Significativamente Oltre

Elezioni Regionali

Pd/Molise : fine dei Dioscuri ?

di Pierluigi Sorti

La competizione elettorale della regione Molise parla all’ intero corpo elettorale.

Al centro destra reca un segnale di tenuta, a dispetto delle previsioni che assegnavano alla regione il primo effetto dell’ irreversibilità del declino Berlusconiano : salvo il conseguimento di una vittoria pagata con l’ oscuramento della leadership contrassegnata dal nome del leader nazionale. 

All’ Udc un dilemma ulteriore relativo alla effettiva rendita della sua posizione oscillante fra destra e sinistra  : determina la vittoria del centro destra, scegliendo di allearsi con essa, ma registra al contempo una flessione netta di voti, sia percentuale sia assoluta.

Al centro sinistra, invece, la sconfitta brucia doppiamente, perché di misura e perché non si capisce bene se la scelta del candidato di provenienza centro destra, Paolo Frattura ( nomen – omen ) abbia determinato un rincrudimento oppure una mitigazione di una sconfitta che sarebbe potuta essere ancor più dura.

Ma la polemica si farà rovente nel Pd:  perde molti punti sia in percentuale sia in assoluto sia rispetto al 2008 ( elezioni generali politiche ) sia rispetto al 2006 ( precedenti regionali ).

Consolatoria e quasi patetica appare la difesa di Bersani: colpevole della sconfitta è la tribù dei Grillini e poi, argomenta il berlusconicida quotidiano, in compenso il Pd ha perso meno del Pdl.

Ma il sintomo più grave della crisi del Pd, crisi è l’ acidità della polemica che sfiora addirittura l’ assurdo : i destini del paese sembra doversi ricondurre all’ alternativa ( diabolica o salvifica ) Udc no o Udc sì, secondo le ( semplicistiche ) posizioni dei suoi figli più celebri,  D’ Alema e Veltroni .

Da quasi un ventennio essi sono i Dioscuri del partito, i più bravi di tutti, i sempiterni risolutori finali di ogni momento di difficoltà insormontabili, accettati anche da componenti non irrilevanti e non provenienti dal Pci, Pds Ds.

Loro, Castore e Polluce, i figli di Giove, ( tale l’ etimo della parola Dioscuri ) venerati eternamente, loro, D’ Alema e Veltroni, i figli diletti già del partito ex comunista, hanno durato a lungo, nonostante le sconfitte di cui erano responsabili : in sostanziale accordo anche quando, abilmente, imboccavano strade diverse ma complementari, nel loro reciproco aiutarsi perfino nelle resurrezioni dell’ uno o dell’altro.

La loro inseparabilità, già incrinata, si consuma proprio in questa plaga molisana dove ogni auto controllo ipocrita cade e il muro della divisione assume apparenze definitive.    

Sorretti soprattutto dalla robustezza di un apparato fin qui immarcescibile, tuttavia i due sono in definitiva di origine mortale.

Il Pd può trovare, “forse” ,  la forza di dare libertà alle non poche, fresche e non compromesse risorse che ha in sé stesso.

La crisi di identità del PDL – Il fantasma di un Partito

La plastica si sta squagliando? Sembrerebbe. Certo è che coloro che si erano illusi dopo le elezioni del 2008 che il Pdl fosse diventato un partito più o meno vero, qualcosa di più di una lista elettorale, sono costretti ora a ricredersi. Non era qualcosa di più: spesso, troppo spesso, era qualcosa di peggio. Una corte, è stato autorevolmente detto.

Ma a quel che è dato vedere pare piuttosto una somma di rissosi potentati locali riuniti intorno a figuranti di terz’ordine, rimasuglio delle oligarchie e dei quadri dei partiti di governo della prima Repubblica. E tra loro, mischiati alla rinfusa — specie nel Mezzogiorno, che in questo caso comincia dal Lazio e da Roma— gente dai dubbi precedenti, ragazze troppo avvenenti, figli e nipoti, genti d’ogni risma ma di nessuna capacità. E’ per l’appunto tra queste fila che a partire dalla primavera dell’anno scorso si stanno ordendo a ripetizione intrighi, organizzando giochi e delazioni, quando non vere e proprie congiure (e dunque non mi riferisco certo all’azione del Presidente Fini, il quale, invece, si è sempre mosso allo scoperto parlando ad alta voce), allo scopo di trovarsi pronti, con i collegamenti giusti, quando sarà giunto il momento, da molti dei cortigiani giudicato imminente, in cui l’Augusto sarà costretto in un modo o nell’altro a lasciare il potere.

Da quel che si può capire, e soprattutto si mormora, sono mesi, diciamo dalla famigerata notte di Casoria, che le maggiori insidie vengono a Berlusconi e al suo governo non già dall’opposizione ma proprio dalla sua stessa parte, se non addirittura dalle stesse cerchie a lui più vicine. Al di là di ogni giudizio morale tutto ciò non fa che mettere in luce un problema importante: perché mai la destra italiana, durante la bellezza di quindici anni, e pur in condizioni così favorevoli, non è riuscita che a mettere insieme la confusa accozzaglia che vediamo? Perché non è riuscita a dare alla parte del Paese che la segue, e che tra l’altro è quasi sicuramente maggioritaria sul piano quantitativo, niente altro che questa misera rappresentanza? Certo, hanno influito di sicuro la leadership di Berlusconi e la sua personalità.

Il comando berlusconiano, infatti, corazzato di un inaudito potere mediatico- finanziario, non era tale da poter avere rivali di sorta assicurandosi così un dominio incontrastato che almeno pubblicamente ha finora messo sempre tutto e tutti a tacere; la personalità del premier, infine, ha mostrato tutta la sua congenita, insuperabile estraneità all’universo della politica modernamente inteso. E dunque anche alla costruzione di un partito. La politica, infatti, non è vincere le elezioni e poi comandare, come sembra credere il nostro presidente del Consig l i o ; è prima a v e r e un’idea, poi certo vincere le elezioni, ma dopo anche convincere un paese e infine avere il gusto e la capacità di governare: tutte cose a cui Berlusconi, invece, non sembra particolarmente interessato e per le quali, forse, un partito non è inutile.

Ma se è vero che il potere e la personalità del leader sono state un elemento decisivo nell’impedire che la Destra esprimesse niente altro che Forza Italia e il Pdl, è anche vero che né l’uno né l’altra esauriscono il problema. Che rimanda invece a caratteristiche di fondo della società italiana che come tali riguardano tanto la Destra che la Sinistra. In realtà, il verificarsi simultaneo della caduta del Muro di Berlino e di Mani pulite ha significato la fine virtuale di tutte le culture politiche che la modernità italiana era riuscita a mettere in campo nel Novecento (quella fascista avendo già fatto naufragio nel ’45). È quindi rimasto un vuoto che il Paese non è riuscito a colmare. Non si è affacciata sulla scena nessuna visione per l’avvenire, nessuna idea nuova, nessun’indicazione significativa, nessuna nuova energia realmente politica è scesa in campo. Niente.

Il risultato è che in Italia i capi politici più giovani hanno come minimo superato la cinquantina. Ma naturalmente il vuoto è più sensibile a destra, e più sensibili ne sono gli effetti negativi, perché lì la storia dell’Italia repubblicana non ha costruito nulla e dunque non ha potuto lasciare alcun deposito; che invece è rimasto solo nel centro-sinistra, erede di un ininterrotto sessantennio di governo del Paese tanto al centro che alla periferia. Così come nel centro-sinistra sono rimasti quasi tutti i vertici della classe politica che fu cattolica o comunista, portando in dote la propria esperienza e le proprie capacità. Mentre alla Destra è toccato solo il resto: a cui poi, per il sopraggiunto, generale, discredito della politica, non si è certo aggiunto il meglio del Paese.

Ernesto Galli della Loggia – Corriere della Sera, 3 Marzo 2010

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