Energia e Ambiente
PERDERE LA PACE
Il Partito democratico e la nuova stagione politica
di Tommaso Visone
Si è soliti ricordare agli studenti di geopolitica che ben più difficile di vincere la guerra è vincere la pace. Il Partito democratico dopo aver perso, prevedibilmente, la guerra (le elezioni) sta riuscendo nell’inconsueta- per chi fa opposizione in Italia- impresa di “perdere” anche la pace ( il confronto parlamentare e politico che segue alle elezioni stesse).
I risultati ottenuti dal partito sul piano della costruzione istituzionale (statuto, governo ombra, codice etico, manifesto dei valori, ecc.) ed il coraggio dimostrato nel corso della campagna elettorale con i relativi effetti sulla semplificazione del quadro parlamentare avrebbero potuto dare luogo a ben altri scenari in questi primi mesi d’opposizione. Quello che traspare invece a seguito di questo primo periodo di vita del nuovo partito è un profondo deficit politico sul piano dell’iniziativa e della concretezza propositiva(fanno un po’ sorridere le parole di Veltroni recentemente apparse sul Foglio), contornato da uno scontro interno tra leader “sconfitti” (es. Veltroni contra D’Alema e Veltroni contra Rutelli) che, caso quasi unico in Occidente fatta eccezione per il fallimentare partito socialista francese, non pagano politicamente – in termini di leadership interna – la sonora batosta elettorale. Non paghi dell’esiziale anomalia, i nostri, continuano in un confronto a distanza che rasenta il ridicolo (es.quando Veltroni nega di aver pesato sulla sconfitta romana e Rutelli finge un altrettanto poco credibile ingenuità tradita) vogliosi di scaricarsi reciprocamente addosso l’uno con l’altro la responsabilità della debacle nazionale e locale seguita dalla palese erosione di consenso che, dall’inizio della legislatura, sta rafforzando l’opposizione dell’Italia dei valori aiutata, in questo, dal gioco di sponda di una maggioranza ben contenta di trovare un degno sostituto (i giustizialisti) per la prosecuzione della sua personale, sia pur anacronistica, guerra fredda.
L’attuale scenario di rincorsa “differenziata” sull’Italia dei valori è effetto delle premesse poste quando si sosteneva un’apertura onnicomprensiva al dialogo con la maggioranza sull’unica base concreta del “pacchetto Violante” senza tener conto dei saggi consigli di cautela pronunciati da chi (es. Eugenio Scalfari) ne vedeva tutta la problematicità. Parlare di “dialogo” è possibile (e giusto) solo una volta che si è stabilità una propria linea politica su cui basare il confronto, farlo a scatola chiusa non ha alcun senso (su cosa si dialogherebbe? Sulla prospettiva di una sola parte?) ed, anzi, risulta politicamente dannoso come lo sarebbe, per una forza che si autodichiara “riformista” (si rimanda a F.Caffè per la definizione del concetto), la decisione aprioristica in senso opposto: quella del muro contro muro senza alcun spiraglio potenziale. Se il Partito democratico vorrà fare suo in maniera efficace il motto del dialogo dovrà prima presentare delle proposte ai cittadini. Non basta avere un governo ombra se poi non lo si usa, così come non basta, di per sé, la nascita di un partito nuovo al fine di cambiare la qualità della politica italiana. Come sostiene N.Irti, “il partito è strumento per qualcosa, non scopo in sé concluso ed appagato” e questo “qualcosa”- l’unità del disegno politico come indirizzo per la vita collettiva- è esattamente quello che manca all’attuale Partito democratico che non solo, nella maggior parte dei casi, è stato finora incapace di far emergere singole soluzioni concrete da confrontare con quelle della maggioranza ma non ha neanche saputo comunicare (sempre che ce ne sia una, condivisa o quantomeno maggioritaria) la sua visone politica d’insieme sul futuro del Paese. Per raggiungere questo imprescindibile risultato, il Partito democratico dovrà farsi carico di formulare delle proposte coerenti tra di loro e capaci di esprimere una reale alternativa, quando ce ne sarà bisogno, nei confronti di quelle della maggioranza. Solo su queste basi ci potrà essere “un’opposizione riformista di chi non si accontenta di gridare più forte degli altri ma vuole costruire giorno per giorno, come si fa nei grandi paesi europei, una credibile alternativa di governo” (W.Veltroni). Esclusivamente in questo modo il PD potrà dare il via ad una nuova stagione politica. Altrimenti, come sta già avvenendo, alla retorica seguiranno ulteriori e sempreverdi sconfitte.
EUROPA E MEZZOGIORNO
LE ONDE DELLA GLOBALIZZAZIONE
LE ONDE LUNGHE DELLA GLOBALIZZAZIONE
Roma, 24 luglio ‘08 (Fuoritutto) La calura del solleone non interrompe la laboriosità e l’attivismo del mondo politico e sindacale. Possiamo dunque agevolmente trascegliere, secondo le nostre inclinazioni, fra le innumerevoli iniziative che costellano le giornate romane.
Ci concentriamo con interesse sul convegno, svolto nei giorni scorsi presso il Cnel, a cura della Uil, e dedicato alle tematiche della “ partecipazione del mondo del lavoro alla gestione e all’azionariato delle imprese e delle iniziative economiche “.
Antico e ben noto problema, sempre irrisolto, come emerge dalle prime battute del convegno, che ebbe, come precursori illustri, figure di pensatori come John Stuart Mills e Giuseppe Mazzini, convinti sostenitori della necessaria armonia fra mondo del lavoro e capitale, e su sponda opposta, Karl Marx che ne postulava invece la radicale conflittualità.
Dilemma, comunque, che pur configurato dal dibattito nel quadro di circostanze storiche e geografiche in continuo mutamento, impone fatalmente la sua perenne attualità e quindi le necessarie ipotesi, seppur contingenti, di soluzione.
Così la relazione base del convegno (Domenico Proietti) propone soluzioni di tipo partecipativo e di cogestione, ma a un grado superiore del semplice livello di singola impresa, (pur previste nella Costituzione all’art.46).
In concreto il dirigente sindacale ha indicato nitidamente ipotesi di cogestione in fattispecie come quelle incarnate nei “Distretti industriali”, senza escluderle peraltro anche nelle holding nazionali e internazionali, per la loro frequente rilevanza economica, sociale e territoriale. Non si discostava sostanzialmente da tale impostazione, Pasquale Viespoli, sottosegretario al Welfare e da essa prende le mosse nelle conclusioni Luigi Angeletti che tocca il diapason dell’emotività dell’uditorio.
La globalizzazione, afferma il segretario della Uil, è una realtà da cui nessuno, piaccia o no, è in grado di prescindere: il mondo deve fare i conti con uno straripante capitalismo, per contenere il quale gli ordinamenti nazionali; ma anche gli organismi internazionali, sono sprovvisti di strumenti idonei. Le imprese possono difendersi principalmente con la propria capacità competitiva, la quale si realizza soprattutto con il miglioramento costante delle loro risorse umane.
Con tali premesse è giusto ostinarsi a perseguire, sul piano dottrinale, legislativo e sindacale una politica di parità salariali o affrontare strategie che privilegino tangibilmente i lavoratori più abili ed efficienti, magari anche a scapito dei livelli occupazionali?
E la nostra riflessione è corsa istintivamente, alle parole pronunciate, un paio di settimane or sono, dal presidente cubano Raoul Castro, che, da un paese di rivoluzione socialista, poneva concetti analoghi ….
… Chi mai l’ avrebbe potuto immaginare?
(Sor)
UNIVERSITA’ ITALIANE
Università italiane verso una rivalutazione? (di Luca Barbieri Viale)
L’Università italiana nel suo insieme, dagli studenti ai docenti, ha detto e ripetuto che non intende sottrarsi a un severo processo di valutazione che porti alla valorizzazione del merito. Segnalo il recente appello “Salviamo l’Università! Un appello per la sopravvivenza e il rinnovamento dell’Università italiana attraverso la Valutazione” alla pagina http://universita.selfip.org/
La differenziazione dei finanziamenti ministeriali, in base al merito degli atenei, sarebbe il passo decisivo nell’attuazione di quel processo di autonomia e selezione (ridimensionamento dell’offerta didattica, riduzione delle sedi, etc.) che aspettiamo da anni. Inclusa, finalmente, la libertà di differenziare le tasse e gli stipendi. Questo permetterebbe di razionalizzare il nostro sistema e incentiverebbe la competizione tra gli atenei: pochi ma buoni! potrebbe essere lo slogan da adottare …
Se la manovra proposta dall’attuale governo è di tagliare indiscriminatamente si va esattamente nellla direzione opposta. Il decreto Tremonti prospetta di tagliare indiscriminatamente l’organico, riducendo le nuove assunzioni di giovani, e di tagliare indiscriminatamente gli stipendi, anche a chi sta lavorando bene e rappresenta l’eccellenza in ambito internazionale; inoltre, introduce lo strumento della fondazione privata come mezzo per attivare una selezione naturale: chi riesce a finanziarsi sopravvive!
Ma non è affatto sorprendente, se ci pensiamo bene, questa è una naturale conseguenza dei vari precedenti fallimenti in materia (sia del centro-destra che del centro-sinistra) Inoltre, la linea di governo è coerente con il pensiero liberale che rappresenta la maggioranza degli italiani.
Il messaggio che il governo intende dare ? Chi riesce a finanziarsi, ha amicizie che contano, anche se non ha nessun merito, ha il diritto di sopravvivere e chi, anche se bravissimo, in Italia, continuerà ad esser sottovalutato o neanche considerato ? No! Il ministro Maria Stella Gelmini, ha spiegato le cinque grandi missioni del nuovo tavolo di consultazione permanente: garantire la qualità del reclutamento dei docenti, realizzare un sistema efficace e trasparente di valutazione, premiare le Università che ottengono risultati migliori in termini di qualità della ricerca e della didattica, prevedere un fondo per incentivare i docenti meritevoli, incoraggiare l’internazionalizzazione del sistema universitario.
Repetita iuvant! ma son solo parole che anche il precedente governo Prodi ha pronunciato e non mancavano in nessun programma di governo! Che fare ? L’unica risposta che possiamo cercare è in Europa! La dichiarazione di Lisbona, ad esempio: lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore fisserà le condizioni e il quadro normativo all’interno del quale anche l’Italia dovrà restare assumendo sempre che intenda rimanere in Europa.
SOGNO DI MEZZA ESTATE
Un resoconto critico sul seminario del 14 Luglio, promosso da Italiani Europei
di Pierluigi Sorti – IE Sapere
Illusorietà di un seminario. Con il concorso di una quindicina di associazioni, emblematici surrogati di partiti e delle risorgenti loro vecchie correnti interne, in una fatidica data – 14 luglio -, e con la regia di Massimo D’ Alema, Presidente di “Italiani Europei”, si è dissertato delle forme di governo, della legge elettorale e dei regolamenti parlamentari.
Con un obbiettivo: ottenere dai rappresentanti presenti delle forze di centro destra, un avallo all’ ipotesi di un mutamento della nostra legge elettorale secondo i canoni di quella vigente in Germania.
E’ già nota la delusione che l’ intervento di Cicchitto e Calderoli ha suscitato negli esponenti del centro sinistra favorevoli alla tesi degli elementi ispiratori del seminario.
Ma, a prescindere dal “fin de non recevoir” recitato diplomaticamente dai due esponenti della maggioranza, quello che non è sfuggito ai più, nell’ ascolto dei circa 30 intervenuti in oltre sette ore di dibattito, è il senso di frustrazione, offerto al numerosissimo uditorio, da una dirigenza politica del centro sinistra, apparentemente, non ancora consapevole delle dimensioni della sua sconfitta.
Una dirigenza che insegue il teorema di un dialogo istituzionale con un Berlusconi che simula ascolto privilegiando or questo ( Veltroni ) or quel (D’ Alema ) leader, solo per dividerli tra loro e allontanarli vieppiù dal loro elettorato.
Eppure i due sono convinti di avere rispettivamente le credenziali di poter continuare a essere, del loro elettorato, autentici interpreti e legittimi rappresentanti.
E non si avvedono che, a prescindere dall’ illusione di trattare paritariamente con Berlusconi, scelgono tematiche che Berlusconi “in primis” ha tutta la convenienza a lasciare inalterate, trascurando invece quelle che invece potrebbero segnare la strada maestra del riscatto futuro.
Essi per primi, infatti, della denunciata progressiva degenerazione presidenzialista o, specularmente, dell’ accentuazione progressiva della subalternità delle assemblee elettive, dai comuni in su, fino al parlamento nazionale, portano non poche corresponsabilità.
E della giusta considerazione preliminare del documento introduttivo del seminario ( l’ errore reiterato di considerare i temi istituzionali più impellenti dei problemi dell’ economia e dell’ambiente ), da troppo tempo quegli stessi gruppi dirigenti hanno dimostrato, in oltre un decennio, così evanescente immedesimazione, da rendere chimeriche le ipotesi di convincenti inversioni di rotta.
Se la militanza del Pd non sarà cosciente che la natura sincretistica del partito e una realtà politica, nazionale e internazionale, caratterizzata da mutamenti continui, impongono il superamento di una concezione oligarchica e conseguentemente gregaria della dirigenza, nazionale e periferica, il Partito non andrà lontano.
Specie trattandosi di dirigenze che hanno non solo un imprinting di formazione e di carriera che risale ai tempi della guerra fredda, ma che hanno ormai accumulato una serie di insuccessi, per i quali sembra non debbano mai rendere conto.
L’ UNIONE PER IL MEDITERRANEO
L’Unione per il Mediterraneo: verso una Global Mediterranean Policy?
Il passato 9 luglio si è concluso, in Giappone, il vertice dei G8, dove le più importanti potenze economiche mondiali hanno trattato alcuni degli argomenti che, dal 13 luglio, sono destinati a convertirsi, anche, in oggetto di progetti regionali del e per il Mediterraneo.
Si tratta di ambiente, crisi energetica ed energie alternative che, a livello regionale, devono diventare vettori per il co-sviluppo del Mediterraneo, secondo quanto previsto dall’Unione per il Mediterraneo (UPM). È questa, invece, una delle regioni al mondo con maggiori squilibri economici (il reddito pro capite è, in media, 10 volte superiore nella sponda Nord rispetto a quello della sponda Sud), oltre ad essere scenario di gravissime tensioni (Algeria-Marocco, Turchia-Cipro, Siria-Libano, per esempio) o, addirittura, conflitti diplomatici (come quello israelo-palestinese). La scelta di queste tematiche come vettori del co-sviluppo (e perciò della creazione di una zona di pace e stabilità) convince sicuramente di più i Paesi europei che quelli della sponda Sud del Bacino, più preoccupati a risolvere problemi come impiego e migrazioni.
L’UPM, ideata e lanciata dall’attuale Premier francese nonché Presidente di turno europeo, Nicolas Sarkozy, si propone perciò come un progetto di carattere economico-ambientale che cerca di assumere una dimensione più realistica e democratica rispetto al suo “predecessore”, il Partenariato Euromediterraneo (PEM).
Innanzitutto, l’UPM dovrebbe essere più democratica, giacché amplia la partecipazione a 43 Paesi (i 27 Paesi dell’UE e tutti i Paesi che affacciano sul Mare Nostrum – al Vertice di Parigi non hanno però partecipato né il Marocco, a causa della questione algerina, né la Libia –) e stabilisce una doppia presidenza di turno (un partner del Nord e uno del Sud), con l’idea di superare la grave assimmetria tra le due sponde del Bacino.
D’altra parte, si presenta come più realistica, poiché prevede la realizzazione di progetti concreti, non più di politiche (come prevedeva il PEM). Ciò dovrebbe fornire un carattere più concreto e pratico all’UPM, rispetto a quanto suppone l’ideazione di politiche, sicuramente molto più ambiziose, da un punto di vista ideale, ma difficilmente realizzabili, da un punto di vista pratico.
I progetti inizialmente previsti sono 6, riguardanti: il disinquinamento del Mediterraneo, la costruzione di autostrade marittime e terrestri per migliorare le fluidità del commercio fra le due sponde del Mediterraneo, il rafforzamento della protezione civile – tenuto conto dell’aumento dei rischi regionali legati al riscaldamento climatico –, la creazione di un piano energetico solare mediterraneo, lo sviluppo di una università euromediterranea – già inaugurata a Portoroz, in Slovenia – e una iniziativa di sostegno alle piccole e medie imprese.
Nella realizzazione dei progetti si pone un problema fondamentale per quanto riguarda le risorse economiche di cui dovrà disporre l’UPM (ed è questo uno dei nodi gordiani del progetto di Sarkozy): per il momento, non ci sono soldi a disposizione. Bruxelles ha già presentato il piano di bilancio fino al 2013, che non prevede fondi aggiuntivi a favore dell’Unione per il Mediterraneo. Secondo gli stessi leader, saranno benvenuti donatori internazionali, tali come la Banca Mondiale, la BEI e la Banca Africana. L’appello vero è rivolto, però, agli investitori privati: gli Stati euro-mediterranei sperano che le industrie interessate ad investire nei Paesi del Sud aumentino.
Questo ci pone di fronte a due questioni:
• una di carattere esclusivamente economico, ovvero riguardo la dimensione vera dei progetti dell’UPM: ad esempio, la Commissione Europea ha presentato un rapporto, nel quale sostiene che ci vogliono almeno due miliardi di euro per ripulire l’80% del Mediterraneo…
• l’altra, di carattere più politico, che si riferisce all’approccio che gli investitori privati vorranno dare ai diversi progetti che propone l’UPM e, perciò, al difficile rapporto che essi potranno avere con il co-sviluppo.
La mancanza di una maggiore partecipazione economica da parte dell’Unione Europea sorprende fortemente, in quanto contrasta con la posizione assunta, negli ultimi mesi, da Bruxelles, che ha cercato (fino a riuscirci) di convincere la Francia sulla necessità di impostare l’UPM non come un club intra-mediterraneo, ma Euro-mediterraneo (il nome ufficiale è diventato addirittura “Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”), dove l’assenza dei 27 dell’UE avrebbe votato l’UPM ad un fallimento sicuro.
Il carattere intra-regionale che Sarkozy aveva previsto per l’UPM (alla quale originariamente dovevano partecipare solo i Paesi dell’UE che affacciano sul mare, più tutti i Paesi della sponda Sud), rappresentava sicuramente uno dei punti più controversi del progetto. Da una parte, attribuiva il potere decisionale ai Capi di Stato e di Governo di tutti i Paesi mediterranei (inclusi quelli dell’UE), anche se ciò avrebbe potuto dare luogo a conflitti tra l’UE e l’UPM: una decisione poteva prendersi, in sede UE in un senso e in seno all’UPM in un altro, diametralmente opposto. Questa questione si lasciava però in sospeso. D’altra parte, costituiva sicuramente il punto più interessante del progetto, giacché segnava la grande differenza con il PEM e donava all’UPM una forza particolare, dovuta sicuramente all’interesse diretto di tutti i partner nella realizzazione dei progetti.
La possibilità di avviare una Global Mediterranean Policy c’è ancora, anche se dipende, in gran parte, dal modo in cui si decideranno di impostare i particolari organizzativi, decisione rinviata a novembre e che verrà presa non già dai Capi di Stato e di Governo, ma da Ministri degli Esteri, come si prevedeva per il PEM.
Ainhoa Agullò – Innovatori Europei / Europa
G8 RESEARCH ON CLIMATE CHANGE
Ciao a tutti.
Sperando vi faccia piacere e lo vogliate far girare, ecco il Report Finale del G8 Research Group LSE/Oxford sul Climate Change, che ha concluso la propria attività ieri, con il Summit di Hokkaido, con la presentazione del lavoro.
Buona lettura.
Grazie.
Massimo Preziuso
G8 E FUTURO NEL MEDITERRANEO
A distanza di un giorno mi tocca modificare le considerazioni scritte ieri.
Sembra che il G8 di Hokkaido NON verrà ricordato MOLTO positivamente, ma pur sempre rappresenta un ulteriore passo in avanti verso il lento ma, alla fine, raggiungibile lo Sviluppo Sostenibile del Pianeta.
Tre i punti salienti, nei primi due giorni:
1) Barroso propone come UE la creazione di un Fondo per l’agricoltura dei Paesi in via di sviluppo
2) Un impegno (poi sfumato, causa opposizione cinese) dei Big 8 di attuare una riduzione del 50% delle emissioni nocive entro il 2050
3) Il diniego di India e Cina (ed, in genere, del gruppo dei 5 emergenti invitati all’ultima giornata di oggi del G8) a dare ai proprio Paesi, energivori e vogliosi di uno sviluppo “incontrollato”, a partecipare ad un impegno “formale” di Tempi (2050) e vincoli (-50% di riduzione)
A queste tre importanti (e contrastanti) notizie si affianca, però, il passaggio in secondo piano della situazione del Continente Africano.
A giorni vi è l’incontro tra Zapatero, Sarkozy e Berlusconi per l’avvio dei lavori dell’Unione Mediterranea: argomento centrale, fortemente collegato a quello dello sviluppo (energetico) sostenibile, e che diventerà sempre più (mi auguro) centrale nei dibattiti sul futuro delle politiche europee, e non solo.
Dopo l’avvenuto Start Up delle economie dei Paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), il continente africano rimane l’unico assente nella scena di un mondo globalizzato.
Vi è ora la possibilità e la necessità di puntare sull’AFRICA attraverso politiche di sviluppo sostenibile, che coniughino sviluppo culturale, politico ed economico, attraverso la leva centrale dell’ ENERGIA PULITA (come indicato da UM, appunto).
E’ importante, per arrivare a questo, che in Europa, in Italia, e in gruppi come Innovatori Europei, si inizi a diffondere una nuova cultura Euro – Mediterranea.
Ne parlavo poc’anzi con amici: ma è mai possibile che l’Europa, dopo essersene allontanata, non senta una attrazione naturale per il vicino mondo mediterraneo?
Per questo il Gruppo IE Europa si sta dedicando allo studio di questo fenomeno complesso e affascinante.
Aspettiamo il contributo di tutti.
A presto,
Massimo Preziuso
IL NUOVO SHOCK PETROLIFERO
di Francesco Giavazzi
«La penuria si fece subito sentire, e con la penuria il rincaro. Ma quando questo arriva a un certo segno, nasce l’opinione che non ne sia cagione la scarsezza. Si suppone tutt’a un tratto che ci sia grano abbastanza, e che il male venga dal non vendersene abbastanza: supposizioni che non stanno né in cielo, né in terra; ma che lusingano a un tempo la collera e la speranza. … La moltitudine attribuiva (il rincaro) alla debolezza dè rimedi, e ne sollecitava ad alte grida dè più generosi e decisivi. E per sua sventura, trovò l’uomo secondo il suo cuore … il gran cancelliere Antonio Ferrer».
Prima ci svegliamo dall’illusione che la crisi che ha colpito le economie dell’Occidente sia colpa di qualche «untore», meglio è. Ciò che è accaduto è purtroppo molto semplice e ha poco a che vedere con la globalizzazione, le banche, la speculazione. Il prezzo «reale» del petrolio (cioè quante ore dobbiamo lavorare per acquistarne un barile) è aumentato in un anno del 150%, più meno come ai tempi della grande crisi petrolifera alla fine degli anni Settanta. Olivier Blanchard, il capo economista del Fondo monetario internazionale, stima che l’effetto sarà un rallentamento della sola economia americana del 4% in due anni. Questo assumendo che il prezzo si stabilizzi ai livelli attuali, poco sotto i 150 dollari. Ma il signor Miller, presidente di Gazprom, uno dei maggiori produttori di gas e petrolio al mondo — quindi una persona che ha qualche influenza sui prezzi — ha detto che non sarebbe sorpreso se il prossimo anno raggiungesse i 250 dollari.
Così come accadde trent’anni fa, il nuovo shock petrolifero significa che dovremo trasferire più reddito ai Paesi produttori. Allora cercammo di evitare il trasferimento con la rincorsa tra prezzi e salari spingendo l’inflazione sopra il 20%. Fu un’illusione che ci costò cara: alla fine pagammo due volte, prima per il petrolio, poi per ridurre l’inflazione. Ha fatto quindi bene ieri la Bce ad alzare il tasso di interesse e così segnalare che non ripeterà gli errori compiuti dalle banche centrali trent’anni fa. C’è un solo modo per evitare che il trasferimento ai Paesi produttori ci impoverisca: produrre di più. Ma per vendere a chi, se i nostri redditi sono destinati a scendere? Lo shock petrolifero degli anni 70 spinse il mondo in recessione perché trasferì enormi quantità di reddito a Paesi (in primis l’Arabia Saudita) che, anziché spendere la nuova ricchezza, la risparmiarono: i consumi mondiali crollarono.
Oggi ci sono due differenze importanti e due motivi di speranza. Innanzitutto alcuni nuovi produttori, in primis la Russia, stanno rapidamente aumentando i loro consumi e i loro investimenti: Ikea ha recentemente aperto due grandi magazzini in Siberia. Ma la domanda cresce anche dove non si produce petrolio, o se ne produce poco. La Cina — grazie al fatto che non ha praticamente debito pubblico — sta usando il bilancio dello Stato per sostenere la domanda e assorbire l’effetto degli aumenti del petrolio su imprese e consumatori. Quello che attenuerà la recessione è la globalizzazione che in vent’anni ha consentito a un miliardo di persone di uscire dalla povertà e iniziare a consumare. Altro che colpa della globalizzazione!
04 luglio 2008
IL CROLLO DI TUTTE LE CERTEZZE
Il crollo di tutte le certezze – dai Suv alle Borse internazionali – di Valerio Berruti (Repubblica.it)
Una domanda: ma possibile che non ci si renda conto che questo è IL momento in cui provare a cambiare STILI DI VITA E CONSUMO, attraverso massicce POLITICHE di COMUNICAZIONE?
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Siamo alla vigilia del risultato di quel giugno “disastroso” annunciato nei giorni scorsi da Marchionne. L’auto, pur rimanendo il mezzo di trasporto preferito dal 90% degli italiani (dati Aci Censis), si prepara a un altro tonfo, il sesto consecutivo. Le previsioni indicano un calo del 13-15 per cento che significa altre 35 mila auto in meno rispetto a giugno 2007 e la chiusura del semestre a quasi meno 11 per cento.
Nel conto bisogna aggiungere anche i titoli automotive in caduta libera nelle Borse di tutto il mondo (la Fiat è ai minimi degli ultimi due anni con una perdita del 40 per cento in soli sei mesi), il calo drastico dei consumi di carburante e il conseguente minor uso dell’automobile. Insomma uno scenario quasi apocalittico per un mercato, quello italiano, che alla fine del 2007 aveva fatto registrato il record di vendite di tutti i tempi.
Ma si sa, le cose cambiano in fretta. La crisi corre veloce, travolge le gravi certezze. Come quella sui Suv in perenne escalation. Anche loro hanno invertito la rotta. Prima in Usa poi in Europa. Qui nei primi 4 mesi la Q7 è scesa del 29%, la Range Rover del 27, la X3 del 17, la Classe M del 15. Incredibile ma vero.
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Cosa stiamo aspettando a partire con massicce campagne di sensibilizzazione per un “cambiamento dei nostri stili di vita e di consumo” che OGGI e ORA, in una crisi economica e sociale persistente, può avvenire in maniera dolce, naturale e vincente?