prendere atto della semplice verità che Ilva non può costituire un’opzione di sviluppo e occupazione per Taranto e ha cercato di tutelare lo status quo a danno della salute dei tarantini, della giustizia e del progresso. Il governo ha messo al primo posto le esigenze delle banche creditrici del gruppo Riva piuttosto che il diritto del popolo italiano in questa, come in mille altre situazioni, a migliorare, innovare e progredire. 
Sia bene inteso l’origine del problema è molto più profonda. Il Salva Ilva è solo l’epifenomeno, la punta dell’iceberg. Come abbiamo scritto prima sono 20 anni che è in corso un mutamento nell’economia globale che sposta le produzioni di acciaio. Questo semplice fenomeno economico andavo studiato, compreso e elaborato. Sarebbe stato necessario inventare un’alternativa per Taranto già 10 anni fa probabilmente. 
La subalternità dell’innovazione rispetto alla conservazione ci ha condotti nella situazione critica nella quale ci troviamo adesso. 
Nell’emergenza sono necessarie misure eccezionali e sacrifici che si aggiungono ai lutti e agli inqualificabili soprusi patiti dalla popolazione di Taranto in questi 40 anni. Si noti che non ho mai fatto riferimento nella mia trattazione ai dati ambientali e sanitari. L’ho fatto di proposito. Non perché non siano importanti, tutt’altro, sono evidentemente e indiscutibilmente capitali. Ho voluto mantenere il filo del mio discorso confinato strettamente entro i sentieri del ragionamento economico per mostrare quanto la conservazione sia stata perdente sull’innovazione anche nel suo terreno elettivo. 
Se si fosse creata una no-tax zone quanti investimenti alternativi si sarebbero potuti attrarre a Taranto? Se si fosse puntato sulle energie rinnovabili che in Italia hanno dato lavoro a quasi 150.000 persone quanti posti di lavoro si potevano creare a Taranto? Non dimentichiamoci che la Puglia è stato nel biennio 2009-2010 il faro della green economy italiana. Si sarebbe potuto fare di Taranto la capitale di questo modello di sviluppo. Si sarebbe potuto dare un’alternativa di lavoro e di salute ai tarantini. 
Mi piace collegare la vicenda di Taranto alla Fiat e a quanto è avvenuto nel mondo delle rinnovabili. 
Come molti sapranno recentemente la Germania si è data l’obiettivo di 1 milione di veicoli elettrici in circolazione entro il 2020. Cosa accadrebbe se l’Italia adottasse una misura simile?
A spanne per produrre tutti quegli autoveicoli elettrici ci vorrebbero circa 85.000 lavoratori (pari a 7 volte quelli occupati dall’Ilva) e non sto considerando l’indotto quale ad esempio la produzione e l’installazione delle colonnine di ricarica che probabilmente porterebbe a raddoppiare questi numeri. Se poi decidessimo di alimentare con tutta energia rinnovabile questa nuova flotta di auto elettriche sarebbe necessario installare ulteriori 1.700 MW fotovoltaici (pari al 10% del parco solare attualmente in esercizio in Italia) con tutta l’occupazione che ne deriverebbe. 
Vi sembrano sogni? A me sembra innovazione e sviluppo sostenibile. Mi sembra occupazione su una scala prossima a 15 volte quella attualmente in essere presso l’Ilva. Mi sembra salute e ambiente. Mi sembra un modo assai più saggio e consapevole per spendere i 2,5 miliardi di Euro previsti dall’AIA dell’Ilva.
Nella sfida fra innovazione e conservazione, io ho già scelto.

“Significativamente oltre”: Assemblea Innovatori Europei, 20 Febbraio, ore 10.30, Camera dei Deputati, Roma

Innovatori-Europei-def

 

 

 

 

 

 

Significativamente oltre” – Assemblea nazionale degli Innovatori Europei

20 Febbraio, ore 10,30 – 14,30, Sala della Mercede, Camera dei Deputati, Roma

Ore 10.30 – Introduzione

Gli Innovatori Europei: il percorso fatto dal 2006, il futuro da percorrere” di Massimo Preziuso

Ore 11.00 – Interventi dai territori

Nuovo welfare nei territori nel Lazio” di Giuseppina Bonaviri

Innovazione politica e istituzionale in Campania “ di Osvaldo Cammarota

Innovatori Europei e Terra del Sud” di Vincenzo Girfatti

Ore 11.30 – I progetti del Think Tank

Energia e Ambiente

Un futuro sostenibile per la Taranto dell’acciaio” di Massimo Sapienza

Sapere e Innovazione

L’innovazione europea” di Michele Mezza

La carta d’intenti per l’innovazione in Italia” di Nello Iacono

Europa

Gli Stati Uniti di Europa” di Paolo Di Battista

La nuova Europa nel mediterraneo” di Luisa Pezone

Italiani all’Estero

Quale futuro e quali opportunità per le comunità italiane all’estero?” di Salvatore Viglia

Radio e Tv

Salviamo il pluralismo radiotelevisivo dal conflitto d’interessi” di Antonio Diomede

Cultura

“Innovazione in musica, arte e spettacolo” di Mario di Gioia

Italia e BRICS

Innovatori Europei e Italia – India” di Tommaso Amico di Meane e Asif Parvez

Attrazione di investimenti cinesi in Italia: come?” di Lifang Dong e Carlotta Maraschi

L’importanza del trattato UE-Mercosur” di Rainero Schembri

Ore 12.45 – Coffee Break

Ore 13.00 – Dibattito sul manifesto politico degli Innovatori Europei

Tra lavoratori e produttori”. Contributi e interventi di: Arturo Artom (Rinascimento Italiano), Pier Virgilio Dastoli (Movimento Europeo), Oscar Giannino (Fermare il Declino), Sandro Gozi (PD), Enrico Letta (PD), Marianna Madia (PD), Gianni Pittella (PD), Claudio Sperandio (Movimento Cinque Stelle) 

Ore 14.30 – Conclusioni

(Modera il dibattito Zaira Fusco, giornalista)

 

R-innovamenti secondo Bankitalia

 

 

 

 

 

 

 

di Massimo Preziuso (su L’Unità)

 

Torno da una bella mattinata passata al Quirinale, dove il Centro Studi Arel ha organizzato un dibattito incentrato sul tema “Giovani senza futuro?“, titolo di un libro scritto da più mani rappresentative del mondo giovanile, e curato da Dell’Aringa e Treu.

Stranamente la mattinata non mi ha colpito per i pure interessanti interventi della ampia rappresentanza del mondo dei giovani invitati a dibattere con il Presidente Napolitano.

Nemmeno per l’ottimo Presidente – di cui da tempo apprezzo la carica di umanità e capacità di analisi storica e del presente – nonostante la bellissima frase di chiusura della giornata (“Se le porte e le finestre le trovate chiuse, cercate di spalancarle, io non ho altre ricette da suggerirvi”).

Mi ha invece colpito enormemente ascoltare, senza avere la possibilità di criticarlo per nemmeno un istante, il nuovo Governatore della Bankitalia, Ignazio Visco.

Fino ad oggi ne avevo letto solo sui giornali e consociuto per il forte curriculum professionale, ma non avevo mai avuto modo di approfondirne lo spessore politico.

Nemmeno da un altro grande Governatore come Mario Draghi avevo mai ricevuto una sintesi così stimolante di rappresentazione della complessità e della novità che la nostra società vive e si trova a dover rapidamente affrontare.

Mai prima avevo sentito una figura istituzionale denunciare chiaramente l’analfabetismo proprio delle classi dirigenti attuali (i non giovani) rispetto alla complessità attuale (che i giovani molto meglio conoscono), che è riassunta nella Rete Internet (ma non solo), traducendo in maniera semplice concetti complessi come quello di “(in) adattamento funzionale” di un Paese come il nostro (da questo punto di vista ai livelli più bassi tra i Paesi avanzati).

Mai una figura di questo livello proporre ai giovani laureati italiani uno scambio tra maggiori livelli salariali e un’aumentata flessibilità dei contratti, prendendo spunto dai mercati del lavoro più dinamici e competitivi.

Oggi posso dire di aver ascoltato e conosciuto una altissima figura istituzionale calata perfettamente nell’Italia del 2012.

E’ anche grazie a scoperte come queste che ci si sente fieri comunque di vivere in Italia.

ITALIA 2050 – Il libro dell’innovatore europeo Aldo Perotti

214352_copertina_frontcover_icondi Aldo Perotti

“ITALIA 2050  – Qualcuno faccia in modo che questo non accada”, opera che nasce per gioco, sulle pagine di un blog, come raccolta di profezie in libertà,  è terminato. Il mio saggio semiserio sul nostro futuro visto tra quarant’anni è in stampa ed acquistabile su Ilmiolibro.it
E’ una raccolta di boutade, di voli pindarici, ma vuole – nel paradosso –  spingere alla riflessione.
Sarà il periodo, l’approssimarsi del 150° anniversario dell’unità d’Italia, ma il pensiero, l’idea, che tutto possa cambiare ed essere rimesso in discussione tornando in qualche modo indietro nel tempo, mi è sembrato trovasse continue conferme nella cronaca e nella politica.
L’idea è stata dunque quella di raccontare,  fingendomi a scrivere nel 2050, l’Italia che verrà,  sotto forma di breve riassunto della storia italica della prima metà del XXI secolo,  partendo  dalla ormai prossima riforma federale  e proseguendo  poi nel racconto di fatti ed episodi destinati a stravolgere la nostra penisola se  – in una serie di sfortunati eventi  – la storia dovesse volgere al peggio.
E’ stata dura coordinare delle idee in libertà costruendo un minimo di senso logico ma alla fine sono riuscito a mettere su qualcosa di abbastanza convincente.
Nessuno di quelli che lo hanno letto (i miei correttori, suggeritori, che ringrazio vivissimamente) mi è sembrato troppo dispiaciuto o distrutto dallo sforzo.
Nessuno troppo entusiasta ma nemmeno scocciato. Ho ricevuto anche qualche apprezzamento spero non dettato dal buon cuore.
Il testo è arricchito e supportato  da alcuni disegni, immagini e citazioni. Le carte sono state particolarmente apprezzate e c’è nel testo qualche trovata simpatica come sempre avviene quando uno volutamente esagera.

Per gli Innovatori Europei è consultabile una versione digitale del libro. Per chi fosse interessato, infoinnovatorieuropei@gmail.com

News da Twitter
News da Facebook