Significativamente Oltre

PDL

Gli autogoal del Governo sull’energia (e non solo)

di Massimo Preziuso

La situazione politica (e, di conseguenza, quella generale)  peggiora di giorno in giorno in Italia.

L’ultima uscita pubblica brianzola del ministro Romani  – che definisce “in malo modo” la sua collega ministra dell’ambiente e fa intendere che l’imprenditore medio italiano, eccetto quello lombardo, è “inaffidabile” – denota  totale assenza di una linea di Governo sui temi legati allo sviluppo del Paese, a cominciare da quello delicato dell’energia (rinnovabile, in queste ore), a cui è legata la gestione della crisi libica.

Nel breve, vi è da sperare che il ministro Prestigiacomo (che, va detto, in varie occasioni pubbliche ha dimostrato – unica nel suo Governo – una vera sensibilità verso il tema rinnovabili) faccia ora pesare il suo ruolo di ministro dell’ ambiente nel CdM di martedì prossimo.

Ma più in generale questo approccio di Governo non può continuare ad andare avanti. Così stiamo irreversibilmente massacrando un Paese.

Fortuna che alle elezioni amministrative di Maggio questo molto probabilmente si tradurrà in una grande debacle del PDL (e forse anche della Lega nord) a cominciare da Milano (dove Pisapia e Palmieri possono e devono unirsi, al ballottaggio, e vincere) e Napoli (dove il centro destra, più che il suo candidato, è inguardabile).

Ma, aldilà di questi “desiderata” che molto probabilmente si tradurranno in “fatti” a breve, speriamo che questa serie di autogoal politici finisca e che, a cominciare dalla firma del Decreto attuativo sulle rinnovabili (anche grazie all’intervento del Berlusconi industriale ed imprenditore), si inizi a legiferare per il bene del Paese, e non per quello di pochi ma grandi interessi.

Questo fondamentalmente perchè (basta girare un po’ per Roma o Milano per capirlo) il Paese è seriamente impoverito e demotivato, e non merita di esserlo ulteriormente.

Ed infine, auspichiamo tutti che la giustizia amministrativa (attenzione anche qui a non permettersi il lusso di fare diversamente) ridia – dopo anni – la parola agli elettori per il voto referendario del 12 e 13 Giugno sul ritorno al nucleare (ma anche sulla privatizzazione dell’acqua e sul legittimo impedimento), affinchè noi tutti potremo avere di nuovo il diritto di dire cosa ne pensiamo su temi così importanti per la nostra e le future generazioni, e piu’ in generale sulla linea politica di un Governo che ci continua a fare affondare.

Abbiamo tutti bisogno di tornare presto ad un minimo di normalità.

Pd e Pdl : la doppia verità dei titoli cubitali che li riguardano (di Pierluigi Sorti)

pd_pdl

Sarebbe interessante conoscere il rapporto di corrispondenza fra le molte notizie vistosamente evidenziate sui quotidiani a caratteri cubitali, e il contenuto dell’ articolo di dettaglio che ne illustra il contenuto.

Accade spesso infatti che la lettura attenta di esso ne limiti la portata, ne modifichi o addirittura ne contraddica il significato.

Viene spontaneo di conseguenza chiedersi se l’ emotività del titolo induce a considerarlo esso stesso aprioristicamente veritiero, a dispetto delle indicazioni a supporto,  o addirittura, quando esso è fonte di letizia per il lettore, a trascurarne la lettura.

E’ legittimo sospettare addirittura che forse gli editori stessi approfittino di questa attitudine dei lettori dei quotidiani stessi ( per tacere di molti periodici di notizie mondane ) usino questa emotività per giocare quindi sui due piani paralleli del sensazionalismo e della verità dei fatti : una

applicazione casereccia della “teoria della doppia verità” del grande filosofo e scienziato Averroè(spagnolo mussulmano del dodicesimo secolo ).

Induce a queste riflessioni la sequenza di titoli che hanno segnato due tormentoni che hanno egemonizzato la politica interna di questi giorni , sia sul fronte della maggioranza governativa sia su quello dell’ opposizione e specificamente del Pd.

Sul piano governativo, a cadenza quotidiana, lo sforzo titanico del Premier per aggiudicarsi una maggioranza parlamentare al netto del Fli , acronimo curioso del movimento di Gianfranco Fini

 di “Futuro e Libertà” , registra un flop giornalistico, consumato in due giornate, su pressoché tutte le testate, e nitido esempio di giornalismo emotivo: l’ ascesa e la caduta, in così breve lasso di tempo,  della ipotesi politica dei venti deputati del “gruppo di responsabilità nazionale” .

 Eppure sarebbe bastato il tono sommesso della dichiarazione dell’ on. Nucara, rappresentante di questo gruppo, e l’ evidenza della sua solitaria apparizione alle telecamere,  per tarare significativamente la portata dell’ evento  e suggerirne una doverosa cautela nella diffusione della notizia. .

Parimenti lo spreco di titoli cubitali, sempre negli ultimissimi giorni, per annunciare l’ intenzione di Valter Veltroni di  costituire un gruppo parlamentare distinto da quello del Pd, poteva tranquillamente essere ricondotto a schermaglie interne al partito finalizzate unicamente alla predisposizione tattica delle dirigenze di Partito per  l’ eventuale imminente anticipazione elettorale.

Cioè partecipazione alla scelta delle candidature, e il loro posizionamento nell’ ordine delle liste elettorali.

Voto laziale / la rivincita del contado

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di Pierluigi Sorti

Non nella mala sanità, non nella discarica di Malagrotta, non nella legalità, non nei livelli occupativi, non nell’ astensionismo ( qui assai più accentuato che altrove ) suggeriamo di cercare la differenza degli oltre settantamila voti in meno che separano Emma Bonino da Renata Polverini.  

E’ nell’ immagine con cui le due candidate si sono proposte e sono state proposte, all’ elettorato laziale, che possiamo spiegare l’ effetto opposto riscontrato nella città capoluogo dal resto delle quattro province.  

A Rieti, a Frosinone, a Viterbo e soprattutto a Latina è scattato un meccanismo in cui erano certo presenti i fattori regolativi di scelta preferenziale elencati più sopra: ma è lecito pensare che dopo la sciatta vicenda della presentazione delle liste, magari sotto traccia ( forse anche con meccanismo inconscio ) il mondo della provincia abbia voluto cogliere l’ occasione opportuna per differenziarsi, a rivalsa  della sua inferiorità, da Roma capoluogo.

A ciò hanno contribuito appunto le effigi che le due candidate hanno scelto per sè stesse.   

In apparenza indifferente alla percepibile e masochistica freddezza di non poche esponenti, non soltanto femminili, per la propria candidata, la Bonino sceglieva un profilo di quasi new entry ( “fidatevi di me “) sembrava chiedere, quasi in difensiva, di essere dimenticata come quasi quarantennale e positiva protagonista in molteplici luoghi politici e istituzionali, italiani ed europei.  

Di contro la figura di Renata Polverini, con la scioltezza casual del suo abbigliamento, interpretava, forse non volutamente ma efficacemente, il ruolo di chi, nella cinematografia western di tempi non lontani, osa chiedere, quasi solitaria, giustizia riparatrice delle prevaricazioni dei potenti della città.  

In un minisondaggio, effettuato in un campione non superiore alla trentina di persone, è in effetti risultato un corredo di elementi, a favore o sfavore dell’ una o dell’altra, ma comunque estraneo a differenziazioni politiche o programmatiche, e tutto concentrato invece su specificità caratteriali, oltre che ovviamente di generica appartenenza .  

In effetti la radicale Bonino, quasi fiera della sua autonomia e indifferente alla tepidezza della sua coalizione, insisteva con monotonia sul tema della legalità, si mostrava impermeabile ai contributi che inizialmente le provenivano da più parti, sostenuta infine da un partito, il suo, che di questo isolamento, con discutibile saggezza, ha sempre plasmato il suo modo d’ essere. 

La seconda, Renata Polverini, si batteva in ogni dove, percorrendo i più remoti angoli della Regione, e, disinteressata a ogni forma di orgoglio, oscurava le sue piccole trasgressioni fiscali e le dissimulazioni della sua consistenza sindacale, valorizzava la sua conterraneità laziale a fronte della rivale piemontese, partecipava con disinvoltura alla medievale e anacronistica cerimonia del giuramento a Piazza del Popolo e, sfruttando astutamente la sua posizione iniziale di orfana di partito, è riuscita a trasformare tale handicap in vittorioso investimento elettorale.

 

Il voto delle regionali e un Paese che cambia faccia di nuovo

 zaia

di Massimo Preziuso

Dopo aver seguito con interesse e stupore i risultati di queste elezioni regionali, mi viene spontaneo fare alcune considerazioni, forse per fissarle meglio nella mente.

 Il nostro Paese cambia faccia di nuovo.

 Dopo le timide prove di bi-polarismo del 2008, oggi si torna prepotentemente alla frammentazione vistosa di poteri, sparsi tra i territori e le numerose sigle politiche.

Con queste elezioni gli Italiani hanno dato un ulteriore segnale di “allontanamento” dalla linea politica dei grandi Partiti nazionali: lo si vede al Nord con la Lega con i successi dei due “giovani” Zaia e Cota, nel Lazio con la vittoria della Polverini (difficilmente classificabile all’interno del Centro Destra, così come lo sarebbe stato la Bonino nel Centro Sinistra), in Campania con Caldoro ed in Calabria con Scopelliti (prima di tutto due “giovani” leader emergenti), in Puglia (dove la leadership “personale” di Vendola batte il PDL) ed in Basilicata (dove una coalizione ampia di Centro Sinistra, formatasi attorno a De Filippo, schiaccia il Centro Destra).

 Forse anche per alcune scelte di “non rinnovamento” fatte a Sinistra, ma il risultato elettorale non è positivo per il Partito Democratico così come non lo è per il Popolo delle Libertà.

Il PD però continua a risultare forte in un’area geografica importante del Paese, quella centrale, con la vittoria in Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche (a cui si legano Liguria, Basilicata e Puglia), ed è attorno a quel nucleo forte che può e deve ripartire.

Il PDL, invece, sebbene sia andato un po’ meglio delle peggiori previsioni, risulta frantumato in tanti “micro poteri” locali.

L’UDC risulta evidentemente in una situazione di “caos interno” da cui oggi può uscire solo con scelte di avvicinamento sincero e netto verso il PD.

Il risultato è invece molto positivo per la Lega che “mangia” il Nord Italia, sfruttando la sterile dialettica sui “massimi sistemi” da anni in corso tra i due grandi Partiti, così come lo è per l’Italia dei Valori che cresce più o meno per le stesse ragioni.

In questo contesto, e soprattutto con la previdibile centralità dei temi “federalisti” che la Lega Nord imporrà a breve nell’agenda politica nazionale, a me sembra arrivata l’ora che PD e PDL ripensino radicalmente al loro modo di rapportarsi con i territori, che si deve oggi necessariamente sviluppare attorno a temi di politica “concreti” sentiti dai cittadini, quelli che interessano lo sviluppo delle aree in cui vivono, allontanandosi, almeno un po’, dalla discussione sulle grandi questioni.

A cominciare dalla necessaria definizione di un nuovo modello di sviluppo economico e culturale per il Paese, attorno a cui creare soprattutto condizioni di prosperità ed occasioni di crescita per le nuove generazioni, che necessitano urgentemente di nuovi entusiasmi.

Un compito potenzialmente più facile per il Partito Democratico, se agirà rapidamente.

Lazio e Lombardia, il pasticciaccio brutto del PdL

di Aldo Fabio Venditto

Scazzottate e panini, trans e liste elettorali. La Regione Lazio sembra il set perfetto per il prossimo film dei fratelli Vanzina. Il primo ciak potrebbe accompagnare il delegato del PdL negli uffici preposti alla consegna delle liste elettorali.

L’attesa snervante potrebbe mettergli appetito, suggerendogli di rintanarsi in un bar dove tra una telefonata e l’altra, potrebbe apportare gli ultimi correttivi alle liste. Peccato che, rientrando, il termine ultimo per la presentazione delle liste sia scaduto. Scoppia il parapiglia.

Il più grande partito italiano è escluso dalla competizione elettorale della Regione Lazio: circa il 40 per cento dell’elettorato regionale non ha più un riferimento sulla scheda e, in attesa dei ricorsi di rito, Renata Polverini (candidata della coalizione di centrodestra) è azzoppata.

Dirimpetto la sfidante radicale Emma Bonino, rimarca la necessità di una diversa legalità, di maggiore trasparenza e del pieno rispetto delle regole, soprattutto da parte dei partiti politici.

Nel Lazio come in Lombardia, dove la Corte di Appello di Milano respinge la lista del governatore uscente Roberto Formigoni, in quanto le firme sarebbero prive di timbri, nomi degli autenticatori, date; requisiti sostanziali senza i quali quelle firme non hanno valore.

Qualcosa non va nella legge e qualcosa non va nelle modalità di raccolta delle firme. Tirato per la giacca il Presidente Napolitano esprime preoccupazione per l’eventualità di una parziale rappresentanza delle forze politiche, pur sottolineando come spetti al Tar «la verifica del rispetto delle condizioni e delle procedure previste dalla legge». 

La legge, appunto, e la questione si complica: ha più valore il consenso elettorale o la norma? Ovvero, si possono escludere i partitini ma non i partiti di rilievo? E infine, è più democratico ammettere il PdL in deroga di legge o escluderlo a norma di legge?

La crisi di identità del PDL – Il fantasma di un Partito

La plastica si sta squagliando? Sembrerebbe. Certo è che coloro che si erano illusi dopo le elezioni del 2008 che il Pdl fosse diventato un partito più o meno vero, qualcosa di più di una lista elettorale, sono costretti ora a ricredersi. Non era qualcosa di più: spesso, troppo spesso, era qualcosa di peggio. Una corte, è stato autorevolmente detto.

Ma a quel che è dato vedere pare piuttosto una somma di rissosi potentati locali riuniti intorno a figuranti di terz’ordine, rimasuglio delle oligarchie e dei quadri dei partiti di governo della prima Repubblica. E tra loro, mischiati alla rinfusa — specie nel Mezzogiorno, che in questo caso comincia dal Lazio e da Roma— gente dai dubbi precedenti, ragazze troppo avvenenti, figli e nipoti, genti d’ogni risma ma di nessuna capacità. E’ per l’appunto tra queste fila che a partire dalla primavera dell’anno scorso si stanno ordendo a ripetizione intrighi, organizzando giochi e delazioni, quando non vere e proprie congiure (e dunque non mi riferisco certo all’azione del Presidente Fini, il quale, invece, si è sempre mosso allo scoperto parlando ad alta voce), allo scopo di trovarsi pronti, con i collegamenti giusti, quando sarà giunto il momento, da molti dei cortigiani giudicato imminente, in cui l’Augusto sarà costretto in un modo o nell’altro a lasciare il potere.

Da quel che si può capire, e soprattutto si mormora, sono mesi, diciamo dalla famigerata notte di Casoria, che le maggiori insidie vengono a Berlusconi e al suo governo non già dall’opposizione ma proprio dalla sua stessa parte, se non addirittura dalle stesse cerchie a lui più vicine. Al di là di ogni giudizio morale tutto ciò non fa che mettere in luce un problema importante: perché mai la destra italiana, durante la bellezza di quindici anni, e pur in condizioni così favorevoli, non è riuscita che a mettere insieme la confusa accozzaglia che vediamo? Perché non è riuscita a dare alla parte del Paese che la segue, e che tra l’altro è quasi sicuramente maggioritaria sul piano quantitativo, niente altro che questa misera rappresentanza? Certo, hanno influito di sicuro la leadership di Berlusconi e la sua personalità.

Il comando berlusconiano, infatti, corazzato di un inaudito potere mediatico- finanziario, non era tale da poter avere rivali di sorta assicurandosi così un dominio incontrastato che almeno pubblicamente ha finora messo sempre tutto e tutti a tacere; la personalità del premier, infine, ha mostrato tutta la sua congenita, insuperabile estraneità all’universo della politica modernamente inteso. E dunque anche alla costruzione di un partito. La politica, infatti, non è vincere le elezioni e poi comandare, come sembra credere il nostro presidente del Consig l i o ; è prima a v e r e un’idea, poi certo vincere le elezioni, ma dopo anche convincere un paese e infine avere il gusto e la capacità di governare: tutte cose a cui Berlusconi, invece, non sembra particolarmente interessato e per le quali, forse, un partito non è inutile.

Ma se è vero che il potere e la personalità del leader sono state un elemento decisivo nell’impedire che la Destra esprimesse niente altro che Forza Italia e il Pdl, è anche vero che né l’uno né l’altra esauriscono il problema. Che rimanda invece a caratteristiche di fondo della società italiana che come tali riguardano tanto la Destra che la Sinistra. In realtà, il verificarsi simultaneo della caduta del Muro di Berlino e di Mani pulite ha significato la fine virtuale di tutte le culture politiche che la modernità italiana era riuscita a mettere in campo nel Novecento (quella fascista avendo già fatto naufragio nel ’45). È quindi rimasto un vuoto che il Paese non è riuscito a colmare. Non si è affacciata sulla scena nessuna visione per l’avvenire, nessuna idea nuova, nessun’indicazione significativa, nessuna nuova energia realmente politica è scesa in campo. Niente.

Il risultato è che in Italia i capi politici più giovani hanno come minimo superato la cinquantina. Ma naturalmente il vuoto è più sensibile a destra, e più sensibili ne sono gli effetti negativi, perché lì la storia dell’Italia repubblicana non ha costruito nulla e dunque non ha potuto lasciare alcun deposito; che invece è rimasto solo nel centro-sinistra, erede di un ininterrotto sessantennio di governo del Paese tanto al centro che alla periferia. Così come nel centro-sinistra sono rimasti quasi tutti i vertici della classe politica che fu cattolica o comunista, portando in dote la propria esperienza e le proprie capacità. Mentre alla Destra è toccato solo il resto: a cui poi, per il sopraggiunto, generale, discredito della politica, non si è certo aggiunto il meglio del Paese.

Ernesto Galli della Loggia – Corriere della Sera, 3 Marzo 2010

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