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La crisi europea e il nodo della democrazia

di Francesco Grillo su Il Mattino

Cosa manca? L’esempio del parlamento europeo dimostra che ad essere inadeguati non sono tanto i meccanismi formali di delega e dunque la legittimità delle decisioni. L’assenza vera è quella di un’opinione pubblica europea capace di discutere e di dividersi non sulla base di interessi nazionali ma di giudizi diversi su questioni importanti. Manca una qualsiasi visibilità dei leader delle istituzioni europee che sembrano, a volte, scelti proprio per evitarne una qualsiasi popolarità. In questa situazione, qualsiasi decisione su questioni cruciali appare arrivare da un luogo inaccessibile – l’Europa – le cui decisioni sono imposte senza possibilità di dissenso.

La novità è che questo paradosso diventa oggi, come riconosce Monti quando chiede che almeno un vertice sia dedicato per discutere di questa questione a Roma, un nodo drammatico.

La crisi dell’Euro, si sostiene a ragione, si affronta affiancando alla moneta unica un’unione fiscale: ciò rende però ancora più semanticamente chiara la questione. No taxation without representation è il principio dal quale parte la Rivoluzione Americana e la storia delle democrazie moderne: violarlo significa sfidare la nemesi di cui la democrazia – se ignorata – è capace. Come del resto dimostrano, in un contesto totalmente diverso, le centinaia di attacchi che l’anno scorso hanno subito le sedi delle agenzie fiscali in Italia.

Che fare allora? L’idea di un referendum su un nuovo progetto di integrazione, molto più semplice ed efficace del trattato faticosamente partorito qualche anno fa, avrebbe il merito di creare l’occasione per sottoporre ai cittadini europei una scelta netta: in grado di produrre l’attenzione dei media e i confronti appassionati di cui l’Europa ha bisogno per diventare più politica. Più a lungo termine, c’è però bisogno di cominciare a pensare, come avrebbe detto Massimo D’Azeglio, come fare gli Europei dopo aver fatto l’Europa: ad esempio basterebbe – secondo i calcoli del think tank Vision – un terzo dei 50 miliardi di Euro spesi ogni anno per proteggere l’agricoltura europea dalla competizione, per finanziare l’idea di rendere obbligatorio un semestre di studio in un altro paese europeo sia per gli studenti universitari che quelli della scuola secondaria superiore.

Per vent’anni è prevalsa l’idea che il progetto europeo fosse troppo complicato per poter essere spiegato. Dopo vent’anni voler fare gli Stati Uniti d’Europa senza affrontare il nodo della democrazia, equivale a comportarsi come certe coppie in crisi che decidono di fare un bambino: con il risultato di rimandare semplicemente un problema destinato a riproporsi più tardi, questa volta con conseguenze ancora più negative.

L’Europa ha bisogno urgente che parta subito un progetto in grado di dare il segnale di un cambiamento di passo e di direzione. Ciò richiederà, anche questo si respirava a Pontignano durante il fine settimana, una generazione di leaders coraggiosi diversa da quella che è stata protagonista negli ultimi venti anni.

It is democracy, stupid!

di Francesco Grillo

È una bella boccata d’ossigeno quella che ieri l’Europa è riuscita ad inspirare ieri ad Atene. All’ultimo secondo di una maratona disperata corsa tutta in apnea.
La novità – anche se pochi l’hanno notata – è che per la prima volta la crisi e la democrazia si toccano. Per la prima volta il popolo, il demos (fatto di persone e di sofferenze, di aspirazioni e di I-phone) e le ragioni del cambiamento convergono: non sembrano più irrimediabilmente andare ognuna per la sua strada, sempre più lontane e sempre più laceranti per quelle società che avevano fatto della democrazia il proprio aspetto distintivo e vincente; quelle società europee il cui declino è cominciato il momento stesso che le èlites (soprattutto quelle impegnate a Brusxelles nel seguire un sogno sempre più svuotato dei suoi ideali) avevano, da tempo, deciso che era una perdita di tempo cercare di parlare con le persone.
Per la prima volta, nella storia di una crisi dell’Europa che dura da vent’anni, di fronte ad una scelta radicale – stare nell’Euro e accettare ancora sacrifici o uscirne ed andare in caduta libera all’indietro nella storia – il popolo, quella “cosa maleodorante” di cui parlano tanti tromboni ignorando che ciascuno di noi ne fa parte integrale, ha dimostrato senso di responsabilità. Forse superiore a quello di tanti politici e banchieri ai quali nessuno può chiedere sacrifici personali.
E non è un caso che sia ad Atene, quell’Atene in difficoltà ma in un certo senso gioiosa delle biciclette che stanno sostituendo le automobili, che la democrazia riscuote questa rivincita. Le persone, se messe di fronte a scelte radicali, sanno esercitare la responsabilità. Anche se i piani di austerity sono effettivamente in gran parte sbagliati, non adatti alle specificità di quella società, apparentemente dettati da un frettoloso ricorso a luoghi comuni e, persino, a qualche tentazione di punire. E non c’è dubbio che allora il primo governo politicamente legittimato – sarebbe bello che alla coalizione aderisse anche Syriza, che non rappresenta l’estrema sinistra come vogliono farci credere alcuni commentatori pigri in cerca di stereotipi – che la Grecia può vantare da quando è scoppiata la crisi, possa finalmente anche pretendere di negoziare condizioni più ragionevoli.
Da Atene viene allora effettivamente anche un’indicazione forte per l’Europa. E parafrasando al contrario quello che tempo fa disse un presidente degli Stati Uniti, dico: It is democracy, stupid!
Alla fine l’Europa – nonostante lo scetticismo di Giuliano Amato o di Emma Bonino giusto per nominare due icone di un europeismo che appare sempre più stanco – non può più fare a meno di democrazia.
È assurdo – come sa forse l’unico leader politico che è rimasto, quella ragazza nata nella Germania dell’Est e che è diventato l’ “uomo” politico più potente d’Europa – pensare ad un’Unione politica (e persino a quella fiscale) senza uno straccio di demos europeo. Senza opinioni pubbliche europee. Senza dibattito politico europeo.
La grande intuizione che Jaques Delors ebbe vent’anni fa, fu che creare un’unica moneta (sottraendo agli Stati una delle prerogative che li definiva in quanto tali) avrebbe creato una pressione tale da andare verso un’unione politica piena, senza la quale l’Euro non si regge. Non si regge tecnicamente. E tuttavia per vent’anni piccolissimi leader – che hanno preso il posto dell’ultimo grande visionario – non hanno fatto assolutamente nulla per preparare quell’unione politica che adesso tutti invocano come unica salvezza.
Potevamo introdurre – come ha proposto Vision insieme ad altre think tank europee – un semestre di studio obbligatorio in un altro paese Europeo per gli studenti della scuola superiore e delle università per incoraggiare l’integrazione – non meno importante – delle generazioni. Potevamo fare finalmente eleggere il Presidente della Commissione direttamente dai cittadini, o perlomeno avere un Presidente del Consiglio Europeo come Tony Blair meno invisibile di Van Rompuy (per non parlare dell’ancora più sconosciuta baronessa Ashton, in teoria ministro degli esteri dell’UE). Avremmo potuto sottoporre ad un vero e proprio referendum europeo il trattato di Lisbona e rischiare la democrazia senza la quale le istituzioni appassiscono.
Ed invece abbiamo – vent’anni dopo Delors – una generazione di ventenni che secondo i sondaggi dell’Eurobarometro sono molto meno europeisti di chi era ventenne vent’anni fa; ad ogni elezione del parlamento europeo si riduce di ulteriori cinque punti la percentuale – già bassa – di chi partecipa alle elezioni; e non sono più del cinque per cento i cittadini europei che sanno il nome del capo della Commissione Europea.
Quelli della generazione di Amato insistono che è così perché altrimenti l’Europa sarebbe bocciata. Io dico che invece questo è un rischio che dobbiamo prenderci. Perché altrimenti l’Unione politica senza opinioni pubbliche a cui rispondere aprirebbe contraddizioni ancora più rischiose di quella di un’Unione monetaria senza Unione politica.
Le persone, il popolo, la democrazia non sono una fastidiosa perdita di tempo che rischia solo di disturbare un manovratore troppo intelligente per farsi capire dalle persone. La democrazia è il motivo per il quale l’Europa ha vinto le sue battaglie più difficili contro i totalitarismi. Ne è valore fondante. Abbiamo con tutta evidenza bisogno di una nuova generazione di leader per andare verso il futuro, recuperando alcuni dei valori più importanti del nostro passato.
Sarà Germania-Grecia il quarto di finale più bello di questi Europei: ho la sensazione che finalmente saranno molti sia a Berlino che ad Atene ad essere contenti di applaudire anche le giocate più belle degli avversari. In fin dei conti i sogni per poter sopravvivere a se stessi hanno bisogno solo di essere rinnovati.

R-Innovamenti energetici

di Massimo Preziuso (su L’Unità)

Se c’è oggi un settore che meglio di altri rappresenta il baricentro del R-innovamento del nostro Paese, quello è il settore energetico.

In questi giorni si torna a parlare di politica energetica, ed è un fatto di per sè positivo. Problema è che, ancora una volta e inaspettatamente, dopo l’affossamento tramite referendum delle velleità nucleariste del Governo Berlusconi, oggi il Governo Monti prova a imporre un modello di sviluppo basato sulle rimanenti industrie monopolistiche (il Ministro Passera – e lo stesso Premier che pochi giorni fa nei suoi incontri Kazaki – vuole accelerare sulle estrazioni petrolifere!) e mature, addirittura andando a togliere ulteriori risorse al settore delle rinnovabili.

Una situazione incredibile, soprattutto per i molti “Green thinkers” che su questo Governo avevano fortemente puntato, e tra questi Innovatori Europei e SOS Rinnovabili, con il lancio del Manifesto “Ricostruiamo l’Italia con le Rinnovabili”.

In questi giorni, oltre al Corriere della Sera, anche giornali solitamente più moderati come La Repubblica indicano il fotovoltaico e le rinnovabili quali colpevoli dell’aumento delle bollette energetiche del Paese, provando, e in molti casi riuscendo, a convincere le famiglie che il settore è semplicemente luogo di fortissime speculazioni (che ci sono, ma rappresentano oggi una piccola parte del tutto), fatte con i soldi di tutti gli italiani. Speculazione vi è stata, e credo volutamente permessa, nei primi Conti Energia.

Ma oggi che il settore è vicinissimo alla “grid parity” solare (a cui seguiranno le altre tecnologie), un ulteriore intervento a gamba tesa ha chiaramente un’altra volontà: quella di rallentare il più possibile lo sviluppo di una industria energetica distribuita, quindi democratica. Sta nei fatti che oggi esistono centinaia di migliaia di piccoli impianti solari, installati in piccole abitazioni o aziende, che permettono abbattimenti di costi energetici e indipendenza di approvigionamento (al netto degli importanti abbattimenti di emissioni nocive). Lo stesso sta avvenendo con la rivoluzione mini-eolica, appena cominciata. E così pure nel settore delle biomasse, che evolve verso la mini impiantistica. Come in tutti i settori ad alta intensità tecnologica, quello delle rinnovabili ha richiesto un investimento iniziale importante di risorse pubbliche e private, che lo accompagnasse verso l’indipendenza e la maturità. Ci siamo quasi. Ed ecco perchà la minacciata politica energetica di questo Governo ha del paradossale, forse ancora di più di quella del precedente Governo.

Oggi, il ministro Clini – che finora è stato relegato allo stesso ruolo inconsistente che fu della Prestigiacomo – la sintetizza così: “Attenzione a non fare un altro grosso autogoal con le rinnovabili, bloccandole come facemmo negli anni’80 all’inizio del boom della telefonia”. Ebbene sì, il rischio che si corre è proprio quello. Uscire, ancora una volta, da una rivoluzione tecnologica (quella telefonica portò poi all’Internet che oggi conosciamo) in cui potremmo essere protagonisti mondiali.

Intanto, finalmente il mondo delle rinnovabili si è svegliato e reagisce in maniera più compatta. Domani 2 Aprile dalle 16,45 a Roma – presso la Sala Bologna del Senato – ci saranno gli Stati generali delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, in cui 20 associazioni di categoria chiederanno un incontro ai Ministri competenti per discutere su quello che è un vero e proprio attacco a uno dei pochi settori tecnologici trainanti innovazione e nuova occupazione, in questo ormai quadriennio di crisi, che questo Governo vuole ammazzare proprio mentre diventa un’industria strutturata.

Preoccupati per le ricadute economiche, sociali, ambientali, e anche del rischio di inadempienza del nostro paese nei confronti dell’Unione Europea, le Associazioni chiedono con urgenza al Governo, ai Ministri interessati e ai Gruppi parlamentari di aprire già a partire dalla prossima settimana un confronto trasparente, che consenta di progettare il futuro di un settore decisivo per lo sviluppo del paese” si legge nel comunicato stampa diffuso dagli organizzatori.

Si riuscirà questa volta a evitare l’autogoal?

L’equivoco della democrazia

democraziadi Alessandro Berni

Pensieri indirizzati a quei parlamentari che considerano i propri principi come denti cariati da curare ricoprendoli d’oro.

Durante la Seconda Repubblica si è aperto un abisso tra onestà e Parlamento; si è riuscito a normalizzare l’osceno in faccia agli italiani, senza alcun argomento politico si è cominciato a offrire poltrone, appalti e fette di potere in cambio di sostegno al Governo.

In questi giorni, Silvio Berlusconi ha iniziato a colmare il vuoto lasciato dai parlamentari del FLI e di tutti quelli che lo hanno abbandonato durante questa legislatura. Al momento ha appena tre voti di vantaggio, ma appena finite le votazioni del 14 dicembre ha candidamente ammesso che non vede difficoltà insormontabili per ampliare i risicati numeri su cui può contare oggi il proprio esecutivo.

Parole dette serenamente, per confermare che ogni onorevole è considerato dal Presidente del Consiglio non come un essere vivente, bensì come un elemento strumentale, rimpiazzabile ad oltranza.

Nessuno si scomodi a informare di quest’evidenza la maggioranza dei parlamentari che hanno votato la fiducia a questo Governo. La sanno e non perdono un’occasione per dimostrare che se ne fregano. Non si curano della propria dignità e del proprio amor proprio, figurarsi di quello degli italiani.

Il risultato è che non esiste nessun piano governativo su cui si basa la neonata maggioranza se non quello del mantenimento del potere. Tutto il resto è funzionale, è la disumanizzazione totale di tutti i rapporti politici, ormai ridotti ad essere come quelli tra una cosa e colui che se ne serve. Tristemente, è necessario aggiungere che la cosa in questione è il Parlamento, la democrazia e colui che se ne serve è Silvio Berlusconi.

Martedì 14 dicembre 2010, intanto che nelle due Camere c’era una compravendita in corso, per proteggerle dal popolo che le ha elette era stata tracciata una zona rossa.

L’Italia con le sue urgenze e i suoi bisogni reali non poteva entrare tanto meno avvicinarsi ai due rami del Parlamento.

Nelle solite ore il debito pubblico nazionale toccava un nuovo record e questa non è una notizia eccezionale perché succede ogni giorno: l’attuale politica economica italiana si basa su un debito pubblico che vale più di ieri e meno di domani.

Quest’aspetto, insieme all’aumento della pressione fiscale sta portando allo stringere della base sociale del benessere. Per valore economico e per libertà politica l’Italia sta uscendo dall’Occidente, si sta tramutando in una palude e Silvio Berlusconi di questo pantano ne è il sultano oppure il rospo, come preferite.

La democrazia in Italia c’è ancora, ma vive sommersa nella marea del materialismo.

Nel disincanto nazionale, garriscono i leccaculo in Parlamento come in televisione, spacciano narcolessia, formaggini, camicie aperte e gambe nude, interpretano l’informazione come liturgia del potere, senza alcun talento se non quello di vivere senz’anima.

Da sette anni vivo fuori dal mio Paese e posso dire che di quell’aspetto serissimo che è la crisi internazionale l’unica cosa buffa rimasta sembrano essere gli italiani, ma per quanto?

Chi scrive queste parole è un semplice italiano all’estero, uno dei tanti laureati trilingue in giro per il mondo che nella città dove ha scelto di vivere lavora il doppio per dimostrare di valere la metà e lo fa ogni giorno e volentieri.

Chi scrive è un apolide suo malgrado che non ha dimenticato la fierezza delle proprie origini, che Silvio Berlusconi è solo una squallida meteora, seppur lunghissima della storia gloriosa di cui può fregiarsi il proprio Paese.

Chi scrive è qualcuno in esilio preventivo che per le ultime signore e signori che hanno vilmente aspettato le ore precedenti alla votazione della fiducia per smascherare le proprie intenzioni e per offrire il proprio sostegno all’attuale governo sarebbe pieno di domande, ma che invece ne farà solo una, anzi due:

Una vita senza dignità che vita è?

Una vita senza orgoglio e senza valori, a cosa serve?

Cordialmente,

Alessandro Berni, Parigi

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