Significativamente Oltre

elezioni

Il lettone girevole ed i politici bulimici

Giuseppina Bonaviri

 

di Giuseppina Bonaviri

 

Emerge con chiarezza , dalle notizie che corrono e dalle tante voci sussurrate, che ormai tutto è convenuto per le prossime amministrative locali considerando che, tra l’altro, a breve scadrà il mandato per gli amministratori del capoluogo frusinate ed in attesa della nuova corsa alle regionali. Il dato è tratto!

Due i macro argomenti che si intrecciano: il primo riguarda la questione sempre emergente delle non-scelte nelle mani dei soliti noti, l’altro le sovrapposizioni tra i vari attori, partiti e correnti – il cosiddetto partito della nazione o cicli e ricicli storici?- Sembrerebbe più una catena di montaggio che il carattere collegiale di un processo democratico e decisionale da agire localmente e necessario al popolo ciociaro.

Questo scenario si scontra con il reale bisogno di indirizzi strategici operativi e di programma e con l’esigenza fortemente sentita di una solidità sociale quale fondo di garanzia alla crisi in atto. Appare chiara la carenza di una architettura, da parte di chi governa, a mettere le basi per soluzioni alternative. Il lettone girevole e a più piazze dove, in un’unica ed indistinta ammucchiata, si trovano distesi politici bulimici, amministratori miopi, eletti impotenti, buoni per tutte le stagioni è il simbolo della decadenza che vogliono imporci. Costoro, obbedendo solamente all’inesorabile principio del piacere narcisistico ed ignorando l’esistenza delle leggi della logica e della rappresentazione dei valori -che mai saranno svendibili- son divenuti atemporali ed apparentemente invulnerabili.

Chi coordina, fuori da ogni retorica, la partecipazione e l’impegno della base e della cittadinanza attiva? chi getta il cuore oltre l’ostacolo per difendere e proteggere la ricchezza di un popolo tanto martoriato? chi arresta il malcostume? chi ammonisce corrotti e corruttori se di tutt’una erba si fa un fascio? chi riconosce l’urgenza di sostenere programmi adeguati per le future generazioni tanto vulnerabili ed esposte? chi permette al dissenso di esprimersi senza ricattati? chi riconsegna autonomia morale ed autorevolezza all’entroterra provinciale? La marcia è lunga.

Il Maestro Sigmund Freud in uno dei suoi tanti capolavori “ Psicopatologia della vita quotidiana” parla dell’esistenza di “esseri perversi polimorfi” e di loro azioni ed atti mancati, di falsi ricordi e di dimenticanze, di deja vu e di lapsus, di disfunzioni mnestiche, di rimossi e negazioni riuscendo a rappresentare ed attualizzare la rozzezza- mollezza di una classe dirigente avvezza solitamente ad azzannare con le sue voraci fauci e a derubare con le sue lunghe ed affilate mani, nulla lasciando all’altro ed alla storia.

Ed ecco allora che la mission di chi come me, intellettuale ed innovatrice indipendente, impegnata da sempre in frontiera rimane per il bene comune, per la best practice, vicino alla gente comune. Sono consapevole che mai verranno meno coraggio, determinazione, etica , credo, onestà a supporto di libere idee, merito, talento. Continueremo a coniugare metodo e rigore in un percorso progettuale già in essere necessario al rilancio, alla competitività , alla rigenerazione del nostro territorio, a favore della discontinuità e del tanto auspicato e necessario cambiamento.

Verso Anno Uno 2014 in Italia?

 

 

di Innovatori Europei

Lo si sentiva nell’aria da qualche tempo. Che l’Italia 2013 è Italia Anno Zero.

Zero nel senso dell’azzeramento, che è economico, sociale e politico.

Ma è chiaro che quando si arriva allo zero ci sono solo due possibilità davanti: rimanere fermi, a zero appunto, o tornare a crescere, ed andare verso uno.

Ci sono sempre più motivi, a voler essere anche un po’ ottimisti, per pensare che per l’Italia valga la seconda opzione.

Fino ad oggi tali ragioni erano di ordine macro – economico e di natura internazionale.

La drastica cura finanziaria montiana di “austerity depressiva”, se da un lato ha portato il Paese vicino ad un nuovo precipizio (non finanziario questa volta), tramite un miscuglio micidiale di instabilità di finanza pubblica e crollo nell’economia reale (industria e famiglie), dall’altro ha portato ad un rinnovato rispetto delle istituzioni europee verso una Italia che fatto bene – troppo, secondo molti italiani – i compiti di risanamento a casa.

Ed ecco allora che il nuovo governo Letta si è potuto da subito dedicare ad aprire dei capitoli fondamentali per il rilancio del sistema Paese. Discutendo di selettività dei tagli della spesa pubblica improduttiva, di revisione del finanziamento pubblico ai partiti, delle modalità di pagamento dei crediti insoluti della pubblica amministrazione alle imprese.  Rivedendo in ottica di progressività il contributo della patrimoniale sugli immobili (IMU) e provando ad eliminare il previsto aumento dell’IVA. E portando in Europa le esigenze di un Paese stracolmo di disoccupazione e di una industria morente.

Ed è di ieri la notizia che l’Italia uscirà a breve dalla procedura europea per deficit eccessivo, potendo rapidamente liberare risorse per la lotta contro la disoccupazione giovanile (e non solo).

Ma è di oggi la notizia che certifica le altre. Alle elezioni amministrative, al netto di un serio astensionismo avvenuto principalmente nella capitale, il voto premia i due grandi partiti di governo, Partito Democratico per primo.

Il governo delle larghe intese sembra ricevere supporto da parte dell’elettorato e da domani avrà più forza per condurre il Paese verso una crescita che potrebbe partire lenta ma divenire di lungo periodo.

Il Movimento Cinque Stelle, mentre riduce (quasi dimezzando) il proprio elettorato, come da molti previsto (dopo il rifiuto al dialogo di governo con il PD), si avvia verso una fase politica matura, che sarà probabilmente denotata da maggiore qualità di proposta (e il candidato romano De Vito ne è l’immagine).

Nel Terzo Polo emerge una nuova potenziale leadership, che potrebbe caratterizzare una nuova coalizione di Centro – Sinistra: quella dell’ingegnere Marchini, vero outsider della società civile di queste elezioni amministrative romane.

La sua performance – da civico – dà ragione ad esperienze come quella di Innovatori Europei, oggi in grado di rappresentare significative fette di elettorato che non si collocano nel tradizionalismo politico, ma che hanno voglia di esprimere le proprie idee, scendendo in campo.

Ci aspetta dunque un secondo semestre 2013 in cui ci saranno tutte le premesse positive – economiche e politiche – per riportare il Bel Paese alla crescita nell’Anno Uno 2014.

Un anno che sarà per forza di cose partecipato.

Sbagliare anche questa volta sarebbe imperdonabile davvero.

 

ll Gelato di Viola

grillodi Michele Mezza

123 mila firme in poche ore raccolte sul web da una gelataia fiorentina che vive a Venezia -Viola Tesi-  ha dimostrato che qualcosa di rilevante è accaduto anche in politica, nel secolo della rete. Dopo l’informazione, la formazione, le professioni, i servizi, la pubblica amministrazione, la ricerca, la finanza, anche la politica è investita dall’ondata di disintermediazione che disarciona i giganti e premia i nani.

Un fenomeno complesso e ingovernabile, che , a poche ore dal trionfo, porta persino il Gigante a 5 stelle ad inseguire la gelataia di Venezia, imprecando contro la nanetta che si è intrufolata nel suo giardino.

E’ la rete, bellezza, verrebbe da dirgli.

La pancia conta quando è alla pancia che si parla. Ed affiora  ora il vecchio richiamo solidarista ed emancipatorio di una base sociale che viene da sinistra  ma trascende la sinistra- non   ha votato PD, ignora Vendola, non parla con Ingroia, perché da tempo non vi vede la potenza trasformatrice della realtà. Ma quando si trova in mano le chiavi di Palazzo Chigi il primo istinto è quello di guardare da dove si è venuti.

Ma chi sono e cosa è successo?

Loro sono  quello che fanno, ed è accaduto quanto doveva accadere. Ne più ne meno.

Loro, i grillini, anzi il movimento 5 Stelle, votanti e votati, sono esattamente come appaiono. Giovani, ma non giovanissimi,  precari ma non disoccupati, tecnici, ma non esecutivi, impiegati, ma non placati, cattolici, ma non subalterni, laici, ma non ideologici. Soprattutto digitali, ma non smanettoni.

E’ un movimento della rete, ma non sulla rete. Per certi versi  i 5 Stelle non sono molto dissimili dalle primavere arabe.

In Algeria, Tunisia, Egitto è pure sorto un movimento di protesta, composto da giovani, professionisti ed emarginati. Si disse è la rivoluzione di Facebook. In realtà, questo è il nodo che la politica tende ad esorcizzare, quel movimento, e ancora di più Grillo, non cresce perché usa la rete per parlare, ma perché usa la rete per produrre. Abbiamo di fronte un movimento che si caratterizza per un nucleo di  operai del web: informatici, mediatori, broker, insegnanti, amministratori, imprenditori.

Questa è l’aristocrazia operaia di Grillo. Attorno a questo nucleo  si sta raccogliendo un mosaico di  ceti e figure sociali  convergenti: giovanissimi irridenti, giovani ambiziosi, famiglie silenziose, anziani ignorati, lavoratori in esubero.

Il movimento si è agglutinato per condensazione, come i fenomeni tipo Occupy, dove ci si aggrega per singole convergenze, per condivisione di isolate tematiche, senza la pretesa, ne l’ambizione, di costituire una visione organica. La frammentazione sociale non permetterebbe di ripercorrere la vecchia strada del partito forte, gramsciano, che dall’astronave all’ago, assume un’unica visione del mondo. Quell’approccio è stato del tutto rimosso, insieme alle macerie del Muro di Berlino. Qui è rintracciabile una prima rilevante contraddizione di Grillo come leader: ogni volta che tenta una stretta, di imporre un metodo leninista, perde pezzi e capacità di guida nei nuovi movimenti a rete la direzione è il punto finale di una lunga coda, non la testa  iniziale.

Il linguaggio connettivo è il brusio della rete che prende tono per i lavori nella rete. L’elemento unificante è  l’estraneità, prima, l’ostilità, poi, per le elites: tutte le elites. In particolari quei salottini, meglio ancora quei tinelli, dove gli staff dei decisori, le figure adiacenti ai  leaders, i frequentatori degli amministratori. I sobborghi del potere, più che il vero potere. I riti delle terrazze, dello scambio di privilegi, di mance di prevaricazioni.

Questa è la cultura della rete. Forse , si dirà, la cultura di ogni opposizione che contrappone ai poteri costituiti, che se ne vuole liberare.

In realtà la rete produce distanza e indifferenza, più che ostilità. Gran parte dei grillini, soprattutto i nuclei storici, in Emilia e in Piemonte ad esempio, sono  figure che vivono autonomamente in circuiti professionali o formativi che non hanno nulla da chiedere alla politica per se stessi. Si tratta di ceti che vivono di competenze, specializzazioni settoriali, flessibilità nell’uso del proprio tempo, controllo delle ambizioni di consumo, versatilità nel muoversi nel paese e fra paesi.

Ragazzi che per il proprio equilibrismo fra saperi e fra condizioni, trovano mercato. La rete  è la scorciatoia, che trasforma l’idea o la disponibilità in opportunità. Un ceto  non reattivo alla politico, ma insofferente, proprio perché non chiede, per l’etica, e le competenze. Di fronte al combinato disposto di un degrado morale e di una palese incapacità scatta la contrapposizione: si può fare meglio, si deve fare bene.

Qui si crea un cuneo che scompone la base sociale delle due forze tradizionali: che scava nel mondo del lavoro, e distoglie il mondo delle proprietà. Si crea un popolo della comunicazione, che conscio del proprio isolamento , ma anche della propria abilità, e del proprio tempo, investe in relazioni: si clicca per condividere la propria riprovazione che diventa rabbia e poi sfida.

Proviamoci è lo slogan. La grande prova , non a caso, è nei feudi: l’Emilia rossa, il Veneto verde, la Sicilia azzurra.

Il territorio produce il salto di qualità, ma  comporta anche le prime contraddizioni. Come spiega il saggio della direttrice dell’istituto Cattaneo, Elisa Gualmini, Il Partito di Grillo, sono state le elezioni amministrative del 2010 ha dare la consapevolezza che la sfida era vincente: Parma, ma soprattutto Budrio.

Nel paese rosso al 70%, i grillini , mail dopo mail, forum dopo forum, “I like” dopo “I like”, censiscono le forze e mettono in rete i mestieri che non corrispondono alla rappresentatività della sinistra: informatici, consulenti, cottimisti delle filiere di arredamento e ceramiche. Arriviamo per la prima volta a voti in doppia cifra.

Reddito di cittadinanza, connettività, energie rinnovabili, KmZero, diffidenza per l’Europa. E’ il programma di una community  da maso digitale. Il lavoro è ormai un dato anagrafico da risarcire, non da organizzare: non il conflitto ma l’indennità per la disoccupazione.

L’unico incaglio al momento sono proprio le amministrazioni locali. Le prime esperienze segnano alti e bassi. E trovano, sul territorio un’unica resistenza, la Lega di Maroni. I dati elettorali, soprattutto in Lombardia vedono, straordinariamente, la Lega non solo sopravvivere dopo il bombardamento dei mesi scorsi, ma addirittura trovare una via per un nuovo radicamento. Nelle regionali Lombarde, fra lista ufficiale della Lega e Lista civica Marroni vediamo che il bottino elettorale dei lombardi è incrementato addirittura, spalmandosi sul territorio, in  maniera proporzionale al tessuto produttivo.

La debolezza nelle grandi città- la lega è sopravanzata dal PD in tutti i capoluoghi provinciali della Lombardia, e vince in tutte le provincie- indicherebbe un carattere arretrato del voto leghista. In realtà nelle città ormai risiedono elites e ceti amministrativi e commerciali, mentre si snodano nel territorio extra urbano le filiere produttive e della ricerca applicata.

La lega si è nutrita di un tessuto sociale straordinariamente americano. Grillo invece si è aperto un varco nella giungla metropolitana, insidiando per la Lega anche nelle campagne industriali.

Andremo ad un conflitto finale o si ipotizza un colpo di scena fra i barbari sognati e i sognatori cittadini? Questo è il vero interrogativo che la sinistra dovrebbe porsi: impedire la convergenza di una Lega senza Berlusconi e un grillismo amministrativo.

In questo quadro la televisione è usata da grillo come carica al contrario: meno la vedi meglio stai, meno ci sei più comunichi, meno ti fai coinvolgere , più sei popolare. Grillo cavalca un trend storico: la TV come disvalore, così come ogni consumo di massa, tanto più se legato alla spesa pubblica, come la TV, è un disvalore.

Il trionfo arriva quando la lontananza dalla TV diventa incubo per la TV, che comincia a cercarti ossessivamente, parlando di te, senza te. Tanto più che avendo solo una bandiera popolare, il rifiuto dei politici, e tanti programmi settoriali, non declinabili in TV- energie, agricoltura, lavori digitali, No Tav, ambiente- la rete e’ il catalogo ideale per dare ad ognuno il programma on demand.

Anzi la TV diventa l’uniforme della politica, l’emblema del regime: Vespa, ma anche Santoro, con il loro sovraesporsi ai partiti diventano i bersagli più facili da inquadrare: non ci vengo perché sei il nemico.

In questo quadro da catalizzatore dei movimenti, che trovano un provider che li porta  alle soglie del potere, si aggiunge l’effetto Monti. Con il Governo tecnico, Grillo estende il suo marketing: diritti e qualità della vita, ma anche fisco e sviluppo. Dobbiamo parlare alla pancia di una maggioranza silenziosa orfana e disgustata da Berlusconi. 

In poche settimane Grillo diventa  “neo cons” : assume un carattere da anarco – conservatore, all’americana. La rete in questo  lo aiuta ancora: la natura individualista, competitiva, anti statalista, comunitaria, cooperativa, ma non solidarista, diventa un ambiente coerente per ibridare la cultura di una movimento nato a sinistra ma diventato digitalmente populista, tout court.

Si verifica in politica quanto è già in atto in altri segmenti sociali. Nell’informazione i grillini sono l’enorme proletariato digitale dell’informazione senza contratti  né testate, che chiedono connettività, copy-left e  ricerca. Lo stesso vale nelle professioni, nei saperi, nell’assistenza, nel commercio: un’ondata di auto-imprenditori che incalzano i titolari di ogni funzione chiedendo di condividerla. Il grillisom è la  fase supresa del networking, per parafrasare Lenin.

Non si aggredisce, ne comprende il fenomeno, se non si decifra il processo di riconfigurazione di ogni verticalità fordista in una nuova orizzontalità a rete.

Il combinato disposto di un’anima di equo sostenibilità di sinistra, con un’aggressività di individualismo competitivo di destra porta grillo ad un nuovo interclassismo  digitale, che gli permette , unico sul mercato politico, di parlare i nativi digitali, e tramite loro, di trainare l’attenzione delle generazioni emancipate. E di dettare l’agenda politica.

La dinamica della campagna elettorale lo ha dimostrato.

Il sito  http://www.twazzup.com/?q=giannino&l=it che misura le citazioni e la tracciabilità  dell’attenzione della comunità di twitter per singoli soggetti, traducendoli in TPH ( tweets per  ogni ora) il 18 febbraio dava questa classifica dei contendenti alle elezioni.

grillo          1128

giannino      898

berlusconi   811

monti           703

bersani        474

ingroia           94

vendola         53

Il dato risentiva, ovviamente, delle perturbazioni del giorno. E quel giorno Grillo aveva lanciato la sua ennesima provocatoria sfida al sistema e Giannino invece stava incubando la bomba Zingales.

Ma strisciando l’insieme dei dati nelle settimane precedenti, si notava come in quasi ogni giorno della campagna elettorale si era consumata una perturbazione che aveva fatto impennare i dati delle citazioni in rete per le liste dei grillini .

Un’attenzione che  si gonfiava nelle piazze più che nelle arene televisive e si depositava nella rete. Un fenomeno di curiosità di tipo “serendipico”, ossia di ricerca di cose nuove senza sapere bene cosa  che si concludeva sempre con il piacere  di essere stupiti da quello che si trovava attorno a Grillo. Un’ansia di nuovo che addirittura tracimava oltre i confini  dei 5 stelle, arrivando ad investire anche soggetti in qualche modo affini, nella loro eccentricità, come  il movimento di Giannino.

Con alti e bassi,   il pendolo “serendipico”, in una relazione di causa ed effetto  veniva sempre attratto dalla capacità di Grillo, e in subordine di Giannino e ,infine, dello stesso Berlusconi, di determinare la cosi detta agenda – setting del dibattito elettorale. Mentre rimanevano inerti, sostanzialmente marginali, personaggi tutti da salotto televisivo, come Vendola e  Ingroia, o schiacciati nel ruolo di bersaglio come Monti e,  in mezzo come snodo fra le due realtà-quella dinamica di Grillo, innanzitutto, Giannino e Berlusconi e quella inerte di Vendola, Ingroia e Monti – la macchina da guerra di Bersani.

Nell’ultima settimana  ha preso forma lo tsunami. E il gruppo si sgrana con un gerarchia che poi sarà , nei suoi trend premianti, riprodotta dal voto.

Bersani, che aveva registrato nell’arco del mese precedente una media TPH attorno a 300, con l’ultimo rush finale propagandistico non sfonda il muro delle 500 citazioni medie per ogni ora della giornata. Vendola e Ingroia, non si fuoriescono dalla gabbia di quota 100, e Monti, che pure aveva un valore doppio di Vendola , attorno a 230,non supera mai le 350 citazioni.

Grillo invece, che  pure all’inizio della campagna elettorale aveva un valore non dissimile da Bersani- 300/350 TPH- si impenna prepotentemente ,e supera con forza, nel corso delle 24 ore di ogni giorno dell’ultima settimana preelettorale,  quota 600, arrampicandosi, nelle ultime, decisive,36 ore sul tetto delle 2.000 citazioni per ora.

Il 23 febbraio, il giorno prima del voto, e  dopo  la manifestazione di Piazza S. Giovanni, è il  momento di svolta, che tutti i sondaggisti concordano nel ritenere decisivo per orientare le due paludi  che incombevano sul risultato: gli indecisi e i potenziali astenuti.

Grillo trova un canale forte di comunicazione con i due universi di  voto inespresso. In particolare appare visibile la  dinamica , nell’ultima settimana che porta a concentrarsi su Grillo l’attenzione dell’area di simpatizzanti ex PD , in maniera  decisamente più marcata  rispetto a quella  di provenienza PDL, che pure all’inizio della campagna  aveva costituito lo zoccolo duro del consenso alle liste 5 Stelle.

La tracciabilità di questo processo in rete conferma che ormai l’opinione pubblica reale non si discosta dall’opinione media della rete. Soprattutto l’indice di socialità, cioè di circolarità della relazione, calcolabile con i grafi che misurano l’interattività della comunicazione che si realizza negli spazi web. Più i flussi di comunicazione sono interattivi, producono cioè un dialogo multipolare, più le opinioni che vi si formano hanno un valore universale. Grillo ha raccolto vision, protesta e proposte, e le ha  trasformate in un flusso  circolare di reciprocità. Chi ha concepito questo disegno ha studiato molto da vicino il fenomeno Obama, arrivando ad applicare la regola David Axelrod, il consulente del presidente americano, che in Italia non si è ripetuto con il suo sodalizio con Monti, secondo il quale Obama vince non perché usa la rete per parlare con i suoi elettori, per questo c’è la TV, Obama vince perché fa parlare i suoi elettori fra di loro.

E questo lo ha scoperto anche la gelataia di Venezia.

E ora inizia un’altra storia, sulla rete.

La vittoria di Grillo

 di Francesco Grillo

È certamente il vincitore assoluto delle elezioni politiche 2013. Anche se è Grillo quello che più di tutti dovrà cambiare pelle nei prossimi mesi per non far evaporare il proprio successo.

Una lista che neppure esisteva nel 2008 è il primo partito del Paese: lo tsunami capace di portare un’intera classe dirigente, un sistema di potere al capolinea. Si salva Silvio Berlusconi, anche se, però, anche per lui si pone da tempo il problema difficile di come uscire da un gioco logorante senza pagarne le conseguenze.

Un successo straordinario che potrebbe cambiare la faccia della politica in Italia. E in Europa.

I motivi del successo sono evidenti: la fiducia in chi ha governato questo Paese negli ultimi vent’anni (per dieci il centro destra, sette il centro sinistra e tre di governi tecnici) è bassissima. Del resto l’Italia in questo periodo si è completamente fermata, come stabiliscono i dati sulla crescita economica che vedono il nostro Paese al penultimo posto nel Mondo.  Ma soprattutto negli ultimi mesi, Bersani e Monti hanno ignorato la questione decisiva: quella di unpatto tra Stato e cittadino che non funziona più da tempo e che Grillo e Berlusconi hanno cavalcato, in assenza di una proposta complessiva da parte dei concorrenti più accreditati

L’accusa più frequente, quella di non possedere competenze si è poi trasformata in un micidiale boomerang per chi sul piano della conoscenza dei problemi ha spesso miseramente fallito.

Bisogna, infine, riconoscere a Grillo una formidabile strategia comunicativa: la campagna elettorale ha premiato o chi utilizza solo la televisione (Berlusconi) oppure chi la evita totalmente e usa solo la rete e le piazze.

In questo vuoto di idee, comprensibilità e credibilità, il Movimento 5 Stelle ha costruito il suo successo. A questo punto esiste persino una base sociale costituita – come dimostra un recente studio del think tank britannico Demos che ha valutato la possibilità che il fenomeno si ripeta altrove – da persone con livelli di scolarità più elevata della media e che, però, sono più frequentemente colpiti dalla disoccupazione. Educati ed esclusi: il prototipo di quello che potrebbe essere non solo un elettorato ma una classe rivoluzionaria, come direbbe, forse, Casaleggio.

I rischi e i limiti del movimento sono chiari: un leader geniale (proprio come lo è stato Berlusconi) e nessuna classe dirigente (come dimostravano gli interventi del comizio finale a Piazza San Giovanni). Nel vuoto di governabilità, il movimento dovrà adesso  rimanere compatto, diventare squadra, dimostrare di poter anche risolvere problemi giganteschi. Governerà per i prossimi vent’anni chi unirà conoscenza e capacità di coinvolgere; chi sarà capace di portare l’agenda del cambiamento profondo anche in Europa.

Non è detto che sarà Beppe Grillo il leader capace di vincere la sfida finale. Certamente lui innesca da oggi una trasformazione che nessuno potrà fermare con qualche aggiustamento marginale.

Articolo pubblicato su Il Messaggero del 26 Febbraio

“Significativamente oltre”: Assemblea Innovatori Europei, 20 Febbraio, ore 10.30, Camera dei Deputati, Roma

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Significativamente oltre” – Assemblea nazionale degli Innovatori Europei

20 Febbraio, ore 10,30 – 14,30, Sala della Mercede, Camera dei Deputati, Roma

Ore 10.30 – Introduzione

Gli Innovatori Europei: il percorso fatto dal 2006, il futuro da percorrere” di Massimo Preziuso

Ore 11.00 – Interventi dai territori

Nuovo welfare nei territori nel Lazio” di Giuseppina Bonaviri

Innovazione politica e istituzionale in Campania “ di Osvaldo Cammarota

Innovatori Europei e Terra del Sud” di Vincenzo Girfatti

Ore 11.30 – I progetti del Think Tank

Energia e Ambiente

Un futuro sostenibile per la Taranto dell’acciaio” di Massimo Sapienza

Sapere e Innovazione

L’innovazione europea” di Michele Mezza

La carta d’intenti per l’innovazione in Italia” di Nello Iacono

Europa

Gli Stati Uniti di Europa” di Paolo Di Battista

La nuova Europa nel mediterraneo” di Luisa Pezone

Italiani all’Estero

Quale futuro e quali opportunità per le comunità italiane all’estero?” di Salvatore Viglia

Radio e Tv

Salviamo il pluralismo radiotelevisivo dal conflitto d’interessi” di Antonio Diomede

Cultura

“Innovazione in musica, arte e spettacolo” di Mario di Gioia

Italia e BRICS

Innovatori Europei e Italia – India” di Tommaso Amico di Meane e Asif Parvez

Attrazione di investimenti cinesi in Italia: come?” di Lifang Dong e Carlotta Maraschi

L’importanza del trattato UE-Mercosur” di Rainero Schembri

Ore 12.45 – Coffee Break

Ore 13.00 – Dibattito sul manifesto politico degli Innovatori Europei

Tra lavoratori e produttori”. Contributi e interventi di: Arturo Artom (Rinascimento Italiano), Pier Virgilio Dastoli (Movimento Europeo), Oscar Giannino (Fermare il Declino), Sandro Gozi (PD), Enrico Letta (PD), Marianna Madia (PD), Gianni Pittella (PD), Claudio Sperandio (Movimento Cinque Stelle) 

Ore 14.30 – Conclusioni

(Modera il dibattito Zaira Fusco, giornalista)

 

Nello scontro, la coppia Bersani-Monti va a delinearsi

di Massimo Preziuso su L’Unitàelezioni

 

Ci sono buone notizie nell’aria, a leggere bene l’attualità politica italiana.

Aumenta finalmente lo scontro tra i leader delle coalizioni, fatto essenziale per la riuscita di una campagna elettorale: essa ha infatti come obiettivo principale quello di far “vedere” agli elettori “differenze”, per poi eventualmente far loro comprendere “complementarietà”.

Dopo i primi giorni di “calma piatta”,  nelle ultime ore si delineano finalmente le diverse offerte politiche. Il nuovo centrodestra si propone rafforzato e migliorato nella qualità del programma e delle persone. Il centro, con l’ingresso di Monti e Giannino, si comincia ad allontanare da vecchie logiche. Il centrosinistra, dopo una partenza amorfa, recupera la sua innata carica di innovazione. Il movimento 5 stelle assume consistenza politica alternativa. La sinistra estrema appare invece inconsistente e scomposta.

Se vogliamo cercarlo, il punto di partenza di questa nuova fase si può attribuire al caso Monte Paschi di Siena.

Esso ha infatti dato l’assist a Mario Monti e Grillo per provare un assalto al Partito Democratico, provando da subito a trasformare un pesante accadimento di tipo finanziario in una responsabilità politica, a fini elettorali.

A quel punto Bersani ha reagito, segnando il proprio territorio politico ed elettorale nell’area progressista, dopo aver provato erroneamente a trovare una sorta di pace elettorale con il Professor Monti.

Finalmente, si potrebbe dire. Perché, sembrerà strano, ma proprio da ora si comincerà a delineare una coalizione di Governo Bersani – Monti che, a voler essere onesti, è necessaria al Paese. Il cui punto di incontro politico sarà a metà strada tra progressismo francese e rigore tedesco, tra lavoro e produzione, tra PSE e PPE.

Tanti di noi avremmo voluto idealmente un governo Bersani di tipo progressista. Ma sapevamo e sappiamo che esso non avrebbe retto e non reggerebbe alla complessità dei fenomeni che il nostro Paese deve andare ad affrontare rapidamente nei prossimi mesi, nel contesto internazionale, prima che nazionale.

E si sarebbe tradotto da subito in una inutile forte discontinuità con le politiche di austerity delineate e avviate con il precedente governo.

Inutile perché, sebbene la austerity sia risultata sbagliata ed abbia nei fatti affondato ancora di più l’Italia nella crisi, pensare di tornare indietro nel percorso ormai avviato, e voluto dallo stesso Partito Democratico, principale partner del governo ABC, sarebbe ora incomprensibile e suicida.

E questo sarebbe (stato) il rischio di un governo progressista puro. Quello di trovarsi a mettere in discussione molto del percorso fatto, da cui invece bisogna partire, con i dovuti aggiustamenti di natura progressista da apportare, affinché se ne vedano i benefici, in termini di un alleggerimento della “macchina Italia”, necessario alla crescita.

Ed allora bene questa campagna elettorale di “scontro”, in quanto renderà chiaro agli italiani della esigenza di un “incontro”, subito dopo il voto, tra le politiche democratiche di Bersani e quelle (ex) rigoriste di un Monti, che sta fortunatamente rapidamente diventando politico.

Nel prossimo mese probabilmente vivremo una serie di momenti di tensione tra i due futuri alleati: ma tra un mese essi avranno l’opportunità di portare l’Italia in un’ Europa che ora, a dirla di tutti (Monti compreso), deve puntare sulla crescita e sulla sostenibilità dello sviluppo, con uno sguardo nel Mediterraneo, a cui a breve anche il Professore dedicherà attenzione, seguendo Bersani.

Antonio Caruso, Canada, è candidato al Senato per “INSIEME per gli italiani” nella circoscrizione estero

insieme logoAntonio Caruso, un italiano vero, grande esempio della migliore  italianità all’estero, ha deciso di aderire ad “Insieme” ed ha firmato  l’accettazione della candidatura al Senato per il centro e nord America.

Ne dà notizia il Presidente Melo Cicala dichiarando che è un grande onore per tutto il Movimento  godere della preziosa collaborazione di una tale personalità dai grandi principi cristiani e dai valori assoluti,  artista di fama internazionale. Egli ha deciso da uomo libero e con grande convinzione.

Antonio Caruso è un italiano emerito residente all’estero che, nel mondo dell’arte, rappresenta la migliore espressione universale dell’estro e della tecnica italiana. Vive in Canada ma è cittadino del mondo da sempre immerso ed impegnato per e nelle comunità italiane di cui egli è orgoglioso di far parte.

Il suo profilo e la su biografia sono facilmente consultabili su www.antoniocaruso.com , per la sua reputazione ed il modo suo di relazionarsi basta rivolgersi ai connazionali che lo conoscono dentro e fuori i confini nazionali.

Antonio Caruso non poteva che aderire ad un movimento libero ed indipendente come “INSIEME per gli italiani” data la sua storia e la sua indole. Uomo puro, onesto e leale. Caruso interpreta l’impegno politico e sociale nell’accezione più nobile  praticando tutto ciò che di lodevole esso rappresenta in termini di servizio e di abnegazione disinteressata.

Uomo della comunità che conosce e vive le difficoltà e le esigenze che si impongono all’ attenzione delle istituzioni. Generoso ed altruista non legato alle cose bensì all’essere, caratteristica della migliore espressione dell’uomo, indispensabile alla vita parlamentare, dedicherebbe le sue attenzioni verso tutte le organizzazioni ed associazioni che puntano a realizzare  fini sociali innovativi per il bene della collettività.

Con Antonio Caruso il movimento “Insieme” inizia una nuova era del proprio radioso cammino.

Italiani all’estero risorsa politica da cooptare in Italia

 di Salvatore Viglia su L’Unità e Politicamente Corretto

Dare rilievo alla foltissima presenza italiana all’estero, significa pianificare un programma politico, sociale ed economico di grande significato e portata. Le nostre comunità all’estero aspettano quella legittimazione che la legge 459 del 2001 detta legge Tremaglia non ha potuto o voluto dare.

L’impegno è portare nel paese questa linfa nuova composta da gente non contaminata dalle storture degli ultimi decenni. Impegnarsi affinché la legge venga modificata concedendo il voto per corrispondenza in Italia senza essere obbligati a recarsi in patria, è una priorità etica e morale oltre che una puntuale correzione costituzionale.

Si pensi alla circoscrizione estero, una invenzione bizzarra, un recinto nel quale sono stati stipati uomini e donne come se fossero ovini. Questa folta rappresentanza italiana all’estero significa rapporti e relazioni con culture diverse dalla nostra, significa interscambio culturale e commerciale a tutto tondo senza voler contare le rimesse che nel dopo guerra hanno aiutato il paese a risollevarsi dalla miseria.

Alla luce, però, della scarsa considerazione che questo mondo italiano vivo, vegeto e pulsante fuori dai confini patri, occorre una accelerazione che riporti questa umanità ad incidere, come da costituzione, direttamente in patria con il voto diretto.

Gli scenari politici che si potrebbero aprire all’interno degli equilibri nazionali, sono in verità imprevedibili. Data l’enorme massa di votanti, quel partito che farà sua la legge “liberatoria” di un voto paritario con quello che esercitano gli italiani residenti in Italia, lo farà fortissimo.

Sentiamo la necessità oramai improcrastinabile di scongiurare volontà avverse che vorrebbero l’eliminazione tout court del voto all’estero.

E’ un atto di civiltà e di riconoscenza invece, oltre che di lungimiranza politica ed economica, fare in modo che questa immensa risorsa appassionata e fiera del proprio paese ritrovi la dislocazione che merita in patria.

Subito alle elezioni. Napolitano frusti i cavalli

 di Salvatore Viglia su L’Unità online

Non è certo questo il tempo per i tatticismi. Andiamo subito alle elezioni per scegliere un governo politico. Sotto gli occhi di tutti sono chiarissime ormai le posizioni assunte dai partiti.

Il rientro in campo di Berlusconi significa una cosa sola, che a destra vi è il nulla assoluto. Le lamentele, le indignazioni di quanti non vedono con favore questo rientro, sono a dir la verità e purtroppo, fuori luogo.

E continuiamo a dirci la verità tanto per non essere fraintesi, affideremmo il governo del paese a Casini che si propone in verità per candidare a sua volta Monti? Affideremmo il paese a Fini oppure a Montezemolo, e per fare cosa? Forse Gasparri, no, Matteoli? La Santanché oppure Meloni? Lo stesso Alfano non ne avrebbe le fattezze checché.

La colpa della discesa in campo del Cavaliere è tutta da attribuire alla destra attuale che non presenta neanche per nomea personalità in grado di guidare quel carro.

Il Presidente Napolitano non deve ostinarsi a protrarre questo “scristo” inutilmente. Tenere per le briglie tutti al solo fine di protrarre la via crucis di un mesetto, francamente ci sembra una esagerazione.

Non avremo nessun beneficio da questa agonia masochista. Un mese non è un anno e ciò che non si è fatto in un anno non si farebbe certamente in trenta giorni.

Ci meraviglia però come non sia il PD a recarsi al Quirinale con la richiesta formale al Presidente Napolitano di sciogliere le Camere e di indire le elezioni, se possibile, domani mattina.

A Bersani, dopo la vittoria delle primarie con i numeri che il partito vanta secondo i sondaggi, manca solo questo atto che altro non significherebbe che manifestazione di forza e determinazione. Non c’è altro da fare.

Con la conferma di Obama, il vento democratico bussa prepotentemente alle nostre porte.

 di Massimo Preziuso (su L’Unità)

Sono passati quattro anni e, nonostante la crisi, il democratico Obama vince di nuovo.

Tutto questo avviene per questioni che riguardano una personalità e un’umanità uniche al mondo, da cui si dovrebbe imparare, ma poco si è fatto qui da noi.

Ma molto anche perché dagli Stati Uniti, a cominciare dal 2008, si è avviata un’onda democratica che pian piano sta contaminando l’Europa ed il mondo intero.

Quest’anno lo abbiamo già riscontrato in Francia con Hollande che si afferma con un chiaro progetto progressista. E lo iniziamo a notare in Germania con la Merkel, sempre più condizionata dai socialisti e dai verdi tedeschi, e che difficilmente può vedersi riconfermata.

In Italia, dopo un’ubriacatura collettiva per un modello individualista – liberista, gradualmente le cose stanno cambiando, anche grazie e come conseguenza alla “politica” di questo governo “tecnico”.

Si guardi, per esempio, un attimo ai sondaggi delle ultime ore. Basta mettere insieme l’elettorato classico di centro sinistra e quello del M5S per arrivare ad oltre il 60% di elettorato che chiede una svolta verso un modello politico e di sviluppo più solidale e sostenibile.

E’ arrivato, dunque, anche se in grande ritardo, il tempo di una svolta che dia l’avvio ad un nuovo paradigma democratico anche in Italia.

Tocca al Partito Democratico realizzare questa “rivoluzione dolce”. Infatti con più del 30% di elettorato e con la possibilità di arrivare tranquillamente, nel caso fosse necessario, anche al 42,5% (che, in queste ore, un centro – destra arrivato al capolinea prova ad imporre al Paese quale soglia minima per poter governare) con gli alleati storici e una “lista civica nazionale” in cui far convergere i movimenti “arancioni” presenti in tutta Italia, il PD è oggi in piena condizione di mostrare la propria forza al Paese e, se necessario, al Governo Monti.

E’ anche il momento di rendere chiaro a tutti che, pur rispettando il Governo, per altri versi, ci sono “temi” che questo Esecutivo ha realizzato che andranno rivisti: a partire dal Fiscal Compact, che, senza prevedere azioni pan-europee per la crescita economica e lo sviluppo di nuova occupazione, oggi è una ghigliottina posta sulla testa di tutto il Sud Europa.

Non è più tempo di attese. Dopo anni di opposizione seria e rispettosa al governo Berlusconi ed un anno di “responsabilità” con Monti, il segretario democratico Premier Pierluigi Bersani deve ora dire più forte che il suo Partito vuole (e deve) governare, perché è il Paese a chiederglielo. E da oggi, col vento democratico americano, la richiesta si fa ancora più forte.

 

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