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Lo spazio dell’Italia tra Usa e Africa. Parla Salzano (Eni)

Lo spazio dell'Italia tra Usa e Africa. Parla Salzano (Eni) Intervista di Formiche a Pasquale Salzano

Pasquale Salzano è senior vice president di Eni ed ha delega agli affari istituzionali. È il volto e la voce di Claudio De Scalzi, una vita nel Cane a sei zampe e da pochi mesi nominato dal governo Renzi nuovo Ceo della prima multinazionale italiana.

Salzano, classe 1973, è arrivato in azienda nel 2011 dalle fila del ministero degli Affari esteri essendo Consigliere d’Ambasciata. La promozione di un giovane diplomatico non sorprende, anzi conferma il peso della dimensione istituzionale e internazionale in Eni. Formiche.net lo ha incontrato per una conversazione a valle del Summit USA-Africa appena terminato a Washington e che ha lasciato in eredità sia la Clean Energy Finance Initiative sia investimenti tra i quali una partnership da 5 miliardi di dollari tra il fondo Blackstone e il ricco investitore africano Aliko Dangote per progetti di infrastrutture energetiche nell’Africa sub-sahariana.

Anche Eni, pur nel suo core business degli idrocarburi, investe da tempo nel Continente nero. Quali opportunità vi intravedete? “Il vertice di Washington è stato il più grande incontro con i capi di stato e di governo africani mai organizzato da un presidente americano negli Usa. La sua importanza è dunque innanzi tutto di carattere politico e strategico e segnala la crescente attenzione che l’amministrazione americana dedica ad un continente in cui, negli ultimi dieci anni, diversi paesi hanno registrato i tassi di crescita più elevati del mondo. Va considerato, inoltre, che la popolazione africana raddoppierà entro il 2050, tornando a rappresentare un quinto del totale mondiale, come era nel XVI secolo. In questo quadro, gli investimenti e il commercio sono considerati dagli Usa come parte del più complessivo impegno per la sicurezza e lo sviluppo civile e sociale del continente. Si tratta di un approccio altamente condivisibile, molto simile a quello che Eni, pur nella sua specificità di azienda energetica, ha tradizionalmente promosso in Africa fin dall’inizio della sua presenza, nel 1953. È stato proprio grazie alla attiva integrazione tra i progetti di sviluppo dell’azienda e le opportunità di crescita dei territori in cui è ospite, che Eni è potuta diventare non solo la prima compagnia internazionale del continente per produzione di idrocarburi, ma anche l’azienda leader nel favorire l’accesso all’energia da parte delle popolazioni locali. Il rinnovato impegno americano e la convergenza dei rispettivi approcci al continente non può dunque che essere vista da Eni in modo molto positivo”.

Gli Stati Uniti hanno deciso di puntare in modo deciso sullo sviluppo dell’Africa e sugli investimenti non solo energetici nel continente. L’Italia, per sua vocazione e collocazione rappresenta un ponte ideale tra l’altra sponda dell’Atlantico e l’Africa. Ritiene che questo nuovo sguardo a sud possa aiutare il nostro Paese a diversificare le proprie alleanze energetiche, finora più orientate ad est?

“Pochi lo sanno, ma l’Italia è tra i paesi europei che nell’ultimo decennio ha provveduto maggiormente alla diversificazione delle proprie fonti di approvvigionamento, come spesso auspicato dall’Unione europea. Nello stesso periodo, inoltre, l’Eni ha registrato in assoluto i migliori successi esplorativi tra le majors petrolifere mondiali, inclusa la più grande scoperta di giacimento gas della sua storia, in Mozambico, nel 2011 e l’Africa è stata al cuore di questi successi. Si tratta di nuove fonti che, soprattutto per quanto riguarda il gas, potranno contribuire ulteriormente alla diversificazione energetica italiana ed europea, consolidando una sorta di corridoio nord-sud come nuovo asse strategico di approvvigionamento energetico, di cui ha recentemente parlato anche il presidente Renzi, che potrà avvicinare sempre più l’Africa al vecchio continente”.

Ritiene che, tenendo conto anche dei nuovi progetti energetici annunciati dall’amministrazione Obama, ci possano essere ulteriori momenti di collaborazione tra Italia e Stati Uniti?

“Le sfide che la straordinaria crescita dell’Africa pongono alla comunità internazionale rendono sempre più importante la sinergia tra l’Italia e gli Stati Uniti, che non può che realizzarsi nella più ampia cornice dei rapporti tra Ue e Usa. L’importante negoziato in corso sulla Transatlantic Trade and Investment Partnership ne è solo uno degli esempi più recenti, e l’inclusione dei temi energetici al suo interno sarà molto rilevante. In Africa, in particolare, la collaborazione tra Italia e Usa potrà registrarsi anche alla luce del programma Power Africa lanciato dall’amministrazione un anno fa, che mira a raddoppiare l’accesso all’energia nel continente entro il 2018, grazie anche a importanti convergenze tra pubblico e privato (Public Private Partnership)”.

Il recente viaggio del premier Matteo Renzi in Africa – in Mozambico, Congo e Luanda – è forse il segno che anche la politica italiana guardi all’Africa non solo come a una frontiera, ma come a un mercato di riferimento. Eni come valuta questo nuovo approccio e quali cambiamenti scorge?

“Il rinnovato impegno del governo italiano verso l’Africa è a tutto campo e tocca la dimensione politica, economica e culturale. Può quindi essere considerato parte di una più ampia strategia di apertura e adattamento del nostro paese alle nuove tendenze del sistema internazionale. Un’azienda come Eni, che opera in circa settanta paesi in tutto il mondo, non può che considerare positivamente questo approccio, sempre più necessario e carico di implicazioni significative. A questo riguardo Il Ministero degli esteri ha recentemente promosso l’Iniziativa Italia–Africa, anche con l’obiettivo di rafforzare l’accesso all’energia sostenibile attraverso l’espansione della rete di aziende italiane impegnate nel continente. A metà ottobre si svolgerà a Roma una conferenza internazionale di alto livello per fare il punto sullo stato di avanzamento delle attività su questo fronte”.

Per dirla con Barack Obama, aumentare gli investimenti occidentali in Africa è anche un modo per rafforzare “sicurezza e democratizzazione dei Paesi africani”, anche quelli dove Eni è presente. Penso alla Nigeria, ma anche alla Libia, in queste ore teatro di scontri terribili. Cosa ne pensa? E come proseguono le attività di Eni nei Paesi africani più instabili?​

“Per le caratteristiche del suo business, Eni è abituata da sempre ad operare in realtà o regioni complesse o genericamente considerati “a rischio”. Per questo ha tradizionalmente dedicato grande attenzione allo sviluppo dei paesi in cui opera, anche attraverso il cosiddetto “dual flag approach”, ovvero quello di una compagnia al tempo stesso internazionale ma anche locale e con uno stretto rapporto con il territorio. Poiché l’energia è la chiave di ogni sviluppo, negli ultimi anni Eni si è anche impegnata direttamente nella realizzazione di alcune centrali elettriche, come ad esempio quelle in Nigeria e Congo, che vengono gestite insieme alle autorità locali e forniscono ai due paesi rispettivamente il 20 e il 60% dell’energia. Solo l’ulteriore consolidamento di questa strategia, ribadita dalle recenti iniziative sia negli Stati Uniti che in Italia, potrà offrire all’Africa quel futuro di pace e prosperità che ognuno di noi auspica”.

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Sulo stesso tema, la nota scritta nel 2013 da Massimo Preziuso: Un’area di libero scambio UE-USA per lo sviluppo sostenibile mondiale e per la nascita degli Stati Uniti d’Europa

 

 

 

 

 

Le lezioni su La7 di Romano Prodi: istruzioni per l’uso

Pubblichiamo con piacere questo ottimo articolo di Alessandro che ci spiega perchè il Professore – che è stato nei fatti il motore della nascita di Innovatori Europei nel 2006/7  – ha tanto da dare e da dire nel 2011 ad un’Italia carente di visione politica (e credibilità) internazionale.
 
 

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E’ giunto il momento di aggiornare, brevemente, la parte dello Spazio della Politica dedicata alla “prodologia”, la disciplina che si occupa dello studio di Romano Prodi. Ne abbiamo parlato già a fine 2009, in un articolo in cui notavamo il suo attivismo nei rapporti internazionali e in particolare con la Cina, e a fine 2010 ne “L’eterno ritorno di Romano Prodi”, abbiamo esposto un punto di vista volutamente provocatorio sulla forza della sua leadership rispetto al resto del panorama politico-economico del Paese. Proprio in questi giorni, alla notizia della presenza televisiva di Prodi si è affiancata quella dell’uscita di un nuovo libretto, dal titolo “Futuro cercasi”. La dignità scientifica della prodologia può essere messa in discussione: perché Prodi? Perché ancora lui? Non è vecchio? Perché dobbiamo essere governati da Prodi e non da tanti Massimo Zedda?

A partire da questi presupposti, è interessante chiederci di che cosa parlerà Prodi nelle sue già celebrate lezioni su La7 e, soprattutto, perché è importante occuparcene, mantenendo un’attenzione sui temi, ancor più che sulla sua “campagna” per la presidenza della Repubblica. Ecco quindi un piccolo riassunto apocrifo dei suoi corsi.

1. Il mondo visto dalla Cina. Gli scritti sul Messaggero e  le conferenze degli ultimi anni (in gran parte consultabili qui) testimoniano un fatto: Prodi si è rimesso a studiare. I suoi studi si concentrano proprio su quella idea ambiziosa di “formazione globale” di cui tante volte su Lo Spazio della Politica abbiamo cercato di seguire le tracce. Perciò Prodi cercherà di raccontare ai suoi ascoltatori-studenti i cambiamenti e le contraddizioni del mondo, dalle opportunità e i rischi per l’Africa alla Cina, su cui come sappiamo Prodi ha accumulato un notevole capitale di conoscenza e di relazioni. Prodi cercherà di raccontare la Cina agli italiani attraverso piccole immagini efficaci per i cittadini e per le imprese, come questa di Wenzhou. Spiegherà che non dobbiamo avere paura di una “spartizione cinese dell’Europa”, ma dobbiamo pensare piuttosto a un “rinascimento cinese”, riprendendo la visione del suo collega alla CEIBS David Gosset, direttore dell’Academia Sinica Europea, nell’ultimo volume del rapporto Nomos & Khaos. L’attualità e la sua storia personale imporranno a Prodi una particolare attenzione per l’Europa: sugli squilibri attuali, sulle incertezze dell’ultimo decennio, sulle responsabilità della sua classe dirigente.

2. Il “capitalismo senza volto”. La raccolta di scritti pubblicata dal Mulino nel 1995 nella collana “Tendenze”, e intitolata “Il capitalismo ben temperato”, si apre con lo scritto del 1991 “Esiste un posto per l’Italia tra i due capitalismi?”. In esso Prodi si inserisce sul dibattito in corso sulle varietà dei capitalismi (richiama spesso che i suoi lavori risalgono allo stesso periodo di quelli di M. Albert), affrontando alcuni nodi irrisolti del caso italiano, quello appunto del “capitalismo senza volto”. Tra i saggi vi è anche un programmatico “La società istruita. Perché il futuro italiano si gioca in classe”. I temi affrontati dal Prodi studioso, e i nodi irrisolti del Prodi politico, saranno ripresi in un contesto, con la ripresa di una discussione sulle politiche industriali, che non può non considerare l’apporto dell’economia digitale. E ormai, quanti capitalismi esistono? Come abbiamo scritto in passato, il puzzle si è complicato. Mentre gli economisti si dividono, dobbiamo aggiungere il capitalismo brasiliano, il capitalismo turco e molti altri a una visione troppo ristretta. E Prodi aggiungerà: “Non pensate mica di poter dire ai cinesi che sono “renani”, perché si sentono piuttosto del “delta del fiume delle perle” o di quelle robe lì…”. Mentre si delibera sul modello perfetto o sui modelli meno imperfetti, sarà pur vero che qualcuno dovrà lavorare, competere, dare da mangiare ai propri figli, abbattere o accrescere il debito pubblico, portare rubinetti italiani in Estremo Oriente passando per Suez. Questo modo di ragionare resta prezioso: o ci appassioneremo alla realtà dell’Italia o non ce la caveremo affatto. In questo, Prodi può comunicare a una vasta platea la sua eredità fondamentale, che è stata colta una volta per tutte da Edmondo Berselli con queste parole:

Piuttosto che occuparsi dell’ultima impalpabile variazione della teoria sraffiana del valore, e della produzione di sofismi a mezzo di sofismi, valeva la pena di mettere sotto osservazione l’economia italiana nel suo aspetto fenomenologico. Ed ecco allora voluminose ricerche sull’industria delle calzature, sulla produzione di piastrelle del distretto ceramico di Sassuolo, sull’industrializzazione diffusa delle Marche, in sostanza sull’Italia osservata da vicino, e non fantastica o immaginaria.

3. Il futuro del welfare. Proprio Edmondo Berselli ha messo lo zampino anche nella terza grande questione di cui si occuperà Prodi: il futuro del welfare. Già durante la presentazione del libro postumo del suo amico, “L’economia giusta”, Prodi aveva sottolineato questo punto:

Ogni giorno viene tolto un pezzettino dello Stato sociale… Andiamo avanti in questa situazione di essere costretti ad arretrare nelle conquiste sociali o possiamo fare un salto in avanti tramite un discorso di solidarietà e riorganizzazione della nostra società? (…)

Nonostante la vorticosa crescita che dà un senso tutto opposto alla società cinese e indiana rispetto alla nostra, non di ritirata ma di grande avanzamento, però la differenza tra ricchi e poveri aumenta anche in queste società. (…)

È interessante, perché in tutte le analisi del mondo trovo in questo momento un solo Paese in cui per un periodo medio di un terzo di generazione la distanza è diminuita, ed è il Brasile. Questo in fondo social-liberal-mercat-cristianesimo che ha fatto Lula, in questa meravigliosa sintesi di una vita diversa da tutti gli altri, è uscito sconfitto in tre elezioni e a fare una sintesi di tutto. E a interpretare in modo notevole questi fatti. E riesce – in una situazione di sviluppo – eh eh, a non aumentare queste differenze che sono, come dice Edmondo, caratteristiche di una società puramente mercantile.

Riassunto delle puntate precedenti. Negli anni ’90, Bill Clinton, nella sua strada per i successi nell’abbattimento del debito pubblico degli Stati Uniti, ha affermato di voler chiudere la storia del “welfare come lo conosciamo”. Il punto è stato condiviso da Blair. Come sappiamo, nella spesa pubblica italiana le voci della pubblica amministrazione, della previdenza e della sanità hanno un peso determinante. Ma che cosa può esserci alla fine del welfare come lo conosciamo, concretamente? Se consideriamo la sua fine naturale, possono esserci gli effetti della crisi del debito europeo sulla lotta contro il cancro, che forniscono un’immagine del futuro possibile. Durante il congresso europeo di oncologia a Stoccolma, notevole attenzione è stata dedicata a uno studio sull’aumento dei costi delle cure, e un recente articolo pubblicato su “The Lancet Oncology” ha lanciato l’allarme della crisi del costi, in particolare nei Paesi che invecchiano. In Grecia, la Roche ha sospeso la fornitura di anti-tumorali ad alcuni ospedali greci fortemente indebitati.

Sintetizzando, la domanda “ci sarà una piazza Tahrir italiana in autunno?” (ne abbiamo parlato qui e qui) è ritenuta più interessante della domanda “ci saranno i soldi per i farmaci contro il cancro negli ospedali pubblici italiani in autunno?”. La seconda domanda è più farraginosa e parla di una cosa precisa: è prodiana. Ma parla di un futuro prossimo possibile dell’Europa e dell’Italia, e merita di essere considerata.

Come si vede da queste anticipazioni, con le lezioni di Prodi – magari la sua voce sonnecchiante, col bofonchiare imperturbabile in italo-bolognese, inglese o cinese, andrà intervallata da qualche servizio appassionante, chiedere per informazioni ad Al Jazeera e ai documentari di Niall Ferguson, astenersi CCTV – il nostro dibattito pubblico compirà qualche passo avanti. Gran parte del dibattito pubblico italiano, difatti, si avviluppa sul concetto di “informazione”. In realtà, seppur in un sistema televisivo anomalo, disponiamo di molta informazione. A volte ci manca la formazione. Per questo abbiamo ancora bisogno del vecchio Professore.

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