Significativamente Oltre

ambiente

Venerdì a Potenza #ApriteilPDBas : la transizione energetica sia al centro di una rinnovata segreteria regionale

ApriamoPDBas

Sosteniamo l’iniziativa #ApriteIlPDBas indetta dal Segretario del PD della Provincia di Potenza, Antonello Molinari.

Perché speriamo che la prossima segreteria regionale del Partito Democratico lucano si apra alle tante e variegate intelligenze presenti sul territorio e con esse definisca un inclusivo programma politico incentrato sulle esigenze di una Basilicata moderna, istruita, innovatrice, che vuole giocare la partita della competizione tra Regioni di Europa2020 da protagonista.

Fondamentale in tal senso che il Partito Democratico della Basilicata si doti di competenze nuove e interdisciplinari e di radicamento nella società vasta per comprenderne i desideri e ambizioni profonde, e comprenda che è arrivato il tempo per la Lucania di farsi leader della transizione energetica, orientata alla sostenibilità ambientale, che ormai è davvero in arrivo, visto che, ad esempio, “nel 2040, il 35% delle nuove auto (contro l’1% di oggi) avrà una spina per ricaricare le batterie“.

Perché la Regione in cui “vive” Matera2019 deve e può diventare il motore dello sviluppo sostenibile di tutto il Paese, accompagnando, con un rinnovato sostegno del governo nazionale, la trasformazione della più grande area petrolifera di Italia verso il futuro, che risiede nella assoluta centralità delle risorse ambientali, appunto.

Potenza, Roma, 6/4/2016

Massimo Preziuso

Innovatori Europei

Tavola Rotonda: “L’Ambiente, le polveri sottili e la Provincia di Frosinone”, 15 gennaio 2016

Tavola Rotonda

“L’Ambiente, le polveri sottili e la Provincia di Frosinone”

 Dalle polveri sottili all’indifferenza può nascere il confronto

 15 Gennaio 2016- Ore 17.00

 Coordina: Giuseppina Bonaviri, Rete La Fenice con Bonaviri

“Le attività di tutela dell’ambiente: lo stato dell’arte”.

Giuseppe Ricciardi- Ingegnere: “Densità di un corpo particellare costituito da elementi di diversa densità”

Fulvio Bongiorno, Matematico – Prof. Senior Università Roma Tre: “Fisica nell’atmosfera”

Mario Catullo – Fisico e Geologo, Direttore Scientifico Campagna di informazione ”Day-to-Day”, Campus sperimentale partecipativo Together: “Queste misteriose polveri”

Riziero Concetti- Chimico: “La Mal’aria che tira in provincia di Frosinone”

Francesco Raffa- Architetto, Coordinatore: “Dati record a Colleferro. Cosa fare in futuro per superare le criticità”

Ina Camilli – Rappresentante Comitato residenti Colleferro

Si ringrazia l’Artista Flora Rucco per l’esposizione pittorica a tema “Madrilegio”

Frosinone, Vicolo del Portone. Contatti : retelafenice@libero.it- Cell. 329 743 7557

Riforma dell’Arpab sì, ma verso una maggiore autonomia

di Prof. Albina Colella (Università della Basilicata)

Si vuole riformare l’ARPAB, ma è necessario riformare anche e soprattutto la Politica Ambientale della Basilicata. Il Governatore lucano Marcello Pittella in un articolo della Nuova del Sud ha dichiarato di voler promuovere la riforma dell’ARPAB, perché diventi organismo affidabile e super partes. Mi auguro che realmente la politica metta l’ARPAB nelle condizioni di divenire tale, concedendogli la necessaria autonomia decisionale, finanziaria e di comunicazione, ovvero che venga garantito che i dati ambientali non siano sottoposti a “filtri” vari prima di essere pubblicati. E’ bene ricordare che il compito istituzionale dell’ARPAB è semplicemente “diagnostico”, ovvero di controllo delle condizioni ambientali del territorio attraverso analisi e monitoraggi, i cui dati sono forniti poi al Dipartimento Ambiente: il resto compete alla politica. Ed è qui che casca l’asino, perché l’ARPAB ha rischiato e rischia di diventare il capro espiatorio di responsabilità che competono invece alla politica. Se la Basilicata oggi si trova ad affrontare tanti disastri ambientali e i conseguenti problemi di salute dei cittadini, è perchè mancano alcuni strumenti di pianificazione territoriale di cui deve farsi carico la politica. In Basilicata manca ad esempio il Piano di Tutela delle Acque, nonostante la presenza di attività petrolifera e i rischi connessi. È grazie all’assenza di un Piano delle aree di Salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano che in Val d’Agri le società petrolifere hanno potuto perforare anche nelle aree di ricarica degli acquiferi, o a due passi dagli invasi, aree cioè molto vulnerabili all’inquinamento, aree dove in altre regioni non è permesso. E’ grazie a questa inadempienza che l’oleodotto del pozzo petrolifero Pergola1 rischia di essere realizzato in un territorio non solo ad alto rischio sismico, idraulico e di frana, ma anche nelle aree di ricarica di alcuni preziosi acquiferi della Val d’Agri. In Basilicata manca anche il Piano dei Rifiuti, mancano i Piani di zonizzazione degli Idrocarburi, dei Nitrati, dei Fitofarmaci, degli Interferenti Endocrini, delle Diossine, ecc.. Oggi si pensa ottimisticamente che la bonifica delle falde acquifere della Val Basento possa risolvere l’inquinamento, senza sapere che, oltre ad essere lunga, non è affatto garantito il risultato, sempre che i bandi non siano stati bocciati dal Ministero, come qualcuno sussurra.

In passato sono stata molto critica nei confronti dell’operato dell’ARPAB, al punto da condividere anche delle denunce, ma oggi devo ammettere che negli ultimi tre anni sono stati fatti passi da gigante, considerando la gravità dei problemi ereditati dalla nuova gestione. Ho appreso del ridotto staff tecnico di laboratorio, della necessità di risanare debiti per circa 6 milioni di euro, situazione che ha impedito l’adeguamento dei laboratori, e del mancato introito delle risorse ENI: a quanto pare non sarebbe stata attivata dal Dipartimento Ambiente l’intesa ENI-Regione, che prevedeva oltre alle royalty anche 3 milioni di euro l’anno per i monitoraggi della Val d’Agri a cura dell’ARPAB a partire dal 2004-2005. Con la gestione del Direttore Raffaele Vita il debito è stato sanato, l’entrata dei ricercatori dell’Agrobios ha portato nuova linfa potenziando il settore di ricerca, la diagnostica è aumentata e sono state analizzate per la prima volta le diossine, i laboratori lavorano in qualità, sono state acquistate nuove apparecchiature, come il laboratorio mobile per le diossine, si sono attivati nuovi laboratori e se ne stanno allestendo altri. Sotto state attivate anche collaborazioni scientifiche mediante convenzioni, come quella con l’ARPA Puglia per le diossine, e se ne stanno attivando altre con l’università e altri centri di ricerca, il sito internet dell’ARPAB si è arricchito di dati ambientali di vario tipo, e sono state prontamente recepite le istanze provenienti dal territorio, come ad esempio la misura degli idrocarburi nelle acque e nei sedimenti del Pertusillo, dopo che ne avevamo denunciato la presenza. Si può dunque affermare che il cambiamento sia in atto. E ora si parla di riforma dell’ARPAB. Non è che per caso si ritorna indietro ? Mi auguro che se riforma ci sarà, questa sia volta a promuovere lo sforzo di autonomia e indipendenza dagli organi politici: solo così l’ARPAB sarà credibile.

 

Cosa ci dice l’evasione fiscale nel nostro territorio

immagine di Giuseppina Bonaviri

 “Il Sole” ha pubblicato la stima dell’evasione fiscale nelle 103 province italiane elaborata dal Centro Studi Sintesi. Il Centro ha incrociato i dati, relativi al 2011, del reddito disponibile pro-capite, con il benessere effettivo delle famiglie ed ha ricavato una graduatoria, in cui tanto più alta è la differenza fra i due dati, tanto maggiore è stimato l’ammontare del reddito che è sfuggito al fisco. La provincia di Milano è considerata con 152 punti quella con il minore tasso d’evasione;  quella di Ragusa, con 52 punti, la meno virtuosa. Nel Lazio, la provincia di Roma occupa l’11° posto,con 123 punti; le altre quattro, sono nella parte finale della graduatoria: Frosinone è all’86° posto, Rieti e Latina all’94°, Viterbo al 98°.  

 Fanno riflettere le stime dell’evasione fiscale, nel 2011, nelle province italiane pubblicate dal quotidiano economico della Confindustria, sia per i livelli di evasione stimati paragonabili a quelli delle province meridionali maggiormente in ritardo nello sviluppo sia per l’arretramento  della situazione socio-economica, nel 2012 e nel 2013, come più volte denunciato anche da Confcommercio, Confindustria Lazio e da Cgil, Cisl, e Uil.

Nel corso degli anni ci è stato fatto credere che un maggiore benessere potesse essere conseguito allentando “lacci e lacciuoli”: liberare le risorse morali e culturali della società civile ed i vincoli della Pubblica Amministrazione, per inseguire le migliori opportunità, sperando che questo condizioni fossero sufficienti ad una crescita complessiva. Ciò non si è verificato e la crisi mondiale ha ulteriormente aumentato le disuguaglianze e gli squilibri esistenti nel nostro territorio e fra questo ed il resto della regione, in particolare con la Capitale.

Eppure per quanto grave dovremmo evitare di soffermarci sul riflesso economico ed osservare le conseguenze che un così elevato tasso di evasione fiscale produce nella sottostante situazione sociale e della convivenza civile.

Una prima considerazione è che le dimensioni dell’evasione nel nostro territorio è tipica di economie locali in cui situazioni di eccellenza sopravvivono in un contesto di sottosviluppo. Assumerne consapevolezza significa intervenire in quell’indispensabile potenziamento del territorio che l’accordo di programma di 80 milioni di euro, dovrebbe iniziare a rendere possibile, per invertire la tendenza. Il secondo elemento di questa strategia è recuperare un’autonomia fiscale a livello comunale in grado d’essere meno gravosa sulle attività produttive e con l’auspicio di far emergere, con accordi sugli oneri sociali ed i contratti, le attività economiche in nero. Un’esigenza questa di cui si dovrebbe farsi carico anche la Regione Lazio.

Una seconda considerazione che scaturisce dalla stima dell’evasione fiscale è che il reddito sottratto al fisco attraverso l’economia sommersa e il lavoro nero, chiama in causa un’emergenza economica e sociale più vasta: i finanziamenti al consumo e alla produzione al di fuori dei circuiti legali. Non è questa una novità per la provincia di Frosinone: la Rete La Fenice e Libera denunciarono già nel dibattito pubblico avvenuto a Frosinone nel dicembre 2012 -in occasione della prima conferenza tematica “ Per una Regione libera dalle mafie e dalla corruzione”- le dimensioni gigantesche del fenomeno e l’inquinamento che produce nella vita collettiva: Cassino e Frosinone- secondo le stime  2011/2012 dell’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della nostra Regione- si trovavano ai primi posti tra i comuni dell’intera Regione come il paradigma negativo di quello che succede in una regione amministrata male. Infatti il lavoro senza tutele e l’immissione illegale di capitali che non di rado sconfina nell’usura e nell’espropriazione di proprietà ed attività economiche per quanti non  sono in grado di assolvere agli impegni assunti, sono forme di subalternità fisica e psicologica delle persone di cui occorre avere piena consapevolezza nell’interesse di tutti.

C’è infine un aspetto nell’evasione fiscale che sembra essere divenuto retorico ma che, invece, non lo è affatto: il venir meno del rispetto della legalità. La trasgressione dell’obbligo fiscale è una insidia per il più generale rispetto delle leggi e dell’autorità dello Stato. Deve inquietare in pari misura i responsabili della cosa pubblica ed i cittadini: i primi per la delegittimazione del proprio operato, i cittadini per il venir meno della consapevolezza d’esser essi stessi parte di una unica comunità. L’intreccio sempre più stretto tra corruttela e criminalità e non soltanto quella organizzata, favorisce un clima opaco e lesivo del libero svolgimento delle attività istituzionali ed imprenditoriali, alimentando l’incertezza del diritto, minando la sensibilità e la coscienza morale del paese con un sentimento diffuso di sfiducia che, di per sé, è nocivo allo sviluppo dell’intera Nazione.

 

 

 

Regione e petrolio, ultima chiamata (per la Basilicata)

Sarebbe interessante un confronto pubblico tra gli schieramenti elettorali (e i rispettivi candidati governatori) su un progetto condiviso e definito per la Basilicata petrolifera, che identifichi il traguardo da raggiungere

di MASSIMO PREZIUSO su Il Quotidiano della Basilicata

IN QUESTI giorni mi è capitato di leggere una serie di notizie che riguardano il tema del petrolio della Basilicata, terra da molto tempo paragonata ad una sorta di Arabia Saudita di cui ad oggi, forse, in pochissimi, hanno potuto constatare i tratti positivi. E’ di qualche giorno fa la bocciatura da parte del Consiglio di Stato del cosiddetto “bonus benzina”, con il rischio per i cittadini lucani del rimborso delle somme già percepite.

In molti ritennero quella iniziativa poco pertinente, in quanto sembrava voler risolvere la normale e forte tensione legata alla intensa estrazione petrolifera in una Regione – in questo caso poi riconosciuta per la sua formidabile qualità “ambientale” – con un contributo economico di qualche centinaia di euro per abitante, per di più vincolato all’acquisto di una benzina più cara che nel resto della penisola.

Aldilà della beffa per i cittadini, è bene che questa strana forma di compensazione ambientale termini e ceda il passo ad una visione strategica della royalty petrolifera quale moltiplicatrice di sviluppo (tema su cui ricercatori ed industria energetica studiano da tempo).

Nel contempo si legge di 2 miliardi di euro che il governo dovrebbe trasferire alla Basilicata, forse già a partire da settembre, tramite una cabina di regia nazionale, che accompagni finalmente all’operatività quel   piano di sviluppo infrastrutturale ed occupazionale, di cui si parla da tempo, anche nel memorandum di intesa Stato – Regione del 2011.

Dal 2011, va poi detto, la Regione risulta ancora più centrale nei piani di sviluppo (energetici) nazionali ed euro – mediterranei (si legga la Strategia Energetica Nazionale approvata quest’anno).

Volendo allora essere ottimisti ed ipotizzando che queste risorse arriveranno davvero, si può affermare che questa sia l’ultima chiamata per il rilancio di una strategia di sviluppo legata alla attività estrattiva, in una Regione che esce fortemente provata (tra le altre, nell’ordine del 10% di ricchezza regionale prodotta), da una crisi iniziata nel 2007, oggi arrivata alla sua durissima coda finale, che ha colpito ancora maggiormente quel Mezzogiorno troppo poco presente, per limiti culturali e logistici, sui mercati internazionali.

Se a questi fatti si aggiunge che molti dei leaders politici lucani, soprattutto del centrosinistra, oggi ricoprono incarichi di primissimo piano nel governo e nelle istituzioni, vi è spazio affinché questa opportunità venga colta pienamente: cominciando da subito, con un lavoro da svolgere a Roma, per far sì che la Cabina di regia nazionale, che dovrebbe gestire la allocazione ottimale di queste importanti risorse aggiuntive (2 miliardi di euro equivalgono 20-25% del PIL regionale, per intendersi), e più in generale il tema delle royalties, sia composta da un mix perfetto di personalità e professionalità (europee, nazionali e locali) che possano lavorare insieme per segnare almeno un goal concreto in tempi accettabili.

Uno tra questi goal può riguardare la realizzazione di quella grande infrastruttura di alta velocità ferroviaria Taranto – Potenza – Salerno, su cui anche il sottoscritto e gli Innovatori Europei dibattono da tempo (anche partecipando alla Viggiano Sustainable Development School e su questo giornale, con un contributo dal titolo “L’alta velocità ferroviaria per il rilancio della Basilicata”, pubblicato ad ottobre 2012), che potrebbe finalmente dare il senso di una voglia di “futuro connesso” ad una Regione che da decenni vive culturalmente e fisicamente isolata, rischiando di scomparire, prima o poi, dalla mappa geografica.

Una infrastruttura ferroviaria, questa, che colleghi rapidamente tre regioni meridionali (la Puglia, la Basilicata e la Campania) così fortemente complementari, e che permetta a persone e cose di dialogare pienamente, finalmente, con l’Italia, con l’Europa e un domani molto prossimo con l’area mediterranea e asiatica (tramite le strategiche “porte” di Napoli e di Taranto).

Su questo tema, se si vuole cominciare con passo deciso, e viste le imminenti elezioni regionali, sarebbe altresì interessante un confronto pubblico tra gli schieramenti elettorali (e i rispettivi candidati governatori) su un progetto condiviso e definito per la Basilicata petrolifera, che identifichi il traguardo da raggiungere.

Che sia quello ferroviario, aeroportuale o legato ad una piattaforma di rilancio industriale o turistico, alla fine, poco importa: basta che sia uno solo e sostanziale.

Sarà così la popolazione a scegliere, insieme alle istituzioni – locali, nazionali ed europee – in quale direzione vuole andare.

E’ finita la recessione?

di Francesco Grillo su Il Messaggero

Periodicamente ai malcapitati premier che provano a guidare l’Italia attraverso la crisi economica più lunga e brutale dalla seconda Guerra mondiale, capita di dover vedere segnali di ripresa per iniettare nel sistema le dosi di fiducia che sono necessarie per reagire. Esattamente un anno fa, a Monti parve di vedere la luce alla fine del tunnel. Dopo un altro anno di recessione, è il Ministro dell’Economia a invocare stabilità per consolidare l’inversione del ciclo economico che, secondo Saccomanni, dovrebbe consolidarsi subito dopo l’estate.

Tuttavia, stavolta c’è il rischio che la luce sia, davvero, quella di un Tir,  di un ulteriore aggravamento della congiuntura che si sta avvicinando ad un Paese già fortemente debilitato: infatti, proprio nella stessa settimana nella quale in Italia  si annuncia la fine della crisi, l’Economist dichiara, sulla base dei dati macro che arrivano da mesi da tutto il mondo,  esaurita la grande spinta propulsiva che le economie di Cina, India, Brasile e Russia sono riuscite ad imprimere per vent’anni all’economia mondiale e iniziata la “grande decelerazione” che rischia di penalizzare ulteriormente chi per vent’anni è rimasto fermo.

Se così fosse entreremmo in una fase successiva a quella genericamente chiamata della “globalizzazione”: utilizzare i mercati emergenti come possibile sbocco delle esportazioni non basterà più e i margini di crescita del benessere di una qualsiasi società, e ancora di più per quella italiana, verranno interamente giocati nella partita della innovazione. E ancora di più risulterà indispensabile, sciogliere quei nodi strutturali che ancorano – aldilà di eventuali rimbalzi tecnici –  l’economia italiana ad un trend di lungo periodo che continua ad essere fortemente negativo.

È comprensibile, quindi, invocare stabilità politica per poter trasformare un piccolo aumento di fiducia in aspettative; sarebbe un errore tragico incoraggiare l’idea che, forse, ce la potremmo fare – ancora una volta – senza completare quei cambiamenti che gli ultimi due governi hanno solo cominciato. Del resto è lo stesso Enrico Letta a ricordare che la stabilità stessa è un valore solo se serve ad affrontare le questioni sulle quali ci giochiamo il futuro.

In un contesto sempre più dominato dall’investimento in competenze e talento, come farà a sopravvivere un Paese che spende, dopo vent’anni di interventi marginali, in pensioni quattro volte di più di quello che spende in educazione, dagli asili alle università? Come possiamo sperare di ridurre e qualificare la spesa pubblica se non stabiliamo – aldilà della battaglia infinita sul tetto agli stipendi dei manager – criteri oggettivi per valutare le prestazioni di chi gestisce i soldi dei contribuenti e vi leghiamo la remunerazione e la conferma? Come si può pensare di attrarre investimenti esteri in Italia, se secondo le classifiche della Banca Mondiale ci collochiamo per la capacità di far rispettare i contratti nei tribunali, al centosessantesimo posto nel mondo, dopo il Madagascar e lontanissimi dalla Grecia? E con quali argomenti possiamo trattenere le imprese italiane che trasferiscono – una dopo l’altra – la sede all’estero, se non mettiamo mano ad un ridisegno globale dei meccanismi di distribuzione, definizione e accertamento delle imposte che vada aldilà del gioco a somma zero su IVA e IMU?

Sono queste le sfide da vincere per crescere davvero: avere il coraggio di discutere dei tabù dei diritti acquisiti e della intoccabilità del posto pubblico; proporre una vera strategia di cambiamento sulla giustizia e sul fisco che superi la logica delle guerre di posizione che hanno congelato tutto per decenni; trovare le parole per convincere anche i privilegiati che conviene mettersi in discussione.

All’ISTAT nelle stesse ore dell’annuncio di Saccomanni, è toccato certificare la serie negativa più lunga che l’Istituto abbia mai registrato nella sua storia di misurazioni: da ieri siamo all’ottavo trimestre consecutivo di contrazione del Prodotto Interno Lordo.

Per uscire dal tunnel è necessaria la fiducia nei nostri mezzi. Ma anche la consapevolezza che non può finire a tarallucci e vino. Che dalla crisi si esce cambiando. Spostando, cioè, risorse dalla conservazione di privilegi non più sostenibili a utilizzi che siano funzionali a farci trovare un ruolo in un contesto di competizione globale che è assai diverso da quello dal quale siamo praticamente usciti circa vent’anni fa.

Se gli italiani hanno dato il cervello all’ammasso, prepariamoci al peggio

di Arnaldo De Porti

Non riesco proprio a capire :

Primo:     perché si parli ancora tanto di Berlusconi, quando il suo destino è pesantemente segnato;

Secondo:  perché i giornalisti continuino ad invitare nei vari talk show personaggi squallidi che, a mio avviso, non meritano nemmeno di essere chiamati per nome ed appartenere a questa nostra, per quanto sindacabile, società;

Terzo :     perché gli Italiani continuino a non capire, dopo essere stati ingannati per un lungo ventennio, che il berlusconismo è un cancro per il Paese, e non già la giustizia come dice il condannato dalla Cassazione in data primo agosto 2013;

Quarto:    perché non interviene UE dicendo che un condannato che, per 20 anni, ha frodato il fisco ed ingannato l’Italia (ma anche l’Europa) possa stare ancora dentro ancora all’Unione, atteso che non ci sarebbero gli estremi della ingerenza degli affari di un altro paese, ma un fatto di delinquenza che contamina  e far svergognare anche tutti i Paese dell’Unione Europea;

Quinto:     perché, anziché adire alla giustizia europea come hanno pensato di fare i difensori di un delinquente, non è l’Italia a farlo nell’interesse proprio  di UE ?

Sesto :      perché qualcuno pensa di dare “agibilità politica” o peggio ancora, trovare un salvacondotto ?  Solo pensando a questo, dovremmo dire che siamo tutti delinquenti e che  pertanto cerchiamo di salvarci fra noi.

Settimo : perché, come si fa per i mafiosi, non si mettono sotto commissariamento i mezzi personali di questo soggetto di Arcore, in modo che non abbia a nuocere  ulteriormente al Paese, comprando tutto e tutti ?

Ottavo : ma gli Italiani si rendono conto che da venti anni stiamo parlando solo di lui e delle sue vertenze giudiziarie senza fare un passo avanti, ma cento indietro a danno soprattutto delle fasce deboli ?

Nono : perché non si prendono provvedimenti verso coloro, mass-media in primis, che lo difendono dicendo che il nero è un colore bianco…? Non è consentito  neanche alla stampa di dire menzogne !!!

Decimo : se il problema non verrà risolto nel breve termine, ciò starà a significare che il cervello non c’è più e che gli Italiani si sono fatti fregare anche quello, dandolo all’ammasso, come si faceva una volta, e forse anche ora, con i Consorzi Agrari per le patate, il mais  ed altre merci 

 

Italiani svegliatevi perché siamo vicini ad una guerra civile, non già quella evocata da Bondi, operaio ben pagato (senza far niente) da Berlusconi, ma perché saranno le fasce serie ed oneste ad opporsi, dopo essere state massacrate per un ventennio ed ora ridotte alla fame.

Distretto Turistico dell’isola verde: una speranza per una rivoluzione culturale ed un rinnovamento politico

di Giuseppe Mazzella  

Organizzeremo a settembre come Osservatorio sui fenomeni socio-economici dell’ isola d’ Ischia presieduto da Franco Borgogna in collaborazione con la Banca  per le Risorse Immateriali coordinata da Osvaldo Cammarota , del Distretto Turistico Isola Verde promosso da Benedetto Valentino  e del Magazine Ischianews & Eventi, un seminario nazionale riservato  agli amministratori  comunali, agli operatori sociali ed agli imprenditori locali sul tema della “ Coesione e lo Sviluppo- le opportunità del Distretto Turistico dei fondi europei 2014-2002”.

L’ occasione ci è offerta dal libro di Carlo Borgomeo,  meridionalista di lungo corso, già Presidente di Sviluppo Italia e promotore della legge 44 sull’ Imprenditoria Giovanile ed attualmente Presidente della Fondazione Con il Sud, “  L’ equivoco del Sud-sviluppo e coesione sociale”, che sarà presente al seminario.

Il libro di Borgomeo farà da apripista  per un dibattito contenutistico sulle strategie che in questo tempo di drammatica crisi politica, a tutti i livelli, e di  evidente recessione economica e finanziaria a livello nazionale e locale, bisogna mettere in atto  qui nella nostra isola d’ Ischia, la più importante località turistica della Regione Campania per  consistenza della sua ricettività ( almeno 40mila posti-letto) e del suo armamentario economico e sociale  costituito da 3mila imprese e da 13mila iscritti al Centro per l’ Impiego ex-collocamento. Sarà necessaria una presenza al seminario di un autorevole esponente della Giunta Regionale della Campania, per il ruolo fondamentale al quale è chiamato l’ Istituto Regionale, per approvare formalmente con i sei sindaci e gli amministratori locali, per il ruolo imprescindibile che i Comuni hanno nel Governo dei Sistemi Locali di Sviluppo, un documento di indirizzo  sul quale impostare una “ strada Maestra” per incamminarci, soprattutto nell’ interesse delle nuove generazioni, verso la ripresa economica, politica, culturale della nostra isola ancora divisa in sei Comuni nonostante ormai da anni sia evidente un unico sistema economico comprensoriale , impostato sui “ turismi” e  non più sul solo “ turismo balneare e termale”.

Questi “ turismi” sono resi evidenti dal nostro Magazine “ Ischianews” con la nostra cartina topografica  della “ strada del vino e dei prodotti tipici” con 22 aziende agricole aderenti, con l’ indicazione di 24 sentieri arricchita con la carta nautica dell’area marina protetta  del “ Regno di Notturno” per presentare in estrema sintesi ed evidenza un’isola da vivere e godere da terra e da mare. Questi “ turismi” sono  presentati negli aspetti “ commerciali” delle segnalazioni delle nostre eccellenze  della nostra  industria alberghiera e termale e della ristorazione e dei servizi.

Insomma presentiamo ogni mese – con l’ indicazione degli Eventi non solo di colore locale ma anche di rilievo internazionale e con alcuni reportage – un’ isola di straordinario interesse che è viva nella sua consapevolezza del suo patrimonio ambientale e nella sua espansione economica e sociale.

Logicamente quest’isola  NON è il “ Paradiso dell’ Eden”, che non esiste sul pianeta terreste, né è l’ “ isola di Utopia”  di Tommaso Moro. Ci sono “ ferite” nella sua difesa  naturale e nella sua organizzazione civile. Ed è su come vogliamo curare queste “ ferite” che intendiamo avviare un dibattito per agire non per fare accademia.

A 60 anni esatti dalla grande trasformazione urbana di Lacco Ameno avviata nel 1953 dagli investimenti di  Angelo Rizzoli ( 1888-1970) sui progetti dell’ arch. Ignazio Gardella l’ isola d’ Ischia ci appare come un caso paradigmatico dell’ opportuno  “ sviluppo sostenibile” avviato in un’ area del Mezzogiorno. Così ci pare scritta per noi ischitani l’ epigrafe scelta da Borgomeo per il suo libro tratta da un lavoro  di Giorgio Ceriani Sebregondi ( 1916-1958): “… evitare di cadere nell’ errore di chi, trovandosi di fronte ad un albero che da pochi frutti, invece di provvedere a curare la malattia dell’ albero, provvedesse ad appendere dei frutti sui suoi rami”.

Noi dobbiamo consolidare i “ turismi” dell’ isola d’ Ischia e “ curare” la malattia dell’ albero.

Per curare le ferite del nostro sistema economico ci pare  necessaria una “ Legge Speciale” che superi il vetusto  e non applicato “ vincolismo” delle leggi del 1939 e del piano urbanistico territoriale ministeriale del 1995 e che unifichi amministrativamente l’ isola in una sola unità amministrativa nel quadro del sistema dei poteri locali che  dovrà essere determinato con l’ abolizione della Provincia e l’ istituzione della Città Metropolitana di Napoli alla quale, in qualche modo, l’ isola dovrà rimanere legata per geografia e storia. L’ unità amministrativa ci pare indispensabile per una seria e praticabile Pianificazione Territoriale e per una realistica Programmazione Economica ambedue necessarie per una politica di Coesione.

Ma nelle more dei tempi lunghi ed imprecisati delle Riforme Costituzionali bisogna agire ed avviare con il consenso dei sei Comuni gli interventi strutturali ed infrastrutturali capaci di guarire le “ ferite”. Il caso di Casamicciola è significativo perché bisogna recuperare al sistema produttivo una superficie coperta di circa 100mila mc. fra i quali giganteggia il recupero del monumentale complesso del Pio Monte della Misericordia con un approdo turistico attrezzato ed il recupero del bacino idrotermale di La Rita.

Il Distretto Turistico può essere lo strumento di Coesione dell’ isola perché può essere visto come la stanza di compensazione dei sei campanili, come un ente nato dalla volontà dei sei Comuni, come  strumento di concertazione tra interventi pubblici e privati. Non si tratta di creare l’ ennesimo nuovo ente sovra comunale  o una specie di nuovo proclama della marina borbonica del “ facite ammuina” di cui accennava il prof. Mariano D’ Antonio nel suo intervento su “ La Repubblica” di domenica 4 agosto. Si tratta di un ente “ capace di far fare agli altri ciò che dovrebbero fare” e cioè utilizzare a pieno le grandi opportunità dei fondi europei del programma 2014-2020 con interventi giuridicamente agibili resi tali dai Comuni.

Questo Grande Progetto per il quale occorrono almeno 100milioni di euro può prevedere anche una Società di Trasformazione Urbana ai sensi dell’ art.120 del Testo Unico degli Enti Locali capace di espropriare gli immobili dismessi di proprietà privata e di ristrutturarli per le nuove esigenze e soprattutto di gestirli perché anche questo è una questione di estrema importanza che il prof. D’ Antonio ha rimarcato nel suo intervento.

Il seminario dovrà delineare un quadro opposto al “ facite ammuina” della marina borbonica capace di mettere ciascuno al suo posto, di far fare ad ognuno la sua parte, nell’ interesse dei Giovani che debbono riscoprire il gusto di progettare il futuro.

Se in democrazia la forma è sostanza

“Intrighi poco democratici: Pd impegnato a mantenere reami e facce immutabili”
di Giuseppina Bonaviri

Ho provato ad immaginare quale sarebbe l’esito dei congressi nei comuni della provincia di Frosinone se venissero confermate le proposte dell’ultima Direzione del Partito Democratico di far votare solo gli iscritti e mi riesce d…ifficile immaginare che, a livello provinciale, non si possa evitare un salto all’indietro rispetto al tentativo di rinnovamento avviato con l’esperimento dei giovani al governo dei territori locali del partito.
Nel nostro territorio ci si è ritrovati, infatti, davanti ad un partito che fa del “picchettaggio” delle nostre terre la sua prima e grande preoccupazione. Non si capisce come possa un congresso in provincia frusinate essere occasione di discontinuità se chi tenta di proporre una linea politica, che parte dai reali problemi, viene considerato un idealista e i tanti segnali di crisi che emergono vengono decodificati come eventi fra loro separati ed indipendenti dalla volontà dei partiti stessi.
Cambiare stile rimane una priorità anche per attrarre l’elettorato antistituzionale e che da tempo non vota. Inoltre si contribuirebbe a sostenere una sana linea innovativa rivitalizzante l’intera galassia della politica ( trait d’union tra progetti europeisti socio politici moderni) ma anche si aiuterebbe a superare la recessione con lo smottamento delle filiere d’interessi, non legittimando più spartizioni nella pubbliche amministrazioni e rendite di posizione del sistema.
Invece nulla si muove in un Pd che continua ad avere la pretesa di essere forza nuova ed organizzatrice, sede del dibattito propulsivo e dell’incontro politico democratico. Purtroppo esso stesso, e nella nostra provincia ancor più, si dimostra subalterno ad una concezione verticale-verticistica della politica aggregando maggiorenti anche dei partiti tutti sempre più in affanno e preoccupati solo di garantirsi assetti e stabilità personale. Personaggi, questi, che non riescono ad essere più credibili per nessuno. Se si considera poi l’impossibilità ad attestarsi su una linea orizzontale di superamento dei soli assi di potere si capisce come l’attuale crisi economica e sociale ci divori. Viene naturale chiedersi quali siano i confini, morali e politici, che distanziano il Pd dagli altri partiti se pur mai ve ne fossero rimasti.
Dire, allora, che siano le primarie il metodo di selezione del gruppo dirigente può essere condizione preliminare allo svecchiamento ma come non comprendere che esse, per quell’aggrovigliamento che attualizza gli assetti interni del partito, rischiano di portare al voto solo gli amici degli amici meglio, gli amici della “cucchiarella” svuotando il progetto dei buoni propositi e contenuti etici? Ci si domanda, così, come i prossimi consensi potranno essere intercettati dal partito, che tutto preso dal mantenere presidi e reami, non pratica quei valori che ne avevano motivato la nascita e che rimanevano prerogativa del rapporto con elettorato smarrito e disaffezionato.
Ne abbiamo avuto prova anche nelle scorse amministrative comunali locali che, a tutela di quei nominati che non trovarono posto nel partito, vennero candidati in fittizie liste civiche con il solo scopo di consentirne la loro elezione (anche a costo di un passaggio da uno schieramento all’altro) con buona pace della coalizione, cosa che ancor più ci fa sentire orfani della cosa pubblica.
Questa modalità rimane la prima causa della crisi identitaria del Pd: la sua disponibilità ad accogliere il trasformismo, mantenendo a galla una classe di politici immutabile ed immobile che ha dimostrato di non saperci rappresentare e di cui l’elettorato ormai conosce tutti i limiti, non può essere più tollerata.
Gli incarichi di sottogoverno che in queste ultime ore sono emersi e da noi precedentemente denunciate a mercimonio dei più recenti rimpasti di giunta non fanno che aumentare il distacco della politica dai cittadini. Ciò ci fa credere che sia vicina la fine di questa epoca, di quella lunga transizione dove partiti personali e mediatici hanno bandito la grande partecipazione di massa. Quella sorta di pensiero debole, che poi è tattica di sopravvivenza di tutte le istituzioni degenerate, non potrà farci sorvolare sulle nobili ragioni di partecipazione, di rappresentanza, forma partiti che rimangono i pilastri del processo sociale del cambiamento che auspichiamo.
E se in democrazia forma e contenuti sono inseparabili, il percorso alternativo che guardi alle concrete ragioni delle comunità, come noi della Rete La Fenice proponiamo, non potrà che essere l’orizzonte verso il quale approderanno le tante donne e i tanti uomini non rassegnati e non sottoposti alla malaffare ma in cerca di un avvenire migliore

L’incredibile Pd

“L’operazione Ceccano del Pd buona sola per riaffermare lo status quo”

di Giuseppina Bonaviri su L’Inchiesta

Non ce la contano giusta i sostenitori del rimpasto di giunta a Ceccano.
Vi sono tre indizi che divengono una prova accertata- come sa chiunque s’interessa d’indagini- che sia andata diversamente da come è stata presentata: il mancato coinvolgimento del circolo del Pd di Ceccano, temendo che non sarebbe passata indenne la decisione del rimpasto dimostra quanto contraddittoria fosse l’operazione rispetto a quello che, invece, si andava affermando in campagna elettorale; l’opulenza di autorità a sostegno dell’operazione (il parlamentare europeo De Angelis e il consigliere regionale Buschini) esibito in una conferenza stampa, per proporre scontate promesse di buona amministrazione; il commento della segretaria del Pd provinciale Battisti che con coraggio ha rubricato questo ed altri comportamenti di esponenti del partito di Frosinone nel novero degli insuccessi di un tentativo di rinnovamento ed apertura all’esterno, non dimenticando l’impegno dei giovani democratici e Occupy Pd.
Un vero peccato perché c’è tanto bisogno, invece, di riavvicinare i cittadini ai partiti. L’unico modo per farlo sarebbe iniziare a restituire quel diritto di scelta, tanto gravemente violato con la legge elettorale del Porcellum e con atti di imperio e di autorità, che sviliscono l’attività dei circoli e dei militanti, privandoli di quel potere decisionale su questioni appartenenti squisitamente al loro entroterra. Ferisce ancor più, poi, che le vittime della dura riaffermazione dello status quo siano i giovani e che il danno avvenga per ferire il sano protagonismo delle nuove generazioni, a cui andrebbe tramandato e trasmesso il senso di appartenenza e di identità culturale politica.
A voler trovare una spiegazione, nella vicenda di Ceccano, si deve pensare ad un atto che pone le basi per un ulteriore presidio del territorio a future battaglie; la natura di questa competizione può essere certo quella elettorale ma anche, come ben sappiamo, la consueta divisione degli incarichi esterni alle giunte, operazione che consente di continuare ad alimentare la catena del consenso più misero: quell’essere “attaccati alla mammella dello Stato” ritenuto, a ragione, da Fabrizio Barca, il male pernicioso della perdita di rappresentatività dei partiti, per inconsistenza di risultati e soddisfazione dei così detti comitati pseudo elettorali.
Quanto questo costume sia deleterio per il nostro paese, non solo per la Ciociaria, è confermato da ripetute indagini, che ci dicono che nella società italiana si è determinata una frattura nell’etica pubblica proprio per il prevalere dell’ideologia dell’autonomia e dell’indipendenza di ciascuno, fino a sostituire, addirittura, il buon senso civico con “l’arte di arrangiarsi” in ogni campo e situazione.
A ragione di questa mutazione che appare illimitata, è chiamata in causa la frustrazione dei cittadini che, per gli impedimenti che incontrano nello svolgimento di attività -causa anche una legislazione troppo ridondante- reagiscono con la ricerca di espedienti che aggirano i vincoli di quella pubblica amministrazione sentita ormai lontana e dell’attuale ed insostenibile onerosità della tassazione. Su questa generica denuncia d’inefficienza fanno leva vecchi e nuovi populismi che, poggiando sullo scarso senso dello Stato, chiedo rivoluzione politica e burocratica. Con il messaggio politico berlusconiano e antipolitico abbiamo avuto il solo esito di giustificare, nell’attesa, comportamenti trasgressivi fino ad essere, per molte parti del territorio nazionale come laziale, collusivi con la malavita.
Si continua a non cogliere, da parte di chi ha responsabilità politiche, quanto sia necessaria -perché l’Italia possa uscire dalla crisi- la riscoperta di un etica pubblica e la conseguente abolizione delle clientele. Ciò sarà possibile solo esponendosi al confronto con i cittadini, nei luoghi dove essi vivono e dove, solitamente, sarebbe coerente intrattenersi nelle questioni della res pubblica.
Certo il lavoro è faticoso ma come credere, altrimenti, che il sistema democratico si possa alimentare? Solo nel momento della competizione elettorale?
Oggi restituire un senso alla politica vuol significare, anche, iniziare a nutrire aspirazioni e disponibilità rispondendo ai bisogni e alle necessità, se pur nella ristrettezza del momento storico. I cittadini chiedono accesso all’ascolto e al dialogo. I partiti, “ case di cristallo”, devono saper cogliere con umiltà e rispondere autenticamente e questo, in particolare, lo deve il Pd alla sua gente per quella sua naturale capacità di potere essere tale.

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