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#FormaPartito – Il Pd dopo la tempesta di dicembre. Un’occasione che non tornerà (di Fabrizio Barca)

Fabrizio Barca durante una lezione al polo scentifico di Novoli a Firenze, 6 Maggio 2013. ANSA/MAURIZIO DEGL'INNOCENTI

Fabrizio Barca durante una lezione al polo scentifico di Novoli a Firenze, 6 Maggio 2013. ANSA/MAURIZIO DEGL’INNOCENTI

di Fabrizio Barca su Huffington Post

Mentre nel Partito Democratico i Comitati del Si e del No si moltiplicano e si armano per una battaglia che riguarda anche – quando non soprattutto – il controllo del partito, e mentre in cielo volano i fuochi d’artificio della “Finanziaria dell’anno referendario”, un documento ufficiale diramato da Roma gira in silenzio nelle fila del PD. Si tratta delle conclusioni della Commissione “Forma-partito” costituita 24 mesi or sono per “rimettere in connessione la forma partito con la vita concreta e quotidiana dei cittadini”, come recita il documento, per adattare l’organizzazione del PD alla “nuova domanda che i cittadini rivolgono alla politica”, alla profonda distanza che essi sentono dai partiti. Il documento viene sottoposto alla “discussione dei Circoli e degli organismi dirigenti territoriali”, per ricavarne reazioni e idee che “si trasformeranno in proposte di modifiche statutarie” da portare alle decisioni dell’Assemblea nazionale.

Si potrebbe dire che è tardi. Che l’inadeguatezza di quello che è pur sempre l’unico “partito” italiano e della sua organizzazione è evidente da molti anni. Che da tempo sono sul tavolo proposte di rinnovamento – una l’abbiamo testata noi di Luoghi Ideali, iscritti del PD e non, in un anno di sperimentazioni e poi l’abbiamo avanzata ai vertici del partito nel giugno 2005 (http://www.luoghideali.it/tre-proposte-per-il-pd-fabrizio-barca/). Che il documento era sostanzialmente pronto dalla primavera – il ritardo del suo rilascio mi ha indotto a inizio luglio a dimettermi dalla Commissione. Che è scritto con un linguaggio timido, timidissimo, in alcuni casi solo allusivo, inadeguato di fronte alla durezza del confronto in atto. Che potrà essere facilmente fagocitato dalla logica dominante dei Comitati. Che il Segretario del PD non risulta averne fatto menzione e che il silenzio attorno al documento è finora assordante. Si potrebbe dire tutto questo. E infatti lo sto scrivendo. Ma sarebbe sbagliato fermarsi qui. Non solo perché sarebbe ingeneroso verso il vice-Segretario Lorenzo Guerini e il Presidente Matteo Orfini, che alla fine hanno sentito la responsabilità politica di dare voce al lavoro che avevano diretto. Ma perché sarebbe politicamente sciocco.

Pure con una cautela che riflette peraltro la straordinaria incomunicabilità maturata in questi anni all’interno del gruppo dirigente del PD, e forse la lontananza da questi temi da parte del Segretario del partito, nel documento vengono infatti messe sul tavolo considerazioni e ipotesi concrete di rinnovamento che, se raccolte, possono introdurre nel PD germi positivi. Esse colgono il sentire di moltissimi iscritti, manifestatosi anche in questi tempi difficili, e di cui le sperimentazioni che ho seguito da vicino sono solo una delle manifestazioni.

Richiamo sei di queste ipotesi di rinnovamento (sollevando solo in minima parte il manto di timidezza che le avvolge e virgolettando le citazioni letterali):
1. Elezione dei Segretari regionali (e relativi Organi dirigenti) da parte dei soli iscritti, stante il loro ruolo esclusivo di direzione del partito, un requisito essenziale per ogni organizzazione.

2. Fare precedere le primarie per la selezione dei candidati alla guida di Comuni e Regioni da una “elaborazione e condivisione da parte dei candidati stessi di un’agenda essenziale di riferimento”. Passo indispensabile, aggiungo, per evitare che le derive personalistiche prevalgano sulla visione collettiva elaborata dal partito territoriale sul futuro possibile di quel Comune o di quella Regione.

3. Sia per l’Assemblea nazionale, sia per la Direzione nazionale, oggi composte rispettivamente da oltre 1000 e oltre 120 membri, “si impone una riflessione … a partire dal numero dei componenti previsto dall’attuale Statuto” che determina “difficoltà nello svolgere con … pienezza il proprio ruolo”. Parole assai caute ma non equivocabili, per segnalare l’assoluta anomalia – a mio parere soprattutto per la Direzione – di un organo di indirizzo che per la sua dimensione non può in alcun modo essere luogo di confronto acceso non fra posizioni incrollabili (di maggioranza e minoranza), magari declamate pubblicamente ai propri partigiani, ma fra posizioni che cercano il convincimento reciproco, la verifica, la possibile trasformazione in nuove soluzioni.

4. Certificazione dell’Albo degli elettori, per promuoverne la partecipazione non solo al momento del voto.

5. Rinnovamento dei Circoli (anche per evitare che siano “utilizzati da alcuni come via per promuovere il proprio interesse particolare anche a discapito di quello generale”) che devono diventare “palestra di formazione politica per creare nuova classe dirigente” e per “sperimentare nuove forme organizzative che interagiscano con l’arcipelago delle militanze”. A tale scopo nei Circoli si dovrà “promuovere e sostenere progettualità … rivolte a raggiungere obiettivi chiari, misurabili e rilevanti per la qualità di vita dei cittadini” e promuovere “filiere di progettazione che coinvolgano gli elettori appartenenti all’Albo e tutti i cittadini interessati” per dare “un contributo concreto all’azione di governo del territorio … e mettere alla prova nuove leve dentro il partito”.

6. “La scelta dei confini di responsabilità di un circolo “non deve essere rigida – vincolata dall’obbligo statutario attuale di costituire un Circolo ogni 50mila abitanti – ma deve dipendere dalle caratteristiche del territorio. (Per questo concetto si veda ad esempio l’esercizio valutativo condotto da Luoghi Ideali su Roma – e recentemente replicato per Perugia -)

Si tratta di sei ipotesi di rinnovamento tutt’altro che di maniera. E che, se fossero attuate davvero – non una “riflessione” sulla dimensione della Direzione ma la drastica riduzione della sua dimensione, non solo la promozione di “filiere progettuali” nei circoli ma anche il loro finanziamento e il loro presidio tecnico da parte di una struttura nazionale di riferimento, ecc. – richiederebbero e comporterebbero una profonda trasformazione del modo di funzionamento del PD. Agli antipodi di quello che si manifesta in questi giorni nel “PD dei Comitati”.

Per uccidere queste ipotesi ci vuole poco. Basta che esse restino in silenzio. Che siano soverchiate dalle grida di queste ore. Il modo in cui sono state diffuse, il linguaggio usato, la timidezza non aiutano. E tuttavia per decine e decine di migliaia di iscritti che rivendicano un modo diverso di “fare partito”, questo documento offre un’opportunità significativa, che non tornerà. Se essi ci sono. Se ci credono davvero. Se preferiscono questo al partito dei Comitati. Si facciano sentire in questa consultazione chiedendo la traduzione di queste sei ipotesi in soluzioni operative e adeguatamente finanziate. Lo facciano circolo dopo circolo. Entro la fine di novembre. Con voce resa robusta dall’urgenza del momento. Senza schierarsi secondo le attuali correnti, né cercarne di nuove. Con votazioni formali. E mettendo alla prova su questa scelta i propri gruppi dirigenti territoriali, ossia condizionando a ciò il loro appoggio futuro. Se ciò avverrà in una misura significativa, il PD avrà un punto fermo da cui ripartire dopo la tempesta di dicembre.

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