Significativamente Oltre

H-Farm: l’Italia che si muove

h-farm1di Massimo Micucci (pubblicato su Anteprima)

Lo dico di ritorno da un viaggio in quel Nord Est che conosciamo solo attraverso definizioni di comodo, per la politica e per i giornali. Ho seguito un buon consiglio: sono sbarcato a Mestre con un Freccia Argento in ritardo. Poi, in cinque minuti, ho conosciuto una realtà che è in anticipo. Si chiama H-farm esiste dal 2005 ed è un incubatore di imprese innovative internet oriented, un sistema di seed capital e venture capital (parole e realtà che maneggiamo a fatica) che ormai esiste da qualche anno e non al sole della California, ma nelle nebbie della Marca Trevigiana.

Nel Board of Directors, Riccardo Doandon Ceo, Maurizio Rossi, e Thomas Panto che lo definiscono un “ecosistema” per start up. Un ambiente fatto di servizi, formazione ed esperienze che accompagna giovani idee a diventare aziende. In una ex-fattoria vicino a Roncade a Ca’Tron, il logo riproduce un trattore, ma i nomi sono tutti al futuro, Logopro, Thounds, H-art, H-umus, Zooppa. E che sono? Realtà incubate poi divenute autonome o acquisite da gruppi più grandi. Che fanno? Offrono servizi innovativi che portano internet a funzionare nella realtà off-line, dentro e per le aziende.

Zooppa aggrega le competenze di migliaia di creativi connessi, attraverso contest competitivi. Fate conto che una azienda voglia un’idea, un video per una campagna, una campagna on line: ne avrà 50 o 100, più migliaia di idee grafiche per un costo pari ad un decimo di quello di una grande agenzia. Se invece vi serve solo il logo per la carta intestata o per un biglietto de visita avrete due o quattro test, da due grafici diversi a partire da 59 euro. Per progetti più complessi come apps per smartphone, per sistemi editoriali o televisivi “aumentati” cioè più ricchi e partecipati… ci sono altre start up: aziende pronte a decollare sole, o gia acquisite da gruppi più forti, che comunque non hanno voluto lasciare l’“ecositema” in cui siscambiano idee: qui i brain storming interaziendali e aperti si chiamano “Pizza storm”.

C’è chi già si occupa di integrare tutto l’aspetto digitale di progetti di comunicazione, ma anche di marketing e di produzione: per Diesel, per Poste Mobile, per la Regione Veneto, per la Regione Toscana sul turismo, con una intera redazione digitale solo sui Social media.

E c’è chi invece cerca una frontiera nuova come Thounds, un sistema di collaboratività per fare musica insieme a distanza. A partire anche da una schitarrata, o da un fischietto. Un sistema per creare pezzi “crowdsourced” che ha un’idea chiara delle nuove fruizioni di contenuti: ascolteremo sempre meno musica fatta da altri se non in esperienze molto dirette (concerti, eventi, house concerts) e faremo noi la musica che vogliamo ascoltare. Mi siedo davanti al Mac, suono un motivetto che si registra su un’interfaccia che somiglia a Twitter (importanza del design del software tutto web based), e consento ad altri conosciuti e/o sconosciuti di intervenire sulla mia traccia. Nasce un pezzo completo. Anche qui: la band indie che vuol fare un nuovo singolo, mette una traccia on line aperta alla collaborazione e la migliore performance diventa il B side del pezzo. Si promuovono creando insieme alla rete. Marketing, creatività, user generated content, snack culture etc… tutto insieme.

Il sistema è stato ideato e alimentato dai partners e da altri investori che selezionano le idee, finanziando, sempre in una gara tra le proposte, due o tre prototipi. Poi tra i selezionati, il migliore può aspirare a un impegno in termini di seed o early capital… e da qui è vera start up, appoggiata sul piano logistico, contabile e dei servizi.

Insomma la logica è quella della competizione delle idee e della creazione dal basso di una cultura d’impresa. Secondo Maurizio, che mi ha accompagnato, è un trend obbligatorio, lo vogliamo riconoscere o no. Eppure l’ecosistema nazionale, pubblico e privato, non parla questa lingua. Non la conosce (e forse è meglio perché l’affosserebbe) e non può farlo. Deve invece recitare sul proscenio descritto dai vari CENSIS: la sfiducia, la corruzione, l’immobilità e la paura.

Ma così non ci avvantaggiamo di questa intelligenza diffusa e infatti, spesso gli investitori sono extraeuropei. Per fortuna se ne avvantaggiano sempre più clienti e questa è la vera ricchezza e speranza. Qui ad H-Farm ho sentito una lingua nuova in uno scenario diverso socialmente, geograficamente e generazionalmente. Donadon e i suoi partners non sono innovativi solo perchè sui loro bigletti da visita ci sono anche skype e la pagina delicious, ma perchè non si rassegnano all’esistente.

Si avverte che nessuno aiuto arriverà dalle istituzioni tradizionali, pubbliche e private. Anzi, forse riusciranno a darne uno loro. Il mio interlocutore mi dice: come posso augurarmi che mio figlio lavori in Fiat ? Non ci sarà quel posto. Chiuso il dibattito che appassiona tutti. Geograficamente: un giovane che entra in questo ecosistema percepisce il mercato dei prodotti, dei servizi, della cultura come mondiale: il sito è in inglese, il mio competitor è cinese, il mio mercato è fuori di qui.

Ma c’è un altro aspetto che integra diversi fattori: la generazione nata dopo Google ragiona in un modo che darà la risposta ai problemi su cui ci arrovelliamo in gineprai regolatori, e pure a problemi che oggi non conosciamo (il mercato della musica dopo itunes). Problemi cui non c’è risposta, come la crisi del mercato dell’informazione. Chi è nativo digitale va per tentativi e forse riuscirà a prendere quest’onda, noi, immigrati digitali di quaranta o cinquant’anni, no.

Noi possiamo favorire la nascita di sistemi e occasioni che consentano loro di rispondere. Perchè questi sistemi funzionino deve esserci una collaboratività e una competitività alta tra idee e progetti e il risultato del progetto alla fine dipende dalle persone che sperimentano. E’ una centralità nuova delle persone e delle loro collaborazioni creative, del lavoro e del sapere, che dovrebbe essere integrata nei sistemi formativi in modo più radicale. “Rinunciando a qualcosa dei percorsi didattici tradizionali e introducendo questa creatività industriale dentro l’Università”…

Un altro mondo, una società che si muove, una Italia fiduciosa che, magari, ci riprenderà per i capelli? Intanto crescono i laboratori dove si sperimenta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

News da Twitter
News da Facebook