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Avanti!, più Luci che Ombre

di Giuseppe Mazzella

 

Ugo Intini è oggi un uomo di  72 anni che  ha dedicato oltre mezzo secolo della sua vita  all’ Idea del Socialismo Riformista  facendone una “ religione laica” tentando di coniugare la teoria con la pratica. Si iscrisse al Partito Socialista Italiano a Milano, dove è nato e dove vive,  a 18 anni quando frequentava il liceo classico e si presentò a 19 anni nella redazione milanese dell’ “ Avanti!”, al centralinista ,con la più  banale delle  richieste: “ Sono un compagno e vorrei fare il giornalista, forse può servire una mano”. Ha dato una mano all’ “ Avanti!” per 43 anni  fino a diventare direttore e lo è stato per 9 anni dal 1978 al 1987, il periodo di massima espansione del PSI.

Nel PSI è  sempre stato un “ autonomista”, cioè nel partito della “ Prima Repubblica”   più aperto  di tutti gli altri alla democrazia interna con  una vastità di correnti che si chiamavano “ Riscossa”, “ Presenza”, “ Impegno”, “ Rinnovamento”, “  Unità”, e che si dividevano sull’ eterna questione del rapporto con i comunisti  nell’ eterna questione  di ben rappresentare il movimento operaio, Intini per tutta una vita ha sostenuto che una “ cosa” era il “ socialismo” ed un’ altra “ cosa” era il “ comunismo” e che le due “ cose” non erano coniugabili. Sostenere questo negli anni ‘ 60 e ‘ 70 del ‘ 900, quello che  il grande storico  marxista inglese, Eric Hobsbawm, chiama il “ secolo breve” e che è invece il “ secolo lunghissimo”, non era facile. Trovare uno spazio “ autonomo” per il PSI schiacciato  tra la DC ed il PCI era impresa titanica.

Ugo Intini non si è  mosso di un millimetro da quelle convinzioni giovanili nella buona e nella

cattiva sorte. Dopo la dissoluzione del PSI nel 1993 non è salito sul carro dei  nuovi vincitori della destra berlusconiana ma è rimasto nella sinistra riformista tentando una ricostruzione socialista prima con lo SDI e  poi con il PS di Boselli. E’ stato deputato nella Prima e nella Seconda Repubblica e vice ministro degli esteri nell’ ultimo Governo Prodi.

Dopo questo lungo percorso di vita pubblica  ha deciso di  lasciare una testimonianza e da buon giornalista ha voluto raccogliere i “ documenti” per inserire le sue “ riflessioni”.

Così ha scritto  un libro sulla storia dell’ “ Avanti!” ( si scrive sempre con il punto esclamativo) dove ci ha messo anche la sua storia personale,  le sue esperienze, i suoi ricordi, le sue verità e lo ha scritto in prima persona. Il libro si chiama: “ Avanti!, un giornale, un’ epoca – 1896-1993. Le sue pagine, i suoi giornalisti e direttori raccontano un secolo. Da Bissolati a Mussolini, Gramsci, Nenni, Pertini, Craxi” ed è edito da un piccolo editore romano “ Ponte Sisto”. Ne è venuta fuori un’ opera monumentale di 758 pagine che attraverso le cronache ed i commenti dell’ “ Avanti!” raccontano tutto il Novecento proprio alla maniera “ temporale” di Hobsbawn perché il Novecento dei Grandi Fatti comincia proprio alla fine dell’ Ottocento e finisce non nel 1999 ma almeno 10 anni prima, ma forse continua perché se è  finita la Guerra Fredda  questa seconda globalizzazione aggrava il divario tra ricchi e poveri e fa aumentare e non diminuire la disoccupazione in tutto il mondo dall’ unico sistema economico capitalistico.

Raccontando la nascita, l’ espansione e la morte dell’ “ Avanti!” Ugo Intini racconta veramente un’ epoca, racconta tutta la storia del Partito Socialista Italiano e dei socialisti “ stretti” nello spazio angusto tra i comunisti ed i democristiani. Ma chi erano questi socialisti? Cosa volevano? Volevano stare con Mosca o con Washington? ma cos’ era questo loro “ riformismo” ? chi era Nenni, questo romagnolo che prima era “ massimalista” eppoi divenne quasi socialdemocratico senza mai lasciare la sua “ casa”? Cosa significava questa rissosa costellazioni di correnti all’ interno del PSI? Perché una, due, tre “ scissioni”  a destra ed a sinistra e poi una “ unificazione”? ma  da dove arrivavano i soldi per il finanziamento dei socialisti?

Intini fa parlare soprattutto l’ “ Avanti!” questo giornale  nato nel giorno di Natale del 1896 , come un “ Gesù laico”  per  istruire ed informare la classe operaia, per formare una classe dirigente, per realizzare una democrazia politica autentica. I successi dell’ “ Avanti!” sono il successo del riformismo così come le sue sconfitte.

Bisogna leggere e studiare questo” librone” che è stato presentato venerdì 17 maggio 2013 nel corso di  una piccola riunione svoltasi all’ Hotel Carlo Magno di Forio per iniziativa dell’ editore e moderata dal giornalista Raffaele Indolfi che fu corrispondente dell’ Avanti! Da Napoli negli anni ‘ 70 e ‘ 80 prima di diventare redattore de “ Il Mattino”. Vi hanno preso parte oltre a Ugo Intini, l’ ex senatore socialista Luigi Covatta, che oggi tiene in vita  come direttore “ Mondo Operaio” il mensile di riflessione dei socialisti per  mezzo secolo, e l’ ex deputato comunista Berardo Impegno mentre Vito Iacono ha tenuto l’ introduzione. C’erano poche persone. Qualche giovane candidato nella lista civica “ Il Volo” al Comune di Forio ed alcuni vecchi socialisti come chi scrive questa nota, l’ ex eurodeputato Franco Iacono, l’ ex consigliere regionale Antonio Simeone e qualche altro. Ma non è stata una riunione di “ amarcord” o di “ combattenti e reduci” come ce ne sono state molte in questi ultimi vent’anni perché il PSI è morto nel 1992 , proprio nell’ anno del suo centenario, distrutto da quella che si chiamò “ tangentopoli”. L’ incontro meritava un uditorio molto più vasto.

Intini dedica  un intero capitolo al biennio 1992-1993 che intitola “ il crollo” e non nasconde nulla.

Covatta ha sottolineato che “ al tempo della prima Repubblica c’ erano i giornali di partito che contribuivano ad elaborare la linea politica, come l’ “ Avanti!”, mentre oggi ci sono i giornali-partiti che pretendono di essere loro stessi partito”.

Berardo Impegno, 68 anni, professore di filosofia,ha sviluppato un intervento profondo portando la sua esperienza personale. E’ nato socialista.  Giovanissimo  si iscrisse al PSI che lasciò nel 1964  con la scissione di sinistra del PSIUP poi nel 1972 dopo lo scioglimento del PSIUP la sua “ confluenza” nel PCI  fino a diventare deputato e segretario della Federazione di Napoli.

“ Questo libro si legge come un romanzo storico – ha detto Impegno –  ed apre interrogativi forti come: qual è il senso della Politica? Quali insegnamenti si possono trarre dal passato di rotture, scissioni, unificazioni, della sinistra  del PSI e del PCI per proporre oggi una “ nuova sinistra”?

Impegno si è definito un “ socialista eretico” che è “ confluito” nel PCI ma che ritiene oggi necessario costituire un “ socialismo liberale” di cui i socialisti sono stati  gli anticipatori.

Ed infine Impegno ha espresso “ stima ed ammirazione” per Ugo Intini per  il suo “ coerente impegno politico” e per la sua incessante apertura al “ dialogo nella sinistra”.

A questa riunione dopo molti anni, anni di liberismo sfrenato con la distruzione dello “ stato sociale”, della “ spettacolarizzazione della ricchezza”  e della crescente povertà, della distruzione della Politica con la P in maiuscolo, ci siamo chiamati “ compagni” come si chiamavano i socialisti, i comunisti e gli aderenti al piccolo Partito d’ Azione.

E’ una parola di “ conforto e di gioia” ricorda Ugo Intini che fu  inventata da Edmondo De Amicis, quello del libro “ Cuore”, socialista, in un fondo sull’ “ Avanti!” del 1 maggio 1897.

“ All’ “ Avanti!”  e tra i socialisti per un secolo si  respirerà sempre questo  spirito, si avvertirà sempre l’ appartenenza ad una comunità di “ compagni” scrive Intini.

L’ osservazione di Intini è stata così toccante che ho ritenuto di intervenire ricordando quella poesia di  Paul Elaurd dedicata ad un martire della Resistenza francese, Gabriel Péri, dove il poeta dice che “ ci sono parole che fanno vivere e sono parole semplici. Amore, Giustizia, Libertà. Certi nomi di fiori e certi nomi di frutti. La parola coraggio, la parola scoprire, la parola fratello e la parola compagno. Péri è morto per quel che ci fa vivere. E diamogli del tu gli hanno spezzato il petto. Ma grazie a lui ci conosciamo meglio. E diamoci del tu la sua speranza è viva”.

Ecco: a me pare che la lunga storia dell’ “ Avanti”, del Partito Socialista e dei suoi uomini e donne, grandi e piccoli, della sua tragedia finale,   come ogni “ storia vivente” è fatta di Luci ed Ombre ma le Luci sono ampiamente superiori alle Ombre tanto che richiedono di essere riaccese per il Mondo che  ne ha bisogno, per le nuove generazioni che debbono riconquistare la Speranza per una società civile più giusta e più umana che si può realizzare solo con un “ socialismo dal volto umano”.

Intini chiude il suo libro con la rilevazione dolorosa che l’ “ Avanti!” chiude nel 1993  senza un saluto di commiato” come un vecchio che muore di inedia dopo aver molto vissuto. Dopo una storia che, credo, valeva la pena di raccontare”.

 

 

 

Ripensando il Partito Democratico

 

di Giuseppina Bonaviri
La scorsa primavera, dopo anni di militanza civile e politica con alle spalle la costituente del Pd che avevamo fortemente voluto e che ci aveva visti in prima linea con il gruppo di donne e giovani IE, una soddisfacente candidatura alle regionali nel 2010 decisi di candidarmi alle amministrative del capoluogo ciociaro in qualità di Sindaco Indipendente con due liste civiche pure.
Volevamo lanciare un segnale forte al partito, meglio ai partiti. Il mio stato d’animo era chiarissimo: bisognava remare e con fatica contro lo status quo regnante, contro la deriva politica di un centro sinistra in autodissoluzione, criptico, garante solo in conservatorismo e rendite di posizione.
Impossibilitati a riconoscersi in spazi di malcostume, al contrario, certamente protesi all’interno di un pensiero unitario, predominate a tutela di eguaglianza e dello stato di diritto leso che negli anni era stato capace di arricchire la storia della sinistra che, nonostante minoranza, aveva comunque saputo condizionare le classi dominanti -divenendo una casa comune, sede di confronto democratico e leale, vibrante – mai avremmo potuto negare le proposte della base e degli elettori.
Chiedevamo, con i tanti compagni di viaggio che mi hanno incoraggiato e sostenuto, percorsi di riflessione aperti e criteri chiari per rilanciare una politica visionaria, alternativa e vincente: quella che aveva caratterizzato la storia migliore del popolo italiano. Ci domandavamo come rivitalizzare una sinistra che stava morendo, che perdeva la bussola, che avvizziva.
Non potevamo credere che lo sforzo che sei anni prima, per la nascita del Pd, ci aveva visti uniti, forti e sicuri andasse perso. Come tornare, allora, a diversificare un progetto e un consenso alternativo al malgoverno e al caos regnante in Ciociaria e tipico di tutta la Nazione, come ripensare un Pd e una sinistra protagonista che avrebbe potuto permettersi il superamento della Seconda Repubblica e che invece la teneva e la tiene congelata?
Per molte settimane ci siamo domandati come e dove era stato commesso l’errore della classe politica italiana che, oggi più dello scorso anno, si trovava nella incapacità di influenzare la vita nazionale, la politica locale, gli assetti sociali e culturali di intere fasce di popolazione. Le risposte era tante come i dubbi che ci assalivano. Non potevamo accettare la subalternità all’involuzione democratica determinata ed imposta coscientemente da costoro, non si poteva ammettere che un partito pensato per chiudere la transizione italiana stava invece fallendo. Non si poteva permettere che le debolezze delle classi meno agiate- che la sinistra avrebbe dovuto rappresentare- continuassero a subire insulti per diventare merce di scambio.
Andava, come va riaffermato il primato dei beni comuni.
La degenerazione nello “scambio” locale diveniva rigetto di quelli spazi di partecipazione democratica che non ci potevamo permettere di ridurre solamente a macchina di consenso per i notabili territoriali come anche le primarie andavano e vanno ripensate fuori “dall’autoconservazione della specie” di leader mediatici che continuano ad autorizzare la nascita di micro gruppi di clientele poste sotto un simbolo ed una idea che fu, un tempo non lontano, attrattiva ed imponente.
Adesso rimane il residuo di una politica debole e non convincente verso un elettorato che manifesta la sua insoddisfazione, all’interno del Pd col 40% dei voti ai nuovi rottamatori all’esterno col 25% al M5s, con tre quarti dell’elettorato esterno al Pd e che così ne riesce a detenere solo un quarto. Un Pd che continua a tenere fuori dal dibattito persino grandi personalità perdendo consensi, inoltre, proprio dal ceto meno agiato.
La mia candidatura da intellettuale indipendente a Frosinone non è stata indolore. Ha testimoniato, anticipatoriamente, le pene che si pagano causa la frammentazione e la inedita incapacità di riconoscimento delle differenze identitarie, della compattezza fuori dai conflitti locali.
Chiedevamo e chiediamo partiti ed amministratori non oscurati nelle pieghe della spesa pubblica, non incapaci di parlare ai tormenti della società e nella impossibilità di stimolare una diversa governabilità.
Chiedevamo -ed ora più di allora- capacità di innovazione e di pensiero critico avendo sottoscritto, con il nostro coraggioso gesto, un inno alla creatività sociale e civica: ci si rispose e si continua a rispondere con l’autoreferenzialità di un ceto politico sterile e cannibalesco che non mobilita coscienze, confronto pubblico e informato ne tantomeno apertura alle idee e al cuore.
Non mi ritrovavo in questa pantomima. Non potevamo accettare un partito feticcio che invece avevamo desiderato tanto per passioni lontane e visioni distinte, differenti, una sinistra ostile al suo elettorato e troppo prudente, lacerata da lotte interne, caratterizzata nei territori da personaggi senza storia, supini al potere.
Quando un partito auto digerito dal suo cambio di linea etico non si accorge che ha fatto a meno dell’Italia reale, di quell’Italia che unica e sola può rappresentare innovazione e crescita, quel partito non è più riconoscibile e non può rappresentarci.
Questa che raccontiamo è la parabola di una classe dirigente chiusa nella voragine dei propri veti, che ha interamente fallito, che dovrebbe avere il coraggio, ancor prima che si rilanci un progetto serio, di dimettersi tutta a partire proprio dai corpi intermedi e dalle sedi periferiche che ha volutamente dimenticato.
Per vincere lo smarrimento attuale c’è bisogno, allora, di abbattere la sfiducia e riscattare gli elettori rendendo possibile la rinascita di quei percorsi propulsivi che l’ultimo Pd, spento e comatoso, non ha permesso. Un rinnovato cosmopolitismo inizia dal “passare la mano” andando fuori dai personalismi e consociativismi, dallo zoccolo duro di gruppi di potere trasversali, valorizzando il principio di rispetto verso la cittadinanza attiva.
E nonostante tutto, paradossalmente, sarebbe sbagliato ritenere che il problema sia separabile dalla soluzione della crisi del Pd. Va ammesso che il Pd potrebbe rappresentare quel partito di sinistra nella cultura moderna, quella formazione capace di virulentare i luoghi del dibattere, capace di plasmare una società forte, di ascoltare e di interagire con la base solo se tornasse ad avere il coraggio di rischiare con la certezza di rimanere la solida architrave del sistema politico italiano in liquefazione.
Si sceglie un partito per dare un contributo all’amor patrio non si sceglie la politica come mestiere. Il futuro della sinistra non può rimanere una ipotesi.
Ricreare la giusta tensione vuol significare muoversi verso qualcosa. Penso ad un partito di sinistra che si lasci fecondare continuamente, che faccia della pulsione e dell’eros la sua carta valoriale, che non abbia timore a desiderare l’altro. Non è più il tempo delle economie finalizzata all’utile. Favoriamo la produzione di coscienze sane quale basi della cosa pubblica, mobilitiamo intelligenze, promuoviamo confronto aperto.
Ritenendo di non dovere essere silenti, caricandoci il peso dell’attuale spaesamento-sgomento, della protesta, della delusione e della rabbia andiamo incontro alla tristezza che ci ha pervaso. Ricostruire un progetto riformista in discontinuità con la mala gestione della cosa pubblica, un progetto politico dove riconoscersi non sia un optional è basilare per contrastare crisi economica e decadimento della democrazia.
La riflessione che ci aspetta sarà più preziosa se capace di coinvolgere tanti, oltre i confini del Pd.

Sud nei primi 100 giorni di Letta

di Francesco Grillo su Il Mattino (18 Maggio)

La distribuzione della popolazione in fasce d’età – che in qualsiasi Paese normale assomiglia ad una botte – nel Mezzogiorno d’Italia si è ormai trasformata in una clessidra: tanti anziani; un buon numero di bambini che scalpitano per andare via non appena diventano adolescenti; e sempre meno giovani, perché se dal Nord Italia a fuggire sono i cervelli, dal Sud sta emigrando un’intera generazione.

Meno giovani e, dunque, meno imprese, ricercatori e professionisti che possano sostenere quel processo di innovazione di cui qualsiasi territorio ha bisogno per uscire dalla trappola del sotto sviluppo. Questo è il tratto più nuovo e marcato che l’antica questione meridionale ha acquisito negli ultimi anni, nonché il problema più grosso che deve essere risolto da chiunque voglia provare a spezzare l’incantesimo di un ritardo che dura da un secolo.

Enrico Letta e Carlo Trigilia sanno, per esperienza, quanto è alta la posta in gioco e sanno che la partita va giocata immediatamente: entro l’estate la Commissione Europea chiede a ciascuna Regione una prima ipotesi di strategia che identifichi i vantaggi competitivi sui quali fare leva per provare a rientrare in quell’economia globale,dalla quale il Mezzogiorno è rimasto tagliato fuori per molto tempo. Queste scelte sonocondizione ineludibile per accedere ai fondi strutturali che sono parte consistente delle poche risorse pubbliche che l’Italia ha a disposizione per ottenere quella crescita che tutti invocano. Si tratta davvero – mentre l’ISTAT segnala che per il settimo trimestre consecutivo il PIL del Paese si è ridotto – dell’ultimo treno e di una priorità che deve entrare immediatamente tra quelle dei primi cento giorni di un Governo che è in carica da circa un mese: un nuovo fallimento significherebbe non solo buttare via le ultime carte che il Sud (e l’Italia) ha ancora in mano, ma anche trasformare in lamentela qualsiasi richiesta italiana di ulteriori investimenti da destinare alla crescita.

Il problema vero è trovare una strategia per rispondere a tre domande urgenti: come faccio ad investire più di 22 miliardi di euro in innovazione in territori desertificati dall’emigrazione di buona parte delle proprie generazioni più giovani? Come posso radicare nel territorio le tecnologie, le competenze che riuscissi ad attrarre evitando l’incubo di nuove cattedrali nel deserto? Come posso governare strategie di sviluppo più sofisticate rispetto al passato, con amministrazioni pubbliche che si sono, finora, dimostrate incapaci di gestire persino la spesa ordinaria?

È evidente che il Sud non ce la può fare da solo. Ma non tanto perché mancano le risorse finanziarie, ma perché, in questo momento, è sprovvisto del capitale umano indispensabile per poter competere. Anzi, di talento ne continua a produrre; ma non riesce a trattenerlo, non lo attrae e se lo attrae – magari dai Paesi del Nord Africa – non riesce neppure a riconoscerlo. Non c’è capitale umano e neppure possiamo aspettare i tempi lunghi della scuola per poterne ricostruire a sufficienza.

E allora che fare? Bisognerà ricominciare a fare scelte: scegliere i settori sui quali concentrare le risorse: la valorizzazione della cultura è candidato naturale per un’area che ha quasi lo stesso numero di siti UNESCO degli interi Stati Uniti; e scegliere i problemi – magari quelli della mobilità o dei rifiuti nelle città – ai quali applicare specifiche tecnologie per trasformare i ritardi in vantaggi rispetto agli altri in termini di qualità della vita. Sarà necessario, poi, aggregare dal resto del mondo attorno alle “specializzazioni intelligenti” che avremo selezionato, i talenti di cui è necessario disporre; costruirei presupposti – servizi, logistica, scuole (e non solo benefici fiscali generici)  – che mettano gli innovatori in grado di continuare a fare il proprio mestiere anche a Salerno o a Bari; e infine sviluppare- dalle imprese e dalle università che avremo portato all’avanguardia – l’indotto sufficiente per poter radicare la conoscenza nel resto del territorio.

Bisognerà puntare tutto sulla conoscenza,la benzina che ha dato ad altri Paesi la possibilità di sfuggire alla condanna della dipendenza dal sussidio; la conoscenza che in Italia e nel Sud, per lungo tempo, è uscita dalle priorità della politica, del discorso pubblico e della programmazione economica. Facendo scelte precise per costruire esempi in grado di diventare modello. Con persone, meccanismi di governo anch’essi profondamente rinnovati sulla base della capacità di portare a casa risultati tangibili, perché è tra i dirigenti ed i consulenti che hanno fallito per anni che bisogna operare la più urgente delle rottamazioni.

Quella del Sud è una sfida che l’Italia è riuscita – unico Paese del mondo – a perdere regolarmente ogni volta. Stavolta, la crisi costringe il governo ad affrontarla per vincere e non con la mentalità di chi si limita a gestire l’ordinario per alleviare le conseguenze di un’altra delle tante sconfitte annunciate e accettate sin dall’inizio.

 

La deriva politica genera mostriciat​toli

di Giuseppina Bonaviri

Decenni di instabilità nella nostra Nazione hanno provocato devastazione psicologica, sentimenti di isolamento e di disperazione di intere fasce di popolazione. Questa condizione sembra, oggi, aggravarsi per l’utilizzo inappropriato che le Istituzioni fanno dello stigma- pregiudizio amplificandone la credenza cosicché il concetto di pericolosità della malattia mentale cresce e si potenzia nell’immaginario collettivo.

Carenti appaiono i servizi sanitari e di consulenza delle comunità quale supporto del nuovo disagio per cui appare ora ancor più complicato progettare e fronteggiare adeguatamente la “privazione sociale”. Sollecitare modelli di intervento sul territorio permetterebbe di ritrovare un livello di dignità e di integrazione di quella condizione che si identifica con i nuovi stili di vita quali la precarietà, stato mentale quest’ultimo, destinato ad apportare indignazione metafora dell’elaborazione di lutto.

Gli alti livelli di aggressività quotidiana sono un simbolo dell’umiliazione patita che denuncia lo stato di privazione di ogni residuo di identità e di autonomia che rimaneva e che, con la perdita di lavoro, di casa, di impossibilità a metter su famiglia non sarà più neanche consentito di evocare. Nel sentimento di disperazione sociale c’è l’ intento suicida. Parallelamente il dolore sociale, acuto e diffuso, crea una sorta di precondizione psicologica paragonabile alla depressione di massa.

Ricordiamo che il 25% delle famiglie è esposto all’indigenza (più del 2% rispetto al dato europeo) mentre il 7% è in condizione di povertà assoluta (le famiglie più a rischio sono quelle che abitano nel mezzogiorno, quelle numerose e quelle composte da una madre sola o da anziani soli).

E il governo che fa? Sostanzialmente rimane muto al problema mentre ogni giorno 615 nuovi poveri avanzano.

Alla fine del 2013 verrà ampiamente superata la soglia di 3,5 milioni certificata ufficialmente dall’Istat per il 2011 pari a oltre il 6% della popolazione e difficilmente si potrà tornare ai livelli del Pil pre-crisi prima del 2019 se non si interverrà nell’immediato per aumentare la capacità di spesa delle famiglie italiane e del ceto medio.

Per tutto il 2013 il PIL continuerà a scendere di un -1,7% (una stima peggiore del 0,9% di quanto prospettato pochi mesi fa) e la domanda interna, ovvero i consumi, diminuiranno di oltre 140 miliardi. Secondo la Confcommercio questo calo continuerà entro l’anno con una ulteriore flessione prevista del -2,4% così come peggiorerà la crisi delle imprese con il rischio che altre 90.000 chiuderanno entro l’anno in corso.

La miseria morale imposta rimane, fatalmente, la piattaforma ideale che condurrà allo sfaldamento di intere generazioni.

L’Italia buona, fatta da terra-paesi-montagne (volatilizzatesi nel millennio attuale nella lotta tra classi di potere, lobby, clan, massonerie) non può rimanere sorda al Progetto Paese Reale che, oscurato ed invisibile, viene avvizzito consapevolmente dalla cattiva politica priva di sani politici.

La latitanza di una seria e affidabile gestione del Paese ha generato, nella retrospettiva mentale della massa informe, mostriciattoli che cresciuti all’ombra dei palazzi non vedono il danno spirituale e sociale inferto.

Sconfiggeremo la lingua del pensiero dominante solo se, in tanti, non ci lasceremo più ingannare.

Nuovo governo Letta. Ho paura dell’elettricista

di Arnaldo De Porti

L’atteggiamento estremamente pacifico, quasi al limite del menefreghismo delle cose di casa nostra da parte dell’ex leader del Pdl mi suona quanto meno strano, dopo tutto ciò che egli ci aveva abituati a vedere e sentire.

 

Che cosa ci sarà mai dietro a questa metamorfosi che non siano l’età, il cambio dei fusi orari o, più verosimilmente, uno stand-by fittizio per creare un…corto circuito non appena gli verrà messo qualcosa di traverso da parte dell’attuale governo, appena formato ?

D’accordo, questo era ed è l’unico governo possibile stante il fatto che anche eventuali nuove elezioni, oltre a determinare forti danni, esse non avrebbero sicuramente chiarito il quadro, se non in termini peggiorativi nel senso che il M5S avrebbe potuto riservare delle forti sorprese al Paese.

Non vorrei, facendo appello ad una certa pregressa esperienza che, per poter dar vita al neonato-governo si fosse “sedato”, con barbiturici di opportunità,  il prosieguo dei vari iter giudiziari dell’uomo di Arcore, per cui gli Italiani, ove le cose stessero davvero così, si troverebbero ad avere delle perplessità sulla stessa onestà istituzionale. Non per niente, tutte le conflittualità politiche, sia nello schieramento di centro sinistra che di centro destra, restano tutte e per intero, non nolo, ma l’uomo di Arcore ha ancora in qualsiasi momento la possibilità di staccare la spina al governo, da provetto elettricista, come da titolo. Del resto, Berlusconi stesso, questa volta da…sveglio e non  da “dormiens”, continua a dire : “Noi siamo-saremo decisivi”.

Anche la stampa estera si esprime in questi termini dicendo che ha vinto Berlusconi.

Vorrei anche aggiungere qualcosa sul movimento di Grillo che costituisce una fetta non certo trascurabile dell’elettorato.  Tacerà, si attiverà in qualche modo, che farà ? In fin dei conti, se il panorama politico italiano ha avuto un così grande, ma anche benefico scossone, lo si deve a lui, perché altrimenti saremmo forse al cimitero della politica.

Mentre scrivo, sono in attesa del giuramento dei ministri, e non vorrei che la consueta foto post-giuramento, fosse dello stesso valore delle tante altre.

Ma voglio essere ottimista, sia pur per necessità !

La versione di Giorgio

di Michele Mezza

La politica è una scienza esatta,  i dilettanti e i comici non vanno lontano, tanto più quando sono dilettanti e comici.

Il governo Letta è una cosa seria, serissima. Devo dare atto al presidente della repubblica di essere l’unico dirigente del vecchio PCI rimasto un gigante anche senza il contesto del grande partito. Gli altri si sono rimpiccioliti tutti. Dopo Monti esce dal cilindro, un giovane  politico, con grandi attitudini tecnocratiche, in grado di coniugare  stato, poteri e governo: Un premier alla Rocard, per intenderci.

Attorno a Letta si raccolgono tanti lettiani, di entrambi i campi: Orlando, Del Rio, Brai, Di Girolamo, Zanonato, Lupi. Giovani rampanti, autonomi e attrezzati. Una leva di quadri che cambierà  innanzitutto gli equilibri dei rispettivi partiti, seppellendo i dinosauri: D’Alema, Bersani, Schifani, Cicchitto: ma chi sono?

Un governo che sparpaglia il branco grillino: la Bonino agli esteri, la cancellieri alla Giustizia, saccomanni all’economia.

Dov’è la casta? dov’è il patto scellerato? E poi un ministro di colore, una grande atleta, i sindaci, gli economisti, nessuna cariatide. La partita cambia campo: nessuno da rottamare, nessuno da inseguire per la strada. Ora si parla di contenuti, è finita la ricreazione del metodo. Vale persino per Renzi che in due ore è invecchiato di 10 anni. nel bene e nel male si gioca tutto sull’economia: quale sviluppo, per quali ceti? questa è la domanda. Chi deve pagare la crisi ora? rendita op profitto? produttori o mediatori?

Letta, con Draghi può oggi parlare da pari a pari con la Germania,  che deve ancora attendere le elezioni. Qualcuno la borsa la deve aprire. La ruota potrebbe ricominciare a girare, e il cavallo a bere. A quel punto di chiederà le elezioni? il sindacato che chiede di rifinanziare la cassa integrazione in deroga? la destra che deve seppellire Berlusconi? il PD che deve seppellire se stesso? O grillo che ancora sta pensando allo streaming per discutere delle diarie o Vendola che non sa chi è e con chi sta?

Da oggi il potere torna a logorare chi non lo ha. Ma forse  ad oscurare il sole di una nuova politica non sarà la gobba di Andreotti.

Appello del Pd: aprire un cantiere politico e programmatico per rifondare il partito

Il montismo come pensiero debole del Pd

Il Circolo PD Pistoia Centro, insieme all’associazione Innovatori Europei, ha lanciato questo appello sottoscritto già da oltre 40 persone

2013 Anno Zero del PD – Un Cantiere Politico e Programmatico subito (documento aperto – Pagina Facebook) 

Le vicende degli ultimi giorni ci pongono di fronte a un bivio: quello tra il recupero di credibilità della politica di fronte ai cittadini e il definitivo collasso del sistema.

Questa volta sarà vietato sbagliare, saremo coinvolti tutti, necessariamente chiamati a dare una risposta a una richiesta fin troppo a lungo disattesa.

E in questo gioco per primo il Partito Democratico si trova di fronte a un scelta: quella del tentativo di sopravvivere a se stesso, nelle forme e nei contenuti visti fino ad ora, nel superamento di quella logica feudale fatta di cooptazione e capi-corrente, e il lancio di una sfida, la voglia crescere, di osare, di diventare finalmente quel contenitore di idee e di persone, quel laboratorio riformista che in tanti abbiamo auspicato fin dai tempi della sua nascita. Significa questo che tutto ciò che abbiamo fatto fin qui sia da buttare? Assolutamente no.

Dobbiamo tenerci stretto il processo costituente che nel 2006-7 favorì l’avvicinamento alla politica di tanta e sana società civile e la voglia di costruire programmi condivisi. Un processo però che dovrà essere basato su primarie aperte svolte in tempi adeguati, regolamenti chiari, e non più sulla base dell’emergenze e della straordinarietà. E lo stesso valga per i programmi, da costruire e dibattere, anche in rete.

 

L’utilizzo delle rete, perciò, come motore di democrazia partecipativa e di trasparenza nell’Italia del nuovo millennio. Oggi siamo chiamati a rimettere in moto quell’idea di riformismo, di partecipazione, di coinvolgimento, di presenza, di ascolto che da sempre ci appartiene ma che da molto tempo sembriamo esserci dimenticati.

Per questo occorre una ripartenza, una rifondazione.

Un Anno Zero del PD: l’apertura di un Cantiere Politico e Programmatico organizzato per tesi, un laboratorio di idee, aperto alla cittadinanza, in un’ottica di rinnovamento generale e profondo, con scelte radicali, che rimetta al centro i cittadini, che veda la rete Internet come mezzo di partecipazione e garanzia di trasparenza, i nuovi linguaggi comunicativi come una risorsa e non come un limite, il pluralismo nei fatti e non nelle parole come arricchimento per tutto il Paese.

Un cantiere che porti alla costruzione di una nuova coscienza identitaria e di una classe dirigente diffusa che ci guidi verso la riaffermazione della dignità del popolo italiano, in una prospettiva europea, per la ripresa del cammino verso gli Stati Uniti d’Europa. Questo appello è stato sottoscritto da oltre 40 persone.

Per aderire è possibile contattare il Circolo PD Pistoia Centro (e-mail: circolocentrostorico.pd@gmail.com; SMS al. 328 0420650) e Innovatori Europei (infoinnovatorieuropei@gmail.com)

I primi fimatari:

1. Marco Frediani

2. Massimo Preziuso

3. Simona Selene Scatizzi

4. Riccardo Fagioli

5. Andrea Massai

6. Elena Sinimberghi

7. Simone Gori

8. Carla Contini

9. Massimo Alby

10. Giuseppe Rotondo

11. Massimo Baldi

12. Chiara Innocenti

13. Alessandro Cenerini

14. Ecodemvaldinievole Valdinievole

15. Giuseppina Bonaviri

16. Floriano Cecchini

17. Romano Fedi

18. Maurizio Bozzaotre

19. Deborah Lo Conti

20. Lisa Frasca

21. Rosalba Bonacchi

22. Luciano Mazzieri

23. Guido Sinimbergh

i24. Franca Baglioni

25. Salvatore Scarola

26. Simo Capecchi

27. Franco Buono

28. Roberto Bartoli

29. Carlo Bartolini

30. Toscana Per Bersani

31. Lorenzo Gregoriani

32. Marie Paul Ngo Ndjeng

33. Luca Fantini

34. Becky Cooper

35. Cristina Bianchi

36. Giacomo Sguazzoni

37. Antonella Gramigna

38. Daniela Cioni

39. Stefano Nardi

Appello pubblicato anche su La Voce di Pistoia

Il dovere della proposta

di Giuseppina Bonaviri

Il dovere della proposta spetta a chi ancora crede che il cambiamento possa esistere.

Spetta a chi, come noi, da anni sta lottando per lo stato di diritto, l’equità sociale, la cancellazione dello stigma verso le minoranze e le disuguaglianze, perché la precarietà non diventi uno stile di vita, per una democrazia partecipativa che abbia voce, per una cittadinanza attiva quale luogo di decisione condivisa, per il Bene Comune nel ricordo di un popolo e di una paese unito che nacque dal sacrificio di tanti.

Il dovere della proposta spetta a chi sa, senza rimanerne attonito, che non esistono fallimenti di lotta se non ipotecati all’interno di un fuorviante nucleo di potere: quello delle classi politiche ed amministrative corrotte, autoreplicate, clonate per egoismo tattico e per derive individualistiche che mollemente dilaniano la nostra Nazione. La civiltà del dialogo, la capacità di ascolto, il rigore intellettuale farà la differenza nell’attuale processo di decomposizione in atto che vuole sudditi ed isolamento. Essere una coscienza critica diviene, allora, obbligo morale nel rispetto di quello Stato che ora, delegittimato ed umiliato perfino nella sua laicità, si fa centrale di controllo.

Non mi sono mai sottratta a questo e non temo. Viviamo in una storia dove violenza e profitto, colpevolizzazione del dissenso diventano corporativismo di pochi potenti contro i più deboli mentre il consenso rappresenta l’obbedienza opportunistica. L’attuale mistificato galateo politico seppellisce i modelli di convivenza democratica, si moltiplicano i luoghi della illegalità come anche il silenzio e la stupidità degli amministratori. L’arroganza del potere detiene le organizzazioni, l’opposizione si fa evanescente e la società civile, sempre più isolata, si ritira impaurita dalla sfera pubblica. E mentre la politica si traduce in investimento-consenso-profitto-nuovo investimento, l’uomo involve tra rifiuti e polveri sottili. Il vecchino va con le scarpe rotte ed il bambino non ha più scuole pubbliche. Un inno al caos e al disordine. La rabbia sale mentre appare sempre più sbarrata la strada ad un sano progetto politico innovativo.

L’Italia, rimasta afona e senza anima va protetta e difesa. Fuori dalle falsità, dall’affarismo, dagli atti di fede acritici esigiamo pesi e contropesi, controlli e limiti, regole e rispetto etico. Fondamentale stabilire un limite rispettando la persona che rimane il fulcro del nostro percorso e che ci consentirà di proseguire su quella via di virtù contro la deriva e le prevaricazione a vocazione antidemocratica.

Costruire le premesse per mettere in moto un progetto nuovo, per recuperare l’amor patrio termine in disuso o quasi ridicolo si può fare. Si, dove proprio l’ amor patrio torni a parlare. Perseguiamolo tenacemente. Non vogliamo più essere umiliati, pretendiamo rispetto e serietà, coesione ed equità, meritocrazia e lavoro. Servirà lo sforzo di tutti. Riappropriamoci della nostra quotidianità, fuori dal divulgare di metodi ed antidoti da seconda repubblica dove anche gesti semplici come annusare un fiore e stringere una mano tornino ad essere un sano valore.

 

 

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